LOMBARDIA ALLO SBANDO, IL FLOP CREA CREPE NELLA GIUNTA
MORATTI-BERTOLASO CONTRO FONTANA-CAPARINI E LA EX MOGLIE DI SALVINI
Nell’intricata quanto desolante vicenda lombarda l’unica cosa su cui Matteo Salvini e Letizia Moratti sono d’accordo è: chi sbaglia paga. Il punto è individuarlo.
Scaricabarile puro, che stavolta mette nel mirino i vertici di Aria, l’azienda regionale che gestisce i servizi informatici. Si va verso il commissariamento del management e l’utilizzo dei servizi di Poste.
“Il cda si dimetta o li azzero”, ha messo le mani avanti il governatore Attilio Fontana.
Magra consolazione per una regione che da gennaio a oggi ha visto rotolare due assessori al Welfare, due commissari, due direttori generali, due sistemi di gestione delle prenotazioni, diversi piani vaccinali, senza minimamente intaccare il caos di disservizi, ritardi, code e dosi a rischio spreco, che rende l’ex fiore all’occhiello della Sanità italiana un disastro logistico da prima pagina.
In primo piano c’è l’ultimo week end di passione: il tracollo dell’hub di Cremona, con una cinquantina di vaccinandi per 900 dosi e il sindaco che si precipita casa per casa a reclutare ultra-ottantenni in extremis; le defaillance di Como e Monza; i 160 sms di convocazione inviati — molti nel cuore della notte – per una platea di oltre 80mila in attesa. Un disastro che si somma alle precedenti lunghissime file di anziani davanti al Niguarda.
Sullo sfondo, invece, c’è una guerra di posizioni nel centrodestra, dove gli schieramenti sono più fluidi dell’apparenza. Con una doppia faglia: la conflittualità tra Moratti e il suo presidente Fontana e — giù per li rami — tra il responsabile della campagna vaccinale Guido Bertotaso, berlusconiano e morattiano, e Davide Caparini, assessore al Bilancio e alle Partecipate, padre politico di Aria, ed ex uomo forte della giunta.
E’ in corso, insomma, un cambio degli equilibri di potere che i bene informati non scindono dal nuovo governo nazionale nè dalle partite politiche in prospettiva. Le amministrative di ottobre e, soprattutto, le regionali previste nel 2023, ma chissà .
La data di innesco è l’8 gennaio scorso, quando il rimpasto della giunta regionale — provocato dalla definitiva richiesta leghista di silurare l’assessore forzista alla Sanità Giulio Gallera — ha portato in Regione l’ex sindaca meneghina con la doppia carica di assessore e vicepresidente. Di fatto, una sorta di golpe per le liturgie all’ombra della Madonnina: alla gestione targata Caparini e Giulia Martinelli, avvocato e capo segreteria di Fontana nonchè ex moglie di Salvini, si è sostituita quella della Moratti con Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico e fedelissimo di Giancarlo Giorgetti.
Insomma, dal potere monocratico salviniano si è passati alla diarchia morattiana-giorgettiana. E Fontana? “Un vaso di coccio tra i vasi di ferro”, è la lapidaria definizione che circola a Palazzo Lombardia.
Dove qualcuno ricorda come l’imprenditore si vedesse già senatore, finchè Salvini non lo ha dirottato obtorto collo sulla Regione, dove è finito impelagato nella prima ondata della pandemia e poi nel “camici-gate”, mettendo una serissima ipoteca sul prosieguo della sua carriera politica.
Alla base del new deal lombardo c’era anche un accordo preciso: la Lega si sarebbe occupata della ripartenza economica, dei soldi alle imprese e alle professioni, mentre la Moratti avrebbe avuto campo libero sulla Sanità , di fatto “commissariandola”, con l’aiuto appunto di Bertolaso (che ha sostituito Giacomo Lucchini).
Il meccanismo però si è inceppato appena è diventato chiaro che la manager sta giocando una partita tutta sua, sempre più distante dagli alleati leghisti. A partire dalla scelta dell’ufficio: al Pirellone, sede del consiglio regionale, e non a Palazzo Lombardia, dove si riunisce la giunta. Ovvero: lontana da Fontana.
Una partita con l’avallo di Berlusconi? Chi lo nega, sottolinea come il gruppo azzurro in Lombardia consti di soli 8 consiglieri, e che sia stato il primo a finire de facto “commissariato”. Chi lo sostiene, si appiglia al nuovo scenario aperto dal governo Draghi, alle suggestioni di “grande centro macroniano” e alla diversità di prospettive tra i due leader.
Per andare a parare dove, in ogni caso? La risposta più facile è il dopo-Fontana, anche se in pochi oggi scommettono sulla “maratona” della Moratti. La corsa alla successione si aprirà nel 2023. Le dimissioni del governatore in carica per ora non sono all’orizzonte. Tuttavia, il centrosinistra comincia ad accendere i motori: il dominio del centrodestra — raccontano dal Pd — è molto legato alla coincidenza del voto regionale con quello nazionale che ha fatto da traino.
Se stavolta così non fosse, l’auspicio è potersela giocare. I candidati stanno ancora ben coperti, ma il “partito dei sindaci del Nord” schiera — oltre al bergamasco Giorgio Gori — Emilio Del Bono a Brescia e Mattia Palazzi a Mantova.
Più vicine le amministrative di ottobre. Nella spartizione interna al centrodestra, la golden share per il Campidoglio spetta al partito di Giorgia Meloni, quella per il sindaco di Milano alla Lega. Salvini sfoglia la rosa dei candidati — tra cui l’ex ministro Maurizio Lupi, ciellino, nome forte e radicato, che durante la partita contro il Conte Ter ha rinforzato il legame con il Capitano — ma la partita è in stallo per il veto di FdI su Bertolaso, sponsorizzato da Salvini e Berlusconi. Irritato, l’ex capo della protezione civile si è divincolato: “Ho abbastanza da fare con i vaccini a Milano”. Forse non ne avrà a lungo.
Il Pd regionale ha lanciato una petizione per chiamare in causa il generale Figliuolo. “Stiamo raccogliendo le firme per chiedere che la campagna vaccinazioni in Lombardia sia gestita a livello nazionale, visto che il nuovo commissario è emanazione di un governo sostenuto anche da Lega e Forza Italia – spiega il consigliere regionale Dem Pietro Bussolati — Fontana e Bertolaso ammettano il disastro”. Insomma: urge commissariare il commissario. Non il miglior biglietto da visita per il governo del Pirellone, per l’ammaccato governatore, per l’”uomo del fare”, per la “manager di ferro”, per il “pragmatico” Salvini. Tranquilli però: chi ha sbagliato pagherà .
(da “Huffingtonpost”)
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