DI MAIO CHIUSO DUE GIORNI A MILANO A STUDIARE CON CASALEGGIO COME SALVARE LA POLTRONA, SALVINI PREOCCUPATO DI NON FINIRE IN GALERA SE I GRILLINI CAMBIANO IDEA E VOTANO SI’
SENSAZIONE CHE IL GOVERNO ANNASPERA’ FINO A DOPO LE EUROPEE PER POI IMPLODERE
Le elezioni d’Abruzzo sono state la più classica delle palle di neve lanciate verso valle.
L’entità della valanga e quanti alberi trascinerà con sè è argomento del dibattito di queste ore.
È sulla Torino-Lione il campo di battaglia più aspro. “I numeri sono impietosi”, ha tuonato Danilo Toninelli non appena i suoi uffici hanno messo online l’analisi costi-benefici.
Per i 5 stelle l’alta velocità è diventata ancor più una trincea ideologica. Nell’entourage di Luigi Di Maio la versione è una e una soltanto: questo tunnel non s’ha da fare.
“È vero che in Abruzzo abbiamo pagato tutto quel che paghiamo di solito alle amministrative — ragiona uno dei vertici parlamentari — ma è innegabile che soffriamo lo stare al governo”.
Un ragionamento su cui l’ala radicale e quella pragmatica si saldano. Pur avendo due letture diametralmente opposte sul da farsi.
Per i primi è necessario un ritorno alle origini, ai vecchi temi che sono sempre stati la cifra qualificante del Movimento.
Per i secondi è bene sì arginare una certa emorragia dei voti della prima ora, ma non basta.
Ma sia gli uni che gli altri coltivano l’idea di rimandare la decisione finale sulla Tav a dopo le europee. Che per coincidenza coincidono con le elezioni regionali piemontesi, tenzone dove paradossalmente la Torino Lione costituisce per entrambi un ottimo argomento elettorale.
La tensione sull’analisi del voto si taglia con il coltello.
Luigi Di Maio è letteralmente sparito dai radar per due giorni, dopo aver passato domenica e lunedì mattina a Milano, a compulsare dati e studiare strategie con Davide Casaleggio.
Tra i parlamentari che sciamano dopo una giornata a votare mozioni sul Venezuela (dopo l’intesa trovata di mattina in un vertice lampo a Palazzo Chigi) si respira una strana aria. Sembra di vivere in una bolla, tra gli uomini del Carroccio che trasudano fiducia e voglia di andare avanti da tutti i pori, tutti aspettando come, dove e quando maturerà il cambio di passo atteso del M5s.
La linea della rivendicazione dei temi che furono è il primo tentativo di riprendere slancio.
E investe anche la Diciotti e l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini. Perchè se dalla war room del capo politico fino alla scorsa settimana filtrava la costruzione di un prudente percorso per arrivare a votare no, nelle ultime ore si avverte una frenata piuttosto decisa.
“Dobbiamo stare attenti a non trasformare questa situazione in un precedente, per cui in futuro un ministro si senta legittimato a fare quel che vuole”, avrebbe detto Di Maio ai suoi.
Il voto in giunta incombe, un primo sì o un primo no vanno pronunciati entro il prossimo 20 febbraio. E la decisione è tra le più delicate.
Salvini è molto preoccupato dall’effetto che la debacle abruzzese può avere sull’esito del voto che lo riguarda. Molti dei suoi attribuiscono anche a questo aspetto le secchiate di rassicurazioni che sta gettando sui bollori degli alleati.
Mentre un faticoso punto d’intesa lo si sta disegnando su acqua pubblica e autonomia. Guai a parlare di scambio, ma mentre sul primo le camicie verdi dovrebbero infine accettare un compromesso “trivelle style” (cioè non toccando le concessioni in essere, ma portarle a scadenza per poi ripensare la gestione), sulla seconda le posizioni stellate si stanno ammorbidendo, anche se rimane complicato che il tema investa il Consiglio dei ministri già il prossimo venerdì.
Un risiko complicatissimo che investe anche la struttura interna ai 5 stelle.
Quanto ha funzionato la radicalizzazione messa in campo da Alessandro Di Battista, quanto ha pagato la litigiosità percepita tra i due partner di governo, quanto ha retto la struttura alla prova del voto.
E gira con insistenza la voce di un nuovo Direttorio, allargato e maggiormente strutturato. Una sorta di cabina di regia con compiti specifici e un ordine gerarchico più o meno riconosciuto. Che non piacerebbe nè a Beppe Grillo nè a Gianroberto Casaleggio, e che viene seccamente smentita.
Un discorso diverso è quello sulla maggior organizzazione necessaria a livello territoriale, con referenti e responsabili riconosciuti da tutti. Che dia punti fermi nell’organizzazione di liste e attività locali, e che risponda in prima persona di successi e fallimenti.
E che si assuma in prima persona (insieme ai vertici nazionali) le responsabilità di scelte strategiche su eventuali alleanze con liste civiche e dirima conflitti e asperità .
Anche per evitare sacche di incontrollato potere locale e decisioni percepite come verticistiche. Anche di questo si sta ragionando.
L’obiettivo desiderato sarebbe quello disegnare il quadro in tempo per le regionali in Piemonte, coincidenti con le elezioni europee. Per essere pronti al worst case scenario del dopo urne: la caduta del governo.
(da “Huffingtonpost”)
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