Marzo 10th, 2021 Riccardo Fucile
DALL’ACCORDO PER LA PRODUZIONE IN ITALIA SI SMARCANO TUTTI: GIORGETTI, DI MAIO E PERSINO LA LOMBARDIA… ESULTA SOLO SALVINI CHE SA BENE COSA C’E’ DIETRO, LA SOLITA MARCHETTA A PUTIN
L’accordo “privato”, come viene definito in ambienti di governo, per la produzione in Italia delle dosi del vaccino Sputnik V ha colto tutti di sorpresa, tranne la Lega. Il premier Mario Draghi, la Farnesina, la Commissione Europea e la Regione Lombardia prendono le distanze dal contratto firmato, il primo in Europa, tra il Fondo russo (Rdif), guidato da Dmitriev e che commercializza il vaccino, e la svizzera Adienne Pharma & Biotech, che ha uno stabilimento a Caponago in Brianza.
Ad annunciare l’intesa è stato il presidente della Camera di Commercio Vincenzo Trani: “Da luglio saranno prodotte 10 milioni di dosi entro l’anno”. La Lega a trazione Matteo Salvini, molto attenta ai rapporti con il Cremlino, esulta per questo accordo siglato tra Milano e Mosca. Non a caso pochi giorni fa era stato proprio il leader leghista a dire che bisogna guardare alla Russia come sta facendo San Marino. La partita è sì sanitaria, ma è anche politica. L’ex ministro dell’Interno conosce Trani, che in passato lo difese quando scoppiò lo scandalo sui presunti fondi russi alla Lega dicendo che si trattava di una “bufala”. Nell’inchiesta finì anche l’incontro all’hotel Metropol di Mosca, durante il quale Gianluca Savoini, esponente leghista e presidente dell’associazione Lombardia Russia, amico e collaboratore di Matteo Salvini, parla con alcuni russi di strategie sovraniste anti-Ue e di affari legati al petrolio.
Questo è il quadro per capire i rapporti che intercorrono tra la Lega e la Russa e il motivo di tanta esultanza che arriva dal partito di Salvini. Oggi addirittura il senatore Roberto Calderoli ringrazia il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e il premier Mario Draghi per il lavoro svolto: “Il cambio di passo nella battaglia per la vaccinazione di massa, con il nuovo Governo guidato da Mario Draghi, con l’attivismo del ministro Giorgetti, dopo i gravi ritardi accumulati dal precedente Governo, si vede eccome!”.
In realtà nulla di tutto questo è stato concordato con il governo nè tantomeno con il premier Draghi. Sia perchè si tratta di un accordo tra privati, sia perchè non ci sono ancora le necessarie autorizzazioni ma soprattutto perchè la produzione dello Sputnik V non rientra nei programmi italiani. La posizione che assume Palazzo Chigi è quella della Commissione Europea, che in una nota firmata dal portavoce parla chiaro: “In questa fase non sono in corso colloqui per integrare il vaccino Sputnik nella strategia vaccinale dell’Ue. Siamo fiduciosi che le nostre forniture consentiranno all’Ue di raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 70% della popolazione europea entro l’estate”.
Tuttavia viene aggiunto che “la strategia è una strategia congiunta tra la Commissione e gli Stati membri, pertanto la Commissione e gli Stati membri possono sempre decidere insieme di modificare il portafoglio dei vaccini”. Ma al momento non sembra essere questo il caso. Anche la Regione Lombardia comunica che ne sapeva niente, “siamo estranei all’accordo”.
Piovono i comunicati per smarcarsi. Anche fonti vicine al ministro Giorgetti prendono le distanze. “La produzione di Sputnik V in Italia è una “operazione legittima che rientra nelle logiche di mercato” e in quanto tale “non può essere attribuita al ministero dello Sviluppo economico. Nel momento in cui si arriverà alla produzione il vaccino non potrà essere utilizzato fino a quando sarà completata l’istruttoria di Ema, e ogni suo utilizzo sarà vincolato al via libera della struttura competente”. Inoltre le stesse fonti fanno sapere che giovedì ci sarà una nuova riunione con Farmindustria, il commissario straordinario per l’emergenza Covid 19, Francesco Paolo Figliuolo, e il consulente economico del Mise per i vaccini, Giovanni Tria.
La strategia del governo rimane dunque la stessa. Sostenere le aziende italiane dotate di bioreattori in grado di produrre i vaccini già autorizzati: Pfizer-BionTech, AstraZeneca e Moderna. Adienne, che nello stabilimento di Caponago in Brianza dovrebbe produrre lo Sputnik V, ha il bioreattore per produrre i vaccini basati su adenovirus, quindi l’AstraZeneca, a cui l’Italia pensa per produrre quante più dosi possibili. In questo modo, lo stabilimento verrebbe sottratto alla produzione principale su cui punta il governo italiano.
Il pericolo è tale che anche la Farnesina comunica di essere all’oscuro dell’operazione. Non risultata sia stata fornita alcune approvazione da parte dell’ambasciata italiana a Mosca. Il farmaco russo non è approvato dall’Agenzia europea del farmaco, dunque se nello stabilimento di Caponago fiale di vaccino non sarebbero utilizzabili e somministrabili in Europa. Ci sono rigidi protocolli e procedure da seguire previsti dall’Unione europea: ispezioni dell’Ema, verifiche sulla produzione e trial clinici per fasce e per tipo di popolazione sottoposta al campione.
(da Huffingotonpost)
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Marzo 10th, 2021 Riccardo Fucile
“LA TERZA ONDATA SI POTEVA EVITARE”
Qualche giorno fa è arrivata in redazione una foto di una mano, non una mano qualsiasi, ma la mano
di un medico in prima linea nella lotta al Covid. Una mano segnata da 12 ore di turno in un reparto Covid, rugosa e secca, come quella di un ottantenne. Eppure era la mano di un uomo di 48 anni, anestesista rianimatore del policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena.
“Lavoro in area Covid con pause di un mese, due dall’inizio della pandemia”, scrive Salvatore Quarta nella lettera che accompagna la foto, che in verità non avrebbe bisogno di parole. “Oggi dopo l’ennesimo turno estenuante nel togliermi i guanti, tre strati di guanti uno sopra l’altro, con percezione di bruciore intenso durante il turno (sudore, gel sanificante, talco), questa è stata la desolante visione delle mani improvvisamente invecchiate di 30-40 anni, con annessa perdita di sensibilità legata probabilmente ad una sorta di lessatura dello strato superficiale della cute. Una foto che ancora una volta vuole richiamare la sensibilità del lettore e del cittadino su quelle che sono le ferite dell’animo e fisiche di tutti coloro che quotidianamente stanno combattendo in trincea questa pandemia. Quello che chiediamo quindi è: dateci una mano”.
Dottore, perchè ha sentito di doverci inviare questa foto?
“Credo che dia ancora di più il senso di chi lavora in prima linea. Ci siamo abituati a vedere i volti degli operatori, o meglio i loro occhi stanchi, la postura affaticata di persone bardate dalle protezioni sanitarie, piegate da ore di lavoro. Le mani non si vedono, eppure sono questi i nostri strumenti primari di lavoro. E’ un modo per far cadere anche il luogo comune che i medici sono distanti dal lavoro manuale, la nostra professione è manuale prima di tutto. Questa foto lo dimostra”.
Quante ore durano i turni?
“Le ore sono quelle previste dal contratto: ora vengo da un turno di 12 ore, tutto nell’area Covid. Si lavora 2-3 mesi in area Covid e un mese in sala operatoria (nel mio caso), per ‘riposarsi’. Sembra un paradosso ma è così perchè non è la quantità di ore in sè che ti massacra, ma la qualità : ore trascorse negli scafandri, con la mascherina e lo schermo protettivo, a curare persone sempre più giovani, con storie sempre laceranti, umanamente difficili da digerire”.
Per esempio?
“Tutte le volte che dobbiamo accettare un paziente in rianimazione Covid ci immedesimiamo nelle sue angosce. Vede, questa è un malattia subdola, ‘infame’, in cui l’organismo cerca con tutte le sue riserve di combattere fino alla fine: pensi che praticamente tutti coloro che siamo costretti ad intubare fino all’ultimo riferiscono di stare bene. Purtroppo il riscontro dei parametri respiratori dice tutt’altro. È a quel punto che il paziente deve per forza di cosa affidarsi a te e in quel momento senti addosso tutto il peso della responsabilità di chi sta rimettendo nelle tue mani la sua vita e quella dei suoi cari. E quando dopo settimane di cure intensive sei costretto ad alzare bandiera bianca perchè il virus ha vinto, ti senti cadere il mondo addosso perchè non hai onorato il ‘patto’ con il tuo paziente. Quando mi è successo la prima volta è stato tremendo”.
Invece il momento più bello?
Marito e moglie, insieme da un vita, separati dal Covid: lei intubata, lui un decorso meno drammatico. Li separava un piano. Ogni giorno lui chiedeva della moglie. Poi in prossimità di Pasqua abbiamo estubato la paziente ed è stato questo il nostro regalo. Abbiamo fatto scendere il marito nel reparto della moglie: è stato un momento di intimità di cui abbiamo avuto il privilegio di essere testimoni. Non le nego che qualche lacrima l’abbiamo versata. Ovviamente erano lacrime di gioia.
Ha mai pensato di mollare?
“Io ho scelto di dare il mio contributo in area Covid e ci lavoro da un anno, dall’8 marzo dello scorso anno. Mi sono prestato sempre con molto entusiasmo perchè amo il mio lavoro ma non riesco a nascondere la mia delusione quando esco dall’ospedale e vedo la leggerezza con cui le persone si comportano. Credo che con qualche attenzione in più da parte di tutti almeno la terza ondata si sarebbe potuta evitare”.
La sua famiglia l’ha appoggiata nelle sue scelte coraggiose?
“Mia moglie Elena mi ha accompagnato quotidianamente con la sua presenza forte e discreta. Lei è insegnante e ha sempre compreso e accettato, qualora ce ne fosse stato il bisogno, di doverci separare per la nostra salute e quella dei nostri cari. Il suo incoraggiamento non è mai venuto meno, soprattutto inizialmente quando c’erano molti interrogativi sull’andamento dell’epidemia e il bollettino parlava di molti miei colleghi rimasti vittime del Covid”.
E sua figlia?
“Per mia figlia sono un eroe”.
Qual è un aspetto ‘nascosto’ che vorrebbe portare alla luce del suo lavoro in trincea, oltre le mani?
“In questi dodici mesi abbiamo lavorato a stretto contatto tra medici e infermieri e posso dirle che sono rimasto colpito dalla figura delle ‘infermiere’, quasi tutte ragazze molto giovani, per lo più appena laureate in scienze infermieristiche e letteralmente catapultate in trincea per combattere una guerra che ancora oggi le vede in prima linea. Per molte di loro non è stato ancora previsto un turnover. Va a loro tutta la mia solidarietà e la mia ammirazione”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 10th, 2021 Riccardo Fucile
BRUNI: “ABBIAMO UNA GRANDE OCCASIONE”
Nella prima notte della 36 ª America’s Cup ad Auckland, Luna Rossa è sull’ 1-1 con Team New Zealand. Persa la prima regata, la barca italiana ha reagito con una partenza perfetta nella seconda, accumulando un grande vantaggio che il team è riuscito a gestire nonostante la rimonta dei detentori della coppa, arrivati al traguardo con sette secondi di ritardo.
La tanto temuta velocità di Te Rehutai, la barca dei neozelandesi, non è emersa come ci si aspettava e Francesco “Checco” Bruni, uno dei due timonieri di Luna Rossa, era soddisfatto già alla fine del primo confronto perso: “Le prestazioni delle barche mi sono sembrata simili, ci aspettano regate molto eccitanti”.
Ventuno anni dopo l’ultima apparizione italiana nell’America’s Cup, Luna Rossa ha acquistato sul campo di regata più fiducia per provare a portare a casa il trofeo più antico della storia dello sport, nato nel 1851 e mai vinto da una nostra imbarcazione.
Il rischio collisione
L’edizione numero 36 dell’America’s Cup è cominciata in una specie di stadio formato dalle centinaia di barche che hanno seguito la gara sul percorso E, lontano da Auckland per motivi di sicurezza legati ai protocolli che nei giorni scorsi avevano fatto scattare il lockdown di una settimana.
L’episodio che ha indirizzato la prima regata nel golfo di Hauraki, nella baia di Auckland, è avvenuto subito, dopo la pre-partenza e una partenza a strettissimo contatto tra barche lunghe 22,7 metri e pesanti 6,5 tonnellate.
Luna Rossa ha cambiato rotta per evitare New Zealand che aveva preso la posizione sopravvento, invocando una penalità che i giudici non hanno concesso. A quel punto, dopo una partenza non felice, sono cominciati i rilevamenti sulle velocità che non hanno indicato una supremazia dei neozelandesi che al primo dei sei cancelli passavano con 14 secondi di vantaggio, un distacco aumentato anche nel lato di poppa fino ai 23 secondi del primo terzo di gara.
Nel terzo lato Luna Rossa si è riavvicinata a New Zealand, scendendo a 240 metri di ritardo per complessivi 19 secondi al Gate 3, guadagnando altri due secondi sul quarto lato. Un recupero non sufficiente però a togliere a New Zealand la sua posizione di controllo nell’ultima fase della regata conclusa con 20 secondi alla quinta boa fino ai 31 definitivi.
Facce distese a bordo di entrambe le imbarcazioni, coi neozelandesi soddisfatti del primo vero esame di Te Rehutai e gli italiani sollevati da un confronto che non sembra più impossibile.
La partenza perfetta di Luna Rossa
Preso contatto con un campo di gara battuto da venti molto incostanti, l’equipaggio di Luna Rossa ha preparato la seconda regata, una vera e propria rivincita, affidandosi all’abilità dei due timonieri Bruni e Spithill, che sono riusciti a piazzare la barca di fronte a New Zealand in fase di pre-start, partendo in vantaggio con una velocità di 32 nodi contro 26, e ingaggiando un emozionante duello di virate che i padroni di casa non sono riusciti a girare a loro favore.
Già 13 secondi alla prima boa (come i neozelandesi erano passati in 14 nella prima Race), un vuoto che presto è diventato di trecento metri consentendo a un terzo di gara di mantenere un vantaggio di 12” in attesa del lato migliore di Luna Rossa, il terzo su sei nel quale New Zealand è finita a più di quattrocento metri.
La rimonta dei kiwi
La regata però non era ancora finita, e sul quinto lato Luna Rossa si è portata completamente sulla destra quanto New Zealand si è buttata sul sinistro, sfiorando i confini del campo di regata in una “forbice” che però ha riportato sotto i padroni di casa, giunti a un certo punto a 140 metri dall’equipaggio italiano. Con un ultimo lato da navigare, il trio Sibello-Bruni-Spithill è riuscito però a mantenere quel che rimaneva del vantaggio, chiudendo in sicurezza e vincendo 21 anni dopo il 5-0 di Black Magic, il primo punto di Luna Rossa contro i neozelandesi in un’America’s Cup.
Bruni: “Abbiamo una grande occasione”
Nella conferenza stampa di fine giornata Francesco Bruni, seduto accanto all’altro timoniere Jimmy Spithill, ha spiegato come vive Luna Rossa questo momento: “Ci arrivano tanti messaggi di italiani felici. Lo siamo anche noi, però non siamo soddisfatti, vogliamo di più. Sono felice per come sono andate le prime regate, per la performance della barca, ma non dobbiamo perdere tempo pensando alle emozioni, e rimanere concentrati sulle prossime regate perchè abbiamo una grande occasione”. Jimmy Spithill, di solito imperturbabile, si lascia andare ad un attimo di soddisfazione: “Ho pensato che i ragazzi hanno fatto davvero una grande regata” ha dichiarato il co-timoniere australiano. “Ovviamente abbiamo avuto un bel po’ di manovre, un bel po’ di virate e sì, abbiamo fatto andare bene la barca. È stato un buon segno di forza riprendersi dopo la prima sconfitta”.
Max Sirena, skipper e team director di Luna Rossa può finalmente ragionare su dati certi dopo i rumors e le impressioni della vigilia sulla forza di New Zealand: “Abbiamo regatato in un range di vento, dai 13 ai 17 nodi che è molto più favorevole alla loro configurazione, quindi aver visto che regatando bene possiamo batterli è una buona notizia per noi e ci dà ancora più fiducia. Sicuramente abbiamo fatto degli errori, che domani analizzeremo con attenzione, ma la giornata si chiude in maniera positiva e ci dà molta carica”.
La formula
Ad Auckland si disputa tra Luna Rossa Prada Pirelli ed Emirates Team New Zealand la 36a America’s Cup di vela, il trofeo sportivo più antico al mondo nato nel 1851.
Le barche utilizzate sono yacht di classe AC75 con 11 uomini a bordo.
New Zealand è il detentore della coppa (defender) vinta nell’ultima edizione (2017) alle Bermuda. Luna Rossa ha ottenuto il ruolo di sfidante (challenger) vincendo la Prada Cup su American Magic e Ineos Team UK.
Si gareggia con formula match race, una barca contro l’altra al meglio delle 13 regate: vince chi arriva primo a 7.
(da agenzie)
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