Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
AMNESTY: “COSA DEVE SUCCEDERE ANCORA PERCHE’ L’ITALIA REAGISCA?”
Ancora 45 giorni di detenzione preventiva in carcere per Patrick George Zaki. È questa la decisione della Corte d’assise del Cairo dopo l’ultima udienza, tenutasi ieri, 21 novembre. A seguito dell’udienza, Hoda Nasrallah, legale dello studente egiziano dell’Università di Bologna e arrestato lo scorso 7 febbraio all’aeroporto del Cairo, ha assicurato che Zaki sta bene ed è in buona salute.
La legale ha riportato come Zaki davanti ai giudici abbia «parlato dei suoi studi», definendo «un bene per il Paese (l’Egitto, ndr) che uno dei suoi figli sia professore all’estero (in Italia, ndr)».
Inoltre, secondo quanto riferito su Facebook dal gruppo di attivisti del gruppo Patrick Libero, che chiedono la scarcerazione dei Zaki, «la Corte ha ascoltato la difesa degli avvocati e ha dato a Patrick la possibilità di parlare. Poi gli avvocati hanno presentato un memorandum che illustrava in dettaglio le argomentazioni della difesa e delineava le giustificazioni che richiedevano il rilascio di Patrick».
Le reazioni
Immediate e durissime le reazioni a seguito della comunicazione della sentenza. Amnesty International Italia ha definito il prolungamento della detenzione cautelare un «accanimento giudiziario», esortando «un’azione diplomatica forte da parte delle autorità italiane». «Questi nove mesi e mezzo trascorsi, che diventeranno ormai 11 con questo rinnovo di detenzione preventiva, chiamano in causa l’inerzia dell’Italia, l’assenza di un’azione forte», ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
«Mi chiedo — ha proseguito Noury — cos’altro ci voglia dopo il rinnovo della detenzione di Patrick e tre arresti di fila dei dirigenti della sua organizzazione per i diritti umani (Eipr, ndr) per un’azione diplomatica molto forte nei confronti dell’Egitto».
«Ieri — ha aggiunto Noury — aveva detto in udienza che il suo Paese dovrebbe essere orgoglioso di aver un’eccellenza così ricca, così bella, all’estero in un master prestigiosissimo come quello dell’Università di Bologna». «Ma evidentemente — ha chiosato il portavoce di Amnesty — all’Egitto questo non importa. Le eccellenze le lascia in carcere».
(da Globalist)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IL LEADER DI AZIONE RILANCIA L’IPOTESI DI FRONTE REPUBBLICANO PER FRONTEGGIARE L’EMERGENZA
Il leader di Azione Carlo Calenda parla del comportamento politica che dovranno tenere, secondo lui, le
forze politiche nei prossimi mesi: “Berlusconi e Zingaretti sono stati i più responsabili, ma non avranno coraggio di rompere con l’attuale assetto”.
“Devo dire – sottolinea – che chi si è comportato meglio in questa fase sono stati Zingaretti e Berlusconi: hanno rappresentato un’eccezione in termini di serietà , sono stati i più responsabili, almeno dal punto di vista della parola, ma se nei prossimi giorni non saranno conseguenti e continueranno a supportare l`uno Conte e l’altro i sovranisti, questa discussione sul dialogo con l’opposizione, finirà in un nulla di fatto”.
Stavolta “hanno usato un linguaggio non melenso, non egotico o retorico come quello di Conte. Ma neanche quello violento dei sovranisti. Il M5s oramai non c’è più. Non ha una voce che parla al Paese”.
Però, aggiunge, “se dal punto di vista del contegno si sono distinti, nella sostanza rimangono dove stavano, dentro al binomio populismo-sovranismo. La loro occasione è qui ed ora: serve un Fronte repubblicano, le stesse forze che in Europa sostengono la Von der Leyen. L’Italia è destinata ad uscire da 2 anni di crisi vicina al 170 per cento di debito, con un sistema industriale falcidiato, commercio e turismo distrutti. E si rischia di implodere in un perenne conflitto istituzionale a tutti i livelli. Ci sarebbe bisogno di uno scatto, una chiamata alle armi generale”.
“Penso che Pd, Forza Italia, Azione e le forze liberal democratiche e quelle serie presenti anche nei 5s e nella Lega – conclude – debbano lavorare insieme per un allargamento della maggioranza, per l`individuazione di un presidente del Consiglio autorevole, quel che Conte non è, operando per il definitivo allontanamento dei Cinquestelle del “no” a tutto, anche se non di ministri come Patuanelli, una persona seria. In un periodo nel quale l`efficienza dello Stato fa la differenza tra la vita e la morte, non puoi affrontarlo senza persone che non hanno mai amministrato nulla”.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
QUATTRO MESI DOPO ARRIVA IL TARDIVO MEA CULPA: CHI LANCIA IL SASSO E POI NASCONDE LA MANO, MAM ORMAI IL DANNO E’ FATTO
Sì, ho sbagliato. Quattro mesi dopo quel convegno degli ‘scettici’ sul Covid andato in scena in una della sale di Palazzo Madama, Matteo Salvini si dissocia da se stesso. Il segretario della Lega, in chiusura della lunga intervista con Massimo Leoni su SkyTg24, è stato interrogato sulla sua partecipazione al tanto discusso incontro andato in scena al Senato
«27 luglio 2020. Convegno al Senato: ‘Covid in Italia, tra informazione, scienza e diritti’. Il titolo non dice molto, ma lì si trovano tra lo scetticismo e il negazionismo. Lei cita Bernard-Henri Lèvy, la sua epidemia della stupidità e dice che il saluto con il gomito è la fine della specie umana e rifiuta le mascherine. È stato un errore?», chiede il giornalista a Matteo Salvini collegato dalla sua casa a Milano. E la risposta, soprattutto per le tempistiche, stupisce non poco.
«Per carità sì, ma posso invitare tutti a non utilizzare il termine negazionista? Perchè ci riporta ai campi di sterminio, gli ebrei e i nazisti. Quindi se si vuole fare polemica politica ci sono tanti altri termini. Parlare di negazionismo, di nazismo e di fascismo in questo momento è un qualcosa che non rende giustizia a chi lo fa».
Finalmente, a quattro mesi di distanza, il leader della Lega ha ammesso quel che gli veniva contestato fin da allora. Al netto del dibattito sul termine utilizzato (negazionismo è una parole forte, ma sintetizza il pensiero di alcune delle persone intervenute durante quel convegno e i riflessi arrivati ai cittadini), l’ammissione e il mea culpa di Salvini ci fa tornare indietro nel tempo.
Era luglio e il senatore parlava di dittatura. Insomma, i termini sbagliati sono partiti proprio da lì. Ma ora, quattro mesi dopo e con molte persone che hanno deciso di seguire l’esempio di Salvini («io non ho la mascherina e non la metto») ecco che arriva il passo indietro. Forse fuori tempo massimo.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
CROSETTO CONDANNA LA CENSURA RAI SU MORRA, GASPARRI LO ACCUSA E L’ESPONENTE DI FDI REPLICA DURAMENTE
Nel mare magnum di polemiche sul caso Morra, ecco che su Twitter è andata in scena la lite Gasparri-
Crosetto che ha coinvolto anche Andrea Orlando.
Il tutto, infatti, è partito con un post pubblicato dal deputato del Partito Democratico in cui si faceva riferimento alla scelta della Rai di cancellare l’ospitata del Presidente della Commissione Antimafia a Titolo V (di venerdì scorso).
Non si volevano difendere le parole di Morra, ma solo sottolineare come sia stato un funzionario scelto da un cda (della televisione pubblica) a prendere questa decisione. Ma il senatore di Forza Italia ha attaccato entrambi.
Crosetto e Orlando affrontavano un altro binario del caso Morra. Non le frasi su Jole Santelli, ma il cosa abbia portato e il come si sia arrivati alla decisione della Rai di cassare l’ospitata del Presidente della Commissione Antimafia a Titolo V.
Eppure Gasparri ha proseguito nel suo attacco frontale, nonostante le spiegazioni dei due (che sono politicamente distanti anni luce).
Poi la discussione è proseguita con citazioni di Voltaire e altre parole. Con Gasparri che, nonostante le spiegazioni, continua ad aver inteso che Orlando e Crosetto stessero difendendo Nicola Morra.
E, invece, si parlava di come sia sia arrivati alla decisione di censurarlo in Rai.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
HANNO LA FACCIA DI POSARE CON LE BANDIERE DELL’UNICEF DOPO ESSERE STATI CONDANNATI PER DISCRIMINAZIONE
Anche il Comune di Lodi ha voluto celebrare la giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza il 20 novembre. E lo ha fatto illuminando con i colori dell’Unicef la facciata del Broletto, il palazzo comunale.
A rimarcare l’adesione la sindaca leghista, Sara Casanova, e il suo vice, Lorenzo Maggi, si sono messi a favore di obiettivo insieme ai rappresentanti locali dell’Unicef, in piazza della Vittoria, quella centrale su cui si affaccia il municipio.
Peccato che Casanova e Maggi sono alla guida della giunta di centrodestra che aveva cercato di estromettere i bambini extracomunitari dalle mense scolastiche, iniziativa per il quale il comune più a sud della Lombardia è stato condannato per discriminazione, sentenza contro la quale ha deciso di fare ricorso (il costo per le casse comunali per gli avvocati che seguono la vicenda sarà all’incirca di 40mila euro).
In altre parole: i diritti dei bambini e degli adolescenti si difendono, secondo l’amministrazione di Lodi, solo il 20 novembre. E a parole.
Nei fatti, e negli altri giorni dell’anno, se ne può fare a meno. Soprattutto se si tratta di minori stranieri. Una condotta discriminatoria, e non solo per il tribunale. La vicenda delle mense scolastiche aveva portato il piccolo capoluogo lombardo all’attenzione dei media anche internazionali.
Per consentire l’accesso, ai bambini figli di cittadini stranieri erano state chieste dichiarazioni consolari attestanti l’assenza di reddito nel Paese di origine, in aggiunta all’Isee: non potendo presentare la documentazione, perchè oggettivamente impossibilitati a produrla nel proprio paese di origine, molte famiglie si erano viste assegnare la fascia più alta di costi per la mensa e di fronte all’impossibilità di sostenere tali costi circa duecento bambini erano stati di fatto esclusi dal servizio e costretti a portarsi il panino da casa.
La vicenda assunse rilevanza internazionale e grazie all’impegno del Coordinamento Uguali Doveri (che riuscì in poco tempo grazie a una sottoscrizione che raggiunse la cifra record di oltre centomila euro), gli avvocati dell’Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e della Naga (Organizzazione di volontariato per l’Assistenza Socio — Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti), presentarono ricorso al Tribunale di Milano. Il giudice Nicola di Plotti del Tribunale di Milano con un’ordinanza emessa il 12 dicembre 2018, nel dispositivo spiegò così la sua decisione:
Dall’analisi normativa che precede, dunque, può evincersi come non esistano principi ricavabili da norme di rango primario che consentano al Comune di introdurre, attraverso lo strumento del Regolamento, diverse modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate, con particolare riferimento alla previsione di specifiche e più gravose procedure poste a carico dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea, così come indicate all’art. 8 co. 5 del “Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate” nella versione introdotta con la delibera consiliare n. 28/2017», scrive il giudice.
Quindi, «affermata la natura discriminatoria della previsione contenuta nel Regolamento comunale, introdotta dalla delibera consiliare n. 28/17, deve essere affrontato il tema relativo al provvedimento che ne consegue»: cioè «deve essere ordinato all’Amministrazione comunale di modificare il predetto Regolamento in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’UE di presentare la domanda di accesso a prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione dell’ISEE alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e UE in generale.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“VOI NON MERITATE I NOSTRI SACRIFICI, SIETE UN PERICOLO SOCIALE”
A Michela, infermiera di Pescara, qualcuno ha lasciato un volantino negazionista sulla sua auto. Ecco la
risposta in un video, dopo una dura giornata in ospedale
Michela Isca, infermiera di Pescara, dopo l’ennesimo turno massacrante in ospedale, si dirige verso la sua auto e trova un volantino. L’ennesimo, ad opera dei negazionisti, ovvero di chi sostiene che Covid non ce n’è.
Così, una volta tornata a casa, umiliata e stanca, posta un video su Facebook in cui risponde punto per punto a quello che definisce, senza mezzi termini, «uno scempio»: «Noi ci facciamo il culo da una vita, non siamo eroi, santi o missionari. Ma voi i nostri sacrifici non ve li meritate. Se vi ammalate di Covid, visto che avete deciso che le nostre diagnosi e le nostre cure non sono vere, allora, non venite in ospedale perchè non ve lo meritate».
Cosa c’è scritto sul volantino
«Non c’è alcuna emergenza, torniamo alla vita normale” si legge sul volantino incriminato.
«Dici che la mortalità è dello 0,05% e riguarda solo gli over 70, ma sai di quante persone parliamo? È devastante, forse per te è accettabile? Sei un pericolo sociale».
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
UNA STORIA CHE CI RICONCILIA CON L’UMANITA’
Sono stati dimessi 15 giorni fa ma la storia di Matteo Merolla e di suo zio è di quelle da ricordare: il nipote, asintomatico, ha deciso di farsi ricoverare con lo zio, affetto da sindrome di Down, per non lasciarlo solo nel reparto COVID. Le sue parole a Repubblica Roma:
La lotta contro il nemico invisibile per Matteo Merolla, 29enne immobiliarista romano, già asintomatico positivo al coronavirus, comincia il 3 novembre scorso quando accompagna d’urgenza lo zio, Paolo Rocchi, 49 anni e disabile non autosufficiente, al Policlinico militare del Celio.
«Da giorni – ricorda Matteo – zio Paolo lamentava febbre alta, oltre i 38 gradi». Le sue condizioni si sono rapidamente aggravate: «Piangeva stremato dalla tosse che non gli dava tregua, respirava poco e male, gli girava la testa, era fisicamente debole: il virus lo aveva già attaccato».
Tanto che i medici gli hanno riscontrato subito una grave polmonite. Aggravata dal fatto che «quando era piccolo gli è stata asportata una grossa porzione di un polmone».
Seppur con sintomi lievi, Matteo non ci ha pensato due volte ad assistere Paolo e a farsi ricoverare con lui. «Il primario dell’ospedale ha acconsentito. E noi due, pur di stare insieme, abbiamo cambiato stanza più volte. Io, una settimana dopo il ricovero potevo già essere dimesso e completare la mia quarantena a casa, guardando serie Tv su Netflix o mangiando sushi».
Ma il dovere di accudire lo zio, per il nipote è stato più forte: «Viveva con la maschera dell’ossigeno 24 ore su 24 e di queste almeno 3 le passava piangendo. Non capiva perchè si trovava lì, in quello stato». A sostenerlo, le cure del nipote e dell’èquipe dell’ospedale: «Lui era diventato la mascotte del reparto»
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
MARIA TERESA CAPOBIANCHI: “NON C’E’ NIENTE DI STRANO IN QUESTA INCERTEZZA”
“Non c’è niente di strano in questa incertezza. L’unico virus che finora l’umanità ha completamente
debellato è il vaiolo. Qualsiasi prospettiva di un’uscita rapida da questa pandemia, compreso l’arrivo dei vaccini, è un’ipotesi consolatoria”.
La virologa Maria Rosaria Capobianchi è a capo del laboratorio dello Spallanzani di Roma. Lei è la scienziata che isolò il coronavirus e in una lunga intervista al Corriere della Sera dice: “Il vaccino da solo non basterà a far sparire il virus. Sars-CoV-2 sfrutta ogni crepa per riprodursi. Per prevenire il contagio dovremo cambiare i nostri comportamenti”.
“L’avversario che abbiamo davanti è poderoso, ma ne abbiamo conosciuti di più letali. Senza andare alla peste del 1600, che era però causata da un batterio e non da un virus, l’influenza spagnola del 1918 ha provocato più di 40 milioni di vittime e mezzo miliardo di contagi. Ed è andata a cicli, come tutte le pandemie. Succederà anche stavolta”.
E sulle terapie e il Vaccino dice:
“Non ci sono ancora terapie capaci di vincere il Covid. Di contenerlo sì, ma non di eliminarlo. Quanto al vaccino, siamo molto vicini. Ma quanto durerà la protezione che ci garantirà ? Non si sa. Potrebbe essere necessario ritararlo ogni anno, come per il vaccino influenzale. Perchè è probabile che questo virus non sarà stroncato come è successo per il SarS-CoV nel 2002, e quindi avremo a che fare con lui, temo, ancora per molto tempo e diverse altre stagioni, come per le ondate di influenza”
E riguardo l’infezione nei bambini dice la sua:
“Si infettano sì e sono contagiosi. Ma non si ammalano, questo è vero, in maniera grave. Il motivo sta dentro la scatola nera dei misteri di questa pandemia. Faccio solo un’ipotesi: la reazione del corpo di un adulto all’aggressione del virus è talmente forte da provocare essa stessa danni ad alcuni organi, per esempio il deterioramento del tessuto polmonare, e da innescare una sorta di tempesta interna, citochinica in termine scientifico, che favorisce il collasso delle difese. I ragazzi, invece, non sembrano dare questo eccesso di risposta all’infezione. Ma il perchè, ripeto, resta ignoto”
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
RITRATTO DEL CHIRURGO DI GUERRA E FONDATORE DI EMERGENCY… “IN ITALIA C’E’ CHI CERCA DI FARE QUALCOSA, CHI NON FA UN CAZZO E QUELLI CHE NON FANNO UN CAZZO MA VOGLIONO DIRE AGLI ALTRI COSA DEVONO FARE”
Gino Strada è l’uomo retto che unisce due punti sanguinosi del globo. Come da manuale la distanza più breve, la figura geometrica ieratica, il punto di sutura definitivo.
Ti fissa con gli occhi infossati e severi, profondissimi, da falcone delle pianure dell’Asia Centrale, e non hai scampo: per qualche secondo comprendi Friedrich Wilhelm Nietzsche e l’abisso in cui il medico chirurgo e fondatore di Emergency si è calato per anni.
D’altra parte riemergere da ospedali da campo improvvisati nel deserto, mentre fioccano i missili – spesso dei tuoi amici occidentali – non è impresa comune.
Ci vuole fegato, mentre la carne è aperta, ma soprattutto infinita tenuta, mentale e spirituale, quando gli occhi sono chiusi.
Caricare su di sè tutto il male del mondo è impresa che neanche Atlante, che infatti il mondo sulle spalle lo portava tutto intero, belle cose comprese, e forse a dover cercare un precedente, un’icona del lavoro assurdo ma necessario, come salvare vite umane in situazioni e contesti dove tutto cospira verso il contrario, bisognerebbe ricorrere al Sisifo di Albert Camus. Alla sua pietra trasportata a fatica in cima e ogni volta pronta a rotolare verso valle.
Nel caso di Gino Strada, a valle, impreparati alla sistematica slavina, ci siamo tutti noi. Imperfetti, distratti, perdigiorno, concentrati in occupazioni di secondaria importanza. “In Italia – raccontava il fondatore di Emergency lungo un viaggio in treno da Milano a Roma con Vittorio Zincone – c’è chi cerca di fare qualcosa, chi non fa un cazzo, e poi i peggiori: quelli che non fanno un cazzo e vogliono dire agli altri cosa fare”.
Ecco, stabilite voi in quale girone stare. Lui, lo ha scelto con precisione, ovviamente chirurgica.
Anche se a dispetto della determinazione che emana da tutti i pori, non bisogna credere a un percorso da enfant prodige. Tutt’altro.
Nato a Sesto San Giovanni, la roccaforte rossa milanese – poi espugnata più volte negli anni a venire – il giovane Luigi detto Gino era un ragazzo come tanti altri. “Mio padre e mia madre erano operai ma da ragazzino non ho mai partecipato alla vita politico-culturale di Sesto”.
Allora pensava “ad andare a bene a scuola, a giocare a pallone e a dare qualche occhiata alle ragazze”. Tra queste, c’era la 17enne Teresa Sarti, che condividerà il sogno di Emergency, che sposerà nel 1971 e che dovrà lasciar andare nel 2009.
“Era straordinaria nella capacità di coinvolgere le persone”. L’impegno sarebbe nato alla Statale, facoltà di Medicina, che a dire il vero lo studente Strada non divora con particolare accanimento e da dove uscirà buon trentenne nel ’78.
C’è altro a cui dare i resti, il Sessantotto a Milano, il Movimento Studentesco. La politica che “ti fagocitava: ogni sabato un corteo da organizzare”. Solo dopo “mi sono messo a studiare sul serio”.
Fare sul serio, per uno come Strada non è solo un modo di dire. La carriera da medico è un dardo scagliato contro il sistema: ogni passo prepara il successivo.
Otto anni all’ospedale di Rho per indirizzarsi verso la chirurgia traumatologica e la cura delle vittime di guerra. Specializzazione in chirurgia cardiopolmonare negli Stati Uniti, in Uk e al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, in Sudafrica, quello del primo trapianto di cuore, di Christiaan Barnard, “elegantissimo, con la sua Mercedes, ma ormai operava poco per l’artrosi alle mani”.
Poi arriva la chirurgia di guerra, cinque anni tra Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia con il Comitato internazionale della Croce Rossa. Quella di Ginevra, però, perchè a sentir Strada “quella italiana non esiste”.
Così arriviamo nel 1994, l’Italia è appena entrata nella Seconda Repubblica e nelle calde spire del Cavaliere.
Emergency, fondata in maggio con una ventina di amici, ha bisogno di fondi per finanziarsi l’intervento nel genocidio in Ruanda, tanto per partire bassi. Una cena al Tempio d’Oro, zona viale Monza, raccoglie 12 milioni di lire. Non bastano. Ne servirebbero 250.
Arriva un soccorso insperato, proprio dal cuore del Biscione. “Per fortuna venni invitato da Costanzo, e, puf, la tv è questa cosa qui: in un paio di mesi, arrivarono 850 milioni. Gente che mi suonava al campanello di casa…”.
Puf, una puntata su Canale 5 con compagni di palco come Cesare Previti, allora Ministro della Difesa, il giornalista Mino Damato, il sociologo Francesco Alberoni… e il sogno di Emergency prende il via.
E pazienza se la genesi è un pochino impura, almeno agli occhi della sinistra doc. “Pecunia non olet, quando arriva dal crimine. E quando chi dona, pretende di decidere chi devi operare e chi no”, gli unici paletti di Strada.
Che è abituato a trattare con dittatori come Bashir, trent’anni di scorribande in Sudan. “Quelli che noi chiamiamo dittatori, in Africa sono presidenti. Se un regime è oppressivo, la gente sta male”.
E a forza di sporcarsi le mani, Emergency da aggettivo diventa sostantivo di una certa realtà . 25 anni e settantanove progetti in sette Paesi, ma non in Somalia e Cecenia, dove “tirano su un muro”, o tra gli opachi libici e palestinesi.
120 dipendenti, 9 milioni di persone curate, una nuova sede vicino Sant’Eustorgio, la chiesa più antica di Milano. Un ospedale in Uganda, disegnato gratis da Renzo Piano. L’ultimo degli “amici di una vita”.
E che amici: De Andrè, Eco, Chomsky. Un tris di assi, da affiancare ad altri tre grandi, ma preti: don Gallo, padre Alex Zanotelli, don Ciotti. Lui, ateo, a cui piacerebbe incontrare papa Francesco per parlare dell’abolizione della guerra.
Già , la guerra. Qui non si ammettono deroghe. “Basta non farla”, ripete negli anni Strada, senza se e senza ma. Non esistono eccezioni.
Neanche nel settembre 2001, contro l’Afghanistan, per vendicare le Torri gemelle ancora fumanti. “Quando vedevo sulla Cnn le facce di chi scappava dall’orrore di Manhattan, pensavo che erano le stesse che avevo visto a Sarajevo… Per me già il concetto di guerra è una bestemmia contro l’umanità , e peggio ancora se si parla di guerra giusta, di guerra condotta con precisione chirurgica”.
La guerra per Strada è follia, punto. Come nel febbraio 2003, quando in piazza contro l’attacco a Saddam, non esitava a parlare di “scelta politica compiuta da una banda di petrolieri che vuole mettere le mani sul greggio iracheno”.
Posizioni che lo misero in prima linea del fronte pacifista, lui che pacifista nemmeno si dichiara. E che lo misero nella scomoda posizione di difendere equazioni pericolose come Bush uguale Bin Laden o di negare giustizia alle vittime dell’11 settembre, come sostenuto, uno per tutti da Giuliano Ferrara. A cui Strada, neanche troppo dissimulando la sua natura combattente, risponde: “Questo non è un ragionamento, ma un prodotto della cistifellea”. (Il direttore del Foglio se l’è segnata e ha minacciato di farsi saltare in aria in caso di ascesa del nostro al Quirinale).
D’altro canto che il nostro non abbia alcun rispetto per la politica lo conferma in altre occasioni.
Come nella oggettiva caduta di stile con cui definisce Brunetta “esteticamente incompatibile” con Venezia, che sceglieva il sindaco nel 2013. O come quando definisce “una banda di coglioni” i 5 stelle appiattiti sulle posizioni di Salvini sui migranti.
Proprio quei 5 stelle che lo avevano votato secondo alle Quirinarie, sempre nel 2013, e che 5 anni dopo gli avevano proposto un ministero. Invito declinato nel merito: “Gli ho fatto notare che Emergency è una delle associazioni che loro definiscono ‘taxi del mare’”.
E a proposito di bellicosità verbale, va senz’altro registrato il “Minniti sbirro”, che l’allora titolare del Viminale si beccò per le responsabilità nella gestione dei centri di detenzione in Libia. Per non parlare delle “infamie” di Romano Prodi, reo di aver abbandonato un collaboratore di Emergency di Kabul nelle mani degli uomini di Karzai.
Insomma sono sberle per tutti. Oltre ai citati, ci sono D’Alema, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, per cui far valere la massima di Giulio Andreotti: “La cattiveria dei buoni è pericolosissima. Gli altri la distribuiscono in dosi giornaliere, mentre chi la concentra ne fa strumenti esplosivi”.
Anche se con l’età un po’ il chirurgo si intenerisce e, dopo trent’anni di diserzione alle urne, nutre un po’ di fiducia nella lista Tsipras, che schiera Andrea Camilleri, Barbara Spinelli e Marco Revelli. O nella rivoluzione arancione di Antonio Ingroia, “una persona onesta e degna della massima fiducia”.
Qualche volta ci prende pure, come quando alle regionali di Milano del 2013, chiede a gran voce la cacciata della “banda che ha devastato scuola e sanità ”. “Siamo all’affarismo puro, qui ci sarà lavoro per gli avvocati per i prossimi venti anni”, profetizza, e nonostante lo sguardo lungo non poteva arrivare a pensare che il lavoro sporco lo avrebbe fatto una pandemia.
Nonostante tutto ciò, non deve però sorprendere più di tanto il sì al premier Giuseppe Conte, l’impegno in Calabria, dove il chirurgo dopo qualche tentennamento ha accettato di collaborare sul campo con la Protezione civile.
Non sarà come gestire ospedali in Africa, come gli ha rammentato il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, ma è in linea con quanto già fatto da Emergency a Palermo o a Marghera.
“Da anni — sosteneva Strada nel 2011 lanciando la campagna italiana — mi sono reso conto che i bisogni non sono solo oltre frontiera, in altri paesi”, ma “sempre più qui, in patria”. Tredici progetti. “Un’Italia sconosciuta. Castel Volturno, Polistena, quanti bei posticini. Povertà , degrado, schiavismo, situazioni che non ho mia visto neanche in Sudan”.
Volendo cedere ai sentimenti, infilarsi nel carnage calabrese è qualcosa di molto simile a un gesto d’amore, e quindi, come diceva il filosofo, al di là del bene e del male. Impresa disperante, ma alla portata di uno che per il bene superiore della missione non guarda in faccia nessuno, come ha imparato sulla sua pelle la figlia Cecilia cancellata dalla foto di famiglia di Emergency alla stregua di una Lev Trozky umanitaria.
Una cosa sola è certa, se va male nella complicata terra degli Spirlì e dei Morra, il chirurgo non potrà rifugiarsi nell’asteroide 248908 che porta il suo nome.
Otto milioni di anni luce sono troppi anche per l’uomo retto.
(da “Huffingtonpost”)
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