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TRE CARABINIERI ITALIANI ASSEDIATI A GAZA DAI MILIZIANI DI HAMAS: QUI SOLO SALVINI PUO’ RISOLVERE IL CASO, PARTA SUBITO E SALVI I NOSTRI MILITARI

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

I TRE CARABINIERI NON SI SAREBBERO FERMATI A UN POSTO DI BLOCCO… I PALESTINESI SOSPETTANO CHE SIANO ISRAELIANI INFILTRATI… CUOR DI LEONE DEVE PARTIRE CON LA DIVISA DEI CARABINIERI E DIRE IN FACCIA AD HAMMAS COSA PENSA DI LORO

Tre carabinieri del Consolato italiano a Gerusalemme son rifugiati nella sede dell’Onu a Gaza City, assediati dalle forze di sicurezza di Hamas.
Secondo il sito del Jerusalem Post gli italiani sarebbero invece 4. Per il quotidiano la crisi va avanti da 48 ore, tanto che l’ambasciatore italiano Gianluigi Benedetti avrebbe incontrato oggi il leader di Hamas Ismail Haniyeh nel tentativo di sbloccare la situazione.
Diverse le versioni date dai media.
Secondo fonti della sicurezza citate dal sito Arab21 “un’auto che trasportava quattro stranieri in possesso di armi automatiche ha rifiutato di fermarsi a una barriera di sicurezza nel centro della Striscia di Gaza lunedì sera, fatto che ha provocato un inseguimento e l’esplosione di spari, prima della fuga nella sede delle Nazioni Unite”. Gli italiani sarebbero dotati di armi automatiche.
Secondo le stesse fonti, “la resistenza palestinese ha sospettato” che le persone nell’auto fossero membri “delle forze speciali israeliane sotto falsa identità  con passaporti diplomatici europei”, mentre l’Unwra ha confermato che “si tratta di diplomatici stranieri di nazionalità  italiana, entrati a Gaza per lavoro ufficiale”.
Le autorità  palestinesi sono entrate nella sede Onu, dove hanno indagato sui tre italiani, esaminando anche le armi in loro possesso, proseguono le fonti. Hamas, tuttavia, continua a dubitare delle informazioni ottenute.

(da agenzie)

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IL TRIBUNALE DEL RIESAME SMONTA LE ACCUSE INFAMANTI DEL PROCURATORE ZUCCARO SUL CASO AQUARIUS, MA SUI TG DI REGIME LA NOTIZIA DEL DISSEQUESTRO VIENE CENSURATA

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

DISSEQUESTRATI 200.000 EURO DELL’ARMATORE… DOPO DUE ANNI DI INDAGINI PER DIMOSTRARE COLLUSIONI TRA ONG E SCAFISTI, ACCUSE DI SMALTIMENTO ILLECITO DI RIFIUTI, CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO SPESI PER NULLA, FALLISCE IL TENTATIVO DI CRIMINALIZZARE LE ONG … E IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SI GUARDA BENE DAL MANDARE UNA ISPEZIONE ALLA PROCURA DI CATANIA

Prima l’annuncio del dissequestro. Poi la smentita della procura di Catania. Sulla nave Aquarius, gestita da Medici Senza Frontiere, si apre un nuovo caso.
A riaprire la discussione è stato il presidente dell’Associazione A buon diritto, Luigi Manconi, che in mattinata ha annunciato il dissequestro della nave Aquarius dopo l’accusa di smaltimento illecito di rifiuti.
Ma, precisa la procura di Catania, l’Aquarius non può essere stata dissequestrata perchè non è mai stata posta a sequestro, in quanto non era in Italia e il decreto del gip non è mai stato eseguito nè impugnato.
Secondo quanto spiega la procura, il Tribunale del riesame si è espresso sul sequestro di 200mila euro di beni da due conti correnti intestati a Francesco Giannino, titolare della ‘Mediterranean shipping agency’ di Augusta (Siracusa), annullando il precedente decreto.
E dando, di fatto, torto alla procura di Catania, smontando   la sua accusa.
Giannino è indagato nell’ambito dell’inchiesta sullo smaltimento di rifiuti da navi di Ong che soccorrevano migranti.
A confermare la notizia anche il legale dell’indagato, l’avvocato Dina D’Angelo, che sottolinea come sia la sua “l’unica parte in causa a presentare ricorso e a discutere davanti ai giudici”.
Il Tribunale del riesame ha comunque accolto integralmente il ricorso dell’agente marittimo.
I giudici non hanno rilevato i presupposti su cui si basa l’accusa ai danni di Giannino, secondo quanto anticipato da Radio Radicale, e hanno quindi bocciato i provvedimenti emessi.
La procura di Catania, guidata da Carmelo Zuccaro, sostiene l’accusa di smaltimento illecito avvenuto in totale in 44 occasioni, per circa 24mila chili di rifiuti, tra cui anche “gli indumenti contaminati indossati”, gli scarti alimentari e i rifiuti utilizzati in navigazione per l’assistenza medica ai migranti soccorsi in mare.
Nonostante il mancato sequestro, confermato dalla procura, l’Aquarius difficilmente potrà  tornare a breve in mare, essendo ancora priva di bandiera dopo la revoca da parte delle autorità  di Panama.
Già  in passsato gli inquirenti etnei si erano visti bocciare i provvedimenti a danno delle Ong da parte dei giudici delle indagini preliminari.
A oltre due anni dalle prime accuse, nessuno dei procedimenti avviati di procuratore Zuccaro, secondo cui potevano esservi collegamenti tra le organizzazioni non governative e i trafficanti di uomini, è mai arrivato a un processo, fermandosi sempre alle indagini preliminari.
L’agenzia marittima di Francesco Gianino, asssitita dall’avvocato Dina D’Angelo, si è vista così restituire 200mila euro bloccati dalla procura e potrà  riprendere regolarmente le attività  che erano state sospese dal provvedimento emesso lo scorso 20 novembre.
Medici senza frontiere aveva respinto le accuse sostenendo di aver sempre seguito le procedure standard.
«Dopo due anni di indagini giudiziarie, ostacoli burocratici, infamanti e mai confermate accuse di collusione con i trafficanti di uomini», aveva lamentato Karline Klejer, responsabile delle emergenzeper Msf, «ora veniamo accusati di far parte di un’organizzazione criminalefinalizzata al traffico di rifiuti. È l’estremo inquietante e strumentale tentativo di fermare a qualunque costo la nostra attività  di ricerca e soccorso in mare».

(da “Avvenire“)

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EMERGENZA BREXIT: TRE MESI IN PIU’ PER LONDRA, L’ACCORDO SUL TAVOLO DELLA COMMISSIONE UE

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

IPOTESI REFERENDUM DOPO LE EUROPEE: SI DOVRA’ SCEGLIERE TRA L’ACCORDO BOCCIATO E RESTARE IN EUROPA

“Ci sono cose su cui non possiamo pianificare…”. Pierre Moscovici allarga le braccia quando gli si chiede di Brexit alla fine della rituale conferenza stampa della Commissione al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria.
E’ pomeriggio, ma l’ombra serale della annunciata bocciatura dell’accordo su Brexit tra Londra e Bruxelles da parte del parlamento britannico si è già  allungata qui a Strasburgo.
E l’Ue annaspa nel buio, proprio come Theresa May bocciata a sera dal voto della Camera dei comuni: (432 contrari, 202 a favore).
Ma la premier, coriacea, non si dimette: se i laburisti presentano una mozione di sfiducia, domani il Parlamento la discuterà , annuncia.
Sullo sfondo, apprende Huffpost, c’è almeno una bozza di accordo con la Commissione per cercare una luce in fondo al tunnel.
Il guado è fitto. E superarlo è un’incognita per tutti.
Per prepararsi al peggio, Jean Claude Juncker oggi se n’è tornato a Bruxelles da Strasburgo. Domani si perderà  la plenaria che ospita il premier spagnolo Pedro Sanchez proprio per seguire la cosa più cogente, il caos Brexit, da Bruxelles: per comunicazioni con la May.
A quanto apprende Huffpost, la Commissione europea avrebbe già  imbastito una sorta di accordo con May per tentare di superare il guado. Le possibilità  di riuscita sono appese a tante variabili, ma ci provano.
Sul tavolo della Commissione c’è l’ipotesi di dare alla Brexit altri tre mesi di tempo. Alla luce della bocciatura di stasera, la Gran Bretagna non uscirebbe dall’Unione a fine marzo, come previsto inizialmente.
La data verrebbe posticipata a luglio, cioè entro l’insediamento del nuovo Parlamento europeo che verrà  eletto il prossimo 26 maggio.
Per fare cosa? L’ipotesi concordata da Bruxelles con la premier britannica sarebbe di tenere un nuovo referendum entro luglio.
Che esporrebbe gli elettori del Regno Unito di fronte alla seguente scelta: o l’accordo raggiunto dal governo May con la Commissione, quello bocciato stasera, oppure – shock – restare nell’Ue. Il no deal verrebbe così escluso.
E questa è una delle incognite, una delle tante di questa storia che è iniziata nel 2016 con la scelta Brexit da parte degli elettori britannici e che sembra non avere mai fine
Ma andiamo con ordine.
Secondo questo schema, gli elettori britannici non voterebbero per eleggere i loro eurodeputati il 26 maggio. Tutto verrebbe congelato fino al nuovo referendum.
Se vincesse l’accordo strenuamente difeso dalla May ma bocciato dal parlamento di Londra, la Brexit si compirebbe così.
Se vincesse il ‘remain’, la Gran Bretagna indicherebbe una propria data di voto per le europee per eleggere i propri rappresentanti a Strasburgo.
E’ chiaro che però questo schema di massima viene disturbato da mille variabili. Primo: la forza di chi in Gran Bretagna sostiene il ‘no deal’. Cioè lasciare l’Ue senza aver raggiunto un accordo con Bruxelles, con conseguenze imprevedibili, non contemplate dai trattati, imperscrutabili se non con una sfera di cristallo di quelle buone.
E infatti sul tavolo della Commissione europea c’è anche la carta ‘no deal’, per forza di cose. Del resto, a differenza del governo di Londra, in questa storia la Commissione ha il coltello dalla parte del manico.
Nell’ipotesi di nuovo referendum, la squadra Juncker si espone ad un’ipotesi ‘win win’. Se vincesse l’accordo raggiunto dal mediatore europeo Michel Barnier, bene. Benissimo se alla fine gli elettori britannici decidessero di restare nell’Unione. Dall’altro lato c’è May e i conservatori britannici.
Anche loro avrebbero da guadagnare dallo schema dei ‘tre mesi in più’. Riuscirebbero a mantenere il governo, non andrebbero a nuove elezioni, insomma non rischierebbero di lasciare il timone al Labour di Jeremy Corbyn che infatti stasera sentenzia: “Una sconfitta catastrofica per il governo”.
Nelle intenzioni della May e dei suoi sostenitori (non tantissimi) l’ipotesi di nuovo referendum entro luglio dovrebbe bastare per convincere i supporter del ‘no deal’ a mollare.
E la sfiducia presentata dal Labour non dovrebbe passare domani. Il Brexiter Nigel Farage auspica: “Se May ha il senso dell’onore si dimetterà “. Ma questo non è all’orizzonte.
Chissà . Dopo l’annunciata bocciatura dell’accordo, il presidente della Commissione Ue Juncker avverte sul rischio di una “uscita disordinata” del Regno Unito dall’Ue. E allo stesso modo, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk cerca di stanare i sostenitori del ‘no deal’:
Da domani parte il dibattito che sarà  la prova del nove degli schemi abbozzati tra Londra e Bruxelles. La storia ‘Brexit’ ha intanto provato che le trattative tra leader non sono scolpite sulla pietra. Possono saltare per aria. In un gioco di imprevedibilità  che sta facendo tremare le istituzioni in quanto tali.

(da “Huffingtonpost”)

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BREXIT, NO DELLA CAMERA AL PIANO MAY: 432 VOTI CONTRO

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

CORBYN ANNUNCIA UNA MOZIONE DI SFIDUCIA CHE VERRA’ DISCUSSA DOMANI

Il Parlamento britannico affonda il piano di Theresa May sulla Brexit. Con 432 no e 202 a favore, i Comuni come previsto non hanno dato il via libera all’accordo con l’Unione europea per l’uscita dalla Ue.
Il leader laburista Jeremy Corbyn ha annunciato una mozione di sfiducia, che si dovrebbe votare domani.
E’   stato il giorno più atteso e la notte più lunga per la Brexit, Theresa May e tutto il Regno Unito. Dopo tanti rinvii e polemiche, l’accordo della premier britannica con l’Europa per l’uscita dall’Ue è andato ai voti alla Camera dei Comuni britannica, senza molte speranze di passare.
Quando qualche settimana fa ha superato la sfiducia del suo partito, oltre cento conservatori ribelli le votarono contro
“Stasera decideremo se andare avanti con l’accordo negoziato con i partner europei e porre le condizioni per un futuro migliore. E’ una responsabilità  profonda per ciascuno di noi, è una decisione storica – aveva detto Theresa May nel suo ultimo intervento ai Comuni, ricordando come nel 2016 sia andato al voto il 72% dei cittadini britannici, maggiore affluenza di sempre per qualsiasi referendum, e il popolo ha scelto di uscire dall’unione.
“Ben 246 deputati presenti in questa Camera hanno votato per attivare l’articolo 50 – ha detto la May – e solo 85 si sono opposti. E quale alternative abbiamo? O andare a un secondo referendum che poterebbe a ulteriori divisioni e direbbe al popolo che noi siamo stati eletti per servirlo e attuare la sua volontà  ma non abbiamo voluto farlo, oppure possiamo uscire senza accordo ma non credo che questo sia quello che vuole il popolo. Il popolo ha deciso di uscire dalla Ue ma di mantenere rapporti commerciali con l’unione ma senza accordo non ci sono intese commerciali e l’incertezza danneggerà  le nostre imprese”.
Duro l’intervento del leader laburista Jeremy Corbyn: l’accordo di ritiro è “uno sconsiderato salto nel buio”, è “cattivo per economia, democrazia e per il Paese”. Corbyn ha aggiunto che era stato promesso un documento “preciso” e “dettagliato”, mentre il “governo ha spettacolarmaente fallito” in questo senso, perciò il Labour si oppone all’intesa raggiunta con Bruxelles.
Le “rassicurazioni”   arrivate ieri da Bruxelles sul cosiddetto “backstop temporaneo” (cioè il regime temporaneo dell’Irlanda del Nord in una sorta di mercato comune europeo e la Gran Bretagna nell’unione doganale Ue fino a quando non verrà  trovata una soluzione definitiva sul confine irlandese) serviranno a poco. Tutti sanno che non avranno valore legale.

(da agenzie)

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OPERAZIONE SCIACALLAGGIO SUI CORPI DI RIGOPIANO PER ALIMENTARE IL CORTOCIRCUITO DEL DOLORE

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

ALTRO SHOW ELETTORALE: SALVINI E DI MAIO IN VISITA PER L’ANNIVERSARIO CON LA PROMESSA DI SOLDI CHE NON SONO SICURI DI POTER DARE

Neanche la tragedia di Rigopiano resta fuori dalla campagna elettorale abruzzese.
E, più in generale da questa campagna elettorale permanente, del governo e nel governo, nell’era in cui la comunicazione è l’unico Dio, a prescindere da risultati e fattibilità  degli annunci.
Salvini, come ha dichiarato qualche giorno fa, andrà  il 18 gennaio a Rigopiano, a due anni da quella tragedia in cui 29 persone persero la vita.
E ci andrà  anche Luigi Di Maio, come anticipato oggi dal Centro, nel primo dei tre giorni che dedicherà  all’Abruzzo, dove si vota il prossimo 10 febbraio.
Entrambi sventolando emendamenti in cui si promettono dieci milioni di euro per le vittime, già  annunciati nei giorni della presentazione delle liste elettorali, in questa macabra rincorsa al consenso. Anche in questo caso, lo stesso giorno.
Proprio l’11 gennaio i Cinque Stelle hanno depositato un emendamento al Decreto semplificazione, a firma dei senatori Primo De Nicola e altri per “stanziare risorse per aiutare i familiari delle vittime e i superstiti di quel tragico evento”.
Poche ore dopo, Matteo Salvini, ha annunciato “dieci milioni per i familiari delle vittime”, dando per fatto, nell’euforia elettoralistica, il tutto, provvedimento, stanziamento e risarcimento.
Ecco la sua dichiarazione: “Come promesso abbiamo fatto in una settimana quello che altri non hanno fatto in due anni. Un intervento di legge a favore dei familiari delle 29 vittime e, soprattutto, 10 milioni stanziati dal ministero dell’Interno per aiutare chi ha perso tutto in quelle drammatiche ore”.
Fonti del Viminale, interpellate dall’HuffPost, chiariscono che, anche in questo caso, si tratta di un emendamento della Lega, speculare a quello dei Cinque stelle, al decreto Semplificazione, che si discuterà  nelle prossime settimane, sul “modello della Legge Viareggio”.
Dunque, non una posizione comune del governo, ma due leader, ognuno in Abruzzo impegnato a sostenere i propri candidati, due emendamenti di partito, con l’interesse per la questione che si accende a 20 giorni da un voto politico.
È la cronaca di una cinica propaganda politica e di un azzardo morale, che intreccia la bandiera del dolore con i vessilli dei partiti.
Al di là  dei tempi di approvazione, l’azzardo sta nell’incrocio tra lacrime e norme, emozioni collettive e giurisprudenza.
È nella gestione di questo intreccio il confine tra la responsabilità  e il “populismo dei sentimenti”, o semplicemente lo sciacallaggio.
Legge Viareggio, si dice. La legge Viareggio varata dopo il disastro ferroviario del 29 giugno 2009, prevedeva uno stanziamento di 10 milioni per vittime e coloro che hanno riportato ferite o lesioni gravi. Lo Stato, come è ovvio che sia, risarcisce una tragedia del genere — calamità , incidente, fatto traumatico – che riguarda un bene pubblico, su cui ci sono responsabilità  acclarate.
Purtroppo Rigopiano è questione complessa, che riguarda anche un bene privato, e dunque, inevitabilmente, si deve attendere che la magistratura definisca le responsabilità  dello Stato.
È un discorso che può apparire brutale, e per questo andrebbe legato ai tempi della giustizia e del buon senso e non a quelli elettorali, proprio nel rispetto del dolore. Senza speculazioni. E con la responsabilità  che una promessa, in questi casi, non può rimanere tale, come uno dei tanti impegni elettorali che vengono disattesi a urne chiuse.
Per carità : è legittimo che passi il principio secondo cui lo Stato può e deve risarcire sempre e comunque, però occorre fare un discorso di verità , anch’esso brutale, altrimenti si rischia un aberrante “cortocircuito del dolore”.
Perchè a quel punto il principio, e la conseguente innovazione giurisprudenziale, andrebbe esteso a tutte le vittime di tragedie.
Non ci vuole una Cassandra a prevedere che qualcuno si alzi e dica: “E le vittime del terremoto dell’Aquila, perchè a loro no? E quelle di Amatrice? E quelle delle tante tragedie di questi anni?”.
Un mese fa, in piena discussione sulla manovra la maggioranza bocciò un emendamento a firma di Stefania Pezzopane e altri che chiedeva “l’accesso al Fondo solidale per i familiari delle vittime di catastrofi naturali” per i parenti delle vittime del terremoto dell’Aquila e di Amatrice.
Voleva essere una “provocazione” per costringere il governo a farsi carico della questione dell’Aquila dove, a dieci anni del terremoto, contro i familiari delle vittime c’è una causa aperta dalla presidenza del Consiglio, per riavere la somma di denaro data alle famiglie dopo la condanna in primo grado dei membri della commissione grandi rischi, sentenza poi ribaltata in appello.
Proprio così: l’assoluzione dei sei esponenti della commissione in secondo grado comporterebbe, secondo l’avvocatura dello Stato, l’onere per i familiari delle vittime di restituire la provvisionale ricevuta a causa della morte dei loro cari.
Voi capite quanto rischiosa sia la promessa su Rigopiano, che materializza uno scenario in cui lo Stato da una parte chiede i soldi ai familiari delle vittime di una tragedia, dall’altra annuncia di darli.
Da una parte ancora non trova una soluzione che contempli una forma di “pietas”, dall’altra dà  per fatto un provvedimento, mentre è ancora in corso l’accertamento della responsabilità  da parte della magistratura.
Oppure le promesse resteranno tali, incassati e i dividendi elettorale. Quando resteranno solo le bandiere del dolore.

(da “Huffingtonpost”)

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L’UNIONE CAMERE PENALI SUL CASO BATTISTI: “LO SHOW DI SALVINI E BONAFEDE UNA PAGINA VERGOGNOSA E GROTTESCA”

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

“ESIBIZIONE CINICA E SGUAIATA DI PROPAGANDA”… FOTO RICORDO CON IL DETENUTO DA PARTE DI AGENTI DELLA POLIZIA PENITENZIARIA IN SPREGIO DEL REGOLAMENTO

L’arresto di Cesare Battisti e lo «show» di due ministri all’aeroporto con le divise della Polizia e della Polizia Penitenziaria, alimenta anche polemiche: «Quanto accaduto ieri in occasione dell’arrivo a Ciampino del detenuto Battisti è una pagina tra le più vergognose e grottesche della nostra storia repubblicana. È semplicemente inconcepibile che due Ministri del Governo di un Paese civile abbiano ritenuto di poter fare dell’arrivo in aeroporto di un detenuto, pur latitante da 37 anni e finalmente assicurato alla giustizia del suo Paese, una occasione, cinica e sguaiata, di autopromozione propagandistica».
A esprimere «sdegno e riprovazione per questa imbarazzante manifestazione di cinismo politico» è l’Unione delle camere penali, che ritiene anche «sconcertante» che «il Ministro della Giustizia abbia diffuso un video, con sinistro commento musicale, titolando di “una giornata indimenticabile”».
«I ministri Bonafede e Salvini hanno ritenuto di doversi presentare in aeroporto, dove erano stati zelantemente predisposti palchetti, per esibirsi in favore di telecamera, evidentemente al fine di acquisire nell’immaginario collettivo il merito di un evento frutto, come è ben noto, del lavoro ultratrentennale dei vari governi che si sono succeduti nel tempo, al pari delle forze di polizia e dei servizi di sicurezza e di intelligence», lamenta la giunta dell’Ucpi, notando che «non ci sono state risparmiate foto ricordo del detenuto, con due agenti della polizia penitenziaria al fianco, in spregio di espliciti divieti normativi».
«Altro è esprimere legittima soddisfazione per la conclusione di una lunga latitanza di un cittadino raggiunto da plurime sentenze definitive di condanna per gravissimi fatti di sangue, altro è esporre il detenuto, chiunque egli sia, qualunque sia la sua colpa, come un trofeo di caccia, con foto ricordo al seguito- osservano ancora i penalisti- Una pagina umiliante e buia di malgoverno, che rappresenta nel modo più plastico e drammatico un’idea arcaica di giustizia ed un concetto primitivo della dignità  umana, estranei alla cultura del nostro Paese».

(da agenzie)

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CONDANNATO IL SINDACO LEGHISTA CHE AVEVA DIFFAMATO LA BOLDRINI

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

IL PRIMO CITTADINO DI PONTINVREA DOVRA’ PAGARE IN TUTTO 33.000 EURO ENTRO 30 GIORNI… NESSUNA RATEAZIONE IN 87 ANNI, QUESTA VOLTA

II tribunale di Savona ha condannato il sindaco di Pontinvrea (Savona) Matteo Camiciottoli (Lega), accusato di diffamazione ai danni dell’allora presidente della Camera Laura Boldrini, al pagamento di 20 mila euro di multa con pena sospesa subordinata al risarcimento dei danni entro un mese.
I danni sono quantificati in 20 mila euro per Laura Boldrini e 100 euro per ognuna delle associazioni costituitesi parti civili: Unione Donne Italiane, Differenza Donna, Se non ora quando, Donne in rete e Centro per non subire violenza.
Boldrini aveva querelato Camiciottoli che commentando sui social gli stupri avvenuti in spiaggia a Rimini nell’estate 2017 aveva scritto che gli arrestati “dovevano essere mandati ai domiciliari a casa della Boldrini, magari le mettono il sorriso”.
Oltre a questo, Camiciottoli dovrà  pagare le spese processuali (3.500 euro per Boldrini, 1.980 euro per ognuna delle cinque associazioni).
Un totale   di 33.500 euro.

(da agenzie)

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LA STORIA DEI MOLTO SEDICENTI NEOFASCISTI TORINESI CHE PRODUCEVANO ARMI CHIMICHE IN CASA

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

OBIETTIVO ATTACCO AL SISTEMA? NO, SPEDIZIONE PUNITIVA CONTRO UN ALTRO MILITANTE DI CASAPOUND COLPEVOLE DI ESSERSI FIDANZATO CON L’EX FIDANZATA DI UNO DI LORO… URGE RICOVERO A PSICHIATRIA

Quattro ragazzi tra i 19 e i 24 anni risultano indagati dalla Procura di Torino dopo che durante una perquisizione è stato scoperto che si erano prodigati a produrre artigianalmente una potente tossina.
La vicenda, racconta il Corriere, parte da lontano.
Aprile 2018, durante una manifestazione di Casa Pound davanti alle palazzine ex MOI un militante tira un pugno a Matteo Rossino, leader torinese di CP. La Digos nel fare alcuni accertamenti ha incidentalmente scoperto che i quattro avevano messo in piedi un’operazione per la produzione di ricina, una potente tossina che si estrae dai semi del Ricino.
Si tratta di una sostanza molto popolare nella cultura di massa visto che compare in numerosi telefilm (tra cui Breaking Bad) e che già  ha ispirato piani criminali negli USA.
Il tutto finalizzato ad un blitz punitivo nei confronti di un militante di CasaPound “colpevole” di essersi fidanzato con l’ex fidanzata di uno dei quattro.
E così poco prima di Natale gli investigatori dell’antiterrorismo hanno arrestato — con l’accusa di detenzione di armi chimiche —   il “chimico” del gruppo ritrovando, durante la perquisizione, un barattolo di ricina conservato in frigorifero.
Assieme agli altri tre è indagato anche per tentata fabbricazione di pistola clandestina. I quattro sono stati allontanati da CasaPound e non fanno più parte del Blocco Studentesco ma non avrebbero detto addio ai propositi di vendetta.
Tra manuali trovati su Internet per la sintesi della ricina e tentativi di acquisto — tramite Dark Web — di una Colt 1911 calibro .45 (la storica pistola in dotazione dell’esercito USA) i quattro hanno coltivato i loro propositi di vendetta.
Piani saltati propri grazie all’intervento delle forze dell’ordine che arrestando il “chimico” e indagando i tre neonazisti hanno molto probabilmente salvato la vita ai camerati ignari.

(da “NextQuotidiano”)

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LA RAGGI FERMA LA RAGGI: DIETROFRONT SULLE MONETINE DELLA FONTANA DI TREVI, RESTERANNO AI POVERI

Gennaio 15th, 2019 Riccardo Fucile

DOPO LA FIGURA DI BRATTA PLANETARIA, IL COMUNE NON POTEVA CHE RITORNARE SUI SUOI PASSI

Stavolta l’abbiamo scampata bella, ma per fortuna ci ha pensato Virginia Raggi a fermare Virginia Raggi, che voleva togliere i soldi delle fontane alla Caritas.
L’iniquo progetto della sindaca di Roma è stato per fortuna bloccato dalla sindaca di Roma appena in tempo: e la prima cittadina della Capitale ha anche detto che se becca la prima cittadina della Capitale gliele canterà  chiare in un’intervista all’Osservatore Romano nella quale ha mostrato la sua abilità  nella disciplina olimpica del Mirror Climbing: «La memoria di giunta che abbiamo votato è stata male interpretata, nessuno ha mai pensato di privare la Caritas di questi fondi».
Per fortuna che c’è Virginia Raggi a fornire interpretazioni autentiche di quello che pensa Virginia Raggi, perchè altrimenti chissà  cosa ci verrebbe in mente alla prima cittadina della Capitale con la complicità  della sindaca.
E pazienza se chi non ha la memoria storica di un mollusco ricorda sia che è la sua amministrazione che ha preso la decisione, sia che il progetto risale all’ottobre 2017 e l’anno scorso, a marzo, c’è stata la stessa identica sceneggiata: proposta di togliere i soldi alla Caritas e successiva marcia indietro dopo le proteste.
Mannaggia, questi che capiscono male a un anno di distanza non si reggono proprio più.
Intanto il Messaggero ci fa sapere oggi che non tutti, nella giunta grillina, sono soddisfatti per la piega che ha preso la vicenda.
A partire dalla responsabile del Sociale, Baldassarre, ex manager Unicef, che si è appena vista dimezzare le deleghe (ha perso la Scuola).
«Avremmo solo voluto rompere un monopolio — ha ragionato in questi giorni con i suoi — per finanziare sempre progetti sociali, ma gestiti anche da enti laici e non solo confessionali…».
Ma come, la Raggi non aveva detto che avevamo capito tutti male? Ha capito male pure l’assessora?

(da “NextQuotidiano”)

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