Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
I PARLAMENTARI LEGHISTI VORREBBERO ROMPERE MA SALVINI TEME CHE MATTARELLA NON MANDI SUBITO ALLE URNE
Mai visto un Salvini così, neanche l’ombra dell’uomo che fa e disfa come vuole, con la giubba
che a stento copre la sicumera.
Le parole che non ti aspetti sono pressochè evangeliche, nel senso del porgere l’altra guancia. Eccole: la sorte del Governo non “per nulla legata al caso Diciotti”, “il Governo va avanti e abbiamo tante cose da fare”.
Va avanti dunque sia nel caso che i Cinque Stelle votino No all’autorizzazione a procedere, e questa è una ovvietà , sia nel caso che votino Sì. E questa è una signora notizia. Anche cioè se i pentastellati, in pieno travaglio tra salvare Salvini e salvare l’anima, decideranno di salvare l’anima, spendendo il ministro dell’Interno davanti ai giudici, dove rischia una condanna per sequestro di persona, pur di non tradire gli ideali della loro giovinezza.
Mai visto un Salvini così che, come tutte le persone preoccupate davvero, nega di esserlo perchè l’uomo che si sente forte per definizione non può essere preoccupato per definizione.
E dunque ripete il più classico dei “dormo tranquillo”, “faccio colazione con pane e nutella”, smentisce retroscena attendibili meno di “Topolino”, dopo aver detto di non leggerli, il che cozza un po’ con la logica, perchè non c’è niente che lo infastidisce di più di una immagine di sè non più onnipotente: “Il Senato — prosegue deciderà con coscienza e io rispetterò qualsiasi decisione venga presa”.
Ricapitolando. A botta calda, disse che era pronto a farsi processare poi, dopo aver letto gli atti con Giulia Bongiorno, ha cambiato idea e ha chiesto uno “scudo” per fuggire “dal” processo.
Poi ha annunciato che sarebbe andato in Giunta, e invece ha presentato una memoria scritta, perchè le parole possono volare, invece gli scritti sono più prudenti, ora rassicura che non ci sarà nessuna conseguenza sul governo.
Non è banale l’affermazione, considerati gli umori del pancione leghista: parlamentari inquieti, perchè la questione sta diventando “un fatto di dignità “, un Giancarlo Giorgetti più ombroso e inquieto del solito, per non parlare del Nord.
I capigruppo di Camera e Senato, negli ultimi giorni, sono stati compulsati da telefonate perchè “non si può andare avanti così” e “se spediscono Salvini a processo dobbiamo aprire la crisi il minuto dopo”.
La Lega è un pentolone in ebollizione, di insofferenza, preoccupazione, rabbia.
E c’è un motivo che spiega questa conversione evangelica del Capitano, che non risponde agli insulti, si fa dare del “rompic…..”, e non minaccia sfracelli o ritorsioni.
Il motivo è che il leader leghista è doppiamente sotto botta.
Sotto botta perchè teme il processo e l’unico modo per aiutare i Cinque Stelle ad arrivare al “No” sull’autorizzazione è non stressare troppo le polemiche, tenerla bassa insomma.
Più in generale, politicamente sotto botta. Perchè un fallo di reazione non è affatto detto che porti, automaticamente, a elezioni anticipate, anzi.
E piuttosto che minacciare la guerra con la santabarbara allagata, è meglio non dichiararla. Ecco il punto.
Più di un alto in grado della Lega dice: “Matteo non si fida del Quirinale. Se apriamo la crisi, è difficile che riusciamo ad andare al voto. Solo se avessimo la certezza di votare per le politiche e le europee si potrebbe far saltare il banco, ma questa certezza non c’è, anzi”.
Come noto Mattarella non è un presidente ciarliero, nè in pubblico nè in privato, e certo non ha deciso, per l’occasione, di tradire la sua proverbiale riservatezza di pensiero.
È, in materia, una sfinge anche con i più fidati consiglieri, perchè sa che ogni considerazione, nei momenti delicati, può destabilizzare, alimentare aspettative e dinamiche.
Difficile che possa ragionare del “che fare” in caso di crisi di governo, se la crisi non si manifesta e matura in tutta la sua complessità .
Proprio questa assenza di riferimenti, alimenta, nel Palazzo, supposizioni più o meno fantasiose.
In questi giorni è tutto un discettare dentro la Lega attorno a un presunto attivismo di alcuni consiglieri quirinalizi che, da sempre, “hanno lavorato” per arrivare a un governo tra Pd e Cinque Stelle, operazione che non riuscì all’inizio della legislatura e che potrebbe essere favorita dal cambio di leadership del Pd.
Logica e numeri dicono che le condizioni non ci sono, perchè il Pd, su questa operazione, si spaccherebbe e senza il Pd compatto, non ci sarebbe maggioranza.
Sia come sia, la crisi, spiegano autorevoli colonnelli leghisti vicini a Salvini, è sempre un rischio, perchè sai come ci entri ma non sai mai come ci esci, soprattutto in un Parlamento che non ha voglia di andare a casa, dove, al momento giusto, il partito più forte è sempre il “partito della cadrega”.
L’unica assicurazione, ovvero la possibilità di andare al voto assieme alle Europee, non c’è.
E questo è sufficiente per non forzare, qualunque cosa accada, mantenendo alta la tensione sugli altri dossier, dal Venezuela alla Tav, ma senza mai mettere in discussione l’esistenza del governo.
Almeno ad oggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
I POLTRONISTI SI ARRAMPICANO SUGLI SPECCHI PER GIUSTIFICARE IL TRADIMENTO DEI VALORI DEL MOVIMENTO
Hai voglia a dire che non c’entra, che non c’è nessuno scambio, che le rette parallele non si incontrano e se si incontrano non si salutano.
Il caso Diciotti procede carsico sotto pelle della maggioranza e interseca tutto, dal decretone su reddito e quota 100 che ha preso il via in Parlamento fino alla tenzone senza esclusione di colpi sul Tav.
La mattina di martedì i pentastellati si sono riuniti in Assemblea per fare un punto della situazione. Bocche cucite, la paura di esporsi è tanta.
Ma a microfoni spenti la versione è concorde: la maggioranza dei senatori (e tra i componenti stellati della Giunta per le immunità ) valuta favorevolmente la possibilità di votare No all’autorizzazione a procedere per il leader della Lega.
“Sarebbero più gli elettori che ci perderemmo per strada votando Sì che votando No”, ragiona più di qualcuno.
Il capogruppo Stefano Patuanelli, pur non essendo stato presente alla riunione, si è attestato su una linea che da un lato si può leggere come attendista, dall’altro come prodromica a un voto negativo: “Qui non è una questione di immunità parlamentare, qui si deve valutare c’è stato un preminente interesse pubblico nazionale”.
Un voto politico, dunque, non sulla persona. Un escamotage — giuridico e narrativo — per uscire dallo stallo.
L’assemblea dei senatori si è aggiornata senza trarre alcun dado. I membri della Giunta si incontreranno nuovamente con Luigi Di Maio dopo aver letto, giovedì, la memoria che il ministro dell’Interno depositerà in Giunta, e che dovrebbe essere accompagnata da un testo in cui il governo, Giuseppe Conte in primis, si assumerà la responsabilità politica della vicenda che ha coinvolto la nave della Guardia costiera italiana.
Lì si farà il punto. E al momento non è escluso che si possa far ricorso a un sondaggio sul blog, con tutte le implicazioni del caso.
Ma una decisione non è stata ancora presa. Solo l’ultima della lunga catena di decisioni non prese e che al momento lasciano i 5 stelle immobili davanti al bivio e ai due cartelli segnaletici: “tradire i propri ideali” e “salvare il governo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
DI MAIO INCONTRA SOLO IL GILET GIALLO CHALENCON CHE LO GELA: “NESSUNA ALLEANZA”… NESSUN INCONTRO CON GLI ALTRI DUE LEADER NICOLLE E DROUET
“È appena terminato l’incontro tra Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Christof Chalencon,
uno dei leader dei gilet gialli nella periferia di Parigi. Molte le posizioni e i valori comuni che mettono al centro delle battaglie i cittadini, i diritti sociali, la democrazia diretta e l’ambiente”. È questo il commento dell’ufficio stampa del vicepremier sull’appuntamento parigino.
A gelare l’entusiasmo dei 5 stelle ci pensa però lo stesso Chalencon che alla domanda del quotidiano Le Parisien su una possibile alleanza con il M5S per le europee risponde: “Niente affatto”.
E aggiunge: “La nostra lotta è molto mediatizzata” in Italia e “volevamo incontrarli. Abbiamo accettato perchè volevamo scoprire questo partito e capire bene il suo posizionamento politico rispetto alla Lega. Di Maio ci ha assicurato che ci saranno liste separate alle elezioni amministrative ed europee. E questo ci piace”.
Quelli incontrati dal vicepriemier e da Di Battista rappresentano solo una frangia del movimento dei gilet gialli.
Infatti due dei principali leader, Maxime Nicolle e Eric Drouet, hanno escluso qualsiasi incontro. Drouet si dice “contrario ad ogni iniziativa politica fatta in nome” delle casacche gialle.
“Secondo fonti italiane, Di Maio avrebbe sollecitato un incontro a Parigi – ha dichiarato Maxime Nicolle -. Posso dirvi che nè il sottoscritto, nè Eric Drouet, nè Priscilla Ludosky (tra i principali leader delle casacche gialle, ndr), siamo stati contattati. Se fosse confermata, sappiate che si tratta di un’iniziativa autonoma di una parte politicizzata che non rappresenta il movimento dei gilets jaunes. Il nostro movimento è strettamente apolitico e non intende presentarsi alle europee. Se Di Maio mi chiama non alzo nemmeno il telefono”.
Il controverso militante dei gilet gialli, regolarmente accusato di far circolare false informazioni e teorie del complotto sulla rete, ritiene che tutti coloro che si candidano alle elezioni Ue, come l’ex portavoce, Ingrid Levavasseur, “sono fuori dal movimento”.
Conferma poi l’intenzione di organizzare una mobilitazione al confine franco-italiano per coinvolgere nuovi gilet gialli in una sorta di lotta comune transnazionale. Quanto ad una possibile discesa in campo, non lo interessa.
“Non siamo per un sistema parlamentare ma per una forma di democrazia diretta ispirata al modello svizzero, con l’introduzione nel lungo termine di 2-3 referendum di iniziativa popolare (Ric). Per il breve termine chiediamo più potere d’acquisto e nel medio un taglio dei privilegi, delle rendite, delle pensioni dorate dei funzionari”.
L’attivista meglio noto sui social con lo pseudonimo di Fly Rider si dice però contrario alla possibilità di un referendum promosso da Emmanuel Macron in concomitanza con le europee del 26 maggio: “Non ha senso perchè non include le nostre rivendicazioni”. E riferisce che sporgerà denuncia contro un gruppo di poliziotti che lo avrebbero minacciato di morte.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
CONFERENZA STAMPA ALLA CAMERA: “SIAMO PRONTI A RIPARTIRE, L’ITALIA NON SI INVENTI ALTRE SCUSE PER BLOCCARCI”
L’operazione di criminalizzazione delle Ong sta andando avanti.
*La Sea Watch 3 “è pronta a ripartire nel giro di mezz’ora” ma da parte dell’Italia c’è un “ostruzionismo” che ha il solo obiettivo di impedire alla nave della Ong tedesca di lasciare il porto di Catania e tornare nel Mediterraneo per proseguire nelle operazioni di ricerca e soccorso dei migranti
La denuncia arriva da Sea Watch in una conferenza stampa alla Camera durante la quale i rappresentanti della Ong hanno chiesto alle forze politiche una azione “forte e unitaria che si opponga alla cultura politica dominante che sta affogando lo stato di diritto e il diritto alla vita”.
Davanti a diversi parlamentari di Leu, al radicale Riccardo Magi e al presidente del Pd Matteo Orfini, la portavoce italiana della Ong Giorgia Linardi ha ricostruito gli eventi e le comunicazioni che hanno portato la Sea Watch3 a Catania, sottolineando come sia stata la stessa procura di Catania a precisare che nelle scelte fatte dal comandante non è stato ravvisato nulla di penalmente rilevante. “Tenerci fuori dai porti – ha aggiunto – è stata una chiara volontà politica”.
“Noi siamo pronti a ripartire nel giro di mezz’ora – ha ripetuto Linardi – Abbiamo fatto una serie di manutenzioni a bordo della nave e oggi pomeriggio avremo a bordo i rappresentanti dell’agenzia di ispezioni internazionali Dnv per verificare su quali delle anomalie segnalate dalla Guardia Costiera dobbiamo intervenire e quali, invece, possono essere rimandate al fermo programmato della nave, in programma il 25 febbraio”.
Alle autorità italiane, aggiunge la portavoce della Ong, “mostreremo tutta la certificazione e tutti i documenti, ma chiediamo di non trattare la Sea Watch 3 come una nave commerciale perchè altrimenti è evidente una volontà di accanimento nei nostri confronti”
Parole ribadite anche dall’avvocato Alessandro Gamberini. “Allo stato – ha detto – sono state fatte delle prescrizioni, alle quali interverremo con dei rimedi. Ma la sensazione è che ci troviamo davanti ad un ostruzionismo fatto appositamente per impedire la ripartenza della nave”.
Il legale ha poi sottolineato, per quanto riguarda la ricerca e il soccorso in mare, che la Guardia Costiera italiana quando riceve segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà , anche se sono in zona Sar libica, “non può lavarsene le mani e rimandare ad un’inesistente Guardia Costiera libica, perchè questo configura il reato di omissione di soccorso”.
Quanto al fatto che la Sea Watch 3 sia rimasta due giorni al largo di Lampedusa prima di puntare verso la Sicilia, Linardi ha ribadito che il comandante si è diretto verso l’isola delle Pelagie su specifica richiesta del procuratore di Agrigento, che voleva sentirlo insieme al capomissione in merito al naufragio avvenuto davanti alla Libia in cui sono morte, secondo le testimonianze dei 3 sopravvissuti, 117 migranti.
“Ma questo non e’ stato possibile – ha detto Linardi – perchè è stato impedito l’accesso alle acque italiane e il procuratore ha dovuto raggiungere la nave, accompagnato dalla Guardia Costiera, in acque internazionali, dove tra l’altro non ha giurisdizione perchè la nave è olandese”
(da agenzie)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
QUANDO DI MAIO PROMETTEVA DI SALVARE LA PERNIGOTTI… E OGGI LO STABILIMENTO CHIUDE … PROMESSE NON MANTENUTE SULLA PELLE DI 250 LAVORATORI
L’ultima volta Luigi Di Maio aveva visitato lo stabilimento Pernigotti di Novi Ligure
esattamente un mese fa.
Era il 5 gennaio e il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico aveva promesso che la Pernigotti, storica azienda dolciaria italiana, sarebbe rimasta in Italia e che nessuno sarebbe stato licenziato.
Oggi a mezzogiorno, questa volta a Roma al Ministero, è previsto l’incontro per la firma dell’accordo tra sindacati e azienda per la fine della produzione nello stabilimento di Novi Ligure e la firma della Cassa integrazione per i dipendenti
Ad andare in Cassa integrazione saranno cento dipendenti, i 150 lavoratori interinali invece godranno della disoccupazione ma non avranno alcun ammortizzatore sociale. Fallisce così, sulla pelle di 250 persone e altrettante famiglie la mediazione del Ministero con Toksoz, il gruppo turco che è proprietario della Pernigotti da sei anni.
Toskoz non ha voluto vendere e non si è mai capito se ci fosse davvero qualcuno interessato a rilevare il marchio.
Eppure il 5 gennaio Di Maio continuava a raccontare che l’azienda sarebbe stata salvata, e con essa i posti di lavoro. «La Pernigotti non solo deve continuare ad esistere come marchio ma deve continuare ad esistere con i suoi lavoratori», diceva Di Maio un mese fa spiegando che il governo «stava facendo sul serio».
Il ministro non aveva abbandonato l’idea di una legge per tutelare l’esistenza sul territorio italiano di un marchio italiano, ovvero che se un marchio era nato in Italia la proprietà sarebbe stata obbligata a mantenere la produzione nel nostro Paese.
Una legge che — spiegava Di Maio — non si sarebbe applicata al caso della Pernigotti perchè come tutti sanno «le leggi si applicano dal giorno dopo che si sono approvate».
Che fine ha fatto la legge per tutelare i marchi Made in Italy?
Ma della Pernigotti il governo del Cambiamento aveva iniziato ad occuparsene già a novembre 2018.
Il deputato M5S Riccardo Olgiati ci spiegava su Facebook che il nuovo esecutivo “non si incina nè si genuflette davanti a nessuno” ribadendo che “i prenditori non sono più benvenuti” perchè in Italia “non si gioca più sulla pelle delle persone”. E Di Maio aveva voluto mandare un messaggio chiaro ai “prenditori” turchi: «o tengono aperto lo stabilimento o racconterò al mondo che Pernigotti produce per conto terzi e credo che questo non favorirà il marchio». A quanto pare delle minacce di Di Maio non tiene conto nessuno.
In un comunicato stampa sul sito del MISE pubblicato il 15 novembre viene riportata una dichiarazione del ministro. Due gli aspetti interessanti. Il primo: «Se la proprietà turca non vuole più investire in questo stabilimento deve allora dare la totale disponibilità a cedere il marchio e lo stabilimento: ci impegneremo a trovare nuovi soggetti interessati».
Il secondo: «Entro la fine dell’anno faremo una proposta di legge che lega, per sempre, i marchi al loro territorio: non è più accettabile che si venga in Italia, si prenda un’azienda come Pernigotti, si acquisisca il marchio, poi si cambino 5 manager in 5 anni».
La proposta di legge c’è, o meglio sono due. Una è quella presentata da Federico Fornaro di LEU e l’altra è quella del leghista Riccardo Molinari. Entrambe propongono di far perdere la titolarità di un marchio “storico” a quegli imprenditori che cessano l’attività . Nessuna delle due è stata approvata. Manca all’appello quella annunciata da Di Maio.
A novembre anche il candidato presidente della Regione Piemonte per il M5S Giorgio Bertola lodava l’impegno del Premier Conte e del ministro Di Maio perchè erano riusciti ad ottenere la sospensione della procedura di licenziamento, presentata come una delle “azioni concrete” messe in atto dal governo del Cambiamento.
Di fatto però il gruppo Toksoz non ha mai ceduto di un millimetro, voleva chiudere lo stabilimento e lo farà . Voleva tenersi il marchio Pernigotti e — salvo decisioni di vendita dell’ultimo minuto — lo terrà .
Il governo non ha strumenti per obbligare Toskoz a vendere. «Concederemo la Cassa integrazione per cessazione, solo se l’azienda ci garantisce la reindustrializzazione e che i lavoratori continueranno a lavorare», diceva Di Maio uscendo dall’incontro con la proprietà il 15 novembre.
I turchi però non hanno mai avuto intenzione di cedere il marchio e gli acquirenti che si sono fatti avanti non erano interessati ad acquistare lo stabilimento senza il marchio Pernigotti.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
IN UN PAESE DEL BRESCIANO UNA PROVOCATORIA INIZIATIVA PER FAR RIFLETTERE… IMMANCABILE REAZIONE DEI “BUONI PADRI DI FAMIGLIA” CHE SI SONO “SPAVENTATI”: MA NON SI PREOCCUPANO QUANDO LA LORO INDIFFERENZA LI RENDE COMPLICI DEGLI AFFOGATORI
Nel paese di San Paolo decine di manifesti apparsi nella notte. “Morto annegato”, “I funerali si svolgeranno nel mar Mediterraneo”: l’iniziativa di un gruppo anonimo di abitanti per riflettere sulla tragedia delle traversate
I cognomi sono quelli più diffusi della Bassa bresciana, le età sono diverse: 6, 10, 24 anni, fino ai 45 anni. L’obiettivo è quello di colpire, e di far riflettere su una domanda: “E se quei morti in mare fossimo noi?”
A San Paolo, piccolo comune in provincia di Brescia, decine di manifesti funebri sono comparsi all’improvviso nella piazza centrale, davanti alla scuola, nelle vie più frequentate: tutti annunciavano la morte di bambini, ragazzi e uomini “morti annegati”, tutti con due frasi comuni, sulla falsariga degli annunci funebri: “Addolorati Nessuno ne danno il triste annuncio” e “I funerali si svolgeranno nel mar Mediterraneo”.
In fondo, un passo del Vangelo di Matteo, ribaltato: “Ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito”.
Su altri, invece, la scritta: “Siamo soltanto nati dal lato giusto del mare”. Una provocazione, un gesto forte per far riflettere sulla tragedia dei migranti che muoiono in mare per cercare la vita
Chi ha pensato e attaccato di notte quei manifesti non ha, per adesso, un nome.
Come racconta Il Giornale di Brescia, dovrebbero essere frutto dell’iniziativa di un gruppo di persone che restano anonime, anche se fanno sapere che il loro è stato un gesto “per rompere il velo del silenzio”, fatto con giudizio, visto che si sono accertati che non ci fossero abitanti del paese con quei nomi associati a quei cognomi.
La sindaca parla invece di “messaggio macabro” e annuncia indagini. «Parecchi cittadini si sono anche spaventati. Di questo gesto è stato informato chi di dovere. Indagini in corso».
Oddio, i buoni borghesi ben pasciuti si sono preoccupati, ma non quando con la loro indifferenza diventano complici degli affogatori .
(da Globalist)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
LO STREET ARTIST SENZA VOLTO, ATTIVO A ROMA, E’ L’ULTIMO ESPONENTE DELLA NUOVA FORMA DI CONTESTAZIONE POLITICA LANCIATA DAL MAESTRO INGLESE
Potrebbe essere un artista solitario o un collettivo. Un uomo o una donna. Un italiano o uno
straniero.
Ha solo un migliaio di follower su Facebook e Instragram, meno di tanti profili di nostri amici.
Non ne ha bisogno: la cassa di risonanza per i suoi murali politici sono le strade, i portici, le mura di Roma. Di sicuro c’è solo una cosa: segue attentamente l’attualità , è appassionato di pittura rinascimentale e non può soffrire Salvini e la Lega.
L’ultima provocatoria performance del misterioso street artist Sirante è comparsa martedì mattina sotto il colonnato della multietnica piazza Vittorio, e stavolta attacca la proposta di legge sulla legittima difesa in approvazione in Parlamento: la sagoma raffigura il ministro dell’Interno con l’ormai immancabile felpa della polizia, mentre si fa un selfie davanti a un teca di quelle adibite agli estintori, ma piena invece di pistole finte, con tanto di cartello con avvertenze e istruzioni per l’uso.
I murales più scomodi
Era dallo scorso settembre che Sirante, questo il nick name del writer, non si faceva vivo: da quando ritoccò il San Pietro pentito del Guercino in San Matteo, sovrapponendo il volto del leader leghista che chiede scusa a mani giunte per «l’odio e il terrore» istillati negli elettori.
Nell’aprile 2018 trasformò via de’ Lucchesi, accanto al Quirinale, in una sorta di parete museale riattualizzando “I bari” caravaggeschi con le facce di Di Maio, Salvini e Berlusconi.
Ancora prima, a giugno, fu la volta del Salvini mendicante di «umanità » nel rione Monti.
A maggio doppia esposizione: il “Girone d’Italia” in via del Corso, con la locandina della corsa rosa rivista in chiave anti-israeliana; e “L’incendio del Nazareno” ispirato a Raffaello.
Un quadro corale con i protagonisti della precedente legislatura, da Renzi a Boschi, da Orfini a Verdini: un’opposizione trasversale al sistema, che investe chiunque lo rappresenti in quel momento.
Sono solo alcune delle opere firmate Sirante apparse negli ultimi tempi, tutte regolarmente rimosse in tempo record dal Campidoglio: mai impiegati comunali furono tanto solerti nello sbrigare il loro lavoro.
Ma la censura, come al solito, si è rivelata un boomerang: nulla attira più del proibito e le periodiche rimozioni – come nel 2016 il graffito del Papa a Borgo Pio (che scontentò pure i preti) – hanno avuto l’unico effetto di accendere i fari sugli stencil politically uncorrect di queste produzioni, certificandone con ciò stesso la loro pregnanza, la divergenza rispetto al comune sentire, la scomodità .
Più vengono rimossi, più ne spuntano altri: potranno essere cancellati dai muri ma non dal web, dove continuano a circolare e a diffondersi, per essere consegnati alla memoria.
L’identità segreta
I murali di Sirante hanno raccolto i complimenti anche di altri colleghi romani, come Maupal e il gruppoTvBoy, autore del celebre bacio tra i due vicepremier: neanche loro sanno chi nasconda quel cappuccio di felpa, con cui si presenta al pubblico sulla sua pagina ufficiale.
Tutto lascerebbe pensare a un giovane attivista, presumibilmente capitolino, del giro dei centri sociali. Ma non è detto.
Naturale però il collegamento con chi, dalla strada, ha raggiunto una fama planetaria: l’ineffabile painter di Bristol Banksy. Ad accomunarli non c’è ancora la celebrità , ma sicuramente l’identità nascosta: il guanto gettato alla civiltà dell’apparire proprio da chi dell’immagine ha fatto una missione anzichè un prodotto di consumo.
Una scelta in controtendenza che inevitabilmente incuriosisce e stimola l’immaginario collettivo, rimandando all’icona del wrestler mascherato o del supereroe notturno che sfida regole e divieti.
Ma oltre all’aura volutamente segreta, sono anche i contenuti ad avvicinarli: l’avversione al capitalismo, al totalitarismo e alla guerra attraverso la satira, i diritti sociali e l’orizzonte etico da riconquistare.
E poi è street art: non scarabocchi e scritte senza senso come forse ancora li considera qualcuno, ma una corrente stilistica riconosciuta, accademicamente accreditata.
E anche una nuova tipologia di espressione critica e non violenta, che in fondo non è che la riscoperta pittorica, più moderna ed estetica, del risorgimentale «Viva Verdi», quando i muri erano la voce dei senza voce.
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
DOVEVA CAMBIARE IL MONDO, UNA NOMINA HA CAMBIATO LUI
Sembra ieri e invece sono passati poco più di quattro mesi.
Oggi che il Consiglio dei ministri ha deliberato l’avvio della procedura per la nomina di Paolo Savona alla presidenza della Consob, come ha comunicato ufficialmente Palazzo Chigi dopo la riunione del governo che è durata 13 minuti, è bello ricordare che soltanto nel settembre scorso il ministero degli Affari Europei pubblicava sul suo sito un documento inviato a Bruxelles e che si intitolava “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”.
Un documento che aveva innescato l’esultanza dei noeuro, secondo i quali lo scritto avrebbe fatto parte di una raffinata strategia per farsi dire di no dall’Europa e trovare il casus belli per l’uscita dall’euro dopo le elezioni europee.
Ma non c’era certo solo quello sul tavolo: che dire dell’intervista rilasciata a La Verità nel luglio scorso in cui il professore la cui nomina venne salutata con scene di giubilo tra i Noeuro sosteneva che «l’Italia da tempo vive al di sotto delle proprie risorse, come testimonia un avanzo di parte corrente della bilancia estera.
Tale avanzo non può essere attivato, cioè non possiamo spendere, per l’incontro tra i vincoli di bilancio e di debito dei Trattati europei.
Questo nonostante abbia ancora una disoccupazione nell’ordine del 10% della forza lavoro, e rischi crescenti di povertà per larghe fasce della popolazione. L’avanzo sull’estero di quest’anno è al 2,7% del Pil, per un valore complessivo di circa 5o miliardi: esattamente ciò che manca alla domanda interna».
Quanti progetti, quante idee, quante promesse, quante speranze. E quante minacce più o meno velate di dimissioni per il ministro Savona, dato quasi una volta al mese in uscita dall’esecutivo dopo che gli era stato proposto di esserne la mente economica e riformista. Ma le cose sono cambiate da molto tempo.
Come Salvini ha annunciato la svolta germanica in occasione delle elezioni europee, che i leghisti noeuro hanno preso malissimo nonostante i tentativi di indorare la pillola e raccontare di una strategia raffinatissima per dirgli di sì ma intanto complottare per il no a breve, così Savona se ne è andato in Consob alla faccia di tutti i Piani A, B, C che stava vergando per riformare, pardon, fare a pezzi l’Unione Europea (secondo loro).
Trollando tutti i noeuro che ci avevano creduto.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 5th, 2019 Riccardo Fucile
SONO 50.000 IN TUTTA ITALIA, 8.000 SOLO A ROMA, META’ SONO ITALIANI… MA SOLO 200 COMUNI SU 8.000 CONCEDONO UNA RESIDENZA FITTIZIA, SENZA LA QUALE NON HANNO DIRITTI
Dieci anni di residenza in Italia, gli ultimi due dei quali continuativi. Peccato che solo 200
comuni italiani su circa 8mila concedano degli indirizzi fittizi, spesso proprio la sede del municipio, per consentire ai senzatetto di ottenere la residenza, la carta d’identità , e dunque accedere ai diversi benefici.
Ma del sito internet importa poco. Quel che importa è che gran parte di chi vive in strada, e più di tutti avrebbe bisogno di un aiuto, non potrà ottenere quella carta e quei soldi.
D’altronde, è quello che succede quando le cose si fanno male e di fretta.
Il 95% dei senzatetto censiti — secondo l’Istat sono in totale 50.724 — rimarrà escluso dal reddito visto che non dispone di documenti in regola proprio perchè, nella stragrande maggioranza dei casi, i comuni non concedono il meccanismo di residenza fittizia.
Così, decine di migliaia di clochard (8mila solo a Roma, la metà dei quali italiani, il 42% su scala nazionale), privati di questi domicili virtuali, saranno di fatto esclusi dalla principale misura con cui il governo giallobruno intende, nell’ordine, sconfiggere la povertà , rilanciare il Pil del 2019 (mentre il Paese è già precipitato in recessione tecnica) e trovare lavoro a non si capisce quanti milioni di italiani.
(da agenzie)
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