Destra di Popolo.net

UNA SCENEGGIATURA PERFETTA, LO SCONTRO RECITATO SU COPIONE

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

PERCHE’ NELLA REALTA’ NON C’E’ POSSIBILITA’ CHE IL GOVERNO CADA PRIMA DELLE EUROPEE

Adesso assicurano che la crisi non c’è e non ci sarà , dopo il giorno il cui sembrava imminente.
Lo dice Luigi Di Maio, mostrando il volto buono, dopo aver esibito i muscoli in tv, a Consiglio dei ministri in corso: “Stop polemiche, il governo va avanti altri quattro anni”.
Lo dice anche, sia pur con maggiore scetticismo, Matteo Salvini, assai meno schiumante di rabbia rispetto al giorno prima, quando si era precipitato a dichiarare, sempre a Consiglio dei ministri in corso, mentre l’altro lo attaccava in tv sul caso Siri: “Siamo nelle mani di Dio, per quel che mi riguarda continuerò a lavorare per i prossimi quattro anni”.
Il senso di questa storia, se questa storia un senso ce l’ha, è che bisogna abituarsi alla stucchevole sceneggiata di bastonate che diventano ramoscelli d’ulivo, cambi repentini di registro, risse da bar e finte riconciliazioni, insomma, la “sceneggiata” come forma di convivenza (a che prezzo per il paese, ma questo è un altro discorso).
Perchè questo è avvenuto sul “salva-Roma”, nell’era in cui la comunicazione è l’unico Dio e la politica ha divorziato dalla razionalità  (e dalla responsabilità ).
Basta vedere il punto di caduta, un provvedimento vuoto che sarà  discusso dal Parlamento, cioè l’unico compromesso possibile, come era chiaro da giorni, per non creare l’Incidente che avrebbe portato alla crisi di governo.
È per nascondere questa sconfitta, tutta politica, che i Cinque Stelle hanno messo su il teatro comunicativo.
Tra Pasqua e Pasquetta hanno fatto partire lo spin che la Lega avrebbe disertato il cdm, abilmente smontato dagli altrettanto abili comunicatori leghisti, poi hanno orchestrato la trappola.
La ricostruzione, parlando con più di una fonte di governo, è questa: “L’idea di mandare Di Maio da Floris matura la sera prima, per ‘coprire’ il cdm con l’obiettivo di dare titoli su Siri e nascondere la sconfitta del salva-Roma”. Il problema è che Salvini è uno abile. Al primo lancio di agenzia con le parole di Di Maio da Floris si è precipitato a dichiarare, annunciando che la misura era stralciata. E ha costretto Di Maio a ritornare.
Sceneggiata non come copione predefinito, ma come forma, meccanismo, a suo modo “logica” di convivenza, di questa campagna elettorale ma non solo, che alimenta tensione, lascia tracce, ma non produce, come conseguenza razionale l’esito che ti aspetti.
Perchè, in questa storia, fatta di bave alla bocca in favor di telecamera, di spin consegnati ai giornali da maliziosi comunicatori, la crisi di governo è diventata un novello Godot, atteso ed evocato, ma mai prodotto, in un gioco che arriva sempre al limite, ma in cui manca l’atto.
Manca l’azione, quella vera, che innesca il fallo di reazione.
Parliamoci chiaro: se Salvini avesse voluto e cercato e la crisi, ci avrebbe messo un minuto a trovare un incidente reale, dalla Tav in poi, o un pretesto da utilizzare ad arte, come gli consigliano tutti i suoi, ma proprio tutti, da Giorgetti giù pe’ li rami, come Molteni, Centinaio, Fontana Lorenzo e pure Attilio per non parlare di Zaia perchè, questa è la formula ripetuta fino alla sfinimento, “così non si va avanti”.
Però, di volta in volta, ha rinviato il momento del redde rationem. E anche adesso è così, al punto da sembrare isolato nel suo partito. La Lega è la Lega, Salvini è Salvini, e non sono la stessa cosa come logica e orizzonte politico.
Da tempo avrebbe potuto utilizzare come incidente l’autonomia, come suggeriscono i governatori per ricomporre il Nord, ma il suo orizzonte è una Lega che non appaia e non sia un sindacato di territorio.
Da tempo avrebbe potuto drammatizzare sulla Giustizia, come suggerisce Giulia Bongiorno, ma c’è il rischio di apparire il vecchio centrodestra schierato contro i giudici.
Ora in parecchi, dentro il suo partito, prevedono che anche Siri sarà  certo difeso fino all’ultimo, ma non sarà  il pretesto per rompere, perchè significherebbe consegnare a Di Maio un argomento non da poco in campagna elettorale, la questione morale contro la Lega: i 49 milioni, gli indagati…
E parliamoci chiaro, Di Maio la vuole ancor meno, intrappolato nella regola dei due mandati, col consenso in picchiata, senza un disegno che trasformi il fallimento in un nuovo inizio.
Dice un alto in grado della Lega: “La verità  è che i rapporti sono logori, anche dal punto di vista umano, e questo conta a lungo andare, ma al momento non c’è chi si prende la responsabilità  di far cadere il governo, perchè chi lo fa cadere passa dalla parte del torto”.
La vulgata vuole che fino al 26 maggio si andrà  avanti così, in modo scomposto, ansioso ed estemporaneo.
A microfoni spenti, i Cinque Stelle ammettono la difficoltà , perchè neanche questo gioco funziona: “È dura. Dopo un recupero inziale neanche questa strategia di attaccare Salvini funziona, come si è visto con il sondaggio di Mentana”.
Poi, altra vulgata, inevitabilmente ci sarà  chiarezza dal 27 perchè il meccanismo che si è messo in moto, dice la logica, ha una carica oggettivamente distruttiva. Chissà .
Nel frattempo, una finestra elettorale, per votare a inizio luglio, si è di fatto già  chiusa. Per votare a ottobre, invece, cosa che in questo paese non è mai accaduta, c’è tempo fino a inizio di agosto.
Il che non è un dettaglio perchè assicura a Salvini e Di Maio altri due mesi, dopo il voto, per una verifica dei rapporti e per una valutazione attenta sul “come”, e per trasformare la rissa di questi mesi in una ritrovata armonia o in una necessitata convivenza.
È un film già  visto con lo spread che, negli ultimi giorni, per la prima volta è tornato a superare quota 260, senza un vero perchè, forse in attesa della decisione che verrà  presa venerdì sera da Standard&Poor’s sul rating, o forse perchè inizia a registrare il fallimento del governo populista sul terreno dell’economia.
Ma se è vero che, con questi segnali dei mercati, la crescita zero, la tassazione aumentata e gli investimenti in calo, il paese non può permettersi uno stallo di governo, è anche vero che, nella stessa situazione, non può permettersi neanche il voto.
Accadde così anche lo scorso anno, quando si iniziò a ragionare di elezioni sotto l’ombrellone, l’insofferenza dei mercati fu il più forte cemento dei riottosi alleati che ritrovarono, nel nemico comune, la ragione per restare assieme.

(da “Huffingtonpost”)

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LE PANZANE DI DI MAIO SULL’IMMUNITA’ PENALE PER L’EX ILVA

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

IL VICEPREMIER RIESCE NELL’IMPRESA DI ANNUNCIARE L’ABOLIZIONE DI UNA NORMA CHE NON ESISTE PIU’ DAL 30 MARZO

È una Taranto blindata quella che ha accolto la visita del ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, arrivato in città  per fare “il punto” sulla situazione dell’ex-Ilva.
Al termine della riunione del tavolo permanente del Contratto istituzionale di sviluppo dell’area di Tarantoil vicepremier fa sapere che «il grande lavoro che dobbiamo fare adesso è avviare una fase due per l’ex Ilva».
E annuncia che ieri in Consiglio dei Ministri «abbiamo abolito immunità  penale che permetteva ai vertici di Ilva di godere di alcune esimenti legate a reati ambientali».
Nel decreto crescita è stata introdotta una norma che abolisce l’esimente penale «che doveva durare altri quattro anni e mezzo e che invece ad agosto di quest’anno cesserà  di esistere» ha detto Di Maio.
Il vicepremier insomma si è presentato a Taranto con i fatti: «non sono venuto qui nei primi mesi di chiusura dell’accordo perchè volevo venire qui con i fatti. Io farò di tutto per conquistare la fiducia dei tarantini so che è un popolo arrabbiato e ha ragione a esserlo».
A Taranto però si aspettavano azioni di tutt’altro genere, ad esempio nessuno si sarebbe mai aspettato che Di Maio chiudesse l’accordo preparato dal suo predecessore al MISE. Il mandato elettorale era chiaro: chiudere l’Ilva, non venderla ad Arcelor-Mittal.
C’è però un problema.
L’immunità  penale — o più precisamente l’esimente penale — prevista dal decreto “salva Ilva” del 2015 varato dall’allora governo Renzi è scaduta.
L’art. 2 comma 6 del decreto 1/2015,   stabilisce che la durata dell’immunità  non può essere superiore ai 18 mesi successivi all’approvazione del piano ambientale. Il piano ambientale e le modifiche al piano di risanamento sono state approvate con il D.P.C.M. del 29 settembre 2017 che ha confermato la scadenza del piano di risanamento al 23 agosto 2023.
Questo significa che quell’esimente penale che Di Maio ha annunciato sarà  abolita con il decreto crescita in realtà  già  da un mese non è più operativa.
L’esistenza di questa esimente penale — che stabilisce che «le condotte poste in essere in   attuazione del Piano di cui al periodo precedente   non   possono   dare   luogo   a responsabilità  penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario   o   acquirente e   dei   soggetti   da   questi funzionalmente delegati» — è cosa nota da tempo ed oggetto di numerose battaglie condotte dai comitati dei cittadini di Taranto.
Non si capisce come mai il governo Conte non ha deciso di abolirla prima. Avrebbe potuto farlo già  con il Decreto Genova, volendo o con qualsiasi altro decreto.
C’è poi il problema relativo al Decreto Crescita che dopo settimane di contrattazioni è stato approvato solo ieri sera (e deve ancora essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale).
La scadenza del 30 marzo per l’immunità  penale sull’ex-Ilva è del resto stata ribadita nell’ordinanza dell’8 febbraio 2019 con la quale il Gip di Taranto Benedetto Ruberto ha sollevato la questione di legittimità  costituzionale di due disposizioni facenti parte della più ampia normativa c.d. “salva-Ilva”. In particolare il Gip faceva notare lo “scollamento” tra il contenuto del DL 01/2015 e l’interpretazione dell’Avvocatura dello Stato che nell’agosto 2018 (ribadendo quello già  dato nel 2017) ha spiegato ne
parere fornito al MISE che l’esimente penale dura «per tutto l’arco temporale in cui l’aggiudicatario sarà  chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dall’amministrazione […] detto arco temporale risulterà  quindi coincidente con la data di scadenza dell’autorizzazione integrata ambientale in corso di validità  (23.8.2023)». Anche l’Avvocatura però rimetteva ogni valutazione alle eventuali decisioni della Consulta che si deve ancora esprimere.
Secondo il coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli Di Maio oggi «facendo il furbo, ha annunciato che ha abolito una norma la cui efficacia è cessata il 30 marzo scorso e che quindi non esiste più e lo fa solo per mera propaganda pensando che nessuno se ne accorgesse, non dice nulla sugli elevati picchi di diossina a masseria del Carmine e non dice nulla sulla richiesta della regione Puglia di revisione dell’Aia bocciata dal ministero dell’Ambiente». Ma c’è anche un’altra questione: la posizione di Arcelor-Mittal, ovvero dei proprietari dell’acciaieria.
Il 29 marzo scorso Matthieu Jehl, Ad di Arcelor-Mittal Italia, rispondendo ad una domanda sulle eventuali conseguenze della dichiarazione di incostituzionalità  della norma sull’esimente penale ha detto al Corriere della Sera che «Abbiamo deciso di investire in Italia sulla base di norme e di regole concordate con il governo italiano per la risoluzione dei problemi. Chiediamo certezza del diritto come investitori di lungo termine».
Insomma gli acquirenti dell’ex-Ilva vogliono garanzie precise, le stesse che erano state fornite dal governo al momento della stipula dell’accordo (quello firmato da Di Maio).
Sempre all’epoca il Fatto Quotidiano rivelava che secondo fonti del MISE l’intento non era quello di abrogare l’immunità  ma modificare le esimenti per arrivare ad un progressivo superamento dell’immunità . L’annuncio di Di Maio di oggi lascia invece poco spazio alle interpretazioni, anche se appunto bisogna vedere cosa c’è scritto nel testo. E sarà  da vedere quali saranno le reazioni di Arcelor-Mittal che si è impegnata nel piano di risanamento ambientale a ben precise condizioni.

(da “NextQuotidiano”)

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DI MAIO FACCIA A FACCIA CON LA RABBIA DI TARANTO

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

“QUEL 50% NON LO RIVEDRETE PIU’”… E LA MADRE DI UN BAMBINO MORTO DI CANCRO SI RIUFIUTA DI STRINGERGLI LA MANO

“Stiamo facendo la passerella elettorale? Non mi offendo, anch’io lo dicevo ai politici. Ma non si può pensare che il governo possa risolvere in otto mesi tutto quello che state vivendo”.
Luigi Di Maio sembra un pugile suonato dopo quasi tre ore di incontro con le reti di cittadini e ambientalisti di Taranto nella sede della prefettura.
Ma tiene botta: vuole recuperare un filo di interlocuzione con questa città  delusa dal M5s che aveva promesso di chiudere l’Ilva.
E allora, il vicepremier pentastellato, accompagnato dai ministri 5s Sergio Costa, Giulia Grillo, Barbara Lezzi e Alberto Bonisoli, si mette di buzzo buono.
Anche se in quelle tre ore di riunione in prefettura, offerta alla visione di tutti in diretta streaming sulla pagina Facebook di Di Maio, i rappresentanti dei comitati tarantini gli dicono le cose peggiori: sono qui per sfogare la loro rabbia, delusione e promettere il loro ‘mai più fiducia in voi’.
Ed escono dalla riunione insoddisfatti: “Ci ha ridato appuntamento al 24 giugno, ma tanto per allora il governo sarà  caduto”, ci dice a fine riunione Massimo Battista, uno dei due consiglieri comunali che si sono dimessi dal Movimento proprio per la questione Ilva, il mostro dell’acciaio che continua a inquinare con gli altri stabilimenti dell’area industriale vicinissima alla città .
L’incontro sembra un vero e proprio ‘stream of consciousness’, un flusso di coscienza senza freni perchè a questo punto nessuno ha niente da perdere.
Da un lato, i rappresentanti dei comitati che si sentono traditi.
Dall’altro, Di Maio che vede i sondaggi calare e che ora prova il tutto per tutto per recuperare. E’ un incontro vero, per molti ultimativo.
Alessandro Marescotti, professore e presidente dell’associazione ambientalista Peacelink, una vita dedicata a questi temi, contesta Di Maio anche nella conferenza stampa che segue l’incontro con i comitati. “Sta dicendo una bugia! – irrompe mentre il vicepremier parla dell’abolizione dell’immunità  penale per i vertici dell’Ilva sui reati ambientali – Ora abbiamo letto il testo del decreto crescita e non dice questo!”.
Di Maio svicola. “Allora abbia il coraggio di leggere il testo! La norma sull’immunità  non c’è!”.
Di Maio imbarazzato non lo incalza, chiude il discorso.
Ma dopo la conferenza stampa Marescotti è ancora lì a mostrare ai giornalisti l’articolo del dl crescita in questione, non ancora pubblico, “me l’hanno mandato — dice – l’abrogazione dell’immunità  non c’è”.
Con le associazioni la trasferta di Di Maio non è andata bene. C’è chi abbandona la riunione. C
ome Carla Lucarelli, madre del 15enne Giorgio Di Ponzio, tarantino, morto a gennaio scorso per tumore. Se ne va, dopo aver ricordato a Di Maio “quando, a giugno, ricevendo al Mise le varie associazioni, si commosse ascoltando il racconto di Mauro Zaratta che aveva perso alcuni anni prima il figlio Lollo, piccolissimo, a causa di un tumore. Ebbene, da allora che e’ successo? Che sono morti altri bambini, compreso il mio”.
Carla se ne va: si rifiuta anche di stringere la mano a Di Maio. Abbandona la riunione anche Luca Contrario, contrario di nome e di fatto. “Non possiamo essere comparse di una commedia elettorale mal
progettata. Vi lasciamo soli con le vostre bugie. Ecco il nostro documento”, dice il rappresentante di Giustizia per Taranto e se ne va.
Ed è durissimo Michele Riondino, attore protagonista della serie tv ‘Il giovane Montalbano’, tarantino doc, qui in veste di attivista del ‘Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti’, realtà  che da diversi anni organizza il concerto del primo maggio a Taranto, evento musicale e di rivendicazione politica. “Si continua a parlare solo di lavoro e risarcimenti, nel frattempo la fabbrica continua a produrre: scomparsa la parola chiusura”, ci dice a fine riunione, mentre imbocca l’uscita di uno dei maestosi corridoi della sede della prefettura di Taranto.
Dentro, non ha usato mezzi termini: “Io vi ho votato! Ci dicevate che le vostre parole d’ordine erano le nostre. Eppure abbiamo visto sparire dal contratto di governo la chiusura delle fonti inquinanti. Ora dite che volete aprire alle liste civiche di associazioni: le consiglio di non farlo, questa collaborazione ha portato al 50 per cento dei voti a Taranto alle politiche dell’anno scorso, ma non li rivedrete più. Non è iattura la mia, è un dato di fatto, un dato politico. Non credo che questo tavolo possa risolvere la questione, siamo guarda caso sotto elezioni… non siete molto diversi dagli altri”.
E’ il de profundis di un rapporto politico che prima c’era.
Di Maio e gli altri ministri sembrano 5 ‘imputati’ alla sbarra di un processo che i portavoce di tantissime associazioni ambientaliste e per la salute dei cittadini non si sono lasciati scappare.
Aspettavano Di Maio da tempo. Lo aspettava al varco l’ex M5s Battista: “Luigi, ti do del tu, ci conosciamo…”, il tono è volutamente ‘finto amichevole. “Voglio sapere cosa è successo da quell’incontro che abbiamo avuto al Mise nel giugno scorso in cui abbiamo parlato di chiusura dell’Ilva? Ora vieni a Taranto a dire che non hai mai voluto chiudere la fabbrica!”.
Marescotti sbotta con il ministro Grillo: “Dal 2010 al 2017 c’è un aumento di 78 morti in più ogni anno nei tre quartieri più vicini all’area industriale. Chiedo alla ministra: vi siete occupati di questo?”.
Ci sono le pediatre dell’associazione ‘Medici per l’ambiente’, c’è la presidente dell’Isde (International society of doctors for the environment) di Taranto, Mariagrazia Serra, che racconta come stanno mettendo insieme i dati sui tumori dei bimbi che crescono nei quartieri vicini alle industrie.
C’è la dottoressa Annamaria Moschetti dell’Isde di Massafra che parla dei livelli allarmanti di diossina nel latte materno delle donne di Taranto.
C’è l’attivista Monica Altamura, ex portavoce del M5s: “Abbiamo vista strappata la prima stella del Movimento cinquestelle: l’ambiente”. Con lei Di Maio non si trattiene, la interrompe: “Veramente era l’acqua…”. “No — insiste lei — è l’ambienta la cosa che sta più a cuore a Taranto. L’abbiamo invitata da tempo: si presenta solo ora a un mese dalle europee. Meglio tardi che mai, ma vogliamo scadenze”.
Il rappresentante del Wwf di Taranto sentenzia: “Non abbiamo alcuna fiducia nel governo che ha tradito i cittadini: sia chi l’ha votato e sia chi semplicemente tiene alla città . Avete avuto la la possibilità  di fermare le fonti inquinanti e avete scelto di proseguire con la produzione dell’acciaio, senza miglioramenti della produzione…”.
Di Maio aspetta la fine del giro di tavolo per rispondere. Si difende a mani nude.
Dice che “il contratto con gli acquirenti ArcelorMittal l’aveva firmato già  il mio predecessore Calenda, questa è stata la ‘variabile impazzita’, noi l’abbiamo scoperto tra le poltiche e l’insediamento del governo. Se l’avessimo annullato, loro potevano ricorrere al Tar e prendersi l’Ilva con i 3mila licenziamenti. Cioè senza trattativa. Invece la trattativa l’abbiamo fatta e non ci sono stati esuberi…”. Torna sull’immunità , parla di nuove tecnologie per inquinare meno,promette la ‘Vias’, Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario, “la possono fare i ministri Grillo e Costa con atto amministrativo”. Praticamente la promessa di “riconversione” cancella la parola chiusura dell’Ilva, vecchio slogan di campagna elettorale.
Di Maio chiede “scusa” per i tempi lunghi, “il governo ha fatto tutto il possibile nelle peggiori condizioni possibili: possiamo non essere d’accordo e rimarremo in disaccordo ma vi prego rivediamoci il 24”. E se il governo sarà  caduto? Mai, giura lui nonostante il rapporto che sembrerebbe incrinato con Matteo Salvini: “Non vogliamo far cadere il governo, abbiamo tante cose da fare tra cui tornare a Taranto”.

(da “Huffingtonpost”)

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LA STRATEGIA DI ZINGARETTI, BATTAGLIA SU TASSE E VALORI

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

“IL M5S NON RIUSCIRA’ A TENERE LA SCENEGGIATA FINO ALLE EUROPEE, SONO PARTITI TROPPO PRESTO”

Nicola Zingaretti è passato al contrattacco. Negli ultimi giorni il segretario del Pd ha deciso di mettere fine una volta per tutte al gioco tutto interno alla coalizione di governo, di presentarsi insieme come maggioranza e opposizione, come veri e propri “reucci delle sceneggiate”.
Un gioco che Lega e, soprattutto, Cinquestelle secondo Zingaretti non riusciranno a tenere fino al 26 maggio. “Sono partiti troppo presto”, è l’idea che circola al Nazareno.
Per fissare una deadline al cortocircuito comunicativo della maggioranza, il leader dem ha dato il via libera ai suoi gruppi parlamentari per mettere a punto la mozione di sfiducia contro il governo, che è stata presentata al Senato, dove gli equilibri numerici sono più precari.
La discussione, scommettono negli ambienti dem a Palazzo Madama, avverrà  nella prima metà  di maggio, quindi prima delle europee.
Per allora, il voto unitario di M5S e Carroccio ricompatterà  certo la maggioranza, ma dimostrerà  anche — questo è l’obiettivo del Pd — il bluff degli scontri di questi giorni, sul caso Siri e non solo.
Se il sottosegretario dovesse dimettersi prima, allora la mozione verrà  ritirata e i dem potranno intestarsi il risultato, non lasciandolo nelle mani di Di Maio.
La competizione sulla quale scommettono in casa Pd è naturalmente proprio quella con i 5S.
Zingaretti non ha mai nascosto l’obiettivo di recuperare consensi da quella parte e qualche risultato lo ha già  centrato.
Lo segnalano i sondaggi, ma soprattutto lo si può vedere nei territori.
“Il campo largo che siamo riusciti a costruire — ha spiegato il segretario dem ai suoi — ci ha messo nelle condizioni di costruire coalizioni unitarie del centrosinistra praticamente in tutti i comuni che vanno al voto. Questo ha messo in difficoltà  i Cinquestelle, che infatti si presentano solo in una piccola minoranza di città “. Il 7,4%, per la precisione. Questo, nelle speranze dem, finirà  per togliere acqua al loro mulino: “Non esisteranno più le Raggi, i Nogarin, eccetera. Ne risentiranno nelle urne e nella mancanza di ricambi nella classe dirigente”.
Si ricostruisce così dal basso quel bipolarismo che, a livello nazionale, solo una legge elettorale proporzionale continuerà  a ostacolare, lasciando spazio al terzo incomodo grillino. “Ma la vera alternativa a Salvini rimarremo sempre di più solo noi”: su questo puntano al Nazareno.
E allora, mentre la sfida con il M5S si gioca in gran parte sul piano dell’attaccamento alle poltrone, della doppia morale che li porta a essere “giustizialisti con gli avversari e garantisti con se stessi”, contro la destra a traino leghista emerge la rivendicazione di valori fondamentali, come l’antifascismo e l’antimafia. Zingaretti non vuole alzare troppo i toni in proposito, non ne farà  battaglie di piazza che potrebbero apparire strumentali, ma continuerà  a insistere anche nelle prossime settimane sulle “idee gravi e pericolose per il mantenimento della democrazia” del leader del Carroccio.
Nel frattempo, oggi è stato a Castelvetrano, il paese di Matteo Messina Denaro, a sostenere il candidato a sindaco del Pd, già  oggetto di intimidazione da parte delle cosche mafiose, e a denunciare “un uso inquietante della vicinanza con i poteri mafiosi sbandierata con troppa disinvoltura”. Domani, invece, parteciperà  al corte di Milano per il 25 aprile, stigmatizzando l’assenza alle celebrazioni del Ministro
dell’Interno: “È sempre un bruttissimo segnale, ma lo è in particolar modo questo 25 aprile, quando in Europa si affacciano i nazionalismi. Non dimentichiamoci mai che tutto inizia lì”.
Un altro tema su cui l’atto di accusa rivolto a Salvini da parte del segretario dem è solo all’inizio è quello delle accise sui carburanti.
Anche perchè di una cosa Zingaretti e gli altri dem restano convinti: “Quando cadranno, sarà  sull’economia”.
Nel giorno in cui il costo della benzina sfonda il tetto simbolico dei 2 euro sulle autostrade italiane, il leader del Pd ricorda che “uno dei pilastri della destra” era proprio quello della riduzione delle accise e il responsabile comunicazione dem, Marco Miccoli, parla di “Salvini-Tax sugli automobilisti”. L’intenzione è di battere su questo tasto ancora a lungo, così come sui tagli ai servizi sociali e sull’aumento dell’Iva, che scatteranno quasi inevitabilmente con la prossima manovra economica. “Serve una nuova stagione di sviluppo — denuncia Zingaretti — invece è tutto fermo e gli italiani sono bombardati da un diluvio di selfie, sorrisi, battute e fidanzate, e di litigi. Serve una grande battaglia di verità  per un passe che è stato tradito”.

(da “Huffingtonpost”)

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LA RIDICOLA DIFFIDA DELLA GUARDIA COSTIERA ALLA MARE JONIO: “VIETATO SALVARE MIGRANTI”

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

MA C’E’ ANCORA QUALCUNO CHE SI PRESTA AI GIOCHI SPORCHI DEL GOVERNO? … I LEGALI DELLA ONG: “NOI SEGUIAMO LE LEGGI IN VIGORE, FACCIAMO PATTUGLIAMENTO, DIFFIDA IRRICEVIBILE: DI FRONTE A PERSONE CHE ANNEGANO COMMETTEREMMO UN REATO SE NON PRESTASSIMO SOCCORSO”

Diffidata dal proseguire le sue attività  la Mare Jonio. La nave che nei giorni scorsi è stata al centro delle cronache dopo aver portato a Lampedusa 49 migranti soccorsi in mare, è stata ispezionata al porto di Marsala (Trapani).
In azione, venerdì scorso, c’erano i militari della Guardia costiera che sono saliti a bordo dopo un’avaria non meglio precisata a un generatore.
Eseguita la verifica tecnica per la riconvalida della certificazione, il comandante ha ricevuto la diffida dall’eseguire operazioni di salvataggio “in modo stabile e organizzato – spiega la Guardia costiera – fino a quando l’unità  in questione non venga adeguata alla normativa di settore e certificata per il servizio di ‘salvataggio'”.
La decisione è stata presa “anche al fine di non mettere in pericolo le persone assistite e lo stesso equipaggio”. La nave è stata infine sanzionata per alcune irregolarità  di bordo.
“La Mare Jonio non è bloccata – chiarisce Alessandra Sciurba, portavoce della Mediterranea Saving Humans – , c’è una diffida ad effettuare l’attività  Sar. Cosa voglia dire non si sa, c’è una produzione molto creativa di documenti in questo momento. La diffida sarà  comunque visionata dai nostri legali”.
Infatti, conferma, “partiremo a breve per la nostra attività  di monitoraggio e denuncia delle violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo, come abbiamo sempre fatto, perchè questo è l’obiettivo della nostra missione. Di fronte a persone che annegano, non ci vuole una autorizzazione Sar per soccorrerle. Qualunque natante – conclude – è obbligato dal diritto del mare a salvare la vita a persone in pericolo. Regia politica? Non ne ho idea, ma non mi risulta che in precedenza siano arrivate diffide simili ad altre ong».

(da agenzie)

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“LA POLITICA DOVREBBE FARE PULIZIA DI COLORO CHE SONO RAGGIUNTI DA FATTI INQUIETANTI, ANCHE SE NON SONO REATI”

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

LA LEZIONE DI PAOLO BORSELLINO, UOMO DI DESTRA VERA, A CERTI CIALTRONI CONTEMPORANEI CHE NE INFANGANO I VALORI

Il 26 gennaio del 1989, il giudice Paolo Borsellino incontrò gli studenti di Istituto professionale “Remondini” di Bassano del Grappa.
Il giudice, nel suo intervento, affrontò i temi che gli stanno più a cuore: la legalità  e i rapporti fra mafia e politica
Qui sotto la trascrizione del suo intervento:
“Sono emerse dalle nostre indagini tutta una serie di rapporti tra esponenti politici e organizzazioni mafiose che nella requisitoria del Maxiprocesso vennero chiamati “contiguità ”, cioè delle situazioni di vicinanza o di comunanza di interessi che però non rendevano automaticamente il politico responsabile del delitto di associazione mafiosa. Perchè non basta fare la stessa strada per essere una staffetta, la stessa strada si può fare perchè in quel momento si trova — almeno da punto di vista strettamente giuridico — si trova conveniente o fare convergere la propria attenzione sullo stesso interesse. Questo non ci ha consentito dal punto di vista giudiziario di formulare imputazioni sui politici, però stiamo attenti, vi è un accertamento rigoroso di carattere giudiziario che si esterna nella sentenza nel provvedimento del giudice e poi successivamente nella condanna, che non risolve tutta la realtà , la complessa realtà  sociale. Vi sono oltre ai giudizi del giudice, esistono anche i giudizi politici, cioè le conseguenza, che da certi fatti accertati, trae o dovrebbe trarre il mondo politico. Esistono anche i giudizi disciplinari, un burocrate, un alto burocrate, che ad esempio, dell’amministrazione ha commesso dei favoritismi, potrebbe non aver commesso automaticamente, perchè manca qualche elemento del reato, il reato di interesse privato in atto d’Ufficio, ma potrebbe essere sottoposto a procedimento disciplinare perchè non ha agito nell’interesse della buona amministrazione.
Ora l’equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino al mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire beh ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però siccome dall’indagine sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri
poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma erano o rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perchè ci si è nascosti dietro lo “schermo” della sentenza e detto: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perchè non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia e non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al proprio interno di tutti coloro che sono raggiunti, ovunque, da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reato”

(da “il Fatto Quotidiano”)

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BENZINA A OLTRE 2 EURO AL LITRO

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

E IL TAGLIO DELLE ACCISE PROMESSO DA SALVINI E’ UN RICORDO LONTANO

Niente da fare. Il ponte del 25 aprile — con le vacanze di Pasqua alle spalle — ha fatto mettere in viaggio diverse migliaia di italiani che, sulle autostrade del Paese, si sono resi conto del costo benzina in costante aumento.
In diverse aree, infatti, il carburante è arrivato a superare la soglia psicologica dei due euro a litro. Sembrano lontanissimi, insomma, i tempi in cui quello che diventerà  il futuro ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, prometteva il taglio delle accise con la Lega al governo.
L’osservatorio carburanti del Mise segnala tutte le stazioni di servizio dove la benzina è più cara: sull’A1 Milano-Napoli, è il caso dei 2,041 euro al litro segnalati nell’area Lucignano est (Arezzo) al servito; 2,051 euro al litro ad Arno ovest (Firenze); 2,071 a San Pietro (Napoli); 2,020 San Zenone est (Milano).
Il tutto a poco più di un anno da quella che era considerata una delle proposte che fungeva da cavallo di battaglia per Matteo Salvini, ovvero l’abbattimento delle accise sul costo dei carburanti.
Il prezzo medio in Italia, oggi, si aggira intorno alla cifra di 1,618 euro al litro per il fai da te, ma sono diverse le aree del Paese in cui si sfiora e si supera la soglia dei due euro.
Una sorta di limite di non ritorno per gli automobilisti italiani, soprattutto in un periodo di frequenti spostamenti, dove ad attraversare strade e autostrade del Paese sono 9,1 milioni di turisti

(da agenzie)

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“PRIMA GLI AUTOBUS ITALIANI” PROMETTEVA IL M5S A ROMA. E INVECE ARRIVANO I TURCHI

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

QUANDO I GRILLINI PROMETTEVANO AUTOBUS NUOVI E IL RILANCIO DELLE AZIENDE ITALIANE

A Roma gli autobus non passano non solo perchè prendono fuoco, perchè mancano i pezzi di ricambio per farli uscire dalle rimesse o perchè sono israeliani e quindi vanno reimmatricolati.
Gli autobus non passano perchè — nonostante le promesse del MoVimento 5 Stelle — nemmeno quelli nuovi sono ancora arrivati nella Capitale.
Qualcuno si ricorderà , è difficile tenere il conto, di quando l’assessora ai Trasporti, la sindaca e il Presidente della Commissione mobilità  promettevano l’acquisto di centinaia di autobus nuovi di zecca.
Per la precisione dovrebbero essere 227 i nuovi autobus che “presto” arriveranno a Roma.
Lo annunciava Virginia Raggi a novembre 2018 spiegando che grazie al M5S erano state salvate due grandi aziende italiane in difficoltà .
La prima era ATAC, salvata perchè il Comune (e quindi i cittadini di Roma) ha deciso di rinunciare ai crediti   nei confronti dell’azienda. La seconda è l’Industria Italiana Autobus, impresa vincitrice della gara Consip per la fornitura dei 227 nuovi autobus.
Già  ad agosto del 2018 l’assessora Linda Meleo aveva fatto sapere che grazie al bando Consip sarebbero arrivati 227 nuovi bus “il prossimo anno”.
L’annuncio era stato ripreso pure da Enrico Stefà no, presidente della Commissione mobilità , orgoglioso perchè il MoVimento non solo stava risanando ATAC ma anche un’altra importante azienda italiana che stava ripartendo proprio grazie alla commessa di ATAC. Addirittura Stefà no faceva il verso a Salvini con l’hashtag #primaleitaliane (nel senso di aziende). Il miracolo a 5 Stelle si manifestava ancora una volta davanti a tutti su Facebook e Twitter.
La realtà  però è ben diversa.
Perchè quegli autobus — che secondo l’assessora Meleo dovrebbero arrivare entro l’estate, ovvero tra un paio di mesi — non saranno made in Italy.
Perchè proprio nei giorni in cui Stefà no e la Raggi parlavano di risanamento dell’azienda la IIA non aveva ancora firmato il contratto di acquisto e poco dopo, a dicembre 2018, sarebbe stata acquistata dai turchi di Karsan. L’alternativa era il fallimento e la chiusura. E così la grande azienda salvata dal M5S in realtà  ha quasi rischiato di chiudere e a salvarla sono stati i turchi.
Siamo quindi al punto in cui dei 600 nuovi autobus promessi a più riprese dal M5S non se ne è visto nemmeno uno.
Non si sa se arriveranno i 320 nuovi autobus diesel la cui gara è andata deserta,   non è ancora stata aperta la gara per i 248 mezzi ad alimentazione ibrida. E dei 227 “in arrivo”? Al momento quei mezzi non esistono fisicamente. Devono infatti ancora essere costruiti. Al momento l’azienda — nei due stabilimenti italiani — è in grado di produrre circa 25 autobus al mese, con una tempistica di 180 giorni dall’avvio della produzione. Difficile possano arrivare per l’estate.
E non dovrà  costruire solo i 227 per ATAC, la commessa del bando Consip è infatti da 750 autobus (quindi non è proprio solo merito di ATAC il “rilancio” di IIA).
Su Twitter   Stefà no è ancora convito che i 227 bus di IIA arriveranno “da giugno”.   Esattamente quello che diceva Linda Meleo in un’intervista a FanPage a gennaio, dove prometteva che il 2019 sarebbe stato “l’anno della mobilità ”. Una promessa che suona oggi come la famosa “battuta” di Conte sul 2019 “anno bellissimo”.
Ma gli utenti gli fanno appunto notare che al momento gli unici in produzione sono quelli destinati all’azienda dei trasporti di Genova.
E facendo il calcolo dei 180 giorni necessari tra l’avvio della produzione e la consegna stiamo parlando di almeno sei mesi di attesa. A patto naturalmente che la produzione inizi ora.
Ma pure sul “rilancio” e risanamento di un’azienda italiana Stefà no fa retromarcia. Ora non è poi così importante che vengano prodotti in Italia, in Turchia, in Cina o in Australia; l’importante è che “sono bus che fanno km e migliorano il servizio a Roma”. Certo. Però sugli ipotetici bus australiani o cinesi meglio sincerarsi che vengano costruiti e omologati secondo le normative europee.
E che fine ha fatto quell’orgoglioso prima le italiane?

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Costume | Commenta »

IN SALVO I 18 MIGRANTI CURDI ARRIVATI A CAPRAIA SU UNA BARCA A VELA

Aprile 24th, 2019 Riccardo Fucile

BIMBO PARAPLEGICO A BORDO, GARA DI SOLIDARIETA’ PER ASSISTERLI

I 18 migranti curdi iracheni che sono sbarcati ieri pomeriggio sull’isola di Capraia saranno trasferiti sulla terraferma.
Antonio Fentini, sindaco delle Tremiti, ha assicurato di aver “provveduto immediatamente a procurare una carrozzina al bimbo paraplegico”. Il gruppo viene dalla Turchia e sarebbe dovuto arrivare a Crotone.
I migranti curdi iracheni che sono sbarcati ieri pomeriggio sull’isola di Capraia, nell’arcipelago del Foggiano, hanno trascorso una notte serena nella struttura messa a disposizione dal Comune delle Isole Tremiti.
Questa mattina saranno trasferiti sulla terraferma, a bordo di un traghetto, al vicino porto di Termoli. Antonio Fentini, sindaco delle Isole Tremiti, ha assicurato di aver “provveduto immediatamente a procurare una carrozzina al bimbo paraplegico” presente nel gruppo ritrovato sull’isola disabitata.
“I migranti hanno ribadito di essere arrivati in Italia a bordo di una barca a vela e di essere partiti dalla Turchia — ha continuato il sindaco — Per il viaggio i curdi hanno dichiarato di aver pagato 4.000 euro per gli adulti e 1.500 euro per i bambini”.
La nave su cui viaggiava il gruppo è andata fuori rotta, infatti, ha sottolineato Fentini, la loro “intenzione era quella di sbarcare a Crotone, poi a causa del maltempo sono giunti sulle coste tremitesi”.
Il gruppo di migranti, composto da 4 uomini, 5 donne e 9 bambini, è stato ritrovato ieri pomeriggio a Capraia, un isolotto disabitato che fa parte dell’arcipelago delle Isole Tremiti, a largo della Puglia.
Sul posto sono intervenuti fin da subito gli uomini della capitaneria di porto e i carabinieri, per portare i primi soccorsi, accompagnati dal personale dell’amministrazione comunale che ha distribuito cibo e coperte, con particolare attenzione verso i bambini. Tra questi ce ne sono due di pochi mesi e uno con problemi di deambulazione.

(da agenzie)

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