Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
I CASI MISIANO, CARUSO E NICOLO’… IL TESORIERE MAIETTA, PASSARIELLO
«Gli elettori ripagano la nostra coerenza e danno il benservito a chi li ha traditi. Fratelli d’Italia
sempre più in alto!». Giorgia Meloni ha ragione di festeggiare dopo il risultato delle elezioni regionali in Umbria dove il suo partito supera per la prima volta il 10%. Fratelli d’Italia è l’unico partito che è cresciuto sia in percentuale che in voti assoluti ed è il terzo partito in Umbria dopo la Lega e il Partito Democratico.
«La gente vuole coerenza, la gente vuole serietà , la gente vuole concretezza» ha detto ieri la Meloni in conferenza stampa.
I consiglieri di Fratelli d’Italia indagati per ‘Ndrangheta
La leader di FdI rivendica di essere il motore della crescita del centrodestra e di essere l’unico partito di non essere sceso a patti con la Lega o il PD (certo, poco prima di fondare Fratelli d’Italia la Meloni votò la fiducia a Monti ma è acqua passata).
Ma mentre Fratelli d’Italia tenta di passare per l’unico partito coerente e “serio” dell’arco costituzionale, quello che è lontano anni luce da scandali, scivoloni mediatici e inchieste giudiziarie la realtà dei fatti è diversa.
Il caso più eclatante è quello di Enzo Misiano, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Ferno (Varese) che a luglio scorso è stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito dell’inchiesta Krimisa sulle infiltrazioni della ‘Ndrangheta in Lombardia.
Ma Misiano non è stato certo l’unico esponente di FdI arrestato per presunti legami con la ‘Ndranghera.
Prima di lui c’era stato il presidente del Consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso che secondo gli inquirenti faceva parte dell’organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e che aveva ai vertici soggetti considerati di primo piano come Salvatore Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri.
Dopo l’arresto Caruso è stato espulso dal partito senza troppi complimenti. La coerenza prima di tutto.
Ad agosto di quest’anno invece era stato il turno di Alessandro Nicolò capogruppo di Fratelli d’Italia alla regione Calabria fortemente voluto dalla Meloni e accusato di collusione con la cosca “Libri”.
Tutti quelli di FdI finiti nei guai in questi anni
Se si guarda alla cronaca giudiziaria il — fino ad ora — piccolo partito della Meloni non sembra essere poi così diverso dagli altri, nè sembra essere particolarmente coerente (in fondo la Meloni che oggi si lamenta del limite dei contanti a mille euro lo votò nel 2011).
Nel 2016 fu arrestato il tesoriere del partito ed ex deputato di FdI, Pasquale Maietta, sulla base delle rivelazioni di un pentito che aveva raccontato agli inquirenti dello strano giro di società del patron del Latina Calcio.
Nel 2018 Luciano Passariello — considerato il “braccio destro” della Meloni in Campania, cosa che lei ha smentito — fu al centro di un’inchiesta giornalistica (di Fanpage) sul traffico di rifiuti in Campania. Coerentemente FdI ne chiese l’espulsione prima ancora che iniziasse il processo.
Ci sono poi peccatucci veniali, come ad esempio la proposta di schedatura delle coppie omosessuali chiesta a Ferrara da Federico Soffritti, capogruppo di Fratelli d’Italia a Ferrara. Secondo Soffritti quell’interpellanza faceva parte di una strategia di Fratelli d’Italia in vista delle prossime regionali in Emilia-Romagna, regione dove la Meloni spera di replicare il successo umbro.
Ma Soffritti non è certo l’unico che combatte la lobby LGBT. Il vicepresidente del consiglio comunale di Vercelli Giuseppe Cannata (eletto con FdI) è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di istigazione a delinquere dopo che su Facebook aveva pubblicato un post con scritto: “e questi schifosi continuano imperterriti. Ammazzateli tutti ste lesbiche, gay e pedofili”.
A proposito di vicinanza alla gente abbiamo poi la candidata alle regionali in Umbria Raffaella Pagliochini che chiedeva il voto via SMS ai malati di cancro.
Oppure Francesca Lorenzi, candidata (non eletta) di Fratelli d’Italia al Comune di Firenze che qualche tempo fa si chiedeva chi pagasse per le bare dei migranti morti in mare.
Insomma il partito della Meloni non è poi diverso dagli altri. E se è vero che la responsabilità penale è individuale è sulla selezione della classe dirigente che non si può certo evitare di farsi qualche domanda su come essa avvenga.
Del resto i consiglieri, i candidati, gli eletti sono un simbolo. E come ha detto oggi Giorgia Meloni parlando del futuro di Roma «se rinunciamo a quel simbolo, o lo rendiamo impresentabile, penalizziamo la nostra storia».
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
E’ INUTILE E IMPOSSIBILE DA REALIZZARE: VI SPIEGHIAMO IL MOTIVO
«Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento d’identità . Poi prendi il nickname che vuoi (perchè è giusto preservare quella scelta) ma il profilo lo apri solo così».
Il deputato di Italia Viva Luigi Marattin si è svegliato oggi con la voglia di cambiare l’Internet e di farlo una volta per tutte. E così ha preso un’idea che viene tirata fuori spesso (l’ultima a farlo fu Monica Cirinnà qualche giorno fa) ma che nessuno ha mai messo in pratica perchè impossibile da realizzare e soprattutto inutile.
Quello che ha scritto Marattin su Twitter non è nè nuovo nè utile nè ha alcuna utilità nel contrastare i fenomeni, esecrabili, di odio, intolleranza, incitamento a commettere reati, slut shaming e quant’altro.
In pratica il deputato renziano ritiene che per fermare gli haters e i troll, impedire l’utilizzo di bot e fermare la circolazione delle fake news sia sufficiente obbligare gli utenti ad accedere ai social network solo con un “valido documento d’identità ”.
Il che si presume comprenda almeno: patente di guida, carta d’identità e passaporto. Ma volendo c’è anche l’opzione del codice fiscale o dello SPID, l’identità digitale usata ad esempio per accedere ad alcuni servizi della Pubblica Amministrazione.
La proposta, dicevamo, non è nuova. Nel 2017 alcune deputate del centrodestra presentarono una proposta di legge recante l’Introduzione del divieto dell’uso anonimo della rete internet e disposizioni in materia di tutela del diritto all’oblio. Anche due anni fa gli intenti erano tra i più nobili e le soluzioni le più inutili.
Per citarne una veniva richiesto che le piattaforme informatiche online si facessero carico di registrare gli utenti «tramite nome utente, password, indirizzo di posta elettronica e codice fiscale».
Per le prime tre è una cosa che succede già . Per l’ultima basta un banale generatore di codici fiscali online per creare quello che si desidera.
Quello che Marattin non capisce è che rendere il Web “non anonimo” non è un modo per arginare le fake news e arrestare i bot o i troll. Perchè Marattin forse ignora una cosa: ogni utente che va su Internet lo fa utilizzando un indirizzo IP tramite il quale si può risalire alla sua identità .
Certo, è necessaria una rogatoria, un’indagine, un lavoro di polizia e non è un meccanismo automatico. Ma non lo sarebbe nemmeno con la sua proposta, quindi cosa cambia?
Se non c’è un reato allora non è necessaria una rogatoria. Oppure forse il parlamentare di Italia Viva ritiene che chiunque venga offeso su Twitter possa richiedere al social di fornire i dati dell’utente bypassando l’autorità giudiziaria? La risposta è no.
E Facebook già consente ai membri delle Forze dell’Ordine di inoltrare una richiesta di accesso ai dati.
Ammettiamo per assurdo che per iscriversi a Facebook (ma anche Vkontakte, Twitter, Instagram solo per citare i più famosi) diventi obbligatorio fornire un documento d’identità .
Marattin si rende conto che quel documento viene fornito ad una società privata che non ha alcun modo di verificare se quel documento è vero o falso?
Una soluzione è quella di aprire i database dell’anagrafe e consentire ai colossi dell’Internet di potervi accedere, una proposta inaccettabile per uno Stato democratico. E sicuramente una legge che violerebbe più di qualche norma sulla privacy.
E già oggi, caro Marattin, ci sono persone che si registrano con un nome falso su Facebook (dove in teoria è vietato) fornendo come prova una carta d’identità modificata con Photoshop.
Paradossalmente questo può avvenire anche quando ci si registra su Rousseau. Al tempo stesso ci sono migliaia di utenti che non si fanno alcun problema ad insultare con il proprio nome e cognome vero (e spesso anche una bella foto romantica sul profilo). Loro non sono anonimi eppure insultano lo stesso.
C’è poi da considerare il fatto che questa legge varrebbe solo in Italia e non altrove.
A meno quindi di non creare un social network “di Stato” un utente che è in grado di offuscare il proprio indirizzo IP per far figurare la connessione come proveniente da un paese diverso dal nostro potrà iscriversi in base alle “vecchie regole”.
Identica la questione dei bot: le botnet spesso e volentieri non sono localizzate in Italia quindi per gli utenti fake gestiti dalle varie fabbriche dei troll non cambierebbe nulla.
E le fake news, potremmo fermarle se l’Internet non fosse anonimo, dicono alcuni.
Ma è una balla: le fake news vengono messe in circolazione su giornali e televisioni, che non sono certo “anonime”.
Le fake news vengono diffuse dai politici, che sono tutt’altro che anonimi, anzi sono l’esatto contrario.
Con la proposta di Marattin, che oggi addirittura sembra dire che i professoroni del Web si arrabbiano perchè lui sì che ha colto nel segno mentre loro da anni non sono riusciti a partorire la sua genialata, si colpirebbero quegli utenti che non sono in grado di usare una VPN, che rispettano la legge e che sarebbero obbligati a regalare ancora più informazioni ai gestori delle piattaforme social.
Tutto perchè chi fa politica non è in grado di arginare un fenomeno che fa comodo a tutti gli schieramenti.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
PASSATE 24 ORE MA LA MELONI CONTINUA A SFUGGIRE E A NON DARE RISPOSTE
Dopo aver mandato in onda un’inchiesta sui rapporti tra il mondo della sedicente destra
italiana e la presenza sui social, la segretaria di Fdl ha attaccato su Twitter la trasmissione di Rai 3 parlando di «un servizio bambinesco, degno di un circolo terrapiattista».
«Noi abbiamo fatto il nostro lavoro come al solito. Se Giorgia Meloni ha documenti che smentiscono il nostro lavoro, li guarderemo e faremo delle verifiche puntuali». Questa la replica arrivata da Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report, in merito alle accuse della deputata.
Ranucci ha spiegato ad Adnkronos di aver fatto «un’analisi su dati oggettivi. Abbiamo parlato di anomalie su alcuni account e abbiamo chiesto conto di questo alla Meloni. Se lei farà una conferenza stampa con dei dati, le chiediamo di farci la cortesia di invitarci come noi siamo andati da lei a chiedere conto».
«Vorrei che la Meloni ci spiegasse — continua il conduttore di Report — perchè utilizza le stesse parole che usa Salvini sulla sostituzione etnica, le stesse parole usate dall’estrema destra americana che ha compiuto anche attentati con dei morti. Le stesse citazioni quando vanno al congresso mondiale delle famiglie a Verona lo scorso marzo. Hanno un unico ispiratore? Questi messaggi e questo linguaggio non aumentano l’odio nel nostro paese, la divisione invece che l’inclusione?», chiede il giornalista.
Sui follower falsi, Ranucci afferma che sarebbe felice «se i profili falsi diffondessero coesione e inclusione, ma qui il sospetto è che ci siano profili anonimi usati per diffondere odio. Vorrei sapere se la nostra democrazia è infetta da una contaminazione eterodiretta. Questa è la preoccupazione di Report e questo io lo dico a nome e a tutela non solo dei miei figli, ma anche di quelli della Meloni e di Salvini».
(da “Giornalettismo)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
IL SOLITO SISTEMA DEL CENTRODESTRA: MARCHETTE AGLI SPECULATORI E AFFOSSAMENTO DELLA SANITA’ PUBBLICA (CON RELATIVI SCANDALI LOMBARDI)
Pagina 22 del programma di Donatella Tesei, la leghista diventata presidente della Regione Umbria nella notte tra domenica e lunedì.
Nella sezione specifica si parla della sanità e delle migliorie che l’allora candidata avrebbe voluto apportare al settore nella regione, presentato sempre come una sorta di fiore all’occhiello.
Per spazzare via qualsiasi dubbio, la candidata leghista afferma: «Sarà strategico potenziare il tasso di coinvolgimento del settore privato, che in Umbria è pari a 1/3 di quello della Lombardia».
Ora, anche sorvolando sul fatto che l’Umbria abbia meno di un decimo degli abitanti della regione Lombardia, la dichiarazione di intenti della rappresentante di tutte le forze del centrodestra unite non ha fatto mistero di voler potenziare il settore della sanità privata in Umbria, riservando soltanto altre indicazioni generiche e poco impattanti per quanto riguarda invece il settore pubblico.
Gli umbri, scegliendo Donatella Tesei, hanno favorito questo passaggio.
Quanti di loro era davvero a conoscenza di questo aspetto del programma della neo-governatrice leghista?
La questione è stata posta da Anna Ascani, sottosegretario all’Istruzione in quota Italia Viva. La deputata lo ha affermato nel corso della puntata di Agorà di questa mattina.
«A pagina 22 del programma di Donatella Tesei — ha detto Anna Ascani — c’è scritto che la Regione deve andare verso un modello di sanità privata. Si tratta della prima volta che si invoca la privatizzazione. Gli elettori non l’hanno votata per questo. L’hanno votata per cambiare».
Ovviamente, di mezzo c’è anche il riferimento a un modello Lombardia che, chiaramente, non può essere rapportato a quello dell’Umbria.
Oltre al numero inferiore di abitanti, la regione del Centro Italia ha anche un numero di strutture inferiori, ma rapportate alle reali esigenze della popolazione locale. Che adesso dovrà affrontare cinque anni in cui questo sistema ospedaliero verrà favorito. A discapito del sistema pubblico,
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
MA DIETRO ALL’OPERAZIONE C’E’ CHI PARLA CHE SIA PRONTA A CANDIDARSI CON LA LEGA
“Il M5s non esiste più. Il M5s è morto ed è morto quando è morto Gianroberto Casaleggio.
Abbiamo visto appropriarsi di ruoli apicali da parte di persone senza arte nè parte, perdere sei milioni di voti in un anno e fare finta di niente”.
Lo ha detto, in un’intervista all’emittente E’-Tv, Manuela Sangiorgi, sindaca di Imola che formalizzerà in consiglio comunale le dimissioni annunciate ieri sera, dopo poco più di un anno di governo della città .
La sindaca attacca anche Massimo Bugani e ripete che il M5S non esiste perchè c’è trasformismo nell’alleanza con il PD: “Prima diciamo che è mafia e poi ci andiamo insieme? E poi fanno il governo delle tasse?”.
“Grillo venne una volta a Imola dopo una di quelle riunioni fiume al Conami e non venne nemmeno a salutare”, ha ancora accusato la sindaca.
“Io non ho fatto assolutamente niente di male — risponde a chi chiedeva il motivo del boicottamento di fatto della sua amministrazione — e non so se è solo una questione di antipatia personale con Bugani. Ogni volta che io chiamavo qualcuno mi veniva detto che dovevo parlare con lui. Mi sono trovata questo muro, di una persona che secondo me non sa cosa voglia dire amministrare la cosa pubblica. Con Bugani — incalza Sangiorgi — ci siamo sentiti nei primi giorni dove gli ho chiesto dei consigli, me ne ha dati alcuni che non ritenevo opportuni e lui mi ha detto ‘fai come ti pare’ e da lì i muri. Vi sembra normale?”, aggiunge.
Max Bugani, che intanto da consigliere a Bologna è diventato capostaff di Virginia Raggi a Roma — al modico prezzo di 42473 euro l’anno — dopo aver lasciato il ruolo al ministero con Di Maio, proprio ieri aveva abbattuto la sindaca con il suo solito periodare ricco di significati.
Jacopo Morrone, segretario della Lega Romagna, si è invece complimentato con la Sangiorgi: “non ha tutti i torti Sangiorgi, che, dopo la storica vittoria a Imola che ha messo sotto scacco il sistema clientelare costruito dalla sinistra, si è trovata di fronte all’alleanza innaturale giallorossa, che ha sconfessato anni di battaglie e di ideali”.
C’è però di buono che “ha comunque aperto la strada del cambiamento che sarà percorso con più perseveranza e profitto da altri amministratori, che sapranno smantellare finalmente gli ultimi baluardi del potere del Pd e rilanciare una città che merita ben di più dei lasciti degli ex sindaci dem”. Tira aria di ricandidatura con il Carroccio?
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
“QUEI CITTADINI CHE SI SCHIERANO DALLA PARTE DELLO STATO, FINO AD ARRIVARE A DENUNCIARE IL PROPRIO FIGLIO, SAPPIANO CHE MI TROVERANNO SEMPRE AL LORO FIANCO”… QUESTO E’ IL SENSO DELLE ISTITUZIONI, ALTRO CHE LE CIALTRONATE
Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno, scrive una lettera al Messaggero sulle madri coraggio prendendo spunto dalla vicenda di Giovanna Proietti Del Grosso, la mamma che ha denunciato il figlio Valerio che ha sparato a Luca Sacchi a Roma:
Gentile Direttore,
il tema sollevato dall’intervento di Maria Latella sul Messaggero (“Lo Stato ora segua l’esempio di mamma Giovanna”) merita grande attenzione da parte delle istituzioni e non solo quella del ministro dell’Interno. Lo affermo perchè riguarda i tanti genitori, madri e padri, che spesso in solitudine si trovano a dover compiere scelte difficili: passi dolorosi e carichi di sofferenza per proteggere i propri figli, fino anche a costo di denunciarli se essi sono accusati di aver compiuto un reato.
Da ultimo è successo a Roma dove una madre si è rivolta alla Polizia di Stato dopo l’omicidio di Luca Sacchi e prima ancora era accaduto a Siena quando, poche settimane fa, un’altra mamma ha avuto il coraggio di segnalare all’Arma dei Carabinieri i contenuti illegali rinvenuti nel telefonino del figlio minorenne coinvolto con molti altri giovanissimi in una chat.
Si tratta di casi sui quali sono in corso indagini della magistratura sui quali ritengo di dovermi astenere da commenti e considerazioni.
Due anni fa, in Puglia, un’altra madre aveva segnalato alle forze di polizia i movimenti del figlio latitante per contribuire a mettere fine alla sua fuga.
A questi genitori, ma non solo a loro perchè i casi di madri e padri che si rivolgono allo Stato spesso non arrivano sulle pagine di cronaca dei giornali, le istituzioni e la società civile dovrebbero saper assicurare protezione, solidarietà e, se necessario, anche assistenza psicologica.
Sappia qualsiasi cittadino e cittadina che si schiera dalla parte dello Stato, fino anche a denunciare il proprio figlio, che non mancherà il mio impegno per assicurare loro il massimo appoggio e la vicinanza del ministero dell’Interno.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
24 ORE PER TROVARLI SU UN GOMMONE ALLA DERIVA CHE IMBARCAVA ACQUA… IL COMPORTAMENTO INDEGNO DI MALTA
La Open Arms ha salvato quindici persone nel Mediterraneo, fra loro ci sono anche due
bambini piccoli. È quanto fa sapere la ong tramite Twitter. “Quasi 24 ore per trovarli, ora sono in salvo. Erano alla deriva sul punto di naufragare: 15 persone, 6 uomini, 2 donne, 2 bambini e 5 minori”, si legge nel tweet.
“Se sull’imbarcazione in difficoltà ci fossero stati europei non avrebbero dovuto aspettare così a lungo. È razzismo istituzionale. Fortunatamente il nostro equipaggio è stato in grado di ritrovare il gommone questa mattina e coordinare un salvataggio con gli amici di Open Arms”, ha denunciato Sea Watch Italy.
Il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, condividendo su Twitter un video che mostra il gommone alla deriva, denuncia: “Le autorità maltesi dicono che il salvataggio non era necessario: di ‘lasciarli continuare’ con il motore fermo, imbarcando acqua e alla deriva. Forse pensano che siano turisti, navigando durante una vacanza. O forse augurano a queste persone lo stesso destino capitato alle 30 lasciate sole e annegate lo scorso 7 ottobre”.
(da Fanpage)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
APPLICATO L’ART 599 DEL CODICE PENALE
Aveva scatenato mille polemiche con una diretta Instagram, a luglio di quest’anno, in cui invocava Hitler insultando i partecipanti al Gay Pride di Milano perchè la sfilata bloccava il traffico e lei rischiava di non arrivare in tempo in stazione.
“Io sto perdendo il treno in mezzo a questa massa di ignoranti, andate tutti a morire, perchè non esiste più Hitler? Sarebbe dovuto esistere Hitler. Tu guarda che ammasso di gente ignorante che sta bloccando la strada. Io veramente vorrei capire la polizia dove ca…o è”.
Stella Manente, influencer da oltre 200mila follower su Instagram, modella e attrice, aveva chiesto scusa, ma solo dopo che la sua storia sul social network aveva fatto il giro della Rete, grazie anche alla segnalazione dei Sentinelli di Milano.
Diversi marchi si erano affrettati a precisare di non avere alcuna collaborazione con la modella, assicurando di non condividerne le parole.
Sembrava pentita, la modella, si era scusata dicendo che non sapeva cosa fosse il Gay Pride, ma poi aveva querelato chi, sui social, l’aveva presa di mira.
Mal gliene incolse: perchè oggi il pm Mauro Clerici ha chiesto l’archiviazione per quella querela contro ignoti: “il comportamento della denunciante costituisce palesemente un fatto ingiusto perchè invocare ad alta voce “ci vorrebbe Hitler, dov’è Hitler…” nel corso di una manifestazione quale il Gay pride significa evocare e giustificare le persecuzioni naziste contro gli omosessuali”, si legge nella richiesta.
Insomma, il pm bacchetta Manente e chiede di non procedere nei confronti dei responsabili di quei messaggi sulla base di quanto prescrive l’articolo 599 del codice penale: non è punibile chi compie alcuni gesti dopo essere stato provocato.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2019 Riccardo Fucile
LA POLIZIA BULGARA HA ARRESTATO 12 PERSONE E IDENTIFICATE ALTRE 16… SOLO IN ITALIA NON SI ARRESTA NESSUN RAZZISTA
Un turno a porte chiuse da scontare subito, un altro sospeso per un periodo di due anni. Questa
la sanzione decisa dall’organo di “Controllo, etica e disciplina” dell’Uefa nei confronti della Bulgaria dopo la serata di follia a Sofia dello scorso 14 ottobre, in occasione di Bulgaria-Inghilterra, match valido per le qualificazioni agli Europei del prossimo anno.
La partita, terminata con il successo inglese per 6 a 0, era stata interrotta due volte per gli insulti razzisti contro i giocatori inglesi (in particolare Sterling), in più sugli spalti sono stati visti saluti nazisti da parte dei tifosi di casa.
L’Uefa ha sanzionato la federazione bulgara con 75mila euro per i comportamenti dei suoi tifosi, più altri 10mila per i disturbi all’inno nazionale inglese da parte degli stessi, con l’ulteriore obbligo di esibire durante i prossimi due match ufficiali uno striscione con su scritto “No to racism” (“No al razzismo”) affiancato dal logo Uefa. Inoltre, scatterà un’altra gara a porte chiuse se nei prossimi due anni si verificheranno episodi simili.
Nel documento dell’organismo di controllo Uefa si legge anche delle ammonizioni alla federazione bulgara per la gestione dei replay sui maxischermi durante la gara.
Nei giorni successivi alla partita, si sono dimessi il presidente della federcalcio bulgara, Borislav Mihaylov, e l’allenatore della nazionale, Krasimir Balakov.
Fino a questo momento, le autorità bulgare hanno identificato 16 sospettati e arrestato 12 persone dopo la partita con l’Inghilterra, riporta la Bbc, mentre quattro tifosi sono stati multati e allontanati dagli stadi per 2 anni.
Sempre per la stessa gara, anche l’Inghilterra è stata sanzionata con 5mila euro di ammenda per cori di disturbo durante gli inni nazionali da parte dei propri tifosi e ammonita per il numero insufficiente di steward forniti a guardia del proprio settore. Quest’ultimo punto verrà ridiscusso nella prossima riunione il 21 novembre per una proroga richiesta dalla Football Association inglese
(da agenzie)
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