Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
LONDRA PROTESTA, GERMANIA E OLANDA “FREDDE”, SOLO LA FRANCIA TIEPIDA…PREVALE IL TIMORE DI INNESCARE UNA PERICOLOSA GUERRA PROTEZIONISTICA MONDIALE… CI SONO STATE GIA’ 174 RICHIESTE ACCOLTE
La decisione di Mario Draghi di bloccare un export di 250mila dosi di vaccino Astrazeneca destinato
all’Australia scuote gli altri Stati membri dell’Unione Europea.
E’ stata presa in virtù del regolamento europeo adottato dalla Commissione Ue a fine gennaio nel trambusto dei litigi con Astrazeneca, accusata di aver dirottato in Gran Bretagna lotti di fiale anti-covid destinate al continente. Il regolamento della Commissione sugli export dei vaccini parla chiaro. Prevede uno stretto monitoraggio da parte delle autorità nazionali ed europee, obbliga le aziende farmaceutiche a chiedere l’autorizzazione per esportare le fiale fuori dall’Ue, ad eccezione dei paesi poveri e di tre ‘paesi partner: Israele, Svizzera e Ucraina.
Il punto però è che a Bruxelles l’hanno pensato più come arma di pressione che come reale strumento per bloccare le esportazioni.
Tanto che da quando il regolamento è entrato in vigore, il 30 gennaio scorso, fino al primo marzo, l’Ue ha approvato 174 richieste di autorizzazione all’export di vaccini verso 30 paesi: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Bahrain, Canada, Cile, Cina, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Ecuador, Emirati Arabi, Hong Kong, Filippine, Giappone, Kuwait, Macao, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Oman, Panama, Perù, Qatar, Regno Unito, Repubblica Dominicana, Singapore, Stati Uniti, Sud Africa e Uruguay.
L’Italia è il primo Stato europeo a prendere sul serio il regolamento approvato a gennaio. Oggi il ministro della Salute francese Olivier Vèran annuncia che anche la Francia “potrebbe” bloccare l’export di vaccini Astrazeneca, Germania e Olanda sono invece più fredde.
I governi di Berlino e de L’Aja non ripudiano il regolamento: del resto, lo ha approvato anche la stessa Angela Merkel, all’unanimità con gli altri leader europei all’ultima videoconferenza sulla pandemia il 25 febbraio scorso, ma continueranno a usarlo più come arma di pressione che come reale bando dell’export.
“Dobbiamo fare pressione affinchè le consegne promesse siano mantenute”, dice il ministro tedesco della Salute Jens Spahn. “La nostra principale preoccupazione è avere trasparenza e questa trasparenza è condivisa con la Commissione. Ad oggi – continua Spahn – non abbiamo ragioni per non autorizzare le consegne di vaccini in altre parti del mondo”. Va detto che il vaccino AstraZeneca non viene prodotto in Germania, ma alcune dosi sono infialate dalla azienda tedesca Idt Biologika.
A quanto apprende Huffpost da fonti diplomatiche, anche il governo olandese è su questa posizione: nulla da bloccare, solo ‘pressing’.
Il malumore emerge in chiaro dalle dichiarazioni di due eurodeputati della Spd tedesca. La mossa italiana è stata “estremamente miope”, dicono il presidente della Commissione per il commercio all’Europarlamento Bernd Lange e il portavoce per la politica sanitaria dell’Spd Tiemo Wà¶lken. Il blocco dell’export apre “il vaso di Pandora e potrebbe portare a una battaglia globale per i vaccini”, la pandemia richiede “cooperazione anzichè scontro”.
L’Australia chiede alla Commissione Ue di fare marcia indietro.
Ma ormai la temperatura sul tema è salita a livello mondiale. Il protezionismo sui vaccini sembra avanzare di pari passo con le varianti del virus.
L’India, per dire, protesta con gli Stati Uniti per la scelta di Washington di bloccare temporaneamente l’export di alcune materie prime necessarie per il prodotto finito.
Una mossa che “va rivista”, dice Adar Poonawalla, capo esecutivo del ‘Serum Institute of India’, gigante dei vaccini a livello mondiale che produce Astrazeneca e tra poco anche le dosi di Novavax. “Se si punta allo sviluppo della capacità produttiva in tutto il mondo, la condivisione di queste materie prime, che non possono essere sostituite nel giro di sei mesi o un anno, è necessaria e non può essere ostacolata”.
La Gran Bretagna, parte in causa di tutta questa storia fin dall’inizio, è a dir poco risentita per la scelta italiana. “La ripresa globale dal covid si basa sulla collaborazione internazionale. Dipendiamo tutti dalle catene di approvvigionamento globali: mettere in atto restrizioni mette in pericolo gli sforzi globali per combattere il virus”, dice il portavoce del primo ministro Boris Johnson, che ieri ha avuto un colloquio con Draghi.
Il portavoce di Johnson rivela poi un particolare molto utile a inquadrare questa storia. Quando “all’inizio di quest’anno il premier ha parlato con von der Leyen – dice – la presidente della Commissione lo aveva rassicurato sul fatto che il focus del loro meccanismo era sulla trasparenza e non intendeva limitare le esportazioni da parte delle aziende. Ci aspetteremmo che l’Ue continui a mantenere i suoi impegni”.
Insomma, pur prevedendo il bando degli export dei vaccini per le aziende che non rispettano gli impegni già presi con l’Ue, il regolamento europeo non voleva essere un bando vero. Solo uno strumento di pressione. In altre parole: una finta. Kafkiana, come capita spesso nelle cose europee.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
L’ENNESIMO COLPO DI SPUGNA VOLUTO DAI SOVRANISTI PER I QUALI CHI PAGA LE TASSE E’ UN COGLIONE… SE FOSSE SENZA UN TETTO COSTEREBBE ADDIRITTURA 3,7 MILIARDI… 60 MILIONI DI CARTELLE ESATTORIALI BUTTATE NEL CESSO
Prende forza il pacchetto di sanatorie fiscali post-Covid che il governo si appresta a varare la prossima settimana all’interno del decreto “Sostegni”.
Il testo della bozza dell’articolato, contenente il colpo di spugna, riprende la sintesi circolata nei giorni scorsi, e conferma un maxi “annullamento automatico” di 60 milioni di atti relativi ai debiti fiscali maturati nei 15 anni tra il 2000 e il 2015, oltre a una sanatoria speciale per le partite Iva che prevede uno sconto su sanzioni e interessi per coloro che hanno fatto irregolarità nel biennio 2017-2018 e dimostrano una caduta del fatturato del 33 per cento durante l’anno dell’epidemia, il 2020
La partita è tuttavia ancora aperta
La stessa misura di pulizia del magazzino 2000-2015 che la Lega ha proposto sotto forma di “saldo e stralcio” fino a quota 5.000 euro risulta nella bozza del decreto. Sebbene il tetto sia lasciato in bianco nel testo, vengono formulate più ipotesi che vanno dall’annullamento dei vecchi debiti con il fisco fino ai 3.000 euro (costo 730 milioni), passando per i 5.000 euro (1,8 miliardi), fino ad una cancellazione senza soglie che costa 3,7 miliardi.
La misura proposta dalla Lega aveva già fatto esprimere malumori in parte del Pd e in Leu e l’ex ministro del Tesoro Vincenzo Visco ha scritto sul sito In più che l’operazione sarebbe «un errore» perchè «se è vero che il 70-80 per cento delle cartelle pendenti si riferisce a nullatenenti o falliti» non è vero che siano tutte «inesigibili».
Un tema sul quale interviene anche il mondo dei Caf: «È necessario un collegamento al reddito, attraverso l’Isee, in modo di rendere proporzionale e più giusta la sanatoria», ha dichiarato Alessandro Mastrocinque, del Caf-Cia.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
STAVOLTA IL PD NON SALVERA’ LA PELLE CON UN ACCORDO TRA LE CORRENTI
Zingaretti può ancora tornare indietro sulla dimissioni da segretario del Partito democratico? Una
possibilità , seppure minima, c’è ancora. Lo chiedono molti suoi sostenitori, invocando una stretta sulle correnti.
Lo chiedono anche molti suoi avversari, che temono il dibattito interno precipiti nel caos in una situazione acefala. Un fatto è certo: a dispetto di quanto sostenuto da molti retroscena e dietrologi, la mossa di Zingaretti non nasce come espediente tattico bensì da una reale esasperazione per la conflittualità e per gli attacchi subiti nelle ultime settimane.
Quindi, al momento, non c’è motivo di pensare che l’irreversibilità delle dimissioni, ribadita oggi, sia uno schermo di intenzioni diverse.
Cosa può accadere ora, è difficile dire. La soluzione più probabile resta la nomina di un nuovo segretario in Assemblea nazionale il 13 e 14 marzo.
Un traghettatore verso il congresso. Un’ipotesi è che tocchi ad Andrea Orlando. È il vicesegretario e già due volte (Dario Franceschini dopo Walter Veltroni, Maurizio Martina dopo Matteo Renzi) è toccato al numero due assumere la guida del partito dopo il traumatico passo indietro del leader: in entrambi i casi il “reggente” si è poi candidato senza successo alle primarie.
Proprio questo è il punto debole di Orlando, che può legittimamente coltivare ambizioni di segreteria e per questo è giudicato da una parte della minoranza poco super partes per gestire un momento del genere.
C’è poi il problema del doppio ruolo: Orlando è entrato nel governo Draghi e l’incarico ha già suscitato polemiche nel partito per il mantenimento anche della carica di vicesegretario.
D’altra parte, Orlando ha un profilo e una esperienza adatti a un momento così difficile: anche una parte della corrente ex renziana sa bene che sarebbe un rischio notevole per il Pd affidarsi a una reggenza meno ingombrante ma quindi anche meno autorevole, col rischio di affrontare male le amministrative di autunno e arrivare in grande difficoltà a scadenze come l’elezione del presidente della Repubblica e le politiche del 2023.
Questo è appunto l’handicap principale di Roberta Pinotti, ex ministra della Difesa, solido curriculum e possibile punto di equilibrio tra le correnti: la poca consuetudine con le trappole e le responsabilità della leadership ne limita le chance.
Pinotti è espressione della corrente Franceschini. Quella tra Franceschini e Orlando, in teoria entrambi componenti della maggioranza che sosteneva Zingaretti, è la nuova strisciante competizione aperta tra le correnti.
Una possibilità è che il compromesso tra i due ministri, che di fatto si contendono il ruolo virtuale di capodelegazione dem nel governo Draghi, si raggiunga su un nome terzo, che magari abbia un’immagine da padre, o madre, nobile del partito.
Più avanti toccherebbe ai candidati veri, in testa Stefano Bonaccini, lo stesso Orlando. Ma mai come stavolta è chiaro che il Pd, in Assemblea come al congresso, non uscirà dall’angolo con un semplice accordo di nomenclatura.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
E SI SCOPRE CHE LE PERCENTUALI SONO IDENTICHE A QUELLE DI CONTE
Chi si aspettava una rivoluzione rimarrà deluso. Stando all’ultima bozza, il decreto Sostegno a cui sta lavorando il governo Draghi non riconoscerà alle attività danneggiate dalla pandemia ristori maggiori rispetto a quelli concessi dal Conte 2: la percentuale di fatturato perso che verrà versata sui conti correnti sarà identica a quella prevista dai “vecchi” decreti Ristori.
Non solo: i contributi a fondo perduto non saranno parametrati alla perdita dell’intero 2020, come ci si attendeva, ma prenderanno in considerazione solo l’andamento di gennaio e febbraio 2021 rispetto allo stesso bimestre del 2019.
Una scelta temporale che fa venir meno quella “perequazione” di cui aveva parlato l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che avrebbe compensato eventuali penalizzazioni subite a causa dei criteri utilizzati lo scorso anno.
Per di più a gennaio e febbraio quasi tutte le attività — fatta eccezione per gli stabilimenti sciistici — erano aperte, quindi verosimilmente hanno subito cali di fatturato più modesti. Difficile quindi rispettare il requisito del 33% di perdita necessario per ottenere il sostegno.
Invariate le percentuali di ristoro
Secondo la nuova bozza rimane invariata al 20% del fatturato perso la quota di aiuti che vanno alle imprese più piccole, quelle con un giro d’affari che non supera i 400mila euro l’anno.
Nei giorni scorsi si era ipotizzato che l’asticella potesse salire fino al 30% a beneficio soprattutto dei piccoli esercizi.
La soglia rimane al 15% per chi aveva ricavi compresi fra 400mila euro e un milione e al 10% per chi aveva ricavi tra 1 e 5 milioni di euro.
Esattamente le fasce previste dal decreto Rilancio e dai successivi decreti Ristori di Conte. Sul piatto ci sono 9,7 miliardi — a valere sullo scostamento di bilancio da 32 approvato prima della caduta di Conte — a fronte degli oltre 10 miliardi distribuiti l’anno scorso con i decreti Rilancio e Ristori.
Via gli Ateco, ma occorre aver perso almeno il 33% del fatturato
L’unico vero cambiamento è che viene meno l’utilizzo delle classificazioni Ateco per decidere chi ha diritto agli aiuti. Al contributo a fondo perduto potrebbero accedere tutti i titolari di partita Iva che abbiano subito perdite di almeno il 33% del fatturato.
Ai soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1 gennaio 2019 il contributo spetta, sempre secondo le bozze, anche in assenza dei requisiti. I trasferimenti vanno da un minimo di 1.000 a un massimo di 150.000 euro: cifre identiche, anche queste, a quelle previste dai decreti del precedente governo.
Il risarcimento potrà essere erogato come contributo diretto oppure riconosciuto sotto forma di credito d’imposta utilizzabile in compensazione tramite modello F24.
Non c’è l’esonero dalla ripresa dei versamenti fiscali
Infine, non c’è traccia dell’”esonero parziale o totale” dalla ripresa dei versamenti fiscali e contributivi promesso lo scorso anno dal governo Conte.
Nelle bozze la sanatoria — stavolta per le imprese che nel 2020 hanno registrato un calo del fatturato del 33% rispetto al 2019 — si limita all’abbattimento di sanzioni e interessi richiesti con le comunicazioni di irregolarità sulle dichiarazioni relative ai periodi di imposta 2017 e 2018. In caso di adesione, è previsto il versamento secondo le ordinarie modalità di riscossione delle somme dovute in seguito a controlli automatici.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
E’ COSI’ DIFFICILE IDENTIFICARE UNA UTENZA TELEFONICA?… E’ STATA LA MAERSK A CHIEDERE UN MESE DOPO ALLA MARE JONIO DI QUANTIFICARE IL DANNO AVUTO PER IL BLOCCO DELLA NAVE PER LA QUARANTENA
Dalla lettura dei documenti dell’accusa contro i vertici di Idra, l’armatore della Mare Jonio, la nave
umanitaria di Mediterranea, vanno emergendo elementi che lasciano basiti.
Nel provvedimento della procura è riportato che alcuni giorni prima del 12 settembre 2020, quando avvenne il trasbordo dei migranti dalla petroliera Maersk Etienne a Mare Jonio, uno degli indagati (Beppe Caccia) ricevette alcune chiamate dalla Danimarca, sempre dalla stessa utenza «della quale non è stato identificato l’intestatario», si legge nel provvedimento degli inquirenti.
Tuttavia «si ha il fondato motivo di ricondurre alla stessa Maersk».
Dal sindacato degli armatori danesi, però, reagiscono non senza sorpresa. «Quel telefono — si legge in una mail indirizzata ad Avvenire — è di Maria Skipper Schwenn, direttore del Danish Shipping», proprio l’associazione di categoria degli armatori.
La precisazione arriva due giorni dopo le dichiarazioni di Maersk, che in una lunga nota aveva ribadito come non vi fosse stato «alcun accordo commerciale precedente al trasbordo dei migranti».
Gli investigatori, al contrario, sostengono che le intese, «del tutto probabilmente intercorse», sono da ritenere «plausibili», anche se non provate.
«Depositeremo nei prossimi giorni istanza di riesame del provvedimento cautelare», annunciano i legali degli indagati.
A questo proposito verranno consegnate anche le comunicazioni tra Mare Jonio e la Capitaneria di Porto. In una delle mail giunte sul ponte di comando del rimorchiatore, il coordinamento dei soccorsi presso il comando delle capitanerie di porto a Roma, alle 19.25 del 12 settembre, informava «che il Ministero dell’Interno ha autorizzato lo sbarco per ragioni sanitarie delle persone presenti a bordo».
Beppe Caccia, che era stato in contatto con la Danimarca dove poi aveva partecipato ad alcuni incontri pubblici sul tema del soccorso in mare, spiega, non smentito da Maersk, che nel corso di un meeting pubblico quando gli era stato chiesto dai manager di Maersk di quantificare il costo non solo del trasbordo ma anche del successivo stop imposto alla nave a causa di quarantena e nuovi controlli, aveva indicato la cifra di 270 mila euro.
Un dettaglio che la difesa intende utilizzare. Perchè l’incontro con Maersk e altri armatori a Copenaghen, nel corso del quale la compagnia decise di versare 125mila euro in forma di sostegno all’organizzazione umanitaria, avvenne in ottobre, un mese dopo il trasbordo.
Secondo i legali questo passaggio dimostrerebbe come non vi fosse stato alcun accordo preventivo, economico preventivo.
(da Avvenire)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE ORDINA AL LEGHISTA FEDRIGRA DI CAMBIARE IL REGOLAMENTO SU SOSTEGNO AFFITTI
Stangata per l’amministrazione regionale del Friuli-Venezia Giulia: con l’ordinanza datata 2 marzo 2021, il Giudice del lavoro del Tribunale di Udine ha imposto alla Regione amministrata dal leghista Massimiliano Fedriga a modificare il Regolamento regionale per il sostegno al contributo economico degli affitti.
L’ordinanza tocca anche il Comune di Udine che dovrà inserire in graduatoria i cittadini stranieri esclusi per mancanza della documentazione illegittimamente prevista.
Il Tribunale, infatti, ha accolto il ricorso proposto da cinque cittadini stranieri — quattro del Ghana e uno del Marocco — che si erano visti dichiarare inammissibili dal Comune di Udine le domande di contributo affitti per non aver prodotto documentazione del Paese di origine attestante l’inesistenza in patria di un alloggio idoneo in proprietà .
Il regolamento regionale del Fvg, entrato in vigore proprio sotto la guida di Fedriga, stabilisce al momento un criterio che vale solo per le persone di origine non italiana: il Tribunale ha dichiarato però che questa modalità per ottenere un sostegno economico per il pagamento dell’affitto è in contrasto con le norme nazionali e comunitarie.
Per il Tribunale di Udine, il Regolamento ora deve essere rivisto cancellando le norme discriminatorie e, nel frattempo, gli stranieri che erano stati esclusi dalle graduatorie del Comune di Udine dovranno essere ammessi al contributo.
Con buona pace di Fedriga
Il dibattito in Regione si era acceso a partire dall’aprile del 2020, con la discesa in campo anche dell’Asgi, Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione, che aveva chiesto al giudice Marina Vitulli di non limitarsi all’accoglimento delle domande dei ricorrenti, ma di rimuovere la “discriminazione collettiva” presente in tutto il Friuli-Venezia Giulia a causa dell’obbligo di produzione dei documenti contenuto nel regolamento regionale.
Il Tribunale ha poi accolto sia le domande dei ricorrenti, assistiti dagli avvocati Martino Benzoni, Anna Cattaruzzi, Alberto Guariso e Dora Zappia, sia la domanda di Asgi, ordinando quindi alla Regione di modificare il regolamento con effetto su tutti i Comuni del Fvg, oltre che su quello di Udine.
Secondo il Tribunale, visto che il requisito in questione è l’inesistenza di immobili in proprietà in qualsiasi parte del mondo, è irragionevole e discriminatorio richiedere al solo straniero documentazione ulteriore rispetto all’Isee sul quale tutti, italiani e stranieri, devono indicare le proprietà immobiliari all’estero, sottoponendo la dichiarazione alla verifica dell’Agenzia delle entrate.
A rafforzare la decisione, il Tribunale ha richiamato la recente sentenza della Corte Costituzionale 9/2021 che ha dichiarato incostituzionale una norma della Regione Abruzzo che conteneva una disposizione identica a quella del Regolamento regionale del Friuli-Venezia Giulia.
E se per il presidente Fedriga l’ordinanza è discriminatoria nei confronti degli italiani, c’è chi in Friuli ha esultato alla notizia. “L’ordinanza conferma una linea già chiaramente tracciata anche dalla Corte Costituzionale su vertenze inerenti il diritto alla casa”, dichiarano Renato Kneipp per il Sunia (Sindacato inquilini) e Susanna Pellegrini della segreteria regionale Cgil. “La Regione prenda atto degli orientamenti della giurisprudenza e riveda la propria normativa, non soltanto per chiudere i contenziosi in atto ed evitarne di nuovi, ma soprattutto per definire una politica della casa che risponda all’effettivo bisogno di tutte le persone che vivono, lavorano e pagano le tasse in Friuli-Venezia Giulia, invece che a criteri demagogici basati sulla contrapposizione tra italiani e stranieri”.
Dello stesso avviso anche gli esponenti della minoranza in Consiglio regionale. “Sia per quanto riguarda questa norma sui contributi affitti che per quella relativa alle case Ater abbiamo più volte argomentato in Consiglio regionale che erano norme discriminatorie, ingiuste e dannose per la coesione sociale. Abbiamo dato voto contrario quando sono state proposte. Purtroppo ciò è stato inutile e la Giunta Fedriga le ha fatte approvare senza ripensamenti. Plaudiamo alla Giustizia che mette finalmente un freno all’ideologia xenofoba di chi governa questa regione”, ha dichiarato Furio Honsell di Open Sinistra FVG. Anche il consigliere dem Diego Moretti si schiera con la decisione del Tribunale: “L’avevamo detto che quel regolamento era discriminatorio e anticostituzionale e avrebbe prodotto contenziosi legali”, ha dichiarato.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
“SIAMO A PRIMI A VOLER DECENTRARE LA PRODUZIONE DEL VACCINO, SE L’ITALIA AVESSE PARTNER AZIENDALI IDONEI LO AVREMMO GIA’ FATTO”
Interviene l’amministratore delegato di AstraZeneca Italia, Lorenzo Wittum in un’intervista esclusiva a
ClassCnbc.
Wittum ha spiegato che AstraZeneca ha dovuto chiedere ai siti di produzione europea l’esportazione di 250.000 dosi per l’Australia e tecnicamente, visto che il prodotto finito si fa in Italia (Catalent ad Anagni), l’autorizzazione doveva essere fatta dall’Italia.
“Ribadisco il nostro impegno totale a fornire le quantità che abbiamo previsto all’Unione Europea. Nel caso dell’Italia si tratta di 5 milioni nel primo trimestre, e 20 milioni nel secondo trimestre. Sono quantità – ha detto Wittum – che possono essere anche importate da altri paesi e attualmente stiamo cercando di ottimizzare la nostra catena di produzione con tutti gli impianti che abbiamo nel mondo”.
Quanto a un potenziale polo che possa produrre i vaccini in Italia, Wittum ha aggiunto: “Siamo a disposizione per verificare che ci siano dei partner in grado di soddisfare questa necessità . La grande maggioranza dei nostri stabilimenti – spiega l’ad – sono stabilimenti dei partner ai quali abbiamo fatto il cosiddetto trasferimento tecnologico. Cosa vuol dire? Mettere in condizione i partner di produrre secondo il processo che abbiamo disegnato”. Per far sì che “possiamo incontrare questi partner – precisa inoltre – abbiamo bisogno di due elementi. Una capacità tecnica di produrre in grandi bio reattori, processo che tecnicamente si chiama processo di produzione in virus vivo, quindi non è un virus batterico, e ci vuole una certa capacità tecnica iniziale. Secondo, abbiamo bisogno di grandi volumi: cerchiamo partner in grado di produrre decine di milioni di dosi al mese, visto l’impegno che abbiamo di produrre tre miliardi di dosi durante tutto il 2021 per tutto il mondo”.
Come dire: siete voi che non siete attrezzati, altrimenti lo avremmo già fatto, come in altri Paesi.
(da agenzie)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
ROUSSEAU LANCIA IL SUO MANIFESTO, IL GARANTE FA IL “MITE”
Grillo, il padre che deve tenere assieme la prole, prova a giustificare il sì a Draghi ponendogli paletti nel nome del futuro e dell’ambiente. Sempre insistendo su quel 2050 che è l’orizzonte per non sparire dentro la propria crisi, e infatti la sigla Movimento2050.it comparirà anche nel nuovo simbolo del Movimento.
Ma fuori ci sono Davide Casaleggio con l’elmetto e la sua Associazione Rousseau, che annunciano per il 10 marzo un manifesto, “perchè è arrivato il momento di riattivare i motori e cominciare la nostra corsa controvento”.
Molti espulsi di fresco, nomi come Barbara Lezzi, Nicola Morra e Elio Lannutti, gli battono le mani. E pare l’embrione di una sorta di scissione, di un nuovo movimento per recuperare i valori originari del M5S.
Un dolore per il Garante, che pure ha fatto di tutto per evitare lo scontro finale tra il Movimento e Casaleggio. Invece è strappo, e tanti grillini corrono a chiedere di potersi cancellare da Rousseau, mentre il ministro Stefano Patuanelli è feroce: “Auguri a Rousseau, il M5S non va di bolina ma con il vento in poppa e con Conte”.
Tutto questo, nel giorno in cui Nicola Zingaretti si dimette da segretario dem, mettendo a serissimo rischio l’alleanza giallorosa. E nello stesso giovedì in cui Grillo diffonde un torrenziale post in cui spiega l’entrata nel governo: “Il M5S ha deciso di non sottrarsi alle sue responsabilità , per contribuire a fare un uso più lungimirante possibile dei 210 miliardi” del Recovery Plan. Quindi sì a Draghi, “a cui abbiamo posto due condizioni tassative, l’istituzione di un super ministero della Transizione ecologica e soprattutto del Comitato interministeriale per la Transizione, sotto la responsabilità diretta del premier”.
Ossia un tavolo permanente tra tutti i ministri, D’altronde, sostiene sempre Grillo, “nella trattativa con Draghi il M5S ha puntato sulla sostanza e sul peso dei ministeri, non sul loro numero. C’è un ministero maggiore, quello della Transizione”.
Così sostiene il Garante, che cita Conte, ricordando che “gli è stato chiesto di scrivere insieme un progetto per il futuro del Movimento”. Ed è un modo per dire che anche lui ci metterà mano. Infine Grillo blinda, ancora, Virginia Raggi: “Il Comune di Roma è in buona posizione per dare nuovo slancio ecologico alla città ”. Però poi c’è Casaleggio. “Non è più tempo di accontentarsi — scrive l’Associazione Rousseau — Per tornare a volare alto dobbiamo anteporre le idee alle persone e le riforme alle poltrone”.
È l’anatema, e la scissione, anche se un big sussurra: “Vuole solo alzare la posta”. Anche perchè Casaleggio chiede ancora al M5S restituzioni per quasi 450 mila euro. Ma ormai le strade si divideranno. Con Alessandro Di Battista che si tiene a debita distanza dalle due parti.
E Conte? “Lavora al progetto” ripetono. Cioè al nuovo Statuto dove sono previsti segretari regionali e una tesoreria centrale, per il M5S del 2050. Quello dove Casaleggio non ci sarà .
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 5th, 2021 Riccardo Fucile
SCELTA STRATEGICA CHE IMPEDIRA’ CHE IL PROCESSO POSSA ESSERE SEGUITO DALLA STAMPA: SI TERRA’ A PORTE CHIUSE… L’11 MARZO INIZIA ANCHE IL PROCESSO A CENTEMERO, DEPUTATO E TESORIERE DELLA LEGA
Il processo ai contabili della Lega sarà a porte chiuse. 
L’avvocato Piermaria Corso, difensore di Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba i due contabili del Carroccio indagati per peculato e turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sulla sede della Lombardia Film Commission, ha avanzato una richiesta di giudizio abbreviato: una formula che prevede appunto che gli imputati siano giudicati dal gip e che le udienze avvengano solo alla presenza degli avvocati, degli imputati e dei pm. Una scelta strategica quella degli uomini di Salvini che di fatto impedirà che il processo ai due possa essere seguito dalla stampa. Al momento non è ancora stata presentata la richiesta di abbreviato da parte di Francesco Barachetti, l’imprenditore di Casnigo anche lui imputato nel procedimento.
Una scelta che arriva in un momento cruciale per quanto riguarda le vicende giudiziarie che coinvolgono la Lega: il prossimo 11 marzo infatti è previsto il via anche al processo che vede imputato Giulio Centemero. Il tesoriere e parlamentare leghista è accusato di finanziamento illecito al partito per una somma ricevuta nel giugno 2016 da Esselunga, che aveva versato circa 40mila euro all’associazione Più Voci (Centemero è indagato anche a Roma per vicende di finanziamento illecito da parte di Parnasi, prima udienza prevista per il 25 marzo).
Il processo riguarda il meccanismo per drenare soldi pubblici della Lombardia Film Commission tramite la compravendita dell’immobile di Cormano messo in piedi dai commercialisti insieme a Michele Scillieri (lui ha patteggiato una condanna a 3 anni e 4 mesi). E per il quale è stato ammesso tra le parti civili, oltre alla Regione, a Fondazione Lombardia Film Commission e al ministero delle FInanze, anche il Comune di Milano: “Secondo l’ipotesi accusatoria, gli imputati avrebbero pianificato una complessa operazione immobiliare di acquisizione di un edificio da adibire a sede dell’Ente (oggetto di finanziamento regionale), condizionandone illecitamente le modalità di scelta a favore di uno stabile in Cormano, e appropriandosi del prezzo di acquisto, importo successivamente retrocesso per oltre la metà ad alcuni di essi – scrive palazzo Marino in una nota – La Giunta ha pertanto autorizzato oggi la richiesta di costituzione in giudizio del Comune di Milano nel procedimento penale avviato in quanto parte lesa dai reati, insieme alla Fondazione stessa e a Regione Lombardia, ai fini del risarcimento dei danni, anche all’immagine, subiti sia in qualità di socio che di Ente esponenziale della collettività e titolare di pubbliche funzioni in materia di promozione culturale, turistica e imprenditoriale del territorio milanese”.
(da agenzie)
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