Marzo 9th, 2019 Riccardo Fucile
SAVIGLIANO: L’UOMO ITALIANO HA PATTEGGIATO 4 ANNI E 9 MESI, TOLTA LA POTESTA’ GENITORIALE
Violentata dal padre a quattro anni. E’ accaduto in provincia di Cuneo, l’uomo ha patteggiato ed è
stato condannato a quattro anni e nove mesi di carcere per violenza sessuale aggravata dal gup di Cuneo Alberto Boetti. È un operaio trentenne del Saviglianese.
La moglie ha trovato sullo smartphone del marito un video che riprendeva un atto di violenza sulla figlia e lo ha denunciato. Il padre è stato arrestato lo scorso agosto e le indagini sono state condotte dal pubblico ministero Chiara Canepa, specializzata nei reati contro le cosiddette “fasce deboli”, e dai carabinieri.
La moglie aveva già avuto dei sospetti. La bambina aveva raccontato che il papà faceva “cose strane” con lei nella doccia e aveva detto di sentire dolori al basso ventre.
E’ stata la nonna materna ad accorgersi per prima che qualcosa non andava e a confrontarsi con la figlia, che ha chiesto aiuto a un’associazione di volontariato che aiuta le donne in difficoltà . Una visita ginecologica alla bambina ha riscontrato un’infezione vaginale a trasmissione sessuale. La prima denuncia è partita dall’ospedale “Santissima Annunziata” di Savigliano.
Ora la bambina è seguita da uno psicologa. Lìuomo non è più suo padre: la sentenza gli ha tolto la potestà genitoriale oltre ad impedirgli per sempre di avere lavori o incarichi che abbiano a che fare con i minori.
(da agenzie)
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Marzo 9th, 2019 Riccardo Fucile
SI RITORNA ALL’IPOTESI DEL PAPOCCHIO DOVE TUTTI POTRANNO CONTINUARE A DIRE SI’ E NO ALLA TAV A SECONDO DEL PROPRIO ELETTORATO
Un’altra capriola può salvare capra e cavoli, governo ed elezioni europee.
La soluzione è la «clausola della dissolvenza, una regola che permetterebbe la revoca dei bandi Telt in qualsiasi momento, ipotesi tecnica di cui si parla da almeno un mese.
Capriola più capriola meno, tanto affanno nel rivendicare la paternità della dissolvenza puzza di una non-decisione mezza presa.
L’escamotage consisterebbe nel permettere che lunedì Telt faccia partire i bandi per i lavori «con riserva», in modo che le aziende italiane e francesi si possano candidare agli appalti e (soprattutto) i consiglieri di amministrazione di Telt non vengano in futuro chiamati a rispondere del danno erariale che potrebbero procurare al Paese bloccando tutto.
I consiglieri sono stati chiari: senza un mandato esplicito del governo non vogliono rischiare di essere chiamati a rispondere di un buco che si misurerebbe in centinaia di milioni. In futuro, grazie alla riserva, sarà sempre possibile non approvare i capitolati d’appalto appellandosi all’interesse nazionale.
È il punto sui cui starebbe lavorando Conte. Il premier avrebbe anche concordato che sarà lui ad annunciare l’eventuale compromesso. Ha esposto il petto alle bordate polemiche di questi giorni, ha ben diritto a un piccolo risarcimento d’immagine.
Gli osservatori più attenti notano che nella giornata di oggi i segnali di papocchio in atto non sono mancati.
L’apparentemente inflessibile Di Maio, durante la conferenza stampa pomeridiana a Palazzo Chigi, per la prima volta non ha parlato di sospendere o bloccare i bandi ma s’è fermato un attimo prima: chiarendo che si tratta di «non vincolare i soldi degli italiani».
Insomma, far partire i bandi con riserva permetterebbe al governo di avviare la «ridiscussione» promessa dal contratto di governo e annunciata da Conte.
Salvini ha rinviato tutto a lunedì, incurante del fatto che Di Maio lo abbia richiamato all’ordine e un «weekend di lavoro». Per ora le agende non contemplano un incontro tra i due, ma domani i vicepremier saranno entrambi a Milano.
(da “La Stampa”)
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Marzo 9th, 2019 Riccardo Fucile
VERSO LA PUBBLICAZIONE DEI BANDI, MA ORMAI LA CRISI E’ AMPIA… COMUNQUE VADA A FINIRE, M5S E LEGA SEPARATI IN CASA
Guardate le due istantanee di giornata. Salvini, sicuro e ai limiti della strafottenza, augura a tutti
buon week end, parte per Milano, fa sapere che prima di martedì non tornerà a Roma, ovvero a bandi della Tav già pubblicati.
E tanti saluti, con tanto di rassicurazioni finali su “nessuna crisi, nessuna nostalgia del passato”.
Luigi Di Maio, visibilmente scosso, in conferenza stampa a palazzo Chigi, lo invita a un incontro (mentre l’altro è già in volo), esterrefatto per le rudi modalità dell’alleato, e soprattutto quella parola “bandi”, la sua irrinunciabile linea del Piave, neanche la nomina, con l’atteggiamento di chi spera in un accordo, fino all’ultimo momento, terrorizzato dall’eventualità di una crisi.
È evidentemente un leader in difficoltà , sinceramente incredulo di quel che sta accadendo, che fatica a prendere atto che il perno attorno a cui ha costruito l’intera operazione di governo — perno politico, ma anche umano, personale — si è seriamente incrinato.
Perchè, nell’attesa di un gesto di benevolenza, di una telefonata del leader della Lega, se tutto è fermo, tutto parte.
E tutto è fermo, perchè non è in agenda nessuna riunione di governo, nessuna iniziativa politica del premier, nessun sussulto del leader pentastellato. E in questa situazione tutto parte perchè, ricorda il capogruppo leghista Molinari, “sospendere i bandi non è legalmente percorribile”.
Parliamoci chiaro, siamo a un cambio di fase, al netto delle parole sulla crisi che c’è, che non c’è, perchè chi la persegue vuole addossarla all’altro, e così via secondo le classiche modalità della politique politicienne.
Comunque vada a finire questa storia, a tratti surreale, sulla Tav, il vaso si è rotto.
E la “coalizione” di governo assomiglia già a un insieme di cocci sul campo, al netto dei giochi delle parti, perchè il governo non ha più una agenda comune, ma due agende separate. Agende politiche, che vanno ben oltre questo o quel provvedimento.
Ricapitolando: Salvini, sulla Tav, ha già vinto perchè incassa quel che gli sta a cuore, al netto di come sarà infiocchettata la questione a parole. E Di Maio ha già perso, perchè, come sul caso Diciotti, è un leader che, al dunque, si trova di fronte a un bivio drammatico, identitario tra il “salvare il governo” e il “salvare l’anima”.
L’altro giorno, a margine della riunione dei suoi parlamentari, il leader M5s, preoccupato, ha chiesto a uno dei suoi: “Come ne usciamo da questa situazione?”. L’altro gli ha risposto: “In piedi”.
Perchè cedere su questo equivale a uscirne in posizione orizzontale. E dunque è costretto a “salvare l’anima”, con una mozione del giorno dopo che saranno pubblicati i bandi, anche se, per combattività di espressione, a molti la sua vis pugnandi è sembrata come la rivoluzione nella canzone di Giorgio Gaber “oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente”.
Ma la questione va ben oltre la Tav, epifenomeno di una crisi più ampia.
Rivelata dalle dichiarazioni di Gianluigi Paragone, che non ha perso la sua verve giornalistica, a proposito dei incontri di Giorgetti con i “poteri forti”, qualcuno smentito, qualcuno confermato, ma negli incontri di quel livello le smentite sono di rito, sarebbe stupefacente il contrario.
Ed è una ricollocazione politica di fondo della Lega a livello europeo, certo sul terreno dell’Alta velocità , ma che porta più lontano.
È una mutazione genetica del sovranismo alla vigilia delle elezioni europee, un processo di istituzionalizzazione, che muta il leghismo che si appresta a certificare la sua vocazione maggioritaria. E, al tempo stesso, muta il terreno su cui è stato costruito il fragile edificio di governo.
Pensate solo ai mondi incontrati da Giorgetti e pensate a chi e come aveva scritto la prima versione del contratto di governo, nel rapporto con l’Europa. È l’opposto. Si spiega così la dichiarazione di Tria sulla Tav, in contemporanea al tour del sottosegretario alla presidenza, l’atteggiamento filofrancese di Salvini, la pressione del Nord, inteso come governatori ma anche come “blocco sociale” che mai ha digerito il reddito di cittadinanza e lo vedrebbe saltare se si tornasse al voto.
È fin troppo ovvio dire che Salvini non vuole rompere, perchè semmai deve essere l’altro a farlo, ma non c’è un solo atto che rappresenti un appiglio per il suo alleato, anzi la “bontà ” delle parole con cui nega la crisi fa il paio con la “cattiveria” dei comportamenti, propri di chi ha messo nel conto le elezioni anticipate, se l’alleato, chiamiamolo ancora così, deciderà di non piegarsi.
“La crisi è già aperta” dice, vivaddio per la sincerità , Stefano Buffagni, uno dei pochi, bisogna dire la verità , che da giorni va dicendo “siamo pronti a tornare al voto”.
Voto che consentirebbe di fuggire dalla responsabilità di una manovra correttiva, praticamente già scritta nei numeri di una crescita ben al di sotto delle previsioni e negli indicatori di una realtà più testarda dei proclami. Perchè una cosa è chiara.
O si vota a ridosso delle europee. O si vota la prossima primavera, non si sono mai viste le elezioni a settembre e i comizi sotto gli ombrelloni. Dunque, dopo una manovra assai complicata. Un altro tunnel, ben più complicato della Val di Susa.
(da “Huffingtonpost”)
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