Destra di Popolo.net

L’ITALIA DEL 4 MARZO 2018 NON C’E’ PIU’

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

SALVINI EGEMONICO MA NON AUTOSUFFICENTE, L’ITALIA FUTURA ANCORA NON C’E’

Proprio la regione più continuista d’Italia, passata dal pluridecennale assetto di potere democristiano di Emilio Colombo a un altro pluridecennale assetto di potere del centrosinistra, franato nella sua versione feudataria e dinastica, certifica un “grande cambio”.
L’Italia del 4 marzo non c’è più, archiviata nell’immobilismo di una “strana alleanza”, mai diventata una “coalizione politica” ora che si è esaurita la spinta propulsiva del “contratto”.
Paralizzata a Roma e conflittuale sui territori, e precipitata in un gorgo per cui questo conflitto elettorale permanente aumenta la paralisi.
Dicevamo, un’altra Italia, in cui vince Salvini, ma non è autosufficiente per correre al voto senza aver bisogno di alleati, in cui precipitano i Cinque Stelle che, ormai a ogni elezione dimezzano i voti e in cui esiste un centrosinistra diffuso, però ancora fragile e informe.
Non una alternativa, nell’ambito di una irrisolta crisi del marchio Pd.
Con la Basilicata, per la prima volta da parecchi anni, è avvenuto il “sorpasso”, fotografia della nuova Italia colorata di “blu sovrano”.
Sono dieci, complessivamente, le regioni amministrate dal centrodestra, a trazione salviniana, contro le nove del centrosinistra. Cinque delle quali conquistate nell’ultimo anno, in piena era gialloverde: Friuli, il Molise, unica regione dove Salvini è finito sotto Forza Italia, l’Abruzzo dove è volato al 27 per cento, la Sardegna, dove ha vinto senza sfondare e dividendo i suoi voti col Partito Sardo d’Azione, la Basilicata, altro capitolo di un centrodestra a trazione sovranista, ma su questo torneremo tra un po’. Aggiungendo la Lombardia di Attilio Fontana dove si votò a marzo 2018 e la Sicilia di Nello Musumeci, dove si votò a novembre del 2017, siamo a sette vittorie di fila in un anno e mezzo circa.
Insomma, si sarebbe detto una volta: il Parlamento non è più specchio del paese.
E, se per questo, nemmeno il Governo.
Il che è un dato politico, non estetico, perchè la spinta, la domanda, gli interessi, che arrivano dall’Italia profonda chiedono un’altra rappresentanza.
È un po’ come quando Renzi iniziò a perdere ovunque sui territori e poi arrivò il 4 dicembre. Perchè ogni voto è un voto politico. C’è poco da girarci attorno. Q
uesti numeri pongono la questione del “che fare” per Salvini.
Di più o di meno a seconda delle zone, è lui il vincitore e, per la prima volta — questo è il vero punto — inizia a penetrare, in modo impensabile fino a qualche anno fa, nel Sud, dove negli ultimi anni è avvenuto un cambiamento epocale.
Una volta filo-governativo per definizione nel lungo ciclo della Prima Repubblica e granaio di consenso del Potere finchè ha funzionato la leva della spesa pubblica, negli anni della crisi il Mezzogiorno è diventato il termometro delle sperimentazioni politiche e del voto cangiante, anticipando le novità  nazionali: il grande successo di Renzi alle europee, poi la valanga dei Cinque Stelle, ora la Lega e l’ecatombe dei Cinque Stelle che, caso unico nella storia nazionale, perdono più della metà  dei voti in regioni — Abruzzo, Sardegna, Basilicata — dove solo un anno fa registravano percentuali “maggioritarie”.
Ottantamila voti in meno in dodici mesi, in Basilicata: da 139.158 (44 per cento) a 60.000 (20 per cento) circa, nonostante il varo del reddito di cittadinanza e lo scandalo giudiziario sul governatore uscente. Sulla carta, l’habitat naturale per tenere.
La dimensione dello “spostamento a destra” è davvero significativa.
In Basilicata, alle scorse regionali, la Lega neanche si presentò. Alle politiche di un anno fa prese il 6,28 per cento (19.704 voti). In un anno ha più che raddoppiato i suoi voti raggiungendo il 19,1 (in termini assoluti: 53.851). Ed è assai indicativa anche la crescita della Meloni passata dal 3,6 delle politiche (11.587) al 5,9 di queste regionali (16.616) soprattutto se questi dati vengono messi in relazione alla flessione di Forza Italia, passata dal 12 delle politiche al 9, anche se al dato vanno sommate altre liste “moderate”, come l’Udc (3), Idea di Quagliariello (4), la lista del presidente (4).
Detta in modo un po’ brutale: siamo di fronte certo a un nuovo centrodestra, in cui Salvini è egemonico, ma non autosufficiente, ed è egemonico il blocco sovranista con Giorgia Meloni, ma non autosufficiente.
In Basilicata la somma delle liste sovraniste, all’interno del centrodestra raggiunge il 25 per cento rispetto al 20 di quelle moderate.
In Abruzzo il gap era maggiore, però la tendenza è evidente. Politicamente parlando è un trionfo, con un però, che riguarda la possibile ricaduta di questo tsunami permanente in termini di governo.
Se la strategia è “spolpare” alleati antichi (Berlusconi) e nuovi (Di Maio) per poi presentarsi come l’artefice, al momento giusto, di un nuovo ’94 sovranista, ebbene questi numeri dicono che il tempo non è ancora maturo. Perchè da solo Salvini non basta.
E se è prematuro dire che queste elezioni stanno risuscitando un nuovo bipolarismo, perchè non francamente non si intravedono “poli” politici compiuti, è altrettanto vero che stanno risuscitando le “coalizioni” come unica forma per competere.
E la più forte, in grado di vincere ovunque nei collegi, è proprio quella che finora Salvini ha dimostrato di non volere più.
Pare una tecnicalità , ma non è un dettaglio, perchè questo gigantesco spostamento a destra pone il Pd di fronte all’urgenza di trovare una “forma” già  in vista delle Europee.
È vero, il dato è migliorato rispetto a un anno fa. Alle politiche il centrosinistra prese il 19,61 (61.547 voti) a cui andavano sommati i 20mila di Leu.
Stavolta la coalizione ha raggiunto il 33 per cento (98mila voti) che è un balzo in avanti. Però è ancora una coalizione “informe”, col simbolo del Pd “nascosto”, come accaduto anche altrove e come accadrà  anche in Piemonte il 26 maggio, in una selva di liste e listarelle. ”
Nascosto” perchè non tira più, dopo la cura dell’era Renzi. Il problema è come portare dentro questa nuova “circolazione extracorporea”, in una elezione come le europee dove il simbolo del Pd sarà  usato e si voterà  un partito, non un insieme di liste.
L’Italia del 4 marzo non c’è più, ma l’Italia che verrà  non c’è ancora, in attesa dell’ultima tappa di questo ciclo il 26 maggio, giorno in cui si vota per le Europee e per il Piemonte, dove la discussione nella Lega, con questi numeri al Sud, è se lasciare il candidato a Forza Italia o giocare ad asso pigliatutto.

(da “Huffingtonpost”)

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L’EX MINISTRO RENZIANO GOZI POTREBBE ESSERE CANDIDATO IN FRANCIA DA MACRON PER LE EUROPEE

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

NELLA STRATEGIA DI EN MARCHE ANCHE UN RUOLO CHIAVE ALL’AMBIENTALISTA PASCAL CANFIN, DIRETTORE DEL WWF… ASSE EUROPEISTA CON LA MERKEL

L’italiano Sandro Gozi candidato per le europee 2019 nelle liste francesi di En Marche. Nulla è deciso tra Roma e Parigi, ma l’idea di far correre l’ex sottosegretario agli Affari Europei dei governi Renzi e Gentiloni nelle liste di Emmanuel Macron gira da tempo, in virtù del lavoro di Gozi sul fronte europeista, la sua proposta di liste transnazionali lanciata nel 2016, condivisa dal presidente francese anche se non è diventata realtà  per la contrarietà  del Ppe, e infine i suoi contatti con il movimento di En Marche, da sempre attivi.
Nulla è deciso, ma adesso la questione rimbalza sui media francesi e anche Huffpost apprende di questa possibilità .
Entro oggi, la ministra agli Affari europei del governo Philippe, Natalie Loiseau, dovrebbe dimettersi per assumere l’incarico di guidare la campagna elettorale per il voto di maggio come capolista. Dovrebbe essere affiancata da Pascal Canfin, ex ministro di Francois Hollande, attuale direttore del Wwf, potenziale numero due della lista.
E’ così che, dopo mesi di problemi con i gilet gialli in piazza, ancora non del tutto risolti, Macron vorrebbe recuperare il consenso anche dei movimenti ambientalisti.
Anche il portavoce dell’esecutivo Benjamin Griveaux potrebbe dimettersi per candidarsi al Comune di Parigi. Insomma, le europee imporranno evidentemente anche un rimpasto di governo in Francia.
Forte di sondaggi che lo danno in risalita, Macron si gioca il tutto per tutto nel voto di maggio, sempre più saldo nell’asse europeista con Angela Merkel, rafforzato a gennaio dal trattato di Aquisgrana tra Germania e Francia.
Oggi a Parigi si è tenuto il primo incontro del Parlamento congiunto tra Francia e Germania, previsto dal trattato firmato il 22 gennaio scorso.
Un inedito istituzionale: 50 deputati francesi e 50 tedeschi, si riuniranno due volte l’anno per fare proposte e controllare il rispetto del Trattato che prevede, tra le altre cose, cooperazione in materia di difesa ed economia, con tanto di vertici ministeriali.
A firmare l’atto fondativo della nuova assemblea, Wolfgang Schauble, presidente del Bundestag, e il presidente dell’assemblea nazionale francese, Richard Ferrand. “Agli scettici dico: la nuova assise non danneggerà  nè abolirà  la sovranità  dei due Paesi”, dice Schaeuble. Ci saranno “dibattiti vivaci anche su temi scomodi”, per esempio nel tema sicurezza. “Avremo anche da litigare, perchè c’è bisogno anche del litigio”.
Ma questa è la risposta franco-tedesca all’avanzata dei populisti.
Ad ogni modo, a breve si potrebbe sapere di più sulle liste di En Marche, che corre in competizione anche con il Pd e – a livello europeo – il Pse, anche se dopo il voto è probabile che finiscano insieme nella stessa alleanza europeista.
La presenza di Gozi nelle liste francesi – e non dunque in quelle del Pd ora guidato da Nicola Zingaretti – potrebbe essere una della novità  di questa campagna elettorale, che farebbe il paio con l’insoddisfazione dei renziani – battuti alle primarie – verso la nuova leadership.
Da tempo Gozi, ora componente della Direzione nazionale del Pd, sostiene che bisognerebbe “andare oltre il Pd”, proprio come ha fatto Macron anni fa. Il suo lavoro di connessione di reti europeiste poi non si è mai fermato, è stato lui ad accompagnare Matteo Renzi a dicembre nella visita a Bruxelles e negli incontri con alcuni commissari europei. Renzi per ora resta fermo, pur avendo accarezzato la possibilità  di creare un suo soggetto politico. Gozi – forse – si muove intanto verso la Francia. Si vedrà , sempre che vada così.

(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGIO IPSOS: PER IL 54% DEGLI ITALIANI LE COPPIE GAY DOVREBBERO AVERE GLI STESSI DIRITTI DEGLI ETERO, SOLO IL 37% E’ CONTRARIO

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

E IL 44% CONSIDERA LE COPPIE ARCOBALENO ALLA PARI DELLE FAMIGLIE TRADIZIONALI

A pochi giorni dal Congresso Mondiale della Famiglia, che si terrà  a Verona dal 29 marzo, Ipsos ha realizzato un sondaggio per il Corriere della Sera, realizzando 1000 interviste (su 5.489 contatti) legate proprio ai temi che verranno trattati nel corso dell’evento scaligero.
Solo il 22% degli intervistati considera ‘famiglia’ l’unione che nasce tra un uomo e una donna uniti in matrimonio con un rito religioso o civile.
A questo 22% bisogna aggiungerne un altro 25% che parla di unione che nasce tra un uomo e una donna che hanno un legame affettivo e convivono senza necessariamente essere sposati.
Siamo quindi ad un 47% del totale, a cui si contrappone un forte 44% che ritiene ‘famiglia’ l’unione che nasce tra due individui, anche dello stesso sesso, che hanno un legame affettivo e convivono
Tra gli elettori leghisti, udite udite, la quota rimane altissima, pari al 34%, e sale al 37% dei cattolici che partecipano saltuariamente alla messa.
Dati che ribadiscono la spaccatura in atto nel Paese, apparentemente sempre più orientato all’inclusione e alla condivisione dei diritti.
Il 54% degli intervistati ha infatti sottolineato come le coppie gay conviventi debbano avere gli stessi diritti delle coppie etero, contro il 37% dei contrari, mentre il 29% ha definito ‘pericoloso’ il Convegno di Verona, perchè dà  voce a quanti propagano ideologie reazionarie, e il 20% inutile, in quanto rivolto solo ad una piccola minoranza di cattolici, contro il 20% che l’ha definito ‘utile’ e l’8% che l’ha etichettato come ‘indispensabile’.

(da agenzie)

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LE INCREDIBILI FREGNACCE DELLA RAGGI SULL’EXPORT ITALIANO IN CINA

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

DA GILETTI HA ANNUNCIATO CHE “FINALMENTE L’ITALIA POTRA’ ESPORTARE LE NOSTRE MERCI IN CINA”…COME SE CIO’ NON AVVENISSE DA DECENNI, BASTAVA CONSULTASSE IL SITO DEL MINISTERO DI DI MAIO

Lo sapevate che fino all’altro ieri l’Italia non era in grado di vendere le proprie merci in Cina? Tutta colpa dei governi precedenti.
Ma ora che il bisministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha spianato la strada per l’esportazione delle arance siciliane conquistando un mercato potenziale di 600 milioni di cinesi tutti pronti a gustarsi i prelibati agrumi italiani le cose sono cambiate.
E lo ha capito subito la sindaca di Roma Virginia Raggi, da sempre molto attenta e preparata non solo sulle questioni che riguardano la Capitale ma anche sui grandi successi del MoVimento 5 Stelle. Successi che sa recitare a memoria, senza bisogno di suggerimenti.
Ed infatti ieri ospite su La 7 di Non è l’Arena, il programma condotto da Massimo Giletti, la Raggi ha subito spiegato la portata storica dell’accordo: «Il nostro vicepresidente Di Maio è riuscito a fare qualcosa di storico: finalmente le nostre merci saranno esportate anche in Cina sulla famosa Via della Seta».
Sorprendente vero? La sindaca della Capitale crede che fino al 2019 l’Italia non abbia mai avuto modo di vendere i suoi prodotti in Cina. Chissà  come mai i governi precedenti non si sono accorti dell’immenso mercato cinese, forse perchè avevano paura dei comunisti? Per fortuna che ora al governo ci sono quelli che non sono nè di destra nè di sinistra e che in nome del postideologico sono pronti a gettare il cuore oltre le barriere doganali.
Non è chiaro se la Raggi creda davvero che fino a due giorni fa nessun prodotto italiano sia mai stato venduto in Cina o se piuttosto stia spudoratamente raccontando balle agli spettatori.
Giletti assiste impassibile, anzi compiaciuto da sapere che grazie a Di Maio finalmente potremo ad esempio vendere le Ferrari in Cina.
Chissà  come hanno fatto a Maranello a venderle, forse di contrabbando? Eppure perfino lo storico accordo siglato da Di Maio per esportare le arance in Cina — via aereo, perchè in nave lo si poteva già  fare dal 2017 — non è frutto del lavoro del Governo del Cambiamento ma risale a gennaio del 2018 quando la Regione Siciliana aveva concluso l’iter per l’apertura del canale di commercializzazione degli agrumi siciliani in Cina che aveva aperto alla possibilità  di esportare le arance anche per via aerea.
«Noi riprendiamo un percorso storico che ovviamente serviva per gli scambi commerciali e iniziamo a dare una bidirezionalità  a questi scambi», spiega la Raggi lasciando intendere che era dai tempi di Marco Polo che non vendevamo nemmeno uno spillo in Cina, anzi eravamo noi a “subire” l’aggressione commerciale cinese.
Ma la Raggi va avanti come un treno e spiega che «I prodotti della Cina sono già  in Italia, quello che è storico ed è fondamentale è che noi andiamo a conquistare nuovi mercati, noi dobbiamo dare risposte ai produttori».
E cosa dice il governo, secondo la sindaca di Roma, ai produttori? «Questo è un modo con il quale i noi diciamo ai nostri produttori: “abbiamo aperto nuovi mercati“. C’è tutto un mondo, quello dei produttori, che oggettivamente soffre nel momento in cui si chiudono determinate aree di commercio». Qualcuno potrebbe chiedersi, o chiedere alla Raggi, quali nuovi mercati sono stati aperti.
Lei risponderebbe qualcosa “ma la Cina naturalmente”. Ma non è così
Non solo perchè queste benedette arance sulle quali Di Maio ci sta facendo una testa così da novembre dell’anno scorso si potevano già  vendere in Cina ma soprattutto perchè il mercato cinese è già  stato aperto. Da anni.
Sul sito del MISE — il Ministero del Capo Politico del M5S — c’è una interessantissima scheda sull’interscambio commerciale Italia-Cina dalla quale si evince che la Raggi sta mentendo quando dice che finalmente le nostre merci saranno esportante anche in Cina come se questo non sia mai avvenuto prima.
Incredibilmente Pechino non compra ortaggi e frutta ma macchinari speciali, abbigliamento e medicinali.
L’accordo con la Cina per esportare le arance via aereo non ha nulla a che fare con la Belt and Road initiative (la Nuova Via della Seta) in senso stretto visto che si tratta di due corridoi: uno marittimo e uno ferroviario e stradale.
La Raggi però va oltre e spiega che vendere arance in Cina risolverà  il problema dei produttori costretti a lasciare la frutta a marcire sugli alberi perchè non conviene raccoglierla dal momento che il prezzo pagato agli agricoltori è troppo basso.
La soluzione sarebbe quella di esportare quelle stesse arance via aereo (con costi notevolmente superiori) e venderle ad un prezzo molto alto in Cina (perchè oltre ai costi di trasporto ci sono anche quelli doganali).
Tutto per vendere arance in quello che è uno dei principali produttori di arance, addirittura della varietà  siciliana Tarocco. Non siamo ai livelli di vendere il ghiaccio del Monte Bianco agli Eschimesi ma poco ci manca.
La tabella mostra la posizione di Pechino e dell’Italia nella classifica dei principali esportatori mondiali di frutta e ortaggi.
Sempre sul sito del MISE troviamo una scheda che ci fa ben comprendere il peso del mercato asiatico per l’esport italiano di frutta e ortaggi: praticamente nullo.
Il nostro mercato principale è costituito dall’Unione Europea, in particolare dalla Germania, anche grazie agli accordi di libero scambio e alla moneta unica, ma meglio non farlo sapere ai sovranisti.
La Raggi però ha anche un’altra interessante teoria commerciale: noi vendiamo arance in Cina e — sempre grazie al M5S — importiamo da Pechino «turisti danarosi» pronti a spendere e spandere nei negozi di Roma.
Forse è per questo che la sindaca non sta facendo nulla per risolvere i problemi di ATAC e della Metro, i turisti danarosi cinesi usano tutti il Taxi.

(da “NextQuotidiano”)

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REDDITO CITTADINANZA, AVERE FAMIGLIA NON CONVIENE

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

IL PARADOSSO: INCORAGGIA L’ALLONTANAMENTO DA CASA DEI FIGLI SENZA REDDITO E LA PERMANENZA IN CASA DEI BAMBOCCIONI OCCUPATI

Per il reddito di cittadinanza avere famiglia non conviene.
Italia Oggi pubblica una serie di calcoli a cura di Daniele Cirioli che riguardano i rapporti tra familiari ai fini del calcolo della cifra che spetta ai nuclei.
Alla famiglia con genitori e un figlio, in cui soltanto il papà  lavori part-time per 5 mila euro annui, va un Rdc di 9.160 euro annui; separandosi, potrebbero ottenere altri 18.720 euro a titolo di Rdc: una somma ben superiore ai circa 11 mila euro di costi per le due nuove case in cui spostare la residenza. Mandando via di casa solo il fi glio, il guadagno scenderebbe a poco più di 9 mila euro, anche in tal caso superiore ai 5 mila euro di costi per gestire la nuova casa.
Insomma, tenere unita la famiglia non paga: un controsenso in termini, però, se la famiglia può essere considerata ancora (e di sicuro lo è) il primo ammortizzatore sociale, perchè la convenienza è funzione inversa alla condizione di occupazione dei familiari (condizione di cui, peraltro, il Rdc si dice promotore).
Se nella stessa famiglia con genitori e figlio fossero tutti occupati, allora non ci sarebbe alcuna convenienza a separarsi.
La famiglia incasserebbe un Rdc di 3.360 euro annui e, nel caso decidesse di separarsi, la situazione finale risulterebbe peggiore di quella di partenza con un esborso di 840 euro.
Paradossale l’effetto finale: incoraggiare l’allontanamento da casa e l’autonomia dei figli disoccupati; incoraggiare la permanenza in casa ai bamboccioni già  occupati.

(da “NextQuotidiano”)

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SALVINI ESILARANTE: “AD ORA NON CI SONO ELEMENTI PER LA CITTADINANZA A RAMI”

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

CI SAREBBE UN PARENTE CON PICCOLI PRECEDENTI? PARLA CHI HA FATTO ELEGGERE SENATORE UN PREGIUDICATO COME BOSSI , HA DUE CAPOGRUPPI INDAGATI, UN VICEMINISTRO SOTTO PROCESSO E GUIDA UN PARTITO CHE SI E’ FOTTUTO 49 MILIONI

Sulla concessione della cittadinanza a Ramy, “sarebbe sgradevole entrare nel merito e non lo faccio”, ma “stiamo facendo tutti gli approfondimenti del caso, evidentemente non sul ragazzino di 13 anni ma su altri, perchè io la cittadinanza la concedo a chi ha fedina penale pulita”.
Lo ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a margine della presentazione del nuovo libro di Mario Giordano. “Penso che tutti abbiano capito di cosa stia parlando”, ha aggiunto Salvini, facendo riferimento al fatto che la concessione della cittadinanza a Ramy comporterebbe la sua estensione anche al resto della famiglia del giovane egiziano.
Da una prima analisi delle autorità , a quanto si apprende da ambienti investigativi, è emerso che un parente di Ramy ha avuto problemi con la giustizia.
La circostanza starebbe orientando il Viminale ad attribuire la cittadinanza solo al ragazzino e non al resto dei familiari, un percorso che di fatto non avrebbe precedenti (se non quello, che poi non si concretizzò, del bambino inglese Charlie Gard, affetto da una malattia incurabile) ma che difficilmente verrebbe ostacolata.

(da “Huffingtonpost”)

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LA DEPUTATA M5S CHE HA SCOPERTO UNA NUOVA BANCA TEDESCA: LA “BUNCHBANK”

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

L’ON. MARIALUISA FARO STORPIA IL NOME DELLA BANCA CENTRALE TEDESCA

L’onorevole Marialuisa Faro del MoVimento 5 Stelle si è prodotta oggi in una bella performance alla Camera spiegandoci che la “Bunchbank” ha sbagliato le previsioni sulla crescita della Germania (dal 2,3% all’1,5%).
In realtà  la Banca Centrale della Germania si chiama Bundesbank.
La deputata Faro è in buona compagnia negli errori sui nomi tedeschi: l’indimenticabile Alessandro Di Battista ad esempio confuse Austerlitz con Auschwitz in una interrogazione al ministro Minniti.
A differenza di altri, però, su Facebook fu lo stesso Di Battista a riconoscere l’errore: “Andando a braccio, mi è uscito Auschwitz. La gaffe è fatta, scusatemi”
Pochi giorni fa, parlando di Brexit in vista del consiglio europeo del 21 marzo, il deputato del M5s Riccardo Olgiati ha pronunciato in modo errato la parola Westminster, sede del Parlamento inglese e nota meta turistica londinese

(da agenzie)

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RAMI: “CHE AVREBBE DETTO SALVINI SE FOSSIMO MORTI TUTTI?”

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

IL 13ENNE PREMIATO AL CONSOLATO EGIZIANO… MENTRE IN ITALIA UN GOVERNO RIDICOLO NON GLI HA ANCORA CONCESSO LA CITTADINANZA PER TIMORE DI PERDERE I VOTI DEGLI PSICOPATICI RAZZISTI

Continua la sceneggiata del governo sul caso della concessione della cittadinanza ai ragazzini di origine straniera a bordo del bus dirottato
“Stiamo facendo tutti gli approfondimenti del caso — ha detto il ministro degli Interni durante una conferenza in via Bellerio a Milano – ovviamente non su un ragazzino di 13 anni su cui c’è poco da approfondire, ma su altro che riguarda la concessione di cittadinanza”.
A distanza risponde lo stesso Rami Shehata, durante una premiazione all’Ambasciata egiziana: “Dopo tutto quello che è successo volevo vedere cosa avrebbe detto Salvini, se tutti i ragazzi fossero morti? Se tutti adesso lo ringraziano è merito mio. Di Maio – ha concluso – vuole darmi la cittadinanza, io mi fido di lui”.
E a chi lo ha accusato di aver avuto nei confronti di Ramy un atteggiamento da bullo, il titolare del Viminale ha replicato: “Ho la coscienza a posto. Conto di incontrare i protagonisti di questa vicenda senza telecamere”.
Infatti lui visita a favore di telecamere quelli che hanno sparato alle spalle ai ladri in fuga e i pregiudicati ultras.

(da agenzie)

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LA PATACCA DI QUOTA 100: COSTERA’ 33 MILIARDI E SOLO IL 10% DI CHI LASCIA IL LAVORO VERRA’ SOSTITUITO

Marzo 25th, 2019 Riccardo Fucile

L’ANALISI DEGLI ESPERTI RIVELA IL BLUFF, DATI ALLA MANO

Quota 100 è un successo? Per definire se il provvedimento di pensionamento anticipato (può lasciare chi ha almeno 62 anni di età  e 38 di contributi) porterà  dei benefici al sistema in termini di staffetta generazionale, nuove assunzioni al posto di chi lascia l’attività , occorrerà  attendere probabilmente qualche trimestre.
Tuttavia analizzando i dati di flusso delle domande, che non è detto si traducano in altrettante pensioni, possiamo già  fare alcune considerazioni.
Si può stimare un costo totale dell’operazione attorno ai 30-33 miliardi, tra mancato flusso di contributi in entrata nella casse dell’Inps e maggiori spese per le prestazioni anticipate, ipotizzando 300 mila persone che approfittino di quota 100 nel triennio con durate medie dell’anticipo tra i 4,5 anni e un anno e mezzo.
Cifra che tiene conto anche di altre due opportunità  concesse a chi vuole lasciare in anticipo il lavoro come l’opzione donna e la possibilità  di tagliare il traguardo con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne.
Nell’ipotesi che dopo il 2021 quota 100 non venga rinnovata, e che tutto torni, come probabile, alla legge Fornero, gli effetti finanziari (è l’unica buona notizia), si esauriranno nel 2026 quando anche l’ultimo stock di soggetti avrà  raggiunto l’età  anagrafica di 67 anni e qualche mese.
Ma quanti posti nuovi per i giovani potrà  creare questo ingente investimento?
Considerando che il punto di massima espansione dell’occupazione si è verificato nel maggio-giugno 2018 con 23.345.000 occupati per poi ritracciare a fine 2018 a 23.269.000 (76.000 in meno) e, alla luce dei «flussi mensili» di nuove assunzioni e nuove dismissioni di personale che stanno mostrando un segno negativo, le aspettative di un discreto rimpiazzo di neopensionati sono modeste.
Tanto più che siamo in presenza di ciclo economico negativo (l’incremento 2019 del Pil sarà  forse inferiore allo 0,4% e la produzione industriale è in una fase di forte calo e difficilmente migliorerà  nel secondo semestre del 2019).
In questa situazione, come ampiamente accaduto in passato, le aziende cercheranno di liberarsi (anche con forme di pressione e buoni incentivi) di quanti più lavoratori possono, soprattutto tra coloro che sono difficilmente reinseribili nel nuovo ciclo di produzione perchè hanno professionalità  obsolete oppure tra le fasce deboli ( tante assenze per motivi di salute o familiari).
In sostanza le categorie previste dall’Ape sociale che si sarebbero potute «trasferire» a costo zero per lo Stato nei cosiddetti fondi esubero o di solidarietà .
D’altra parte se le aziende si devono «alleggerire» di personale in eccesso rispetto al fabbisogno (cosa che sta succedendo dal Duemila al sistema bancario e assicurativo che ha così «prepensionato» oltre 70 mila lavoratori a costo zero per le finanze pubbliche) è più che giusto che paghino le imprese stesse in modo solidaristico e mutualizzando il costo, attraverso i fondi bilaterali.
Invece con quota 100, l’intero costo che poteva essere posto a carico del sistema produttivo (lavoratori e imprese) sarà  pagato dallo Stato e quindi da tutti noi: un’occasione perduta.
Era difficile fare questa operazione? No. Bastava copiare quello che fece il governo nel Duemila. Risultato? La maggior parte dei circa 53.000 lavoratori dipendenti del settore privato che al 21 marzo hanno presentato domanda per quota 100 daranno luogo a pochissimi posti di lavoro per i giovani,
forse meno di un 10%. Quanto ai 17.200 autonomi, è più facile che una volta andati in pensione, intesteranno l’attività  ai familiari e proseguiranno in «ombra». Molti, soprattutto al Sud, avranno anche diritto all’integrazione al minimo per gli scarsi contributi versati.
Il divieto di cumulo che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto bloccare l’esodo, darà  invece luogo ad un incremento del lavoro irregolare, se consideriamo poi che gran parte delle domande provengono da aree in cui operano piccole e micro imprese industriali, ma soprattutto di servizi e turismo o nell’agro alimentare.
Restano infine i 30.500 dipendenti pubblici che andranno a sguarnire settori vitali come la scuola, la sanità  e anche l’Inps: per questi la palla passa al governo.
Certo che per fare lavorare i giovani, dover pagare lo stipendio doppio (uno al pensionato e uno al neo assunti) non pare un grande affare tenuto altresì conto della grande perdita di professionalità  nel trade-off.
Non era meglio spendere questi soldi per incentivare la nuova occupazione con il super ammortamento del 130% peraltro previsto nel programma della Lega e non trasferito nel famoso «contratto»? Considerando un incentivo medio di circa 17 mila euro, con 30 miliardi si sarebbero potuti finanziare oltre 1,7 milioni di posti di lavoro.
Mentre la decontribuzione totale al Sud denota (come per il governo Renzi) scarsa memoria e poca pratica. Questo sgravio lo abbiamo avuto per 20 anni fino al 1995: non ha portato un posto di lavoro in più. Solo altri costi per le finanze pubbliche e così pure il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e quelli da pensione, enorme produttore di lavoro nero.
Infine, vista la rapidità  nell’arrivo delle domande, è ipotizzabile che per la fine di marzo saranno superate agevolmente le 110 mila richieste di quota 100, le 40 mila anticipate e le 10 mila opzione donna; ciò significa che entro la fine di quest’anno avremo circa 250 mila lavoratori attivi in meno e altrettanti pensionati in più con un pericoloso deterioramento del rapporto attivi/pensionati che calerà  di circa l’1,5% e un aumento del saldo negativo tra entrate contributive e uscite per prestazioni.

Alberto Brambilla
Presidente Centro studi Itinerari previdenziali

(da agenzie)

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