Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
“NON AVEVAMO SCELTA, LO VOLETE CAPIRE?”… “NESSUNO E’ UGUALE A QUELLO DI DIECI ANNI FA, ANCHE NOI SIAMO CAMBIATI”
In serata alla kermesse “Italia a Cinquestelle” a Napoli arriva il colpo di teatro. 
Un Beppe Grillo in veste da Joker spunta nel video che apre l’intervento del fondatore del movimento.
Immagini di Grillo di spalle che, voltandosi, scopre la sua faccia truccata da Joker. “Non vengo altrimenti mi chiedete che piani ho – dice Grillo nel filmato – ma io non ho piani, voi ne avete a centinaia. Pensate a modificare il clima mentre quattro miliardi e mezzo di asiatici stanno moltiplicando i loro consumi di carbone, acciaio, materie prime, suv, ferrovie e gasdotti. Voi andate in bicicletta, avete i piani. Io non vivo nei piani, vivo in questa legge della termodinamica dove si sfascia tutto e tutto deperisce e si trasforma in altre cose. Non faccio piani, sono il caos”.
Al termine del video Beppe Grillo appare in scena accolto dall’ovazione degli spettatori.
“E’ inutile pensare che abbiamo la stessa identità di dieci anni fa, non è così, siamo diversi, diversi dentro”.
Ai suoi dice “basta” con i piagnistei sull’alleanza con il Pd. “Non avevamo scelta, non voglio che rimanete qui a dire sempre Pd, Pd, stavolta vaffanculo a voi”.
(da agenzie)
argomento: Grillo | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
L’INVOLUZIONE DEL POPOLO GRILLINO, DIECI ANNI DOPO… COME NEI VECCHI PARTITI: SI PARLA DI ALLEANZE E POLTRONE
Nella grande fiera della Mostra d’Oltremare non ci sono gazebo sull’acqua pubblica nè sull’Alta velocità Torino-Lione e grandi opere.
A Napoli il Movimento 5 Stelle festeggia i dieci anni dalla nascita senza la spensieratezza e la purezza delle origini.
Non vengono raccolte firme per questa o quella petizione, piuttosto nei capannelli e negli stand si discute di accordi politici. Questo partito, nato per correre sempre da solo, ora confabula attorno alle alleanze.
Nelle aree dedicate alle regioni, senza farsi sentire troppo, fanno capolino più le candidature che i contenuti.Un anno fa l’alleato era la Lega, oggi tutto è cambiato, ma per molti poco importa.
Maria Josue arrivata qui da San Marzano non ha dubbi: “Con il Pd? Al governo con chiunque, anche col diavolo, purchè si facciano le cose”.
Alcune regioni vivono invece uno psicodramma. Come la Calabria, per esempio. O la stessa Campania.
I pionieri umbri si preparano ad andare al voto in alleanza con i dem: “Noi dobbiamo essere decisivi. Dobbiamo essere la museruola del Pd”, si sgola un attivista umbro che presidia lo stand regionale.
Da qui passa Danila Nesci, la deputata che ha deciso autonomamente di candidarsi presidente in Calabria. I grillini umbri provano a dissuaderla, a ragionare su un accordo con il Pd: “Vedi, con noi, il Pd non potrà più fare quello che ha fatto. Pd e Lega sono due facce della stessa medaglia, ma con noi è diverso”.
La deputata al secondo mandato pronta a dimettersi per candidarsi in regione non si lascia convincere: “In Calabria deve andar via Mario Oliverio”.
Un po’ ovunque i discorsi sono di questo tenore, più da politici incalliti che da attivisti del Vaffa day.
Sotto al palco, dove prendono la parola i ministri, ad ascoltare ci sono appena quaranta persone circondate da palloncini gialli che servono a fare coreografia. I tavoli dove si mangia sono invece pieni così come gli stand regionali: “Chi candidiamo alla presidenza?”, è la domanda attorno alla quale ruota molto di questa giornata.
Così camminando in questo grande spazio fieristico, dove — secondo gli organizzatori – a mezzogiorno c’erano già dieci mila persone, emerge la storia del Movimento con i suoi cambiamenti. Non solo perchè c’è un muro con le varie tappe, dalla nascita e il referendum sull’acqua pubblica fino al “Governo per l’Italia”. Foto che già da sole danno l’idea della mutazione.
Davide Casaleggio prova ad arginare questa evidente mutazione e a non trasformare la festa di Italia 5 Stelle in qualcos’altro. “Non mi occupo di alleanze”, precisa ma tra gli attivisti e i parlamentari fa discutere la proposta del segretario del Pd, Nicola Zingaretti, di estendere l’alleanza nazionale, che ha già dato vita a un accordo per le elezioni regionali in Umbria, in una patto nazionale complessivo per le altre scadenze elettorali in vista nel 2020.
Tra gli stand si aggira il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà che prova a smussare: “In questo momento siamo in una coalizione che ci vede al governo del Paese. Stiamo verificando in Umbria il patto civico”.Lo stesso fa Luigi Di Maio accolto da applausi al suo arrivo: “Non sono in questo momento all’ordine del giorno altri patti regionali, nè tantomeno nazionali”.
C’è un po’ di imbarazzo e un pizzico di sofferenza tra gli stand che sfornano pizze con mozzarella di bufala. “L’accordo con il Pd non è piaciuto a nessuno”, ammette Lucia Bonolis arrivata qui da Arezzo: “Ma il meglio c’ha la rogna, il Pd fa schifo. Abbiamo sofferto, ma tocca fare buon viso a cattivo gioco”, dice con una perfetta cadenza toscana.
Roberto Fico, presidente della Camera, percepisce l’aria che tira e non ne fa mistero: “Ogni volta che bisogna fare una trasformazione, necessaria, qualcosa si perde sempre”. Poi sale su una panca, Napoli è casa sua, e acclamato dagli attivisti lancia un urlo di incoraggiamento: “Forza e coraggio. Andiamo avanti”.
Poco più in là c’è il viceministro Vito Crimi che improvvisando una televendita nello stand del merchandising prova a rassicurare attivisti ed elettori. Propone magliette, penne usb, portachiavi e poi arriva il momento dell’ombrello: “Piove governo ladro, si direbbe, ma noi non siamo ladri, quindi l’ombrello non serve, non compratelo”.
I sostenitori grillini accorsi qui ridono e annuiscono, come Ivana e Gerardo: “Non siamo contenti ma in questa fase l’accordo con il Pd era necessario e inevitabile. Sui territorio no, qui in Campania per esempio De Luca non corrisponde al nostro modo di operare”.
C’è poi l’altro capitolo. Quello degli assenti, come le ex ministre Barbara Lezzi e Giulia Grillo. A strigliare ci pensa Max Bugani, da poco capo della segreteria di Virginia Raggi: “Ora ragazzi ammettiamolo ci siamo montati un po’ la testa, tutti vogliono fare i ministri, persone che dieci anni fa avevano paura a candidarsi a sindaco o a consigliere comunale adesso vogliono fare i ministri”.
Un richiamo chiaro alle polemiche che hanno accompagnato questa kermesse.Iniziata all’insegna dell’accordo con il Pd, una metabolizzata da alcuni e temuta da altri. Tanto da far mancare l’aria a qualche militante.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: governo | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
LA FARSA DEGLI ITALIANI CON LA COSCIENZA SPORCA… E’ IL MORALISMO SOVRANISTA CHE VORREBBE UNA GIUSTIZIA CHE OPERI IN BASE A CHI COMMETTE IL REATO E NON SUL REATO
C’è qualcosa di sociologicamente interessante nell’avversione di molti italiani all’inasprimento delle pene
per evasione fiscale, ipotizzando perfino l’arresto come avviene in molti Paesi del mondo.
Gli stessi che punirebbero a sangue qualsiasi reato di qualsiasi persona, gli stessi che invocano la pena di morte o addirittura l’ergastolo a vita per ogni ladro di galline e gli stessi che invocano un continuo decadimento dell’Italia dovuto all’illegalità diffusa, si irrigidiscono tremendamente di fronte al reato di evasione fiscale come se non fosse un furto ancor più grave perchè ai danni di tutta la comunità .
Sono i famosi due pesi e due misure che da sempre rendono goffo il dibattito di questi manettari di giorno e garantisti di notte che si travestono da moralisti quando si tratta di giudicare i reati degli altri e che poi diventano agnelli spaventati se ci si ritrova d fronte alle loro colpe.
In fondo, se ci pensate bene, il problema dell’evasione fiscale è tutto qui: mentre quando si pensa a un omicidio o a una rapina si è portati a credere che siano casi della vita assolutamente improbabili per noi e per la nostra famiglia, nel caso dell’evasione fiscale si ha la netta sensazione che sia un reato in cui si potrebbe incappare (noi o qualcuno di nostra conoscenza) se non addirittura un reato dolce già pianificato.
Questo è il pensiero di fondo di chi sdogana l’evasione fiscale con il banalissimo pensiero di punire ferocemente solo quello che non potrebbe capitargli: parlano di gravità e di pericolosità di un reato non seguendo una scala del danno ma semplicemente con una visione soggettiva delle probabilità che possa capitare anche a loro.
Qui c’è tutta la truffa retorica degli amichetti degli evasori e qui c’è anche tutta la difficoltà politica di prendere seri provvedimenti contro l’evasione fiscale: punire gli evasori è impopolare perchè evadere le tasse è molto popolare.
Semplice, lineare, liscio. Su tasse e imposte l’Italia vive in un precario equilibrio in cui molti hanno trovato la loro personale aliquota (che non è quella stabilita dalla legge) che li tiene in equilibrio in un’evasione misurata che ognuno decide autonomamente.
Quando vi capita di sentire qualcuno dire che “il problema non sono i piccoli evasori” provate a notare come spesso sia la stessa persona che invoca il carcere per un nero che ruba una mela: è il moralismo sovranista che vorrebbe una giustizia che operi in base a chi commette il reato e non sul reato.
(da Globalist)
argomento: Costume | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
L’ULTIMA VENDITA PER 360 MILIONI NEL 2018: MUNIZIONI, SILURI, RAZZI E MISSILI
Le parole non fermano Erdogan. Ma i fatti possono mettere in difficoltà il “Sultano” di Ankara. E un fatto importante è la decisione del governo tedesco ha deciso di interrompere la vendita di armi alla Turchia. L’embargo è stato annunciato dal ministro degli Esteri Heiko Maas alla Bild am Sonntag: “Sullo sfondo dell’offensiva militare turca nel nord-est della Siria, la Germania non rilascerà più alcun nuovo permesso all’esportazione di attrezzature militari che possano essere utilizzate dalla Turchia in Siria”, ha spiegato il capo della diplomazia di Berlino.
Analogo provvedimento era stato già preso da Paesi Bassi, Finlandia, Danimarca e Norvegia.
E l’Italia? Il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio hanno reiteratamente condannato l’invasione curda del nord della Siria, resta il fatto, che proprio il ministero degli Esteri ha autorizzato nel 2018 la vendita di armi alla Turchia per 360 milioni di euro, tra munizioni, bombe, siluri, razzi, missili e altre apparecchiature.
Dai dati della Rete italiana per il Disarmo, ammontano a 890 milioni le forniture a Erdogan dal 2015 a oggi.
“Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro” sottolinea Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo. “Le forze armate turche dispongono di diversi elicotteri T129 di fatto una licenza di coproduzione degli elicotteri italiani di AW129 Mangusta di Augusta Westland”
Peraltro, continuare a fornire armamenti alla Turchia dopo aver sostenuto attivamente l’impegno delle popolazioni curde contro le forze dell’Isis è un evidente paradosso. “Una contraddizione intollerabile”, rimarca Beretta analista sull’export di armi per la RID.
“È giunto il momento che anche il Parlamento faccia sentire la propria voce. Deve chiedere lo stop alle forniture di sistemi militari di produzione italiana fino a che la situazione non sarà chiarita. L’appartenenza della Turchia alla NATO non può costituire un alibi per non affrontare la questione ed assumere le necessarie decisioni”. Proprio il Movimento 5 Stelle, il cui leader siede oggi alla Farnesina, chiede lo stop alla vendita di armi ai turchi. “Nel rispetto della legge 185 del 1990 che vieta la vendita di armi italiane a Paesi in guerra, della Posizione comune europea del 2008 e del Trattato Onu sul commercio di armi sottoscritto dall’Italia nel 2013, se la Turchia non fermerà subito l’invasione, chiediamo l’immediata sospensione delle forniture militari italiane alla Turchia, terzo Paese di destinazione del nostro export bellico”.
Una richiesta che al momento resta inevasa. Sul campo, le forze turche affermano di aver conquistato la città di Ras al-Ain, nel nord-est della Siria, uno dei due ingressi principali dell’offensiva di terra turca, secondo quanto ha riferito il ministero della Difesa di Ankara in un comunicato. “Al termine delle operazioni coronate con successo nell’ambito dell’offensiva ‘Fonte di pace’, la città di Ras al-Ain situata all’est dell’Eufrate è passata sotto il nostro controllo”, si legge nella nota.
Ma le milizie curde hanno subito smentito: “Ras Al-Ain sta ancora resistendo e i combattimenti sono tuttora in corso”, ha detto un funzionario delle forze democratiche siriane a guida curda.
Fonti locali riferiscono che nel nord est è stata presa di mira una prigione dove sono detenuti centinaia di miliziani dell’Isis: un’autobomba è esplosa vicino al carcere centrale di Hasake, capoluogo della regione nord-orientale siriana. Non è chiaro se l’attentato abbia danneggiato il penitenziario dove si trovano centinaia di miliziani jihadisti.
E monta la preoccupazione sui foreign fighter. L’attentato compiuto con un’autobomba nella città di Qamishli è stato rivendicato dall’Isis, secondo cui l’esplosione ha causato decine di vittime. Lo riferisce il Site, sito di monitoraggio del jihadismo online. L’Osservatorio siriano per i diritti umani riferisce che almeno 10 civili sono stati uccisi nei bombardamenti turchi nel nord-est della Siria. E sono almeno 60 i civili uccisi, tra cui 7 donne e sei minori, nelle ultime 72 ore, secondo quanto riferito dalla Mezzaluna Rossa curdo-siriana. In un comunicato diffuso dalla stessa organizzazione di soccorso medico della regione autonoma nord-orientale siriana, si fa l’elenco delle 60 persone uccise tra il 9 e l′11 ottobre nelle regioni a ridosso della frontiera turca.
E mentre prosegue il conflitto, il Pentagono commenta l’attacco messo a segno dalle forze turche, che hanno bombardato “per sbaglio” un’area dove erano presenti soldati Usa. “L’esplosione è avvenuta a poche centinaia di metri da un sito all’esterno della zona del ‘meccanismo di sicurezza’, in un’area in cui i turchi sapevano
della presenza delle forze americane“, ha sottolineato Brook Dewalt, portavoce della Difesa americana, mettendo poi in guardia la Turchia dall’evitare azioni che possano tradursi in una immediata azione di difesa americana.
Il Pentagono ha poi aggiunto di continuare ad essere contrario “all’avanzata militare della Turchia in Siria e soprattutto si oppongono alle operazioni turche al di fuori della zona del ‘meccanismo di sicurezza’”, ha concluso il Pentagono.
A essere colpita è stata una compagnia formata da 50 a 100 uomini. I soldati stavano operando sulla collina di Mashtenour, nella città di Kobane, e sono stati raggiunti da colpi di artiglieria sparati dalle postazioni turche.
Il ministero della Difesa di Ankara ha chiarito che i militari turchi non hanno aperto il fuoco contro le truppe americane e ha precisato che “il fuoco è cessato a seguito della questione che ci è stata segnalata dagli Usa“. Ankara ha confermato un intervento dei suoi soldati in risposta a un attacco contro un suo avamposto militare a sud della città turca di Suruc, precisando che sono 415 i “terroristi neutralizzati” dall’inizio dell’”operazione fonte di pace”. Si tratta, secondo il ministero della Difesa, di miliziani delle Ypg, le Unità di protezione del popolo curdo che Ankara considera al pari dei gruppi terroristici.
Nello stesso attacco, tre civili sono morti nel sudest della Turchia a causa dei colpi di mortaio lanciati dalla Siria: a sparare, sostengono fonti turche, sono stati proprio i miliziani delle Ypg.
A Washington tornano a rivolgersi i combattenti curdi. “I nostri alleati ci avevano garantito la loro protezione”, invece “ci hanno abbandonati con la loro ingiusta decisione di ritirare le loro truppe alla frontiera turca”. Le Forze democratiche siriane, in un comunicato letto davanti ai giornalisti, lanciano un appello agli Stati Uniti, che dopo l’annuncio dell’offensiva militare della Turchia nel nord della Siria hanno deciso di ritirare le proprie truppe e di lasciare campo libero ai militari di Erdogan. I curdi chiedono quindi agli Usa di “assumersi le proprie responsabilità morali” e di “rispettare le promesse” dopo aver accusato Washington di averli abbandonati davanti all’offensiva delle truppe turche. Per sconfiggere i curdi siriani, la Turchia sta usando anche gruppi jihadisti dichiaratamente legati all’organizzazione terroristica al Qaeda per fare la guerra alle forze curde nel Nord-est siriano.
A provarlo è lo stesso gruppo che si fa chiamare Ahrar al Sharqiya che oggi afferma di far parte dell’Esercito Nazionale Siriano (NSA), un’accozzaglia di brigate di ribelli siriani creata da Ankara non più tardi di due mesi. Proprio oggi, Ahrar Al Sharqiya ha annunciato tramite un suo comandante militare citato dal quotidiano al Quds al Arabi, che il suo gruppo è riuscito a prendere il controllo della cittadina al Irtwaziyah (circa 80 chilometri a nord di Raqqa nel nord-est siriano) che si trova sull’autostrada Aleppo-Qamishli, tagliando di fatto la stessa autostrada e i rifornimenti di SDF (forze curde) dalla parte del governatorato al Haska".
Si tratta di un gruppo di ribelli siriani armati originario del Governatorato di Deir Ezzour, di ideologia islamista. Fondato da alcuni fuoriusciti dell'ex filiale siriana di al Qaeda, Fronte Al Nusra tra cui Abu Maria Al Qahtani, il gruppo è stato anche accusato di stretta alleanza con l’Isis. Sul fronte diplomatico, il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha definito l’operazione militare turca nel nord-est della Siria “invasione di uno Stato arabo e una aggressione alla sua sovranità ”. E al termine della riunione d’urgenza convocata al Cairo la Lega Araba ha chiesto alla Turchia di fermare l’aggressione. Anche il ministro degli Esteri iracheno, Mohamed Ali Alhakim, presidente di turno dell’organismo, ha condannato l’offensiva. “Aggraverà le crisi umanitarie, aumenterà la sofferenza del popolo siriano e rafforzerà la capacità dei terroristi di riorganizzarsi i loro resti”, ha detto Alhakim. I ministri degli Esteri dei Paesi della Lega Araba hanno deciso di assumere “misure urgenti per far front all’aggressione turca contro la Siria”, comprese la riduzione delle relazioni diplomatiche, la cessazione della cooperazione militare e la revisione delle relazioni economiche.
E secondo le autorità curde gli sfollati sono più di 191mila, mentre ieri le Nazioni Unite parlavano di circa 100mila persone costrette ad abbandonare le proprie case dall’inizio dell’offensiva. Un esodo tra le bombe.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
TRA LE MILIZIE MOBILITATE DA ERDOGAN ANCHE FUORIUSCITI DI AL QAEDA
La Turchia sta usando gruppi jihadisti per fare la guerra ai curdi.
Ci sono decine di foto scattate dagli stessi miliziani a provarlo. Nell’accozzaglia dell’Esercito siriano nazionale (National Syrian Army, Nsa) filo-Ankara, composto da decine di brigate e battaglioni per un totale – secondo i comandanti dell’Nsa – di 25.000 uomini, c’è anche Ahrar Al Sharqiya: si tratta di un gruppo di ribelli siriani armati originario del Governatorato di Deir ez-Zor, di ideologia nazionalista e islamista, fondato da alcuni fuoriusciti di Al Nusra tra cui Abu Maria Al Qahtani.
Sono stati accusati di aver stretto alleanza con il cosiddetto Stato Islamico, aiutando i terroristi europei a raggiungere da Est le sue roccaforti.
“Sotto l’ombrello dell’Nsa — si legge sul profilo twitter “ArabBaathist” che segue l’avanzata dei ribelli in territorio curdo — Ahrar al-Sharqiya è il primo gruppo a tagliare fuori l’autostrada M4 tra Al Hasakah e Aleppo, una delle maggiori rotte di approvvigionamento per i terroristi”. Terroristi che, nell’ottica dell’operazione Fonte di pace lanciata mercoledì dal presidente turco Erdogan, sono i combattenti delle Unità popolari curde Ypg e Ypj: gli stessi uomini e le stesse donne che si sono opposti per anni all’Isis e che ora si sentono traditi dalla mossa della Casa Bianca di ritirare le truppe americane, lasciando così lo spazio ad Erdogan per l’invasione.
Della presenza di jihadisti, e del rischio di una saldatura con i veterani dello Stato Islamico che ancora si nascondono nei villaggi e nei campi di detenzione della Siria del Nord, aveva parlato a Repubblica Karim Franceschi, il primo italiano a unirsi volontariamente allo Ypg nel 2015 durante l’assedio di Kobane, città simbolo della resistenza contro il terrorismo islamico.
E le immagini che vengono postate in queste ore sui social da Ahar Al Sharqiya sembrano lasciare pochi dubbi sul loro coinvolgimento nel conflitto.
In una foto di gruppo, i miliziani reggono le bandiere della formazione e dell’Esercito siriano nazionale (Nsa).
In un altro scatto mostrano due ostaggi catturati. Secondo le ultime informazioni che arrivano dalla Siria, sarebbero penetrati una trentina di chilometri all’interno del territorio curdo, obbedendo all’ordine del governo di Ankara di creare una zona di sicurezza a ridosso della frontiera siriana.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
RENZI CHIAMA AL VOTO: “DECIDIAMO INSIEME IL SIMBOLO”
Prima chiamata al voto per gli elettori di Italia viva, il partito fondato da Matteo Renzi dopo la scissione dal Partito Democratico.
«Sabato prossimo alle 18 in punto il simbolo di Italia Viva sarà ufficialmente presentato alla Leopolda10 — annuncia Renzi sulla propria pagina di Facebook — Sarà un grande momento di festa. Già , ma quale sarà il simbolo? Facciamo una cosa diversa dagli altri partiti: decidiamo il logo tutti insieme!».
«Qui ci sono le tre proposte che abbiamo selezionato tra le tante arrivate in questi giorni. Per votare basta andare sul sito www.italiaviva.it e scegliere quella che preferite».
«Mi piace l’idea che questa nostra nuova Casa sia un luogo ricco di partecipazione. A cominciare dal simbolo che ci rappresenterà sulla scheda elettorale. In attesa di votare per Italia Viva, avete una settimana per votare il simbolo!», chiosa infine Renzi.
(da agenzie)
argomento: Renzi | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
MIGRANTI INDIANI PAGATI POCHI SPICCIOLI E COSTRETTI A DORMIRE IN BARACCHE… SONO GLI IMMIGRATI CHE PIACCIONO AI SOVRANISTI
Non più solo costretti a lavorare ogni giorno per pochi spiccioli, a dormire in baracche fatiscenti, a
sottostare ai ricatti dei caporali e persino a fumare oppio per sopportare la fatica.
I braccianti agricoli nell’agro pontino sono finiti anche a rompersi la schiena nella raccolta degli ortaggi sotto la minaccia di un fucile.
E se non facevano abbastanza in fretta o provavano a scappare perchè stremati il “padrone” iniziava a sparare.
Terracina come gli Stati americani del Sud nel Settecento. Una storia tremenda quella appena emersa dalle indagini del locale commissariato, culminate ieri sera con l’arresto di un imprenditore agricolo, Alessandro Gargiulo, 35 anni, accusato di sfruttamento del lavoro, minaccia aggravata con l’utilizzo di un fucile a pompa, lesioni personali, detenzione abusiva di munizionamento e omessa denuncia di materie esplodenti.
Titolare di un’azienda, giovane e feroce secondo gli investigatori, l’indagato avrebbe costretto braccianti agricoli di nazionalità indiana a lavorare in condizioni disumane, aiutato da alcuni caporali impegnati nella sorveglianza nei campi.
Un’indagine partita dopo le segnalazioni di cinque lavoratori indiani, che insieme ad altri sarebbero stati minacciati dal datore di lavoro, con tanto di colpi di fucile sparati verso di loro “per spronarli ad accelerare la raccolta e la lavorazione dei prodotti”.
Alcuni avevano deciso anche di mollare, mandando il 35enne su tutte le furie. E all’ennesima defezione, giovedì sera, Gargiulo si sarebbe presentato presso l’alloggio dei braccianti, iniziando a sparare senza fortunatamente colpire nessuno, ma puntando anche a tutti l’arma alla gola. Infine il blitz della Polizia, l’arresto e la denuncia a piede libero di alcuni amici del 35enne che l’avevano aiutato a nascondere il fucile.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
SI SONO SPOSATI DOPO UN ANNO DALLA TRAGEDIA: PRECIPITARONO DAL PONTE, UN ANNO DI CURE, TERAPIE E RIABILITAZIONE E ORA L’ALTARE
Era la promessa che si erano fatti quando riuscirono a scampare alla drammatica tragedia del crollo del ponte Morandi, quella di sposarsi dopo una vita trascorsa insieme.
Eugeniu Babin e Natalya Yelina si sono finalmente sposati a Napoli, con il rito della chiesa ortodossa, come desideravano ormai da un anno, da quando riuscirono a sfuggire alla morte nel crollo del Ponte Morandi di Genova il 14 agosto del 2018, tragedia che causò la morte di 43 persone.
L’auto su cui viaggiavano i due, che si stavano recando in vacanza in Francia, precipitò nel vuoto finendo su un cumulo di macerie. I due non persero mai conoscenza e rimasero lucidi per tutto il tempo fino a quando i vigili del fuoco riuscirono a tirarli fuori da quell’ammasso di lamiere, polvere e calcinacci che era diventata la loro auto.
Eugeniu riportò la rottura del collo e ferite in diverse parti del corpo, Natalya invece si fratturò in più punti la gamba.
Lui parrucchiere, lei estetista, Eugeniu e Natalya, entrambi originari dell’Est Europa, vivono a Santa Maria Capua a Vetere in provincia di Caserta dove gestiscono un salone di bellezza. Hanno un figlio, Bodan, che è arrivato per primo in chiesa nel giorno del matrimonio dei suoi genitori.
“Non riesco a spiegare cosa significhi per me questo giorno — ha detto Bodan a Fanpage.it — credo che la cosa più importante è che i miei genitori siano vivi, siano qui, tra le persone che amano e che vanno avanti”.
I due hanno dovuto affrontare un anno molto travagliato tra interventi chirurgici e una lunghissima riabilitazione. Speravano di potersi sposare già lo scorso autunno a pochi mesi dalla tragedia del ponte Morandi, ma le loro condizioni fisiche non glie lo hanno consentito.
Ora, dopo un lungo percorso riabilitativo e un lungo percorso psicologico di assimilazione di quello che gli è capitato, Eugeniu e Natalya si sono finalmente detti sì davanti a Dio.
Ad attenderli in chiesa i parenti e gli amici di sempre, come Valentina arrivata da Trento per l’occasione: “C’è chi crede al destino e chi in Dio, io credo che la cosa più bella è vivere circondato dall’amore delle persone che ti vogliono bene, questo ti da la forza e ti fa venire voglia di vivere, oggi celebriamo un passaggio”, ha spiegato a Fanpage.it.
I due sono giunti con un ritardo di circa 30 minuti alla celebrazione, tenutasi nel pieno centro di Napoli con il rito della chiesa ortodossa. Dopo la lunga cerimonia, il lancio di riso e petali ha sciolto anche l’emozione e la tensione di una tanto agognata giornata che sembrava non arrivasse mai.
“Ce l’abbiamo fatta — ha detto Eugeniu ai nostri microfoni — è una giornata importante perchè è un passo avanti che ci aiuta psicologicamente e fisicamente. D’altronde dopo quello che ci è capitato, un po di felicità nella vita doveva pur esserci”.
Emozionatissima Natalya, in abito bianco con una rosa disegnata al centro, ha abbracciato tutti all’uscita della chiesa. “E’ un giorno pieno di significati — ha commentato — tanto atteso soprattutto. Dopo la tragedia mi sono avvicinata molto a Dio, lo era anche prima ma dopo quello che è successo ancora di più, oggi finalmente possiamo ascoltare la nostra messa sulle nostre gambe e questo vuol dire che ce la stiamo facendo, stiamo andando avanti, è un giorno bellissimo”.
(da Fanpage)
argomento: radici e valori | Commenta »
Ottobre 12th, 2019 Riccardo Fucile
NESSUN MORSO, LA SORELLA DELL’AGENTE FERITO CASUALMENTE DAL LANCIO DI UN FORNELLINO ATTACCA SALVINI: “USI LE DISGRAZIE DI CHI SERVE LO STATO, SPARISCI, SEI LA VERGOGNA DI CHI LAVORA!!!!”
L’otto ottobre 2019 Matteo Salvini, ospite a Di Martedì condotto da Floris su La7, mostra le foto
dell’orecchio di un agente di polizia penitenziaria che sarebbe stato preso a morsi da un detenuto nordafricano, il tutto durante una puntata in cui si doveva parlare di Savoini e Russia.
Ecco le parole dell’ex ministro dell’Interno:
È l’orecchio di un agente della polizia penitenziaria del carcere di San Gimignano preso a morsi da un detenuto nordafricano oggi pomeriggio.
Le foto sono state pubblicate la stessa sera sui suoi canali social e messi in evidenza, omettendo però le frasi sul morso:
“Scusate per le immagini forti ma è giusto mostrare la realtà . Ennesima aggressione oggi in un carcere contro un poliziotto, questa volta a San Gimignano. Il responsabile di tanta ferocia è un detenuto nordafricano, purtroppo già noto per la sua violenza. Invece di preoccuparsi solo della salute dei detenuti, il ministro Bonafede si occupi anche degli agenti”
Il morso non c’è stato
Salvini si è inventato di sana pianta il morso da parte del detenuto, le notizie riportate sui media raccontano tutt’altra storia. Ecco quanto scritto da Ansa l’otto ottobre 2019 alle ore 21:00, la stessa sera dell’intervento a Di Martedì
“Aggressione nel pomeriggio a un agente penitenziario nel carcere di San Gimignano (Siena), struttura di cui si è parlato di recente per l’inchiesta sui presunti pestaggi ai detenuti e dove da tempo sono denunciate condizioni difficili di vivibilità ”
Sempre su Ansa troviamo la ricostruzione dell’accaduto riportata da Donato Capece, segretario del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe):
“Nel pomeriggio” un recluso “ha aggredito alcuni poliziotti per futili motivi”, scrive in una nota. E’ successo “verso le 16.30-17 quando un detenuto tunisino della sezione media sicurezza ha lanciato dall’interno della sua cella un fornellino del gas che, per caso del tutto fortuito, attraversando lo spioncino del blindo ha colpito a un orecchio l’ispettore della sorveglianza generale”.
essun morso, dunque, ma un danno causato dal lancio di un fornellino del gas all’interno della cella che «per caso del tutto fortuito» ha poi colpito l’agente. Dalle parole dello stesso segretario si potrebbe pensare che non si sia trattato di un’aggressione.
Le proteste sui social contro Salvini
Ci segnalano un post Facebook, pubblicato il 9 ottobre 2019 alle ore 23:50 dall’utente Francesca Miranda, la quale riporta di essere sorella dell’agente ferito. Nel suo commento mostra tutta la rabbia nei confronti di Matteo Salvini accusandolo di usare le disgrazie di chi rischia la propria vita:
“Ancora una volta, questo individuo, si è dimostrato un opportunista di cui l’Italia non ha bisogno. È DI MIO FRATELLO QUELL’ORECCHIO!!!! Non sai neanche di cosa di tratta, ma usi le disgrazie di chi rischia la propria vita, lavorando per lo stato, mentre tu rubi soldi agli italiani. SPARISCI, VERGOGNA DI CHI LAVORA!!!!
Il mese scorso si è parlato di presunti maltrattamenti dei detenuti da parte della polizia penitenziaria del carcere di San Gimignano, accuse che hanno portato a un numero pari di 15 agenti indagati. Ecco quanto riportato da Repubblica Firenze il 22 settembre 2019:
L’indagine, definita dal Dap “complessa e delicata”, ha interessato 15 poliziotti penitenziari in servizio nel carcere di San Gimignano e trae origine dalla denuncia fatta da alcuni detenuti su pestaggi avvenuti all’interno del’istituto toscano. Le accuse formulate dalla Procura di Siena vanno dalle minacce alle lesioni aggravate, al falso ideologico commesso da un pubblico ufficiale, alla tortura.
La presunta vittima dei maltrattamenti sarebbe un cittadino tunisino di 31 anni
“Il ragazzo gridava di dolore, sempre più forte”, racconta un detenuto del carcere di San Gimignano. E un altro: “Lo picchiavano con pugni e calci” e lui era a terra. E ancora: “Una guardia gli ha messo un ginocchio alla gola”, “gli hanno calato i calzoni” e giù botte. Lo trascinano in cella a braccia e lo lasciano lì, privo di sensi: “Penso fosse svenuto”. Il “ragazzo” è un cittadino tunisino di 31 anni, che stava scontando un anno di reclusione.
Si parla anche di telecamere interne al carcere che avrebbero ripreso l’accaduto:
L’11 ottobre 2018 è in isolamento. A metà pomeriggio le guardie penitenziarie vanno a prenderlo per trasferirlo da una cella a un’altra. Si presentano in massa, 15, fatto anomalo. Lui pensa di andare a fare la doccia, ha in mano un asciugamano, le ciabatte ai piedi. Lo trascinano. Il resto lo raccontano parzialmente le immagini delle telecamere interne al carcere (immagini in parte schermate dai corpi degli stessi agenti), lo confessa un detenuto a un’operatrice penitenziaria, poi lo riferiscono nelle lettere che scrivono al tribunale di Siena e a quello di sorveglianza altri cinque che sono detenuti in regime di alta sicurezza, gente condannata per reati gravi, camorristi, trafficanti di droga. Da lì parte un’inchiesta della procura di Siena che ora vede iscritti nel registro degli idagati 15 agenti penitenziari.
Insomma, Salvini ha spacciato un incidente per un’aggressione. Il che, se ci pensate, è come scambiare uno che beve mojito al Papeete per uno statista.
(da Open)
argomento: denuncia | Commenta »