UNA SCENEGGIATURA PERFETTA, LO SCONTRO RECITATO SU COPIONE
PERCHE’ NELLA REALTA’ NON C’E’ POSSIBILITA’ CHE IL GOVERNO CADA PRIMA DELLE EUROPEE
Adesso assicurano che la crisi non c’è e non ci sarà , dopo il giorno il cui sembrava imminente.
Lo dice Luigi Di Maio, mostrando il volto buono, dopo aver esibito i muscoli in tv, a Consiglio dei ministri in corso: “Stop polemiche, il governo va avanti altri quattro anni”.
Lo dice anche, sia pur con maggiore scetticismo, Matteo Salvini, assai meno schiumante di rabbia rispetto al giorno prima, quando si era precipitato a dichiarare, sempre a Consiglio dei ministri in corso, mentre l’altro lo attaccava in tv sul caso Siri: “Siamo nelle mani di Dio, per quel che mi riguarda continuerò a lavorare per i prossimi quattro anni”.
Il senso di questa storia, se questa storia un senso ce l’ha, è che bisogna abituarsi alla stucchevole sceneggiata di bastonate che diventano ramoscelli d’ulivo, cambi repentini di registro, risse da bar e finte riconciliazioni, insomma, la “sceneggiata” come forma di convivenza (a che prezzo per il paese, ma questo è un altro discorso).
Perchè questo è avvenuto sul “salva-Roma”, nell’era in cui la comunicazione è l’unico Dio e la politica ha divorziato dalla razionalità (e dalla responsabilità ).
Basta vedere il punto di caduta, un provvedimento vuoto che sarà discusso dal Parlamento, cioè l’unico compromesso possibile, come era chiaro da giorni, per non creare l’Incidente che avrebbe portato alla crisi di governo.
È per nascondere questa sconfitta, tutta politica, che i Cinque Stelle hanno messo su il teatro comunicativo.
Tra Pasqua e Pasquetta hanno fatto partire lo spin che la Lega avrebbe disertato il cdm, abilmente smontato dagli altrettanto abili comunicatori leghisti, poi hanno orchestrato la trappola.
La ricostruzione, parlando con più di una fonte di governo, è questa: “L’idea di mandare Di Maio da Floris matura la sera prima, per ‘coprire’ il cdm con l’obiettivo di dare titoli su Siri e nascondere la sconfitta del salva-Roma”. Il problema è che Salvini è uno abile. Al primo lancio di agenzia con le parole di Di Maio da Floris si è precipitato a dichiarare, annunciando che la misura era stralciata. E ha costretto Di Maio a ritornare.
Sceneggiata non come copione predefinito, ma come forma, meccanismo, a suo modo “logica” di convivenza, di questa campagna elettorale ma non solo, che alimenta tensione, lascia tracce, ma non produce, come conseguenza razionale l’esito che ti aspetti.
Perchè, in questa storia, fatta di bave alla bocca in favor di telecamera, di spin consegnati ai giornali da maliziosi comunicatori, la crisi di governo è diventata un novello Godot, atteso ed evocato, ma mai prodotto, in un gioco che arriva sempre al limite, ma in cui manca l’atto.
Manca l’azione, quella vera, che innesca il fallo di reazione.
Parliamoci chiaro: se Salvini avesse voluto e cercato e la crisi, ci avrebbe messo un minuto a trovare un incidente reale, dalla Tav in poi, o un pretesto da utilizzare ad arte, come gli consigliano tutti i suoi, ma proprio tutti, da Giorgetti giù pe’ li rami, come Molteni, Centinaio, Fontana Lorenzo e pure Attilio per non parlare di Zaia perchè, questa è la formula ripetuta fino alla sfinimento, “così non si va avanti”.
Però, di volta in volta, ha rinviato il momento del redde rationem. E anche adesso è così, al punto da sembrare isolato nel suo partito. La Lega è la Lega, Salvini è Salvini, e non sono la stessa cosa come logica e orizzonte politico.
Da tempo avrebbe potuto utilizzare come incidente l’autonomia, come suggeriscono i governatori per ricomporre il Nord, ma il suo orizzonte è una Lega che non appaia e non sia un sindacato di territorio.
Da tempo avrebbe potuto drammatizzare sulla Giustizia, come suggerisce Giulia Bongiorno, ma c’è il rischio di apparire il vecchio centrodestra schierato contro i giudici.
Ora in parecchi, dentro il suo partito, prevedono che anche Siri sarà certo difeso fino all’ultimo, ma non sarà il pretesto per rompere, perchè significherebbe consegnare a Di Maio un argomento non da poco in campagna elettorale, la questione morale contro la Lega: i 49 milioni, gli indagati…
E parliamoci chiaro, Di Maio la vuole ancor meno, intrappolato nella regola dei due mandati, col consenso in picchiata, senza un disegno che trasformi il fallimento in un nuovo inizio.
Dice un alto in grado della Lega: “La verità è che i rapporti sono logori, anche dal punto di vista umano, e questo conta a lungo andare, ma al momento non c’è chi si prende la responsabilità di far cadere il governo, perchè chi lo fa cadere passa dalla parte del torto”.
La vulgata vuole che fino al 26 maggio si andrà avanti così, in modo scomposto, ansioso ed estemporaneo.
A microfoni spenti, i Cinque Stelle ammettono la difficoltà , perchè neanche questo gioco funziona: “È dura. Dopo un recupero inziale neanche questa strategia di attaccare Salvini funziona, come si è visto con il sondaggio di Mentana”.
Poi, altra vulgata, inevitabilmente ci sarà chiarezza dal 27 perchè il meccanismo che si è messo in moto, dice la logica, ha una carica oggettivamente distruttiva. Chissà .
Nel frattempo, una finestra elettorale, per votare a inizio luglio, si è di fatto già chiusa. Per votare a ottobre, invece, cosa che in questo paese non è mai accaduta, c’è tempo fino a inizio di agosto.
Il che non è un dettaglio perchè assicura a Salvini e Di Maio altri due mesi, dopo il voto, per una verifica dei rapporti e per una valutazione attenta sul “come”, e per trasformare la rissa di questi mesi in una ritrovata armonia o in una necessitata convivenza.
È un film già visto con lo spread che, negli ultimi giorni, per la prima volta è tornato a superare quota 260, senza un vero perchè, forse in attesa della decisione che verrà presa venerdì sera da Standard&Poor’s sul rating, o forse perchè inizia a registrare il fallimento del governo populista sul terreno dell’economia.
Ma se è vero che, con questi segnali dei mercati, la crescita zero, la tassazione aumentata e gli investimenti in calo, il paese non può permettersi uno stallo di governo, è anche vero che, nella stessa situazione, non può permettersi neanche il voto.
Accadde così anche lo scorso anno, quando si iniziò a ragionare di elezioni sotto l’ombrellone, l’insofferenza dei mercati fu il più forte cemento dei riottosi alleati che ritrovarono, nel nemico comune, la ragione per restare assieme.
(da “Huffingtonpost”)
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