Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
LEGA 23,3% (-0,9), PD 19% (+1,6), M5S 17,5% (+0,5), FDI 17,1% (+0,1)
Il Partito Democratico risale velocemente nei sondaggi e torna a rincorrere la Lega, ancora prima nelle intenzioni di voto.
Il partito di Matteo Salvini perde quasi un punto in una settimana, quello di Letta ne guadagna quasi due. Subito dietro è testa a testa tra Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia, con i grillini che superano il partito di Giorgia Meloni, ma la distanza resta minima.
Enrico Letta guida la rimonta del Partito Democratico. Il segretario neoeletto sposta già gli equilibri nelle intenzioni di voto degli italiani, anche a pochi giorni dal plebiscito del Nazareno. Sarà stato il botta e risposta con Salvini, o le idee proposte e rilanciate dall’ex presidente del Consiglio, ma il Pd continua a salire nei sondaggi e punta a sfondare di nuovo quota venti punti.
L’era pre crisi di governo è un lontano ricordo — a livello di numeri — per i dem, ma con Letta segretario il Pd torna ad avvicinarsi alla Lega.
Il partito guidato da Salvini è ancora primo per distacco nelle preferenze dei cittadini ma, secondo il sondaggio Swg letto da Enrico Mentana durante il Tg di La7, cala di quasi un punto nella stessa settimana in cui il Partito Democratico ne recupera quasi due.
Secondo il sondaggio di Swg, la Lega è ancora il primo partito per punti percentuali nelle intenzioni di voto dei cittadini, ma perde lo 0,9% in una settimana, calando al 23,3%.
Al contrario, in sette giorni, il Partito Democratico di Letta guadagna l’1,6% e risale al 19%.
A inseguire i due partiti che da mesi sono in testa nei sondaggi ci sono Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia: anche in questo caso l’effetto Conte continua a far crescere i grillini, ma meno rispetto alla rimonta delle scorse settimane.
I pentastellati guadagnano mezzo punto e salgono al 17,5%, superando il partito di Giorgia Meloni che guadagna lo 0,1% e si ferma al 17,1%.
Crescono Forza Italia e Azione, crolla +Europa
Staccati dai quattro principali partiti italiani nei sondaggi, ci sono Forza Italia, che guadagna lo 0,2% e sale al 6,7%, e Azione di Carlo Calenda, che cresce altrettanto e arriva al 3,4%.
Sinistra italiana perde quasi mezzo punto in una settimana e cala al 2,4%, complice la risalita del Pd, seguito da Italia Viva di Matteo Renzi che guadagna lo 0,1% e sale al 2,3%.
Scende anche la percentuale di Mdp Articolo 1, anche in questo caso probabilmente a causa della crescita dei dem: meno 0,3% in una settimana, si ferma al 2,1%.
Seguono i Verdi con il 2% e +Europa, che crolla nei sondaggi dopo l’addio al veleno di Emma Bonino: ora è all’1,2%, meno 0,8%.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
TUTTE LE REGIONI A TRAZIONE LEGHISTA SOTTO LA MEDIA NAZIONALE DELLE SOMMINISTRAZIONI DI DOSI: E’ IL FALLIMENTO DEL SOVRANISMO
Ieri la Gran Bretagna ha sfondato una media di 750mila vaccini al giorno, un balzo rispetto alla
settimana prima di oltre 240mila fiale al giorno.
L’Italia arranca a meno di un terzo delle somministrazioni, la macchina annaspa, sia pure con situazioni diverse tra Regione e Regione, tra virtuosi e ritardatari, e gli approvvigionamenti sono una rincorsa con la quale si arriva sempre con il fiato corto.
Sono queste le criticità che hanno spinto Mario Draghi a convocare in mattinata i vertici di quella architettura che nelle sue intenzioni dovrebbero dare una spinta decisiva alla macchina italiana. Due ore di incontro con il commissario straordinario all’emergenza, generale Paolo Figliuolo, e con il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. “I dati del Regno Unito, solo 17 decessi oggi, ci testimoniano che il vaccino è la soluzione, e che bisogna darsi una mossa”, spiega chi sta lavorando al dossier.
Quota 500mila somministrazioni, là dove Figliuolo ha fissato l’asticella, sembra ancora lontanissima. “Entro fine mese finiremo le scorte”, dice Attilio Fontana nel tentativo di mettere una toppa al caos che ha investito la macchina delle prenotazioni in Lombardia.
Il ritardo della consegna è un dato di fatto, e Draghi si è voluto sincerare del quadro della situazione. Entro domani, ha assicurato il commissario straordinario, verranno consegnate circa un milione di dosi della Pfizer, pronte a essere smistate in oltre 200 strutture sanitarie. Preoccupa la consegna nel medio periodo, ma intanto il governo vuole assicurarsi che tutti i luoghi di somministrazione non si debbano trovare nella situazione di mandare a casa chi è prenotato e in coda.
Difficile che il problema si ponga senza una robusta accelerata nelle somministrazioni. Sul tavolo del premier sono stati squadernati i dati delle singole Regioni. In alcune le cose procedono speditamente, altre arrancano.
Per questo Draghi ha voluto fare il punto anche con la ministra degli Affari regionali, Mariastella Gelmini per capire quali possano essere le soluzioni attraverso le quali il governo possa aiutare le operazioni là dove si sono inceppate.
Un giro di ricognizione generale, al quale faranno seguito alcune ipotesi di lavoro e una decisione finale nei prossimi giorni. Di certo in ballo c’è un ulteriore rafforzamento del ruolo dell’esercito sia nella logistica sia nella somministrazione, e task force mirate messe in campo dalla Protezione civile per rinforzare i territori in difficoltà .
A prendere i dati del governo aggiornati alle 15.31 di lunedì, le dosi rimaste in freezer sono quasi 1 su 5.
La media nazionale delle somministrazioni è ferma all’82,4% rispetto al totale di quelle consegnate.
Il dato di fatto è che le Regioni che si collocano sotto la media nazionale sono tutte amministrate dalla Lega o da governatori vicini al Carroccio.
Fanalino di coda la Sardegna dell’indipendentista Michele Solinas, eletto grazie all’accordo con le camicie verdi, solo il 70,5% di dosi somministrate.
Non va molto meglio nella Liguria di Giovanni Toti, ex forzista e considerato “amico” dal quartier generale di via Bellerio.
Le altre 5 in ritardo sono tutte amministrate da leghisti: la Calabria di Nino Spirlì (71,5%), la Lombardia (78,3%), il Veneto di Luca Zaia (80,1%), l’Umbria di Donatella Tesei (81,6%) e il Friuli Venezia Giulia di Massimiliano Fedriga, che più si avvicina al dato complessivo pur rimanendo sotto (82%).
“Un problema c’è ed è evidente”, spiega un esponente dell’esecutivo. Che continua: “Vista la situazione di polemiche è inutile farne, ma non ci si può nascondere dietro un dito”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
VIA I MEMBRI DEL CDA CHE NON HANNO COMPITI OPERATIVI MA LA REGOLA NON VALE PER IL DIRETTORE GENERALE: REGOLAMENTO DI CONTI TRA GIORGETTI E SALVINI
Un’operazione di facciata il cui esito non è per nulla scontato. È questo il vero senso del cambio ai vertici di Aria annunciato da Attilio Fontana dopo tre giorni di caos nelle vaccinazioni anti Covid.
Un senso che era già tutto contenuto nelle parole usate dal governatore lombardo per dare il ben servito al consiglio di amministrazione della società regionale responsabile della piattaforma per gli appuntamenti: “Ho chiesto ai membri del cda di Aria di fare un passo indietro, altrimenti ne disporrò l’azzeramento affidando la guida della società al direttore generale Lorenzo Gubian”.
Che oggi si sarebbe arrivati a un punto di svolta era certo, dopo le bordate scagliate via social contro Aria dall’assessora al Welfare Letizia Moratti e dal super consulente per il piano vaccinale Guido Bertolaso.
Ma la svolta non passa per una revoca dei vertici, ma solo per una richiesta di dimissioni. E va a toccare i membri del cda, senza compiti operativi, mentre esce addirittura rafforzato il ruolo di Gubian, il manager “strappato” ad agosto alla sanità veneta dopo lo scandalo dei camici ordinati da Aria alla Dama spa del cognato di Fontana.
Prima di arrivare in Lombardia per sostituire Filippo Bongiovanni, Gubian è stato direttore dei Sistemi informativi dell’Azienda zero in Veneto, l’azienda sanitaria che coordina tutte quelle locali.
Fino a qualche giorno fa, un azzeramento dei vertici di Aria che toccasse il cda e non Gubian avrebbe trovato la strada sbarrata da parte di Forza Italia.
Perchè il presidente del cda è Francesco Ferri, pupillo di Silvio Berlusconi che anni fa gli affidò la selezione di volti nuovi per Forza Italia, mentre la nomina di Gubian la scorsa estate è stata frutto delle indicazioni della Lega e di colui che due anni fa ha voluto fortemente la nascita di Aria, l’assessore al Bilancio Davide Caparini.
Le resistenze di Forza Italia sono però venute meno negli ultimi giorni, dopo che lo sfacelo della macchina organizzativa lombarda è finito sulle prime pagine di tutti i giornali e dopo le prese di posizione pubbliche di Bertolaso e Moratti.
Più che su un braccio di ferro tra Lega e Forza Italia, dunque, il cambio ai vertici di Aria corre lungo una resa di conti tutta interna alla Lega, con la componente più vicina a Giancarlo Giorgetti, rappresentata in Regione tra gli altri dal neo assessore Guido Guidesi, che ha messo all’indice Caparini, vicino alla potente Giulia Martinelli, capo segreteria di Fontana ed ex di Matteo Salvini.
Una resa di conti in seguito alla quale, come detto, non è stato toccato il ruolo di Gubian.
Cambiare solo il cda, mentre si sa già che Aria verrà sostituita da Poste nella gestione delle prenotazioni delle vaccinazioni, non è altro che un’operazione di facciata.
Che tra l’altro non è stata portata a termine direttamente dalla giunta. “Fontana non ha nemmeno avuto il coraggio di firmare la revoca dei vertici di Aria ma si è affidato alla moral suasion”, fa notare il consigliere del Pd Pietro Bussolati.
L’annunciato azzeramento del cda, infatti, è stato una richiesta di dimissioni che per tutto il pomeriggio sono state in dubbio. A convincere i consiglieri di amministrazione (oltre al presidente Ferri legato a Forza Italia, tre membri sono in quota Lega mentre uno fu indicato dal Pd) ci sono infatti volute fitte consultazioni telefoniche con i loro legali, vista la preoccupazione che le dimissioni possano suonare come un’ammissione di responsabilità di fronte a eventuali future inchieste della procura o approfondimenti della Corte dei conti.
Alla fine le dimissioni arriveranno in serata. E per Ferri potrebbero valere in cambio la nomina in una delle società controllate dalla Regione che, come Pedemontana e Fnm, rinnoveranno i propri vertici a breve.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
MORATTI-BERTOLASO CONTRO FONTANA-CAPARINI E LA EX MOGLIE DI SALVINI
Nell’intricata quanto desolante vicenda lombarda l’unica cosa su cui Matteo Salvini e Letizia Moratti
sono d’accordo è: chi sbaglia paga. Il punto è individuarlo.
Scaricabarile puro, che stavolta mette nel mirino i vertici di Aria, l’azienda regionale che gestisce i servizi informatici. Si va verso il commissariamento del management e l’utilizzo dei servizi di Poste.
“Il cda si dimetta o li azzero”, ha messo le mani avanti il governatore Attilio Fontana.
Magra consolazione per una regione che da gennaio a oggi ha visto rotolare due assessori al Welfare, due commissari, due direttori generali, due sistemi di gestione delle prenotazioni, diversi piani vaccinali, senza minimamente intaccare il caos di disservizi, ritardi, code e dosi a rischio spreco, che rende l’ex fiore all’occhiello della Sanità italiana un disastro logistico da prima pagina.
In primo piano c’è l’ultimo week end di passione: il tracollo dell’hub di Cremona, con una cinquantina di vaccinandi per 900 dosi e il sindaco che si precipita casa per casa a reclutare ultra-ottantenni in extremis; le defaillance di Como e Monza; i 160 sms di convocazione inviati — molti nel cuore della notte – per una platea di oltre 80mila in attesa. Un disastro che si somma alle precedenti lunghissime file di anziani davanti al Niguarda.
Sullo sfondo, invece, c’è una guerra di posizioni nel centrodestra, dove gli schieramenti sono più fluidi dell’apparenza. Con una doppia faglia: la conflittualità tra Moratti e il suo presidente Fontana e — giù per li rami — tra il responsabile della campagna vaccinale Guido Bertotaso, berlusconiano e morattiano, e Davide Caparini, assessore al Bilancio e alle Partecipate, padre politico di Aria, ed ex uomo forte della giunta.
E’ in corso, insomma, un cambio degli equilibri di potere che i bene informati non scindono dal nuovo governo nazionale nè dalle partite politiche in prospettiva. Le amministrative di ottobre e, soprattutto, le regionali previste nel 2023, ma chissà .
La data di innesco è l’8 gennaio scorso, quando il rimpasto della giunta regionale — provocato dalla definitiva richiesta leghista di silurare l’assessore forzista alla Sanità Giulio Gallera — ha portato in Regione l’ex sindaca meneghina con la doppia carica di assessore e vicepresidente. Di fatto, una sorta di golpe per le liturgie all’ombra della Madonnina: alla gestione targata Caparini e Giulia Martinelli, avvocato e capo segreteria di Fontana nonchè ex moglie di Salvini, si è sostituita quella della Moratti con Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico e fedelissimo di Giancarlo Giorgetti.
Insomma, dal potere monocratico salviniano si è passati alla diarchia morattiana-giorgettiana. E Fontana? “Un vaso di coccio tra i vasi di ferro”, è la lapidaria definizione che circola a Palazzo Lombardia.
Dove qualcuno ricorda come l’imprenditore si vedesse già senatore, finchè Salvini non lo ha dirottato obtorto collo sulla Regione, dove è finito impelagato nella prima ondata della pandemia e poi nel “camici-gate”, mettendo una serissima ipoteca sul prosieguo della sua carriera politica.
Alla base del new deal lombardo c’era anche un accordo preciso: la Lega si sarebbe occupata della ripartenza economica, dei soldi alle imprese e alle professioni, mentre la Moratti avrebbe avuto campo libero sulla Sanità , di fatto “commissariandola”, con l’aiuto appunto di Bertolaso (che ha sostituito Giacomo Lucchini).
Il meccanismo però si è inceppato appena è diventato chiaro che la manager sta giocando una partita tutta sua, sempre più distante dagli alleati leghisti. A partire dalla scelta dell’ufficio: al Pirellone, sede del consiglio regionale, e non a Palazzo Lombardia, dove si riunisce la giunta. Ovvero: lontana da Fontana.
Una partita con l’avallo di Berlusconi? Chi lo nega, sottolinea come il gruppo azzurro in Lombardia consti di soli 8 consiglieri, e che sia stato il primo a finire de facto “commissariato”. Chi lo sostiene, si appiglia al nuovo scenario aperto dal governo Draghi, alle suggestioni di “grande centro macroniano” e alla diversità di prospettive tra i due leader.
Per andare a parare dove, in ogni caso? La risposta più facile è il dopo-Fontana, anche se in pochi oggi scommettono sulla “maratona” della Moratti. La corsa alla successione si aprirà nel 2023. Le dimissioni del governatore in carica per ora non sono all’orizzonte. Tuttavia, il centrosinistra comincia ad accendere i motori: il dominio del centrodestra — raccontano dal Pd — è molto legato alla coincidenza del voto regionale con quello nazionale che ha fatto da traino.
Se stavolta così non fosse, l’auspicio è potersela giocare. I candidati stanno ancora ben coperti, ma il “partito dei sindaci del Nord” schiera — oltre al bergamasco Giorgio Gori — Emilio Del Bono a Brescia e Mattia Palazzi a Mantova.
Più vicine le amministrative di ottobre. Nella spartizione interna al centrodestra, la golden share per il Campidoglio spetta al partito di Giorgia Meloni, quella per il sindaco di Milano alla Lega. Salvini sfoglia la rosa dei candidati — tra cui l’ex ministro Maurizio Lupi, ciellino, nome forte e radicato, che durante la partita contro il Conte Ter ha rinforzato il legame con il Capitano — ma la partita è in stallo per il veto di FdI su Bertolaso, sponsorizzato da Salvini e Berlusconi. Irritato, l’ex capo della protezione civile si è divincolato: “Ho abbastanza da fare con i vaccini a Milano”. Forse non ne avrà a lungo.
Il Pd regionale ha lanciato una petizione per chiamare in causa il generale Figliuolo. “Stiamo raccogliendo le firme per chiedere che la campagna vaccinazioni in Lombardia sia gestita a livello nazionale, visto che il nuovo commissario è emanazione di un governo sostenuto anche da Lega e Forza Italia – spiega il consigliere regionale Dem Pietro Bussolati — Fontana e Bertolaso ammettano il disastro”. Insomma: urge commissariare il commissario. Non il miglior biglietto da visita per il governo del Pirellone, per l’ammaccato governatore, per l’”uomo del fare”, per la “manager di ferro”, per il “pragmatico” Salvini. Tranquilli però: chi ha sbagliato pagherà .
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
“ALLENTA IL SISTEMA DELLE REGOLE RENDENDO PIU’ SEMPLICE AMPLIARE OVUNQUE”
Il ‘nuovo piano casa’ della Sardegna concede aumenti di cubature “sproporzionati” e contrari alle norme ed espone in particolare le campagne al rischio di effetti ambientali “devastanti in termini di frammentazione degli agroecosistemi”.
Non solo: la legge apre a “un condono edilizio” regionale surrettizio e a una distorsione della concorrenza nell’accesso ai fondi del superbonus edilizio. Sono queste le principali contestazioni mosse dal governo alla legge 1 del 2021 approvata lo scorso 14 gennaio dalla maggioranza di centrodestra in Consiglio regionale dopo una maratona di 14 sedute cominciate prima di Natale.
La legge, nel suo complesso, allenta il sistema di regole e di tutele finora in vigore, rendendo più semplice costruire, ristrutturare e ampliare praticamente ovunque, anche nelle zone agricole in lotti minimi di un ettaro, con l’eccezione della fascia protetta dei 300 metri dal mare, dalle zone umide e da laghi, stagni e bacini artificiali. Più facile anche rendere abitabili soppalchi, sottotetti, seminterrati e pilotis. Il nuovo piano casa, inoltre, consente aumenti di cubature per seconde case e hotel, introduce una mercato dei crediti volumetrici e proroga gli incrementi di cubature fino a tutto il 2023.
Le motivazioni dell’impugnativa, decisa venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, non sono state ancora pubblicate, ma la portata della bocciatura globale, estesa a quasi tutti i 31 articoli del testo, emerge chiaramente dalle obiezioni sollevate da febbraio in poi dai ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali.
Dai documenti consultati dall’AGI appare chiaro che i dubbi di legittimità costituzionale del governo investono l’intero impianto della legge, come pronosticato a più riprese dall’opposizione (centrosinistra e M5S) durante i lavori dell’Aula e dagli ecologisti, che fin da subito, anche con una petizione online (38.800 firme raccolte), avevano sollecitato l’impugnativa.
Al ministero dell’Ambiente la Sardegna, ai primi di marzo, ha risposto che le osservazioni mosse dall’ufficio legislativa erano “irrilevanti rispetto alla Regione autonoma, salvo volerne svilire l’autonomia”.
Inoltre, le controdeduzioni precisavano che gli incrementi volumetrici non erano ammessi nella fascia protetta dei 300 metri dalla battigia “ma solo nella ‘fascia costiera che rientra tra le porzioni di territorio la cui regolamentazione e’ sottratta alla copianificazione tra Regione e Stato”.
“Nessuna disposizione di legge statale”, aveva obiettato la Sardegna, “impedisce di approvare i piani urbanistici generali o attuativi se manca un piano paesaggistico regionale” e che “la valutazione della compatibilità paesaggistica possa essere fatta caso per caso”.
Non solo, il ministero dell’Ambiente ha respinto le controdeduzioni della Regione, ma ha confermato le censure, cui si sono aggiunte quelle del Mibac e della Protezione civile nazionale che hanno portato all’impugnazione davanti alla Consulta per violazione della normativa statale in materiale di tutela del paesaggio, dell’articolo 117 della Costituzione e di altre norme, incluso il testo unico dell’edilizia del 2001.
Anche il via libera all’edificazione di fabbricati residenziali riservata agli imprenditori agricoli entro i mille metri dal mare è contestata in quanto “rischia di compromettere gli ecosistemi dunali e retrodunali” ed è contro il Piano paesaggistico regionale. “Parleremo quando vedremo le motivazioni”, ha dichiarato sulla sua pagina Fb l’assessore sardista all’Urbanistica, Quirico Sanna, che aveva difeso la legge in Aula. “Per il momento voglio ricordare che la legge rimane in vigore e produce effetti legittimi fino a quando una sentenza, della corte costituzionale, stabilisca che a legge è incostituzionale”.
Alla Sardegna il governo rimprovera di aver “eluso” l’obbligo di redigere un piano paesaggistico esteso a tutto il territorio, agro compreso.
Al momento, infatti, vige solo quello che tutela le coste. Bocciata anche la proroga del vecchio piano casa fino al 2023: non solo perchè quella precedente, del giugno 2020 era già stata impugnata, ma anche perchè concedere aumenti di cubature una tantum senza standard di densità edilizia consente incrementi successivi “che portano fuori controllo l’attività di costruzione”, argomentano i ministeri.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
ELETTO CON LA LEGA E PASSATO CON LA MELONI, E’ CONSIGLIERE COMUNALE A SASSARI
Daniele Deiana è consigliere comunale per Fratelli d’Italia a Sassari. È stato eletto con la Lega ed è molto conosciuto in città . Ora ancora di più perchè è diventato virale un video in cui canta in un locale pieno senza mascherina, come tantissimi dei clienti. E dopo le polemiche è stato costretto a scusarsi.
Il locale in questione è di proprietà di Daniele Deiana. Si tratta del ristorante “Le Iene” di via Sorso a Sassari.
Sabato sera il consigliere di Fratelli d’Italia si è messo a cantare al karaoke, senza mascherina e durante la sua esibizione i clienti si sono alzati per cantare e abbracciarsi. Uno di loro ha filmato tutto e il filmato del consigliere è diventato virale, tanto che poi in un video Daniele Deiana si è dovuto scusare: “Ho commesso una leggerezza, ho sbagliato e sono pronto a chiedere perdono a tutti. Mi sono sentito a casa, con amici che conosco da una vita e negli ultimi dieci minuti della serata ci siamo lasciati andare, riconosco di aver fatto un errore di cui mi pento”
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
BATTAGLINI E’ STATO GRATIFICATO DUE VOLTE: DA 45.000 A 90.000 EURO ANNUI… GIALLO SUL TITOLO DI INGEGNERE
C’è un’altra nomina che rischia di mettere in imbarazzo l’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti.
Nello stesso giorno in cui il titolare dei conti del Campidoglio piazzava la compagna nello staff di Luca Montuori, collega dell’Urbanistica, è stato votato anche l’aumento di stipendio per Cristiano Battaglini. Un nome ormai noto in Comune: ovviamente toscano, designer e pallavolista, il capostaff è amico di lunga data di Lemmetti. I due si conoscono sin dai tempi dell’Unione pallavolo camaiorese, la loro è un’amicizia sportiva.
Un rapporto che a Battaglini è valso un doppio scatto di stipendio. Il collaboratore dell’assessore è arrivato a Roma da diplomato nell’ottobre del 2017 ed è stato assunto come segretario a circa 45 mila euro l’anno. Nel settembre 2019, la prima promozione: Battaglini si laurea, diventa “dottore”, e per il suo stipendio sale a 55 mila euro annui. Ma la scalata non è finita. Sì, perchè lo scorso mercoledì è arrivato l’ultimo e ricco aggiornamento del contratto: 90 mila euro annui, quanto un dirigente, per il neocapostaff dell’assessorato.
E poi c’è il giallo del titolo di Battaglini. Nell’ultima delibera, viene presentato come ingegnere. Ma negli albi locali e in quello nazionale per ora non c’è traccia della sua iscrizione. Un altro grattacapo per il Campidoglio 5S figlio dell’ultima infornata pre-elettorale di nomine.
(da La Repubblica)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
AUTOSTRADE, TELECOM E I PESSIMI AFFARI DELLO STATO CHE FECERO FELICI I SOLITI NOTI: GLI ANNI 90 DELLA DEREGULATION FINANZIARIA E LE GRANDI BANCHE ANGLO-USA CHE INVADONO IL TESORO
Dopo i 43 morti per il crollo del ponte Morandi a Genova, la vendita della monopolista società Autostrade è diventata il principale simbolo negativo delle privatizzazioni di aziende “gioiello” dello Stato, organizzate negli anni Novanta da Mario Draghi quando era direttore generale del ministero del Tesoro.
Ora, in una specie di “nemesi” del destino, tocca proprio al premier Draghi decidere sulla trattativa in corso per acquistarla e riportarla sotto il controllo pubblico.
Per alcuni Autostrade fu svenduta. Per i compratori Benetton — che sapevano farsi benvolere dal centrosinistra di Romano Prodi, Massimo D’Alema e Carlo Azeglio Ciampi, come dal centrodestra di Silvio Berlusconi e dagli altri partiti — il prezzo era giusto.
Le condizioni tecniche di Draghi per la vendita furono favorevoli: in sintesi consentivano di comprare con l’aiuto di maxi-debiti e di trasferirli poi dentro l’azienda acquisita.
Autostrade sembrava un gigantesco bancomat per i proprietari, riempito a suon di aumenti dei pedaggi concessi dai governi di tutti i colori.
L’inchiesta giudiziaria sul crollo del ponte a Genova chiarirà se si risparmiava sulla manutenzione fino a mettere a rischio la sicurezza degli automobilisti. In compenso Draghi sa nei dettagli quanto e come fu pagata Autostrade. Ha la competenza per comprarla senza farsi condizionare dai prezzi alti ipotizzati da “indiscrezioni” di giornali attenti agli interessi dei Benetton. E per non far accollare allo Stato gli imprevedibili e altissimi rischi dei risarcimenti per il disastro del Morandi.
Anche la vendita del colosso monopolista Telecom ha fatto capire ai liberisti alla Draghi che il privato non sempre è meglio del pubblico.
Nel ’97 il controllo fu dato agli Agnelli che, com’era loro abitudine, comprarono una quota minima con un “nocciolo duro” di altri azionisti. Poi prevalsero — con maxi-debiti scaricati sulla società — Emilio Gnutti e Roberto Colaninno, ben visti dall’allora premier D’Alema. Quando a Palazzo Chigi arrivò Silvio Berlusconi, incassarono rivendendo a Marco Tronchetti Provera.
In sostanza, con le privatizzazioni, imprenditori e finanzieri graditi ai governi subentrarono ai dirigenti-boiardi imposti dai politici. Telecom, molto indebitata, tagliò decine di migliaia di dipendenti.
Meno nota, ma giudicata nella finanza laica quasi “un delitto”, fu la privatizzazione della Banca commerciale italiana (Comit/Bci), raro esempio di istituto di credito nazionale con efficienza, credibilità e abbastanza autonomia dai partiti fin dai tempi del banchiere umanista Raffaele Mattioli.
Finì ai “nemici” delle banche ex democristiane. Intesa di Giovanni Bazoli la inglobò ed eliminò il prestigioso marchio Comit/Bci.I facili introiti “una tantum” delle privatizzazioni di Draghi non risolsero il problema dell’alto debito dello Stato. Serviva ridurre gli sprechi, la corruzione, l’evasione fiscale e un attento controllo della spesa strutturale. Andava calcolato meglio se, nel lungo periodo, sarebbe convenuto non vendere le aziende redditizie e incassare i dividendi. Anche perchè, in Italia, governi e alti burocrati non avevano certo fama di bravi venditori/compratori con i privati.
Bisognava migliorare molto almeno gli apparati dei ministeri. Invece Draghi, nel suo decennio al Tesoro, esternalizzò alle costose banche d’affari e società di consulenza multinazionali, spesso in potenziali conflitti d’interessi con altri loro business e clienti privati.
Iniziò nella mini-crociera sul panfilo reale inglese Britannia, nel giugno ’92, dove aprì le porte del suo ministero ai banchieri anglo-Usa. Già nel settembre successivo alcuni di loro furono sospettati dell’attacco speculativo alla lira con guadagni enormi a spese degli italiani. La conseguente svalutazione della moneta deprezzò le aziende pubbliche. In teoria banchieri e loro clienti potrebbero aver partecipato alle privatizzazioni pagando a prezzi di saldo con quanto incassato speculando contro la lira.
Secondo dei veterani del Tesoro, Draghi sbagliò a “far entrare famelici squali della finanza dove alti burocrati sguazzavano come pigri pinguini e placide foche”.
Un esempio di come li sbranarono furono le ingenti perdite con riservatissimi e criptici contratti di “derivati finanziari”, piazzati dalle banche straniere. Dovevano assicurare un grande debitore come l’Italia dalle eccessive variazioni dei tassi d’interesse e dei cambi valutari. Ma a volte svelavano effetti speculativi ad alto rischio. Il Tesoro e altre amministrazioni pubbliche hanno pagato miliardi alle grandi banche d’affari, che vincevano quelle “scommesse” finanziarie. Le contestazioni della Corte dei Conti contro dirigenti del Tesoro sono ancora in corso. Non hanno coinvolto Draghi, che ha sempre rivendicato l’utilità e la cultura dei derivati, sia di non aver mai firmato contratti “incriminati”.
Guidando la commissione per la riforma degli intermediari finanziari, il direttore del Tesoro diede vita alla “legge Draghi”.
Era influenzato dal liberismo dominante a Wall Street e nella City. E la sua coerenza andava rispettata. Almeno fino a quando non lasciò il Tesoro e nel 2002 sollevò dubbi di potenziali conflitti di interessi trasferendosi a Londra al servizio della banca privata Goldman Sachs, che lo gratificò con un mega-stipendio.
Anche suo figlio Giacomo seguì le orme paterne in una entità simile, Morgan Stanley, che guadagnerà miliardi su un contratto di derivati con il Tesoro (successivo all’uscita di Draghi).
Le banche d’affari assumono spesso politici e dirigenti dopo averli apprezzati quando operavano nello Stato. Queste “porte girevoli” tra pubblico e privato, però, possono nascondere una ricompensa dilazionata nel tempo? Il segreto sui contratti bancari non consente certezze.
Rispetto a tanti governanti ingaggiati “a peso d’oro” dai banchieri, l’indiscussa competenza finanziaria tutelava l’immagine del buon Mario. In più quelle critiche si dissolvono man mano che si allontana il ricordo del ruolo nelle istituzioni pubbliche.
Il problema di Draghi fu che non finì ricco e dimenticato in Goldman Sachs. Nel 2006 fu richiamato a Roma dal premier Berlusconi, su “segnalazione” del solito Ciampi (allora al Quirinale), come governatore della Banca d’Italia, al posto di Antonio Fazio travolto dallo scandalo Bancopoli.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 22nd, 2021 Riccardo Fucile
“INACCETTABILE CHE OVER 80 IN CALABRIA ASPETTINO ANCORA IL VACCINO”
Gino Strada, fondatore di Emergency, ha da poco terminato la gestione di un reparto Covid a Crotone
ed afferma con certezza che “la sanità non può essere gestita dalle Regioni, soprattutto in questo momento”.
Poi continua: “Per fortuna non abbiamo dovuto affrontare numeri impressionanti nella seconda ondata la struttura non è mai stata piena. Restiamo a disposizione per altro, se ce lo chiedono”.
In un’intervista a ‘La Stampa’, Gino Strada definisce “inaccettabile che gli anziani ottantenni in Calabria aspettino ancora il vaccino, mentre in altre Regioni sono quasi tutti già protetti.
Ma lì il problema è più ampio: la sanità territoriale è saltata, hanno chiuso 18 ospedali, le persone non sanno dove andare a farsi curare e vengono spinte verso le strutture private”. Ma non è solo un problema della Calabria, viste le inefficienze della Lombardia: “Siamo di fronte a un caso mondiale di inefficienza, un situazione incredibile: responsabili di un settore che si lamentano perchè il loro settore non funziona, come se il ministro dei Trasporti denunciasse che i treni sono in ritardo. Non sono neanche riusciti a organizzare le prenotazioni per le vaccinazioni, quello che è successo a Cremona è assurdo”.
Di questo passo “si aumentano solo le diseguaglianze”. Per questo Strada si dice “convinto che la sanità , specie durante una grave pandemia, non possa essere gestita a livello regionale, deve tornare sotto il controllo statale.
Serve un passo avanti, che in realtà è un passo indietro. Altrimenti succede che si vaccinano gli avvocati e i professori universitari prima degli over 80 e dei malati cronici: un non senso assoluto”.
(da agenzie)
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