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SALVINI E GLI INCONTRI CON VERDINI AL RISTORANTE DEL FIGLIO DEL CONDANNATO A 5 ANNI E MEZZO PER BANCAROTTA E A SEI ANNI E 10 MESI PER IL CRACK DELLA BANCA

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

SI E’ APPARTATO TRE ORE CON LUI IN UNA SALETTA RISERVATA… VERDINI E’ IL PRESIDENTE DEL RAMO EDITORIA DI TOSINVEST, LA SOCIETA’ CHE EDITA LIBERO, IL TEMPO, IL CORRIERE DELL’UMBRIA, DI SIENA, DI AREZZO, DI VITERBO E DI RIETI

Si è preso una legislatura sabbatica, sta collezionando condanne pesanti in primo e secondo grado, ma non smette di sedere a tavola con chi comanda.
Denis Verdini continua a essere una sorta di attrazione per chi arriva al vertice del potere: lo è stato per Silvio Berlusconi, poi per Matteo Renzi.
Ora che è fuori dal Parlamento, ha catturato l’interesse di Matteo Salvini. Il leader della Lega è stato avvistato nei giorni scorsi al ristorante PaStation, in piazza di Campo Marzio a Roma, praticamente a due passi da Montecitorio.
Nell’ultima settimana ci è tornato tre volte: l’ultima mercoledì 20 marzo, cioè il giorno in cui al Senato si votava sull’autorizzazione a procedere per il caso Diciotti. Dopo aver parlato a Palazzo Madama, il ministro accusato di sequestro di persona ha deciso di andare a mangiare un piatto di pasta, specialità  del ristorante in Campo Marzio.
Quello, però, non è solo un posto comodo da raggiungere a piedi perchè nel cuore della Capitale. È soprattutto il locale che ha tra i suoi proprietari — tra gli altri —   Tommaso Verdini, figlio di Denis. Molto alla moda, specializzato in primo piatti, il primo esperimento di PaStation Verdini junior lo fa nella sua Firenze in società  Aldo Gucci, rampollo della famiglia leader nel mondo della moda.
Gli affari devono essere andati bene ed ecco che il ristorante ha aperto una sede anche a Roma.
Dove si fa vedere spesso anche il padre del proprietario: Denis Verdini. È con lui che Salvini si è appartato per oltre tre ore nella saletta riservata.
A tavola anche Francesca Verdini, figlia dell’inventore del Patto del Nazareno e sorella del padrone del ristorante. Secondo il Corriere della Sera Francesca aveva espresso da tempo al padre il desiderio di conoscere di persona il leader leghista.
Per Dagospia, invece, il legame tra la figlia di Verdini e Salvini sarebbe già  più stretto: tra i due ci sarebbe una relazione sentimentale. Non è un caso che la ragazza è tra le appena 47 persone seguite su Instagram dal leader del Carroccio.
Gossip a parte, però, una è la domanda che si fanno nella Capitale: di che parlano Salvini e Verdini, inteso come Denis?
Di sicuro, a tavola con il massimo esponente delle Larghe Intese l’alleato del M5s ha parlato di politica. Ma non solo. Sul tavolo anche un altro argomento caro a Verdini e Salvini: i giornali.
Dopo la fine della sua carriera da tessitore occulto di tele e alleanze politiche a Palazzo Madama, l’ex senatore è stato nominato dall’amico Antonio Angelucci presidente del ramo editoria della finanziaria Tosinvest, l’azienda di famiglia che edita Libero, Il Tempo, il Corriere dell’Umbria, di Siena, di Arezzo, di Viterbo e di Rieti. “Vede a me non piacciono nè gioco nè donne, mi piace la puzza del giornale e la sera non mi addormento senza leggere la Nazione”, raccontava l’ex senatore al suo avvocato.
Una confidenza che il legale ha ripetuto in un’aula di tribunale durante il processo sul Giornale della Toscana. Un’avventura finita con una condanna in primo grado a 5 anni e mezzo di reclusione per la bancarotta fraudolenta della Società  toscana di Edizioni. Solo l’ultima tegola giudiziaria per l’ex leader di Ala che lo scorso luglio è stato condannato in appello a 6 anni e 10 mesi per il crack della banca Credito cooperativo fiorentino.
Chissà  che a tavola non si sia parlato anche di giustizia. D’altra parte Salvini non ha mai smesso di essere alleato di Silvio Berlusconi. Che di Verdini non ha mai smesso di essere il dominus. O meglio “il Cesare“, come lo chiamavano gli indagati dell’inchiesta sulla P3. Dove Verdini è stato assolto.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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SALVINI TORNA AD INDOSSARE IL CASCO DEI VIGILI DEL FUOCO: CHE CI SIA PERICOLO DI CADUTA MASSI?

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

LE PROTESTE DEI VIGILI DEL FUOCO LO AVEVANO FATTO DESISTERE, MA IN BASILICATA IL TRAVESTITO PIU’ NOTO D’ITALIA TORNA SUL PALCOSCENICO

Aveva detto, meno di quindici giorni fa, che non avrebbe indossato la divisa dei Vigili del Fuoco, perchè altrimenti «gli rompevano le palle».
Matteo Salvini lo aveva detto in occasione dell’ottantesimo anniversario dei pompieri. Oggi, però, in tour elettorale in Basilicata, non ha resistito al richiamo del caschetto.
Lo ha indossato entrando nella zona rossa di Pomarico, in provincia di Matera, paese colpito da una frana devastante che ha distrutto diverse abitazioni.
Matteo Salvini ha indossato il casco dei Vigili del Fuoco, perchè è stato accompagnato nella zona rossa proprio da alcuni rappresentanti di questo corpo speciale.
Tuttavia, gli altri politici che erano insieme a lui — tra questi anche il sindaco della cittadina — hanno indossato un semplice casco giallo o bianco, di quelli che si usano normalmente nei cantieri.
Soltanto Salvini ha fatto eccezione e ha indossato il casco dei Vigili del Fuoco.
Scelta non insolita, dunque, ma azzardata: soltanto qualche giorno fa, alcuni rappresentanti del sindacato dei Vigili del Fuoco si erano resi protagonisti di una protesta clamorosa. Costantino Saporito (segretario dell’Usb Vigili del Fuoco), che aveva denunciato Matteo Salvini per l’utilizzo delle divise della polizia, dei vigili del fuoco e di altri corpi speciali, aveva occupato il Viminale in segno di dissenso rispetto all’operato del ministro dell’Interno.
Ora, la scelta di Matteo Salvini — come al solito documentata ampiamente sui social network — è destinata a scatenare altre polemiche sul tema.
Dopo la denuncia di Costantino Saporito, infatti, Salvini aveva fatto un uso molto più moderato delle divise. Qualcuno aveva addirittura parlato della metamorfosi dell’abbigliamento del ministro dell’Interno, che ultimamente ha preferito giacca e cravatta alle tradizionali felpe e divise.

(da TPI”)

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CONDONO E NON SOLO: LO SBLOCCA-CANTIERI DI SALVINI E DI MAIO SOMIGLIA ALLE LEGGI DI BERLUSCONI

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

NIENTE GARA SOTTO I 350.000 EURO, TOLTO IL LIMITE PER IL SUBAPPALTO, ELIMINATA LA NORMA CHE IMPEDIVA IL CARTELLO DI IMPRESE, ABOLIZIONE DELL’ALBO DEL DIRETTORE DEI LAVORI

Silvio Berlusconi ha un giudizio troppo severo nei confronti del governo Lega-MoVimento 5 Stelle: non solo per il condono edilizio mascherato che ancora non è legge, ma anche per una serie di norme contenute nel provvedimento che somigliano pericolosamente a quelle dei governi di Lega e Forza Italia.
Giorgio Meletti sul Fatto le ha elencate oggi, partendo da quella che elimina l’obbligo di gara per lavori al di sotto della soglia dei 350mila euro. C’è da dire che in preparazione si parlava di limite di 5 milioni, ma anche così non è male.
Poi c’è la questione del subappalto. Si parlava dell’eliminazione del tetto del 30% sull’importo dei valori, che poi è caduta dall’impianto generale ma vale ancora per i consorzi:
Il codice 2016 vietava di subappaltare lavori oltre il 30% ad aziende che partecipavano al consorzio vincitore della gara.
Limite che ora viene tolto, dando così mano libera alle aziende più forti per contrattare sconti sui lavori (manodopera e materiali) con le imprese più deboli purchè inserite nei consorzi.
Viene eliminata anche una norma pensata per evitare i cartelli tra imprese: chi perde una gara potrà  di nuovo ottenere lavori in subappalto dal vincitore, con il rischio concreto che le gare vengano di fatto falsate da un meccanismo che permette poi di spartirsi la torta a valle.
C’è poi l’incentivazione del criterio del massimo ribasso, istituito con la legge Merloni nel 1994: per gli appalti fino a 5 milioni di euro il criterio viene privilegiato rispetto a quello dell’Offerta Economicamente più Vantaggiosa istituito per evitare le varianti che fanno lievitare i costi.
Il più grande passo indietro è però l’abolizione dell’albo dei direttori dei lavori e dei collaudatori.
Si torna così ai tempi della Legge Obiettivo del governo Berlusconi, definita “criminogena” da Raffaele Cantone, in cui il general contractor, affidatario dell’opera, si sceglie queste figure eliminando le barriere tra controllori e controllati.
Dulcis in fundo, il decreto istituisce dei super commissari con l’obiettivo di sveltirei lavori. La Lega ne vuole solo uno per tutte le opere; M5S è contrario perchè di fatto esautorerebbe il ministro Danilo Toninelli.

(da “NextQuotidiano”)

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IL MISTERO DEI COSTI DEL CONGRESSO DELLE FAMIGLIE, IL SINDACO DI VERONA NON RISPONDE

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

100.000 EURO LA CIFRA CHE COSTEREBBE AL COMUNE PER AVER RESO GRATUITI SERVIZI CHE NORMALMENTE VENGONO FATTI PAGARE

La discussione sul Congresso delle Famiglie accende gli animi, e non solo a livello nazionale. Nelle stesse ore in cui il presidente del Consiglio chiedeva ufficialmente al ministro della Famiglia di rimuovere il patrocinio di Palazzo Chigi, il Consiglio Comunale di Verona si infiammava per quello che, al momento, resta un interrogativo: il costo dell’evento per la città .
Mentre è nota la lunga lista di agevolazioni (diciotto per la precisione) che il Comune garantirà  agli organizzatori e ai partecipanti dell’iniziativa, nessuna cifra è stata diffusa sulla spesa che Verona dovrà  sostenere. Se non quella stimata dall’opposizione.
A sollevare la questione in Consiglio comunale è stata Elisa La Paglia, dell’opposizione. Ha chiesto al sindaco, Federico Sboarina, di sapere quanto avrebbe speso la città  per l’evento e quanto, invece, avrebbe incassato se al posto di offrire gratis i servizi e gli spazi avesse applicato agli organizzatori le tariffe ordinarie.
A queste domande il primo cittadino non ha dato una risposta: “Sono in corso i conteggi… le farò sapere prima possibile”, si è limitato a dire, come si sente nella registrazione video del Consiglio Comunale del 21 marzo.
Secondo i conteggi di La Paglia la città , a causa di questa iniziativa, perderà  più di 100mila euro.
Il calcolo è stato fatto guardando alle tariffe che il Comune impone a chi vuole usufruire degli stessi servizi che ai promotori del Congresso saranno concessi in maniera gratuita: “Se un privato avesse organizzato un evento simile, pagando i servizi al Comune, avrebbe speso circa 150mila euro”, ha spiegato in Consiglio comunale.
Per il sindaco, che assicura che le verifiche sono in corso, si tratta di un calcolo sovrastimato: “Oggettivamente mi sembrano numeri particolarmente elevati”, ha sostenuto. Ma una cifra precisa, per il momento, non la conosce nessuno.
“È grave che il Sindaco a tutt’oggi non sappia o non voglia dire quanto costerà  alla città  di Verona questo congresso dai contenuti inquietanti – afferma La Paglia ad HuffPost – Oltre al danno di immagine della nostra città  che diventerà  famosa per aver strumentalizzato il termine famiglia a fini politici, gli oltre 100.000 euro che il comune perderà  per questo incontro dovevano e potevano essere usati per il sostegno economico e di servizi alle famiglie reali, quelle che i congressisti vogliono negare”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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BUDAPEST PREDA DEL RISENTIMENTO, I GIOVANI FUGGONO

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

PAESE DIVISO, CLIMA INCANDESCENTE: “SOMIGLIAMO SEMPRE PIU’ ALLA RUSSIA DI PUTIN CHE A UN PAESE EUROPEO”

Sulla strada che dall’aeroporto porta verso la capitale ce ne sono ancora. Perchè se a Budapest i cartelloni della discordia, quelli che avevano provocato la levata di scudi del Partito popolare europeo (Ppe), sono spariti, in periferia e nei piccoli centri di provincia, roccaforti del premier Viktor Orbà¡n, il cittadino deve stare in allerta.
«Hai il diritto di sapere cosa sta facendo Bruxelles!», recita lo slogan che incornicia i volti sghignazzanti di Jean-Claude Juncker e del miliardario ungherese George Soros, finanziatore della Open society foundation e di progetti legati al multiculturalismo e all’immigrazione, e quindi obiettivo numero uno della propaganda del partito al potere Fidesz.
In un Paese in cui già  alla vigilia del voto del Ppe non mancavano tensioni e spaccature, il clima nelle ultime ore si è fatto incandescente. Tanto che dall’opposizione non sono mancate bordate contro l’«autoritarismo» del partito del premier «finalmente svelato» in Europa.
Negli uffici di Momentum, piccolo partito pro-Ue, la vicepresidente Anna Donath ammette però che la «sospensione concordata» di Fidesz dal Ppe è «una soluzione politica per non risolvere il problema, mentre sarebbe servito un messaggio ancora più chiaro come l’espulsione».
Secondo Donath «alle elezioni europee gli ungheresi seguiranno i loro valori: il voto darà  un’opportunità  ai partiti più piccoli di mostrare che in molti vogliono un’alternativa».
«Le generazioni più giovani — prosegue, mentre è continuo il via vai degli attivisti — hanno già  beneficiato così tanto dell’appartenenza all’Unione Europea, ognuno di noi ha la sua storia personale di cosa significa essere cittadini europei. Non possiamo tornare indietro».
«Orbà¡n ha distanziato Fidesz dai valori del Ppe: il governo ungherese non rispetta quei fondamenti democratici che rappresentano valori comuni europei»: Petra Bà¡rd insegna Diritto costituzionale europeo in quella Central European University sostenuta da Soros che la nuova legge sulle università  straniere voluta dal governo sta “forzando” al trasferimento da Budapest a Vienna.
Il Ppe aveva chiesto il salvataggio dell’ateneo, la cui sede in Nador utca dista dalla sede del Parlamento di Budapest poche centinaia di metri, ma Orbà¡n ha tirato dritto. «L’Ungheria oggi è un Paese che non rispetta la libertà  accademica, un Paese dominato dalla politica del risentimento — prosegue Bà¡rd —. Vede i miei studenti? Non apprezzano l’illiberalismo e molti di loro hanno in programma una carriera all’estero. Lo definirei un “bran drain” volontario, offriamo ad altri Paesi le nostre menti migliori».
Al potere dal 2010, dopo la schiacciante vittoria nelle elezioni dello scorso anno Fidesz detiene una “supermaggioranza” che gli ha consentito anche importanti modifiche costituzionali. Il clima è da campagna elettorale permanente, favorito, secondo l’opposizione, dalla riduzione dei media indipendenti. I continui richiami alla difesa dei valori cristiani e l’apertura a politiche di sostegno alle famiglie si scontrano con la chiusura ai migranti, con la stretta sull’equilibrio dei poteri nel sistema giudiziario e con le nuove leggi sul lavoro definite dall’opposizione “leggi schiavitù”, che hanno provocato manifestazioni di piazza.
Balà¡zs Hidvèghi, già  deputato e membro di Fidesz da 30 anni, oggi è il numero uno della comunicazione del partito, membro della ristretta cerchia di Orbà¡n. Ci riceve negli uffici parlamentari, la vista sul Danubio in una giornata insolitamente piena di sole è impareggiabile. «Quello con il Ppe è stato e sarà  un dibattito sul futuro dell’Europa, su due visioni diverse. Certo non avremmo accettato una sospensione come atto unilaterale — sottolinea —. Lo scambio è e sarà  basato sul mutuo rispetto, ma certo non possiamo fare compromessi sulla difesa dei tradizionali valori cristiani europei e sullo stop all’immigrazione».
Rà³za Hodosà¡n, sociologa, storica attivista per la democrazia ed ex parlamentare liberal, guarda oggi con preoccupazione all’evolversi dello scenario politico. «Sì sono molto pessimista, credo che il regime — parlando con Avvenire lo definisce così — abbia raggiunto il punto di non ritorno. Non somigliamo più ad un Paese europeo democratico, ma alla Russia di Putin: un’autocrazia cleptocratica».
Parole dure, toni perentori. In fondo più di uno, in questa dolce e fresca serata di Budapest, dal Ppe si è sentito inevitabilmente “tradito”.

(da “Avvenire”)

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IL PICCOLO RAMI E I SUOI DIRITTI TRASFORMATI IN UN PREMIO

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

PER I SOVRANISTI E I LORO SERVI LA COSTITUZIONE E’ COME LO STATUTO DEI BOY SCOUT

Se il diritto si trasforma in un premio, se il coraggio diviene un lasciapassare e magari la timidezza un guaio, accade ciò che sta accadendo a Rami.
Rami, figlio di immigrati, avrà  la cittadinanza italiana ad horas per via della scaltrezza, del coraggio, dell’altruismo, del sangue freddo dimostrato durante il drammatico sequestro dello scuolabus di Crema, alle porte di Milano. È il papà  che ha avanzata la richiesta, e il Viminale prontamente accoglierà  la petizione.
E se Rami, bravo ragazzo, bravo studente, nato in Italia, il Paese dove vivrà , fosse stato appena più timido?
Avrebbe atteso di divenire italiano, come attendono ingiustamente, anni, anni, e anni altri suoi compagni.
Quando il diritto è inquinato dal paternalismo, le regole sono piegate al dominio della morale e non alla disciplina terza di un codice che stabilisca per tutti, a pari condizioni, pari opportunità . Che è l’unica garanzia di ciascuno di obbedire alle regole a cui tutti sono sottoposti.
Invece che chiedersi se sia giusto o sbagliato continuare a negare a chi è nato nel nostro Paese e parla, forse anche meglio di noi, la nostra lingua, ha i nostri usi e costumi il diritto di accedere ai nostri diritti, si conferisce un premio al più coraggioso, come se la Costituzione fosse lo statuto dei boy scout, e si assoggetta il diritto al carattere del premiato.
Chiedo di nuovo: e se Rami fosse stato timido? O solo se non avesse potuto aiutare i suoi compagni? Se fosse stato lui ad uscire per ultimo dal bus, come quella ragazzina impietrita dal terrore che è stata spinta a forza e fatta scendere, il suo diritto a sentirsi cittadino italiano sarebbe venuto meno?
Attendiamo con ansia quale altra prova suppletiva di coraggio debbano superare i compagni di Rami che ancora sono sprovvisti di passaporto.
Attraversare nudi un cerchio di fuoco?
Sgominare con un colpo di karate una banda di ladri italiani intenta a svuotare il caveau di una gioielleria?
Entrare nel Campidoglio e decimare con un’abracadabra corrotti e corruttori?

(da “il Fatto Quotidiano”)

argomento: Diritti civili | Commenta »

MARIANNA MANDUCA E SAVERIO NOLFO: COME LO STATO UCCIDE LA MEMORIA DI UNA DONNA CHE NON HA PROTETTO

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

NON SONO BASTATE 12 DENUNCE PER EVITARE DI ESSERE UCCISA DAL MARITO, ORA LO STATO NEGA AI FIGLI IL RISARCIMENTO DANNI

Marianna Manduca, 32anni, vita e famiglia a Palagonia, in provincia di Catania, fu uccisa a coltellate il 3 ottobre del 2007 da suo marito, Saverio Nolfo, poi condannato a 21 anni di carcere.
Lei aveva firmato 12 denunce contro di lui ma lo Stato non riuscì a proteggerla.
E ieri una sentenza della Corte d’Appello in Sicilia ha negato ai figli il risarcimento danni. Perchè? Scrive oggi il Corriere della Sera:
Ma «ritiene la Corte» che a nulla sarebbe valso sequestrargli il coltello con cui l’ha uccisa «dato il radicamento del proposito criminoso e la facile reperibilità  di un’arma simile». Nemmeno «l’interrogatorio dell’uomo avrebbe impedito l’omicidio della giovane donna», scrivono i giudici. Tutt’al più lui avrebbe capito «di essere attenzionato dagli inquirenti». Men che meno avrebbe avuto effetto una perquisizione a casa sua per scovare il coltello mostrato a lei minacciosamente. In pratica, «ritiene la Corte», che «l’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato».
Ventuno pagine di sentenza per descrivere il senso di totale impotenza della magistratura (in quel caso la Procura di Caltagirone) davanti alle suppliche di aiuto di Marianna.
E per smentire la decisione di primo grado che invece aveva parlato di «grave violazione di legge con negligenza inescusabile» nel «non disporre nessun atto di indagine rispetto ai fatti denunciati» e nel «non adottare nessuna misura per neutralizzare la pericolosità  di Saverio Nolfo».
Il giudizio d’appello, invece, sostiene che la Procura fece il possibile date le leggi del momento (ancora non c’era la legge sullo stalking).
Dice che – è vero–non eseguì la perquisizione e quindi non sequestrò il coltello, ma le due non-azioni, appunto, non sarebbero bastate a scongiurare il peggio. Per i maltrattamenti e le minacce di morte era previsto anche allora l’arresto (quello sì che avrebbe scongiurato il delitto) ma i comportamenti di Nolfo non furono interpretati all’epoca, e non lo sono in questa sentenza, come gravi: «Non consentivano l’applicazione della misura cautelare». Nemmeno quando lui accolse Marianna mostrandole un coltello a serramanico con il quale finse di pulirsi le unghie.

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Giustizia | Commenta »

5,6 MILIONI DI PENSIONATI PIU’ POVERI CON IL RICALCOLO VOLUTO DAL GOVERNO CON LA LEGGE DI BILANCIO

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

SINDACATI IN PIAZZA IL 1 GIUGNO: IL TAGLIO DELLE RIVALUTAZIONI SOTTRARRA’ AI PENSIONATI 2,2 MILIARDI IN TRE ANNI

5,6 milioni di pensionati vedranno diminuire i propri assegni. Dal prossimo primo aprile i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo (oltre i 1.522 euro al mese) verranno rivisti secondo la legge di bilancio per il 2019. In una circolare l’Inps chiarisce che sono 5,6 milioni i profili interessati. Per 2,6 milioni la riduzione media mensile del lordo è di 28 centesimi. Il ricalcolo è una diretta conseguenza della manovra Finanziaria per impiegare le risorse per Quota 100.
La rivalutazione è piena per i trattamenti fino a tre volte il minimo mentre per quelle superiori si parte da una rivalutazione al 97% per le pensioni tra le tre e le quattro volte il minimo (da 1.522 a 2.029 euro al mese), al 40% per chi supera i 4.569 euro. Le pensioni fino a 1.522 euro riceveranno il pieno adeguamento fissato in maniera provvisoria a 1,1%, mentre quelle superiori nove volte rispetto al minimo recupereranno solo 0,44%.
L’Inps chiederà  nei prossimi mesi il conguaglio di quanto dato indebitamente nei primi mesi dell’anno in quanto la nuova perequazione andava applicata già  dal primo gennaio.
L’operazione di ricalcolo effettuata dall’Istituto – si legge in una nota dell’Inps – “ha riguardato i trattamenti di importo complessivo lordo superiore a tre volte il trattamento minimo”. Per “importo complessivo lordo” si intende la somma di tutte le pensioni di cui un soggetto è titolare, siano esse erogate dall’Inps o da altri Enti presenti nel Casellario Centrale.
Il ricalcolo rende quindi meno generose le pensioni rispetto a quanto sarebbe spettato ai lavoratori con la formula attiva precedentemente la riforma. “L’istituto – si legge nella nota – comunicherà  le modalità  di recupero delle somme relative al periodo gennaio-marzo 2019”.
Spi-Cgil rende noto che il conguaglio “sarà  di 100 milioni”. Il sindacato ricorda come dal nuovo meccanismo di rivalutazione “il governo arriverà  a recuperare dalle tasche dei pensionati 2,2 miliardi nel triennio” 2019-2021.
“Sono somme – continua lo Spi – che verranno sottratte a chi ha lavorato una vita e che non ha alcuna colpa. Se si sostiene che si tratta di pochi soldi che li lascino allora ai pensionati senza sottoporli all’ennesima rapina nei loro confronti”.
I sindacati non ci stanno e preparano una manifestazione nazionale indetta per sabato 1° giugno in piazza del Popolo a Roma. Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil annunciano l’avvio della mobilitazione dei pensionati per protestare “contro la totale mancanza di attenzione nei loro confronti da parte del governo”, che si è “mostrato del tutto sordo” alle loro richieste.
Le sigle sindacali sostengono che “l’unica misura messa in campo è stata quella del taglio della rivalutazione, che partirà  dal primo aprile e a cui si aggiungerà  un corposo conguaglio che i pensionati dovranno restituire nei prossimi mesi. La tanto sbandierata pensione di cittadinanza invece – proseguono Spi, Fnp e Uilp – finirà  per riguardare un numero molto limitato di persone e non basterà  ad affrontare il tema della povertà “.
“Nulla è stato previsto sul fronte delle tasse – spiegano i sindacati – che i pensionati pagano in misura maggiore rispetto ai lavoratori dipendenti, e tanto meno sulla sanità , sull’assistenza e sulla non autosufficienza, che sono temi di straordinaria rilevanza per la vita delle persone anziane e delle loro famiglie e che necessiterebbero quindi di interventi e di risorse”.
In conclusione dichiarano Spi, Fnp e Uilp i pensionati sono stati “accusati addirittura di essere degli avari per aver osato protestare a fine dicembre contro il taglio della rivalutazione. La loro mobilitazione è quindi necessaria e non più rinviabile”.

(da agenzie)

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AL SENATO IL GOVERNO HA UN SOLO VOTO DI MAGGIORANZA

Marzo 22nd, 2019 Riccardo Fucile

IMBARCARE FRATELLI D’ITALIA O ARRUOLARE QUALCHE TRANSFUGA DI FORZA ITALIA?

Siccome uno vale uno al Senato il MoVimento 5 Stelle si trova nel classico dilemma del prigioniero: l’altroieri tre senatrici (Paola Nugnes, Elena Fattori, Virginia La Mura) hanno votato no al Salva-Salvini sulla Diciotti nonostante le indicazioni di voto su Rousseau e i grillini avevano minacciato espulsioni in caso di disobbedienza.
Ma senza quei tre voti la maggioranza che regge il governo Conte al Senato rischia di stare in piedi per un solo voto.
Questo perchè il M5S ha perso alcuni parlamentari prima di cominciare: Maurizio Buccarella e Carlo Martelli al Senato e Andrea Cecconi e Silvia Benedetti alla Camera per Rimborsopoli.
Fuori in corsa anche Salvatore Caiata (Camera), per non aver comunicato di essere indagato per riciclaggio, Catello Vitiello (massone non dichiarato) e Antonio Tasso, che taroccava cd.
Espulsi a legislatura iniziata,invece,Gregorio De Falco e Saverio De Bonis, per non aver votato il decreto Sicurezza.
E ora rischiano Elena Fattori, Paola Nugnes e Virginia La Mura, che hanno votato sì al processo a Salvini.
Per salvare il salvabile ci sono due alternative: far entrare Fratelli d’Italia in maggioranza oppure far transitare molti dei senatori di Forza Italia che hanno deciso di lasciare Berlusconi per Salvini.
In caso di un minirimpasto, con qualche ministro di peso, FdI potrebbe decidere di salire a bordo della maggioranza, fa sapere il Corriere.
Ma la soluzione più semplice è prendersi gli ex di Berlusconi (se esistono, perchè se Forza Italia risale nei sondaggi può anche non essere conveniente)

(da “NextQuotidiano”)

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