Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile
BUFERA SUL LEGHISTA: 88 MISSIONI SU 133 SONO IMMOTIVATE… PER RITORNARE A CASA IN LOMBARDIA SPESATO DALLO STATO
Che la Lega sia effettivamente pronta a prendere il posto del centrodestra alla guida del paese lo
dimostra la storia raccontata oggi da Corrado Zunino su Repubblica e che riguarda l’ex ministro dell’Istruzione del governo Conte One Marco Bussetti.
In un governo durato fino al 5 settembre scorso, ha concentrato le missioni di lavoro in Lombardia. In maniera sospetta.
Viaggi istituzionali, visite a scuole e laboratori. In tredici mesi le sue missioni sono state 133 (mancano, ancora, le “note spese” di gennaio, agosto e settembre 2019).
Di queste, ottantotto sono state realizzate in Lombardia e settanta a Milano. Perchè un ministro italiano ha scelto di fare i due terzi dei suoi viaggi di lavoro nella regione in cui vive? (Bussetti abita in un condominio di Gallarate, provincia di Varese, appartamento di proprietà dei genitori concesso in usufrutto).
«Dovevo curare le scuole del mio territorio», dice, leghista affezionato all’orto di casa e pronto a lasciare il giovedì l’ufficio per tornarvi il martedì successivo.
Ma la lettura dell’agenda dell’ex ministro, curata dalla sua segreteria, e il confronto fatto da Repubblica con l’elenco delle trasferte e i relativi costi rivelano l’esistenza di un numero ingombrante di missioni fittizie, create ad arte, per le quali il ministero dell’Istruzione – lo Stato, quindi – ha pagato il rimborso
Ottanta missioni di Bussetti delle 133 sono immotivate. Non esistono sull’agenda ufficiale che per sedici mesi ne ha registrato gli spostamenti o sono state fissate in giorni in cui la rubrica elettronica segnava “impegno privato”.
In alcuni casi l’ex responsabile dell’Istruzione non si è presentato all’evento annunciato, ma ha mandato lo stesso a rimborso il biglietto aereo utilizzato per rientrare a Linate o a Malpensa.
Con questa voce – “missioni non giustificate” – abbiamo contato 54 trasferte. In diversi giorni, poi, l’occasione prevista appare gracile sul piano istituzionale, somiglia piuttosto a una scusa per poter tornare a casa spesato dallo Stato.
Nove viaggi sono costruiti in questo modo. Grazie al gioco dei “finti incarichi”, l’ex ministro Bussetti per 25 volte ha messo in nota spese gli spostamenti – quasi sempre in aereo, sempre Alitalia – che all’inizio della settimana l’hanno portato a Roma, per il lavoro alla scrivania di viale Trastevere 76/A.
Interrogato sui singoli episodi, Marco Bussetti dice: «Non ricordo, dovrei rivedere tutte le carte», sostiene, «forse l’agenda è stata gestita male dalla segreteria».
L’ex capo della segreteria, Biagio Del Prete, viceprefetto aggiunto, assicura: «L’abbiamo aggiornata minuziosamente, non possiamo sapere se poi il ministro ha partecipato agli incontri».
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile
CAVALLARI E’ IL SECONDO CONSIGLIERE CHE ADERISCE AL PARTITO DI RENZI IN LAZIO
Da un Matteo all’altro. Dopo Marietta Tidei un altro consigliere regionale del Lazio è pronto a saltare sul carro di Italia Viva.
Si tratta di Enrico Cavallari e la cosa curiosa è la sua provenienza: arriva dalla Lega. Racconta oggi Il Messaggero:
In sintesi: Matteo Renzi entra nel consiglio regionale del Lazio e lo fa diventando determinante perchè Zingaretti, come è noto, è un’anatra zoppa, ha vinto senza avere dalle urne la maggioranza dei consiglieri.
Anche Italia Viva, quindi Marietta Tidei, è decisiva. Non solo. In queste ore uscirà allo scoperto il secondo consigliere regionale, Enrico Cavallari, protagonista del passaggio da un Matteo all’altro, da Salvini a Renzi.
In sintesi: Cavallari era stato eletto in consiglio regionale con la Lega, è passato al gruppo misto, ha siglato il «patto d’aula» che di fatto ha dato a Zingaretti quel voto che gli mancava, di recente ha annunciato il suo approdo in maggioranza.
E ora, salvo ripensamenti, dovrebbe aderire a Italia Viva. Per formare il gruppo, in realtà , servono tre consiglieri, ma la voce che la terza potrebbe essere la forzista Laura Cartaginese, per ora è smentita. «Io mi auguro che anche altri consiglieri decidano di venire in Italia Viva. Ma noi siamo in maggioranza, l’ho spiegato a Zingaretti. È scorretto affermare che sarà indebolito da questa operazione», assicura la Tidei.
In realtà Cavallari votava per la maggioranza in Regione già da prima ma il 27 si vota l’ennesima sfiducia a Zingaretti.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile
“LE PERSONE HANNO PAURA DI UN FUTURO PEGGIORE DEL PRESENTE”
Il terreno dello scontro è al di qua del Palazzo e della Piazza: “Il sovranismo si combatte nella psiche
delle persone, prima ancora che nella politica. Perchè è lì che si è insediato: nella testa e nel cuore degli individui. Sarebbe troppo facile credere che le sue fiamme brucino per colpa di capi demagogici che salgono sul palco con una tanica di benzina in una mano e un cerino nell’altra, pronti ad appiccare il fuoco. Al contrario, l’incendio si è scatenato partendo dal materiale infiammabile che la crisi ha depositato dentro di noi”.
Direttore generale del Censis, Massimo Valerii scrive da anni il rapporto sulla situazione sociale del paese, dopo aver auscultato i movimenti dell’anima collettiva degli italiani, quantificando la rabbia, il desiderio, la frustrazione, i sogni, le speranze, le angosce: “La crisi non è stata solo di tipo materiale, ma ha intaccato in profondità il modo di percepire il futuro. La deflazione ha colpito soprattutto le aspettative delle persone. Nessuno nutre più speranze. Pochi si proiettano positivamente nel domani. Qualsiasi slancio è corroso dall’incertezza”.
Nel suo libro, La notte di un’epoca (Ponte alle Grazie) — un saggio che racconta (con i numeri) le passioni tristi del nostro tempo, andando però di molto oltre il dibattito sugli zero virgola — utilizza una meravigliosa immagine di Ernst Bloch per disegnare ciò che l’Italia dovrebbe fare per uscire dal rancore in cui si è ripiegata.
Ovvero: “Ritrovare ‘l’estasi del camminare eretti’. Cioè, l’aspirazione a innalzarsi, concretizzando il desiderio di una vita migliore e più degna”. È il movimento tipico di ogni sollevazione: ci si alza in piedi per scrollarsi di dosso il peso di una oppressione, oppure di un sopruso, per poter tornare a respirare liberamente, partendo sempre da due parole: “Ora basta”.
Ma non è ciò che hanno fatto i movimenti populisti, Direttore?
No, i movimenti populisti sono una conseguenza della crisi, non sono una risposta. Poichè non propongono un progetto di riscatto, ma politicizzano un sentimento divenuto dominante: l’insicurezza.
Perchè funziona, però?
Perchè il naufragio delle grandi narrazioni post ideologiche — l’ideale europeo, la globalizzazione, la rete — non è ancora stato superato da un altro progetto. E in assenza di una cornice ideale dentro la quale costruire la propria identità , vince l’incertezza e la paura. Ecco perchè il paradigma securitario si è affermato.
Non è vero che siamo un paese insicuro?
Statisticamente, questa è l’Italia più sicura di sempre. Il numero degli omicidi è quattro volte inferiore a quello di trent’anni fa. Eppure, è innegabile che ci sia una domanda radicale di sicurezza.
Cosa ci vorrebbe per affrontarla?
Accanto alla dimensione materiale, c’è un aspetto altrettanto decisivo, sebbene assai più trascurato, della crisi: è il suo carattere immateriale. Il problema è che le persone hanno smesso di sperare. Non immaginano un futuro migliore del presente. Non coltivano sogni. Non rischiano. Non si spingono oltre il limite.
Non è un effetto della fragilità economica, questo?
No, i dati dicono che — a dispetto della retorica delle famiglie che non arrivano alla fine del mese —, nei dieci anni successivi all’inizio della crisi del 2007, gli italiani hanno accumulato una liquidità aggiuntiva di 182 miliardi, un valore che corrisponde all’intero Pil di una paese europeo come la Grecia. Si tratta di grande quantità di risparmio, cioè di soldi che gli italiani non hanno nè investito, nè speso.
Perchè non lo hanno fatto?
Per un motivo molto semplice: hanno avuto paura che il futuro sarebbe stato peggiore del presente. Per questo, è necessario recuperare la speranza, la forza di sognare a occhi aperti, perchè sono i sogni che si fanno di giorno quelli che ti danno il coraggio di andare oltre, di rischiare.
Dunque, è falso dire che l’Italia si è impoverita?
No, come succede sempre nelle fasi di crisi economiche, un certo numero di persone è scivolato sotto la soglia di povertà . Ma non si tratta di livelli di massa. In realtà , il portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie si è gonfiato fino a un ammontare complessivo superiore a 4.200 miliardi di euro (cioè due volte e mezza il valore del Pil).
L’Italia quindi è in forma?
Ma certo che ci sono dei problemi. Per esempio, c’è un sistema di welfare in evidente crisi; ci sono delle previsioni demografiche che dicono che nel 2050 il numero degli italiani diminuirà di quattro milioni e mezzo di persone, con tutto ciò che questo comporta in termini economici, politici e di peso dell’Italia nel mondo globale.
Non sono questi i problemi di cui si occupano i sovranisti?
Sì, ma senza avere una soluzione. L’idea di proteggere il proprio stato istituendo nuovi dazi è una reazione alla crisi della globalizzazione, che, negli anni novanta, abbiamo creduto avrebbe esteso il benessere in tutto il mondo.
Invece?
La globalizzazione ha diminuito le diseguaglianze tra gli stati, ma ha aumentato le diseguaglianze dentro gli stati. È un modello che ha bisogno di essere corretto. Ma buttare l’acqua sporca insieme al bambino è molto pericoloso. Per comprenderlo, basta considerare i dati della la congiuntura negativa che stiamo affrontando, che è figlia della diminuzione degli investimenti esteri e della riduzione dell’interscambio mondiale.
In Italia, però, i sovranisti sono stati spinti all’opposizione dal Pd e dai 5 stelle.
Sarebbe un errore pensare che quella che è stata un’operazione parlamentare, seppure legittima, sia il riflesso di una nuovo clima sociale nel paese.
È ancora Salvini il capitano dell’Italia?
Questo potranno dirlo sole le urne. Ma, di certo, il rancore che ha alimentato il voto di protesta sovranista non è stato sradicato dal corpo sociale. E fino a quando non verranno meno le ragioni profonde che lo hanno nutrito, il rancore continuerà a scuotere la vita pubblica italiana.
Come lo si può disinnescare?
Individuando una nuova grande narrazione e disegnando un altro modello di sviluppo.
E nessuno sta andando in questa direzione?
Al momento, la politica ha rinunciato anche allo storytelling. Si muove nell’orizzonte del giorno per giorno. “I potenti — ha scritto la politologa americana Wendy Brown — non hanno più le sembianze dei sovrani ma quelle di soggetti di conversazione”.
Che significa?
Che il potere reale si è spostato sempre di più fuori dai confini nazionali. È senza volto. Mentre i volti dei politici nazionali sono sempre più impotenti. Appaiono in continuazione, ma contano sempre meno. E più diminuisce il loro potere, più sono costretti a migliorare le loro performance nel ‘teatro della sovranità perduta’, che sono i media
(da”Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile
LE URNE SI CHIUDONO ALLE 23, POI LO SPOGLIO
Controtendenza, cresce la partecipazione alle regionali in Umbria. Aumenta nettamente, di oltre quattro punti, l’affluenza al voto rispetto alla precedente consultazione: alle 12 hanno infatti votato il 19,55% degli aventi diritto contro il 15,39% del 2015.
Lo ha reso noto il ministero dell’Interno in base ai dati dei 92 comuni. La percentuale è del 19,68 in provincia di Perugia (era 15,65%) e del 19,19 (era 14,64%) in quella di Terni.
La candidata di centrodestra alla presidenza della Regione Umbria Donatella Tesei ha votato intorno alle 11 nella scuola media di Montefalco (Perugia). A quanto si apprende, Tesei passerà questa giornata di elezioni e di attesa per i risultati delle urne a casa con la famiglia, i due figli e il nipotino.
“Buon voto!” scrive su Fb Vincenzo Bianconi, che questa mattina si è recato al seggio 1 di Norcia in bicicletta per votare alle regionali. Il candidato civico di Pd e Movimento 5 Stelle ha postato alcune foto sul social network che lo ritraggono sorridente mentre arriva al seggio alla guida della sua bici.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile
LA STORIA DEL JIHADISMO NON FINIRA’ CON LA SUA MORTE
Da tempo era uscito dai “radar” mediatici. Di lui si erano perse le tracce. Il “Califfo” è morto tante
volte e sembrava svanito nel nulla, come nel nulla era finito il “suo” Stato islamico di Siraq. Come era avvenuto con Osama bin Laden, diventato sul finire della sua vita un’icona piuttosto che un capo operativo di al-Qaeda, così per ciò che è rimasto, e non è poco, di Daesh era diventato Abu Bakr al-Baghdadi: una voce, più che un comandante operativo. Una icona in vita. Fino a oggi.
Fonti del Pentagono, che trovano sponde presso fonti di Siria, Iraq e Iran, il “Califfo” è morto nel corso di un raid Usa nel Nord della Siria. Al-Baghdadi si sarebbe fatto esplodere per evitare la cattura. Le verifiche sono ancora in corso, a partire dall’esame del dna, decisivo per l’identificazione.
Social media e siti internet legati all’Isis non confermano ma esortano i seguaci in tutto il mondo a “continuare la jihad anche se la notizia fosse vera” definendo già il loro leader come “martire della guerra santa”.
Nel corso degli anni ci sono state molte rivendicazioni sulla morte del capo dell’Isis che però sono sempre state smentite. Ad aprile era ricomparso in un video per la prima volta dal luglio 2014, quando fu ripreso mentre parlava alla moschea di Mosul. Nel febbraio del 2018 diverse fonti Usa riportarono che il leader dell’Isis era rimasto ferito nel corso di un bombardamento aereo del maggio del 2017 e, a causa delle ferite, dovette lasciare la guida dell’Isis per almeno cinque mesi.
Ma quella guida, di fatto, il “Califfo” l’aveva dovuta lasciare da tempo. Il tempo nel quale si consumavano le sconfitte sul campo di battaglia a Raqqa, l’autoproclamata capitale dello Stato islamico, a Mosul, la città irachena da dove tutto ebbe inizio, a Kobane… Il tempo nel quale nasce l’Isis 2.0.
Quarantotto anni, Ibrahim Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarri nasce a Samarra, in Iraq in una famiglia della classe media sunnita. Laureato a Baghdad nel 1996 in Studi Islamici, fu arrestato nel febbraio 2004 dalle forze di occupazione Usa che lo rilasciarono dopo 10 mesi, ritenendolo non pericoloso.
Dopo il rilascio, entrò in contatto con al Qaeda. Nel 2010 divenne leader dell’Isis in Iraq, organizzazione che nel 2013 si diffuse nell’intero Medio Oriente. Una volta libero si avvicina ad al-Qaeda in Iraq, che diventa “Stato islamico dell’Iraq”.
Alla morte del capo Abu Omar al-Baghdadi, il 18 aprile del 2010, i vertici del gruppo nominano leader proprio Awwad che prende il nome di Abu Bakr. Un mese dopo, il 16 maggio, annuncia l’alleanza con al Qaeda, guidata da Ayman al Zawahiri. Ma poco dopo comincia a sfidare l’autorità del medico egiziano, successore di Bin Laden (ucciso nel 2011).
Con l’inasprirsi della guerra siriana nel 2013 e con il ritiro di gran parte delle truppe governative di Damasco dal nord e dall’est della Siria, gli uomini di al al Baghdadi risalgono facilmente l’Eufrate e prendono Raqqa senza colpo ferire, proprio come è successo poi con Mosul, la seconda città dell’Iraq, caduta nel giugno 2014.
Forte di successi militari ancora inspiegabili contro eserciti descritti come i più potenti della regione, il credito di al Baghdadi che ha ormai rotto con al- Qaeda – e su cui gli Usa hanno intanto messo una taglia di 25 milioni di dollari m- conquista i cuori di migliaia di giovani disadattati di mezzo mondo i
cerca di una ragione per vivere e morire. Si nasconde da cinque anni. Anni in cui ha diffuso video con i suoi sermoni, compreso quello nel quale annunciava che il Califfato avrebbe “presto conquistato Roma”. In aprile è stato pubblicato un video dell’ala mediatica dell’Isis al-Furqan che mostrava un uomo che si spacciava per Baghdadi.
Era la prima volta che Baghdadi veniva visto dal luglio 2014, quando aveva parlato nella Grande Moschea di Mosul. Il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea al-Nuri. Nel sermone al Baghdadi ordinava ai fedeli musulmani riuniti di obbedirgli e si autoproclamava “Califfo” di un territorio che si estendeva dalla Siria all’Iraq, ovvero dalla provincia di Aleppo fino a quella di Diyala.
L’Isis 2.0 si decentra, affidandosi a lupi solitari, foreign fighter di ritorno e a nuovi indottrinati. Quanti operano, con diverse funzioni e gradi di responsabilità , nel contrasto al radicalismo islamico armato, condividono una preoccupazione: l’abbassamento della guardia da parte dell’opinione pubblica, come se, dopo le sconfitte subite in Siria e Iraq, lo Stato islamico sia una forza residuale, allo sbaraglio. Niente di più erroneo.
“Dobbiamo essere consapevoli che la storia del jihadismo — dice ad HuffPost Nabil El Fattah, già direttore del Centro di Studi strategici di Al- Ahram del Cairo, tra i più autorevoli studiosi arabi dell’Islam radicale armato – non finirà con al-Baghdadi così come non è finita con l’eliminazione di bin Laden. C’è un malessere profondo che investe il mondo islamico e che va anche al di là dei pur ampi confini del Grande Medio Oriente. Un malessere sociale ma anche identitario che riguarda soprattutto i giovani. D’altro canto — aggiunge El Fattah- sul piano strettamente operativo, al-Baghdadi non aveva mai presieduto alla definizione dell’azione militare di Daesh, compito che spettava agli ufficiali sunniti del disciolto esercito di Saddam Hussein, che il ‘Califfo’ aveva conosciuto durante la sua prigionia in Iraq”.
Raqqa, Mosul, Sirte, Fallujia non erano più difendibili: troppo possente la potenza di fuoco messa in atto dalle coalizioni, quella a guida americana e quella russa, per poter reggere da parte dei miliziani del Daesh. Meglio ripiegare nelle aree desertiche, come quella al confine tra Libia e Tunisia, e da lì riorganizzare le forze e coordinare gli attacchi all’Europa. E in Europa a scatenarsi non sono più solo i “lupi solidari”.
Perchè i “lupi jihadisti” agiscono sempre più in branco, si strutturano in cellule compartimentalizzate, acquisiscono elementi fondamentali per colpire attraverso la rete di siti on line legati all’integralismo islamico armato. A organizzazione decentrata, catene di comando autonome, che entrano in azione senza dover dipendere da una “cupola” o da un capo supremo. Sul piano operativo e della catena di comando, la divisione che si occupa degli attentati all’estero è una branca distinta all’interno dell’organigramma dello Stato islamico: recluta, addestra, fornisce i soldi e organizza la consegna delle armi ai combattenti del gruppo che sono pronti a compiere degli attentati. La divisione non si occupa solo degli attentati in ma anche in altri Paesi dove ci sono località turistiche frequentate dagli occidentali, per esempio la Turchia, l’Egitto e la Tunisia.
L’Isis diventa così un “marchio di fabbrica” che amplifica mediaticamente le azioni condotte dalle varie branche affiliate. Di questo “marchio” Abu Bakr al-Baghdadi era diventato la voce. Una voce che, forse, si è spenta per sempre. Trump esulta e ora può sostenere, anzitutto all’opinione pubblica interna, che la guerra all’Isis è definitivamente vinta. Uno spot elettorale. Perchè chi, anche in America, si occupa di monitorare i cambiamenti in essere dello Stato islamico, sa bene che i tentacoli dell
“piovra” jihadista sono ancora tanti e pericolosi. Non avevano più bisogno di un Capo ma di un Martire da celebrare e vendicare. Abu Bakr al-Baghdadi può far paura anche da morto
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2019 Riccardo Fucile
SAREBBE STATO DECISIVO L’AIUTO DEI CURDI
A poche ore dall’annuncio dell’uccisione del leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, il comandante in capo delle Forze democratiche siriane (Fds), composte anche di milizie curde, Mazloum Abdi, ha pubblicato un tweet i cui parlava di «un’operazione storica di successo» che era stata «portata a termine a seguito del lavoro congiunto di intelligence con gli Stati Uniti».
Pochi minuti dopo Mustafa Bali, il capo ufficio stampa delle SDF ha aggiunto ulteriori dettagli: «L’operazione di successo e efficace portata avanti dalle nostre forze è l’ennesima prova delle capacità anti-terroristiche di SDF.
I messaggi sono arrivati dopo che diverse fonti hanno confermato che un villaggio nella zona di Barisha a Idlib, nel nord della Siria, è stato bombardato per un’ora e mezza da elicotteri, seguito dalla diffusione della notizia della presenza di al-Baghdadi.
Nè Abdi nè Bali hanno confermato direttamente il coinvolgimento di Fds nell’uccisione di al-Baghdadi, ma i loro tweet potrebbero essere una conferma non-ufficiale del loro coinvolgimento.o a lavorare con i nostri partner nella coalizione globale che combatte contro il terrorismo dell’Isis».
Secondo un alto funzionario del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, intervistato dall’emittente statunitense in lingua araba al Hurra, sarebbero stati i militari del corpo èlite americano dei Navy Seal ad aver portato a segno l’operazione contro al-Baghdadi nella Siria nordoccidentale.
Parlando in anonimato, lo stesso funzionario ha attribuito ai servizi segreti americani il merito di aver confermato la posizione dell’ex leader dell’Isis. Citando fonti della Difesa, il media americano CNN aveva parlato di un coinvolgimento della CIA (Central Intelligence Agency) nell’operazione.
Dopo il primo video che mostrerebbe il risultato del raid ai danni di al-Baghdadi nella provincia nord-occidentale di Idlib, spunta un secondo filmato dei resti di una macchina andata in fiamme nelle vicinanze della presunta tana di al-Baghdadi, un’altra possibile prova del bombardamento effettuato dalle forze americane.
(da agenzie)
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