Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
SENSAZIONE CHE IL GOVERNO ANNASPERA’ FINO A DOPO LE EUROPEE PER POI IMPLODERE
Le elezioni d’Abruzzo sono state la più classica delle palle di neve lanciate verso valle. 
L’entità della valanga e quanti alberi trascinerà con sè è argomento del dibattito di queste ore.
È sulla Torino-Lione il campo di battaglia più aspro. “I numeri sono impietosi”, ha tuonato Danilo Toninelli non appena i suoi uffici hanno messo online l’analisi costi-benefici.
Per i 5 stelle l’alta velocità è diventata ancor più una trincea ideologica. Nell’entourage di Luigi Di Maio la versione è una e una soltanto: questo tunnel non s’ha da fare.
“È vero che in Abruzzo abbiamo pagato tutto quel che paghiamo di solito alle amministrative — ragiona uno dei vertici parlamentari — ma è innegabile che soffriamo lo stare al governo”.
Un ragionamento su cui l’ala radicale e quella pragmatica si saldano. Pur avendo due letture diametralmente opposte sul da farsi.
Per i primi è necessario un ritorno alle origini, ai vecchi temi che sono sempre stati la cifra qualificante del Movimento.
Per i secondi è bene sì arginare una certa emorragia dei voti della prima ora, ma non basta.
Ma sia gli uni che gli altri coltivano l’idea di rimandare la decisione finale sulla Tav a dopo le europee. Che per coincidenza coincidono con le elezioni regionali piemontesi, tenzone dove paradossalmente la Torino Lione costituisce per entrambi un ottimo argomento elettorale.
La tensione sull’analisi del voto si taglia con il coltello.
Luigi Di Maio è letteralmente sparito dai radar per due giorni, dopo aver passato domenica e lunedì mattina a Milano, a compulsare dati e studiare strategie con Davide Casaleggio.
Tra i parlamentari che sciamano dopo una giornata a votare mozioni sul Venezuela (dopo l’intesa trovata di mattina in un vertice lampo a Palazzo Chigi) si respira una strana aria. Sembra di vivere in una bolla, tra gli uomini del Carroccio che trasudano fiducia e voglia di andare avanti da tutti i pori, tutti aspettando come, dove e quando maturerà il cambio di passo atteso del M5s.
La linea della rivendicazione dei temi che furono è il primo tentativo di riprendere slancio.
E investe anche la Diciotti e l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini. Perchè se dalla war room del capo politico fino alla scorsa settimana filtrava la costruzione di un prudente percorso per arrivare a votare no, nelle ultime ore si avverte una frenata piuttosto decisa.
“Dobbiamo stare attenti a non trasformare questa situazione in un precedente, per cui in futuro un ministro si senta legittimato a fare quel che vuole”, avrebbe detto Di Maio ai suoi.
Il voto in giunta incombe, un primo sì o un primo no vanno pronunciati entro il prossimo 20 febbraio. E la decisione è tra le più delicate.
Salvini è molto preoccupato dall’effetto che la debacle abruzzese può avere sull’esito del voto che lo riguarda. Molti dei suoi attribuiscono anche a questo aspetto le secchiate di rassicurazioni che sta gettando sui bollori degli alleati.
Mentre un faticoso punto d’intesa lo si sta disegnando su acqua pubblica e autonomia. Guai a parlare di scambio, ma mentre sul primo le camicie verdi dovrebbero infine accettare un compromesso “trivelle style” (cioè non toccando le concessioni in essere, ma portarle a scadenza per poi ripensare la gestione), sulla seconda le posizioni stellate si stanno ammorbidendo, anche se rimane complicato che il tema investa il Consiglio dei ministri già il prossimo venerdì.
Un risiko complicatissimo che investe anche la struttura interna ai 5 stelle.
Quanto ha funzionato la radicalizzazione messa in campo da Alessandro Di Battista, quanto ha pagato la litigiosità percepita tra i due partner di governo, quanto ha retto la struttura alla prova del voto.
E gira con insistenza la voce di un nuovo Direttorio, allargato e maggiormente strutturato. Una sorta di cabina di regia con compiti specifici e un ordine gerarchico più o meno riconosciuto. Che non piacerebbe nè a Beppe Grillo nè a Gianroberto Casaleggio, e che viene seccamente smentita.
Un discorso diverso è quello sulla maggior organizzazione necessaria a livello territoriale, con referenti e responsabili riconosciuti da tutti. Che dia punti fermi nell’organizzazione di liste e attività locali, e che risponda in prima persona di successi e fallimenti.
E che si assuma in prima persona (insieme ai vertici nazionali) le responsabilità di scelte strategiche su eventuali alleanze con liste civiche e dirima conflitti e asperità .
Anche per evitare sacche di incontrollato potere locale e decisioni percepite come verticistiche. Anche di questo si sta ragionando.
L’obiettivo desiderato sarebbe quello disegnare il quadro in tempo per le regionali in Piemonte, coincidenti con le elezioni europee. Per essere pronti al worst case scenario del dopo urne: la caduta del governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
ANCHE POPOLARI E SOCIALISTI ATTACCANO IL GOVERNO ITALIANO… REAZIONE ISTERICA DELLA ZECCA PADANA
Pessima giornata per il presidente del Consiglio italiano Conte che pensava di poter annotare nel attendibile curriculum anche un discorso al Parlamento europeo, raccontando le balle che in Italia trovano ancora ascolto.
Ma gli è andata male.
Ha iniziato il leader socialista Udo Bullmann di S&D: “Non è questa l’Italia che conosciamo, l’Italia che conosciamo è quella di Spinelli”, ha detto riferendo del suo recente viaggio a Catania durante lo stallo sulla Sea Watch e replicando al discorso del premier Conte a Strasburgo.
“Il vostro governo deve smettere di mostrarci questo viso inumano”, sui migranti ha aggiunto Bullmann. “Sono molto preoccupato quando vedo un paese del G7 nell’isolamento politico nel momento in cui ci sono nuove minacce dalla Russia, vediamo un’economia che procede verso la recessione e sono anche preoccupato per l”escalation’ tra Francia e Italia”.
Ma a usare le parole più forti è stato il leader dei liberali
Verhofstadt. “Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Di Maio e Salvini?”. “Io amo l’Italia ma oggi mi fa male vedere la degenerazione politica di questo paese, iniziata 20 anni fa con Berlusconi e peggiorata con questo governo”.
In un durissimo intervento pronunciato in italiano, il politico belga ha detto che l’Italia “è diventata il fanalino di coda dell’Europa. Un governo odioso verso gli altri stati membri, con Di Maio e Salvini veri capi di questo governo” che ha “impedito la unanimità su Venezuela sotto pressione di Putin”.
Quanto alle parole di Conte sui migranti, Verhofstadt ha aggiunto che “Salvini si è specializzato nel bloccare porti ai migranti ma blocca anche una riforma europea di Dublino e di una politica dei confini europea. Il vostro governo non ha una strategia per la crescita ma solo una tattica per farvi rieleggere con regali e debiti. Di Maio sta abusando del suo ufficio incontrando un movimento sì popolare ma oggi dominato da un gruppo di demolitori che distruggono tutto, guidato da Chalencon, che ha chiesto un colpo di stato militare contro il presidente dell Repubblica. Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Di Maio e Salvini?”, ha concluso il leader dell’Alde rivolto a Conte.
Ogni tanto capita che qualcuno tratti i cialtroni razzisti per quello che sono.
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
GLI INDUSTRIALI SFORANO SUL PECORINO E INCASSANO, LO STATO PAGA E NON SANZIONA, IL GOVERNO PROMETTE SOLDI AI PASTORI SARDI MA TACE SULLE COLPE
La vicenda dei pastori sardi rappresenta a tutti gli effetti un compendio di economia
moderna per capire come i protagonisti del mercato spesso riescano ad aggirarne le poche superstiti regole pur di giungere al solito approdo: massimi profitti e perdite scaricate sull’anello debole, sia esso l’allevatore del nuorese o, più frequentemente, il contribuente italiano.
E l’approccio che pare voglia assumere il sedicente Governo del Cambiamento di risolvere tutto alla vecchia maniera, stanziando cioè quale milione di euro pubblici senza richiamare gli artefici alle loro responsabilità , aggiunge alla protesta dei pastori una doppia amarezza: pagano sia gli allevatori sia i cittadini, mentre il mondo industriale si compiace di non pagare dazio.
Prova che il mood da campagna elettorale si è spostato dall’Abruzzo alla Sardegna.
La storia è nota. Da giorni i pastori della Sardegna stanno bloccando l’isola, lasciando sull’asfalto migliaia di litri di latte ovino appena munto per protestare contro il prezzo troppo basso. Circa 60 centesimi al litro, fissato dai cosiddetti trasformatori (imprese e cooperative), in considerevole calo rispetto agli 85 centesimi dell’anno scorso.
Gli allevatori ci stanno rimettendo così circa 20 centesimi in costi di produzioni, di qui la scelta di buttarlo alle ortiche anzichè regalarlo alle aziende casearie.
Il vicepremier Matteo Salvini, dopo l’incontro con una delegazione di allevatori al Viminale, ha assunto l’impegno a fornire sussidi ai pastori per le perdite economiche subite e la sospensione delle attività del Consorzio di Tutela del Pecorino romano fino all’approvazione del nuovo piano di produzione.
E ha promesso una soluzione entro 48 ore, convocando un nuovo tavolo giovedì a Roma.
Anche il premier Giuseppe Conte ha annunciato un intervento del Governo, stando però attenti a non incorrere a infrazioni Ue per gli aiuti di Stato. Nessuna dichiarazione è giunta invece sulle responsabilità di chi ha portato pastori a protestare in maniera così eclatante.
Il crollo del prezzo del latte ovino stabilito dai produttori è infatti una diretta conseguenza della sovrapproduzione nel 2018 di pecorino romano.
Stando ai numeri forniti dal Centro Studi Agricoli presieduto da Tore Piana, in Sardegna vengono prodotti circa 340 milioni di litri di latte (grazie a 3,2 milioni di pecore).
Circa 200 milioni di litri vengono impiegati esclusivamente per la trasformazione in Pecorino Romano Dop (prodotto essenzialmente nell’Isola, e in quantità marginale nel Lazio e nel grossetano).
L’intero mercato del pecorino romano, incluso l’export intra-Ue e soprattutto verso il nord America, distretto di New York), ne può assorbire ogni anno tra i 250 e i 270mila quintali.
Nel 2018 le imprese casearie hanno scialato: ne sono stati prodotti circa 340mila (numeri CSA), per una eccedenza di poco meno di 100mila quintali da sommare al surplus dell’anno prima.
Risultato? La domanda non è in grado di assorbire l’offerta, il prezzo di pecorino crolla (a gennaio 2018 quello medio era di 7,4 euro, a dicembre 5,6 euro al chilo).
Secondo Assolatte, la causa è soprattutto nell’export diminuito del 33% (a fronte però di un aumento del prezzo del 22%) rispetto al 2017.
Ma per il CSA la diminuzione delle esportazioni è fisiologica ed è il preludio per futuri guadagni: il crollo del prezzo che segue alla sovrapproduzione permette di accedere più facilmente al mercato Usa dove il pecorino romano risulta concorrenziale per la grande distribuzione solo intorno ai cinque euro al chilo.
Una volta che il prezzo si è ribassato, il pecorino in eccesso viene assorbito più velocemente in America settentrionale, facendo così riassestare il prezzo su valori più alti. Mentre dall’altra parte del mondo, in Sardegna, i pastori stanno a guardare.
In teoria, come per gli altri formaggi, anche per il Pecorino Romano dop esiste un piano triennale che ne fissa le quote di produzione per singolo caseificio.
Ma i limiti, per quanto indispensabili a salvaguardare l’intera filiera, sono in realtà fasulli grazie a sanzioni irrisorie per chi li sfora.
Anzi, il piano è formulato in maniera tale da indurre i trasformatori a produrre in eccedenza per un duplice motivo: perchè il prezzo della materia prima (il latte) viene stabilito a inizio stagione attraverso la creazione di un “cartello” di fatto delle imprese che quindi possono sempre “scaricare” – com’è poi avvenuto – sugli allevatori; e perchè il piano di produzione incentiva indirettamente a produrre più forme di pecorino, dal momento che per i successivi tre anni le relative quote da assegnare si basano sulle produzione del triennio precedente. In altre parole: più produci oggi, più potrai produrre in futuro.
E le sanzioni? Come detto, sono fittizie: 16 euro per quintale di formaggio prodotto in eccesso.
I produttori hanno gioco facile nel mercato del pecorino, rileva il Centro Studi Agricoli: l’universo dei trasformatori è composto per il 60% da cooperative e il restante 40% da industriali.
Ma le prime “hanno spesso difficoltà a consorziarsi, e andando in ordine sparso trovano di fatto porte chiuse da parte dei player della grande distribuzione, in particolar modo oltre Oceano”, afferma il presidente del Csa Tore Piana.
“Spesso si trovano perciò costrette a rivendere agli stessi industriali”.
Per Piana la soluzione a una vicenda che da tempo sta mettendo a dura prova i pastori sardi è duplice: in primis, per dare fiato subito agli allevatori, un intervento pubblico di circa 30 milioni di euro per l’acquisto delle forme prodotte in eccedenza, da destinare poi agli indigenti.
In questo modo, il prezzo di mercato del pecorino e di riflesso del latte potranno risalire.
Ma sarebbe una soluzione tampone: secondo il Centro Studi è infatti doveroso innalzare le sanzioni a 100 euro di penalità per quintale in eccesso rispetto alla quota produttiva assegnata: “Così a nessuno potrà mai passare per la testa di non rispettare il limite”.
Al momento, l’esecutivo Conte pare intenzionato a percorrere la classica via delle misure compensative per i pastori come “sostegno ai pastori per le perdite economiche subite”.
Ma senza sanzioni più alte, il rischio è che tra un anno si torni punto e a capo, con gli industriali liberi di sforare allegramente le quote di produzione perchè poi a rimetterci sono gli altri: i pastori o, come sempre, i contribuenti.
Anche nell’era del sedicente Governo del Cambiamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
“CON LUI IL PARTITO AL CENTRO DI OMBRE E LOGICHE PERVERSE”… SE NE SONO ACCORTI ADESSO…
Poca “trasparenza”, tante “ombre” e “logiche perverse” nella gestione della Lega in Calabria. La denuncia arriva dalla base del partito di Matteo Salvini, con una lettera firmata da 200 militanti che chiedono la testa del deputato Domenico Furgiuele.
A meno di un anno dalle elezioni comunali e regionali, il terremoto nel Carroccio in salsa calabra è solo questione di ore.
Se fino a qualche anno fa, a queste latitudini, non si poteva nemmeno immaginare l’esistenza di un partito con Alberto da Giussano nel simbolo, adesso ce ne sono addirittura due: solo che non si parlano e si fanno la guerra.
Basta pensare che ci sono addirittura due sedi nella città dello Stretto: da una parte i salviniani “della prima ora” che fanno capo agli storici fondatori del partito a Reggio, gli editori Franco e Nuccio Recupero, e dall’altra la Lega che risponde al coordinatore cittadino e provinciale Michele Gullace, voluto dal deputato Domenico Furgiuele, unico eletto in Calabria dietro la bandiera del ministro dell’Interno.
Da mesi il carro di Salvini si è fatto affollato.
Chi dal 2015 ci era salito riunendo gli “orfani” dell’ex governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti (oggi in carcere) e portando in dote alle ultime politiche i voti della destra più estrema, ora si trova messo da parte dalla “nuova” dirigenza della Lega imposta da Furgiuele che, oltre ad essere parlamentare, è pure coordinatore regionale del partito.
Ed è proprio Furgiuele l’oggetto della lettera arrivata sulla scrivania di Salvini. Organizzatore dei gazebo e frequentatore di Pontida, infatti, l’editore Franco Recupero chiede al leader della Lega di rimuoverlo dal ruolo di commissario e, al suo posto, di spedire in Calabria il vicepresidente della commissione antimafia Alex Galizzi.
Secondo l’esponente locale, che si fa portavoce dei duecento firmatari della lettera, c’è una situazione che “è purtroppo peggiorata. — si legge — Troppi chiedono che la Lega Calabria e il suo coordinamento regionale sia più trasparente”.
Il riferimento è alle polemiche che hanno interessato Furgiuele e le sue “parentele” finite sui giornali dal giorno della candidatura alla Camera. Originario di Lamezia Terme, alle elezioni politiche ha rastrellato oltre 52mila voti.
Furgiuele, però, è il genero di Salvatore Mazzei, considerato un imprenditore vicino alla ‘ndrangheta e condannato in via definitiva per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Qualche settimana prima delle elezioni, inoltre, i carabinieri hanno confiscato alla moglie di Furgiuele due società e un palazzo che per la dda fanno parte dell’impero di 200 milioni di euro riconducibile al suocero Mazzei.
Di proprietà di quest’ultimo era anche l’albergo Phelipe di Lamezia Terme. Lo stesso hotel dove nel 2012 dormirono tre killer della cosca Patania dopo aver commesso un omicidio a Vibo Valentia.
La stanza, all’epoca, la pagò il futuro deputato della Lega Domenico Furgiuele. La circostanza è agli atti del processo nel quale il parlamentare non è mai stato indagato.
È stato, tuttavia, sentito dalla squadra mobile e ha confermato tutto sostenendo di aver fatto una cortesia a un capo-cantiere di un’impresa edile, con cui aveva rapporti di lavoro, che gli aveva chiesto di ospitare un suo zio proveniente da Roma per una sola sera.
Polemiche e situazioni che non aiutano il partito e che adesso i salviniani reggini, senza mai affrontare il tema in maniera diretta, vogliono sfruttare per attaccare Furgiuele.
I firmatari della lettera a Salvini ritengono che Domenico Furgiuele debba continuare “a fare ovviamente l’onorevole come è giusto, ma chiedono contestualmente che il coordinamento venga riorganizzato in modo da essere meno attaccabili ed al centro di continue perplessità ed ombre”.
Dal canto suo, il deputato calabrese sembra non preoccuparsi delle contestazioni provenienti da soggetti che non riconosce come iscritti alla Lega.
Anzi reputa “curioso, se non del tutto buffo, — è la sua replica sui giornali locali — che un non tesserato alla Lega pretenda la rimozione della dirigenza calabrese dello stesso partito, in primis del sottoscritto, colpevole di avergli fatto capire per tempo che la Lega non è, e non sarà , un taxi per amichetti e compari”.
Una dichiarazione che, però, cozza con quella del vicepresidente della commissione parlamentare antimafia Alex Galizzi.
Se per Furgiuele il problema “Reggio” non esiste, per la Lega non è escluso un imminente commissariamento. “Appena ricevuta la lettera — è il commento di Galizzi a una televisione locale che lo ha intervistato — sono andato dai responsabili e ho comunicato subito la mia disponibilità per venire in Calabria come commissario. Se la Lega me lo chiede, lo faccio volentieri. Ho mandato anche un messaggio a Matteo per dirgli che, se serve, in Calabria vado io”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
IL SOLITO BECERO POST DI UN DIRIGENTE DELLA LEGA CONTRO DUE CANDIDATI CHE IN REALTA’ SONO ITALIANI
«Il candidato di sinistra Zedda preferisce che nelle sue liste scendano in campo gli stranieri
piuttosto che i sardi. Bella roba! Speriamo che sappiano, almeno, parlare correttamente l’italiano».
Così qualche giorno fa su Facebook Giovanni Barbagallo — leghista, Presidente del Circolo di Giarre Lega, Coordinatore del Dipartimento Stampa, Web, Social della provincia di Catania e già consigliere comunale a Giarre — commentava la candidatura di Aftab Ayub e Souleymane Diallo Ndoye per le elezioni regionali in Sardegna.
Il primo è un cittadino di origine pakistana di Cagliari candidato con il Partito Democratico in Sardegna. Il secondo è di origine senegalese ed è candidato con Liberi e Uguali.
Entrambi sono cittadini italiani, altrimenti non sarebbero candidabili ed eleggibili visto che Pakistan e Senegal sono al di fuori dell’Unione Europea. Tutti e due sono schierati a sostegno del candidato di Centrosinistra Massimo Zedda.
La cosa però non è piaciuta ai leghisti come Barbagallo, gente che fino a pochi anni fa Salvini e compagni di partito definivano terroni, mafiosi, ladroni e tante altre belle cose.
Ma oggi che la Lega è un partito nazionale e che quella nazione non è più la Padania i nemici sono altri. Ecco quindi che parte il memino che accusa la sinistra di “preferire gli stranieri” seguito dall’hashtag d’ordinanza #PrimaiSardi.
La cosa è piaciuta così tanto che anche la pagina Facebook Amici Lega Salento ha deciso di condividere il messaggio.
Che sia un modo per gli ex-terroni per distinguersi agli occhi dei leghisti del Nord?
Del resto si sa che i convertiti spesso sono i più intransigenti. Ora che il verbo leghista è giunto anche al Sud Italia sono gli “stranieri” i nemici da combattere.
Sia quelli che scendono dai barconi che quelli che si candidano alle elezioni, e che quindi tanto stranieri poi non sono visto che hanno la cittadinanza.
La situazione è resa ancora più ridicola dal fatto che la Lega si vanta di essere un partito non razzista.
Al punto di aver candidato — e fatto eleggere — un senatore come Tony Iwobi, anche lui di origine straniera (nigeriana per la precisione).
Tra le fila dei partiti satellite della galassia salviniana ha orbitato anche Paolo Diop, ) di origine senegalese proprio come Souleymane Diallo Ndoye.
Uno dei due è straniero, l’altro invece è un italiano. Chissà come mai…
(da Globalist)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO LE PROMESSE TRADITE SULL’ILVA LASCIA ANCHE NEVOLI… IL PARTITO ALLE POLITICHE AVEVA OTTENUTO IL 50% IN CITTA’
I 5 Stelle spariscono definitivamente da Taranto.
Francesco Nevoli, ultimo consigliere comunale del Movimento presente in aula, rassegna le dimissioni.
Lo annuncia con un post sul suo profilo Facebook in cui dichiara di voler tornare a occuparsi del suo lavoro: “La mia esperienza da portavoce del Movimento 5 Stelle finisce qui. Ringrazio tutti coloro che hanno riposto (anche solo per un istante) fiducia nel mio impegno politico. Torno a dedicarmi a tempo pieno alla mia professione, ai miei studi di approfondimento del diritto e ai miei affetti familiari, fonti insostituibili di gratificazione personale”.
Un altro duro colpo per i pentastellati in una città simbolo per l’ascesa del Movimento non solo in Puglia ma in tutto il Sud, non fosse altro perchè da anni aveva fatto della promessa di chiudere l’Ilva, riconvertirla e bonificare l’area una volta al governo un caposaldo della sua campagna elettorale.
I risultati li avevano premiati, visto che alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 aveva raggiunto il 50 per cento delle preferenze (con punte del 70 per cento tra gli operai dello siderurgico).
Una volta al governo però quella promessa di chiusura e riconversione è stata disattesa.
L’accordo tra il governo gialloverde per vendere lo stabilimento a ArcelorMittal trasforma il caso dello stabilimento in un boomerang per i pentastellati tarantini.
Le avvisaglie si notano subito dopo la firma di quell’accordo quando alcuni parlamentari pentastellati appena eletti vengono contestati per le strade della città .
Pochi giorni dopo, l’11 settembre, arriva anche il primo abbandono: Massimo Battista, operaio del siderurgico con passato da attivista nel movimento Liberi e Pensanti, eletto in consiglio comunale nel 2017 si dimette. “Continuerò il mio operato da indipendente – dirà Battista in una conferenza stampa – Il Movimento 5 Stelle ha tradito l’elettorato di Taranto”.
I tempi delle piazze e delle urne piene per i pentastellati a Taranto ora sembrano lontanissimi.
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
“DI MAIO DIMOSTRI DI VOLER RITORNARE AI VALORI FONDANTI DEL MOVIMENTO, DICENDO SI’ ALLA RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE CONTRO SALVINI”
Il senatore ex M5s Gregorio De Falco, espulso dal Movimento, ha scritto su Facebook un
duro commento contro Luigi Di Maio a margine del risultato elettorale in Abruzzo: “Assenza di reazione, silenzi, i sondaggi non erano poi cosi’ avulsi dal dato elettorale e questo ha lasciato attoniti”
“Bisogna invece prendere atto che questa direzione porta al suicidio politico” continua De Falco, “dunque, o il capo politico si fa da parte, oppure finalmente muove alla riconquista dell’identità , iniziando con l’indicare di concedere al Tribunale dei Ministri l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini”
“In questo modo potrà avere un futuro il Movimento e forse con il tempo anche Luigi Di Maio, se riuscirà ad uscirne con la dignità dei ritrovati valori fondativi” conclude l’ex M5s.
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DEL CONSIGLIO D’EUROPA: “SALVINI E DI MAIO TRA I PIU’ OSTILI AI MEDIA”
La libertà di stampa e la sicurezza dei cronisti in Italia sono “chiaramente” deteriorati nell’ultimo anno.
Lo denuncia il Consiglio d’Europa, organizzazione esterna alla Ue che si occupa della tutela dei diritti umani nel continente, dal Portogallo alla Russia, in un rapporto commissionato a 12 organizzazioni che gestiscono la piattaforma dell’Assemblea per la protezione del giornalismo.
Tra l’altro secondo Strasburgo, “la maggior parte degli allarmi registrati si sono verificati dopo l’insediamento del nuovo governo, il 1 giugno 2018”.
Il rapporto fa anche i nomi di chi ritiene responsabile del clima in Italia: Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
“I due vicepremier – si legge nel testo – esprimono regolarmente una retorica particolarmente ostile a media e giornalisti sui social”. E ancora, “tra le altre cose Salvini ha minacciato di togliere la scorta al giornalista Roberto Saviano, nonostante siano note le minacce di morte che ha ricevuto da parte delle organizzazioni criminali”.
Mentre “Di Maio ha insultato i giornalisti dopo il processo al sindaco di Roma, Virginia Raggi, e ha dato inizio a una politica per abolire i fondi pubblici alla stampa”.
Il che ha portato l’Italia ad essere “uno dei paesi col più alto numero di segnalazioni nel 2018” per attacchi e minacce a giornalisti: “Tredici, come in Russia”.
Una situazione di “crescente violenza” contro la stampa che il Consiglio d’Europa definisce “particolarmente preoccupante”. La situazione in Italia, peraltro, contribuisce a un clima di intimidazione e di rischio per l’incolumità dei giornalisti in tutto il continente che porta la libertà di stampa a una fragilità “mai riscontrata dalla fine della Guerra fredda”.
(da agenzie)
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Febbraio 12th, 2019 Riccardo Fucile
A POMERIGGIO 5: “IL PAESE E’ IN MANO A DI MAIO, GLI ITALIANI SONO TUTTI PAZZI”… BRAVO, CONTINUA A FARE IL REGGICODA DI SALVINI CHE ARRIVI AL 2%
“Ovunque vado mi fermano, mi salutano, si fanno le foto con me. Poi però quando si tratta di
votare sapete quante persone votano per Silvio Berlusconi? mi vergogno di dirlo… 5-6 Italiani su cento. Mi sembra una cosa fuori dal mondo e penso che gli italiani siano quasi tutti fuori di testa”, commenta così le preferenze elettorali degli italiani Silvio Berlusconi, ospite di Pomeriggio 5.
Non risparmia affondi ai Cinque stelle: “Gli italiani gli hanno affidato l’Italia, dove hanno messo la testa? si guardino nello specchio”.
Dopo aver fatto un paragone tra la sua carriera e quella del vicepremier pentastellato continua: “Il Paese è in mano a Di Maio, cosa ha fatto in vita sua? Gli italiani sono tutti pazzi!”.
Silvio ha dato spettacolo come suo solito ogni volta che va in tv: “Siccome ho cinque figli e 12 nipotini, sono molto preoccupato per dove sta andando il nostro paese…”. E per dimostrare che fa sul serio con la candidatura alle elezioni europee dice: “Ho trovato un appartamento in affitto a Bruxelles, potrei anche comprarlo: dimostra la mia intenzione di lavorare moltissimo per cambiare quasi tutto” in Europa.
Poi si è lamentato degli scarsi inviti che arrivano da Mediaset: “Voglio intervenire sulle vostre tv, visto che non mi invitano più… Ho incontrato Confalonieri e gli ho detto: ‘non ti saluto più, perchè non vado più in tv… E’ colpa di Confalonieri…”.
Il Cav ‘striglia’ la conduttrice Barbara D’Urso, che si difende: “Silvio ce l’hai con me? Perchè dici vostre tv?”. “Vostre, perchè ci lavorate voi giornalisti”, replica il leader azzurro, che insiste: ”Ho visto che invitano Di Battista, ma chi è Di Battista?”. Sull’analisi costi-benefici dice: “È stato uno studio costruito apposta per dare ragione a M5s, che non vuole la Tav. È pieno di sciocchezze. Sono pazzi, e chi li vota è più pazzo di loro”.
Non manca un riferimento a Sanremo. E il giudizio del presidente di Forza Italia è impietoso: “Nessuna canzone mi è piaciuta – dice – sono tutte boiate”.
(da agenzie)
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