Destra di Popolo.net

LA PROFEZIA DI MASTELLA SULLA CRISI DEL MS5: “SE CONTE NON SI DIVIDE E’ MORTO”

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

IL VECCHIO SAGGIO: “SE SI SEPARANO DUE DEMOCRISTIANI RESTA L’AMICIZIA, SE SI SEPARANO DUE GRILLINI VOLANO I VAFFA”

Ora che i grillini si spaccano, c’è una ‘riabilitazione’ della vecchia anima democristiana del paese sem pre un po’ di qua e un po’ di là. Del resto nella pancia dell’Italia un’anima intrugliona c’è sempre stata.
“Se si separano due democristiani resta l’amicizia. Se si separano due grillini volano i vaffa”. Cosi’ Clemente Mastella, ex ministro e sindaco di Benevento, in un’intervista a Quotidiano Nazionale
Ma quando si arriva, gli viene chiesto, a un punto di rottura in una forza politica? “Essenzialmente per due motivi -risponde Mastella-. O per divergenze politiche come è successo a me e Casini, io volevo andare a sinistra e lui a destra, oppure perché guardi in prospettiva alle elezioni e capisci che se non rompi ti fotteranno. Quello che sta succedendo a molti parlamentari grillini”.
E perché dovrebbero già sentirsi il cappio al collo? “Pensa che Grillo candiderebbe gli amici di Conte? Tanto più che da quei geni che sono hanno tagliato il numero dei parlamentari”
Per Mastella è molto difficile fare una scissione, “ma a volte – dice – non c’è un’altra via d’uscita. Come diceva Antonio Gramsci, che a sua volta citava un proverbio zulu: meglio avanzare e morire, che fermarsi e morire”
Poi ricorda: “quando Casini ed io ci siamo divisi, tutto è accaduto naturalmente. Se c’erano due parlamentari della stessa area, uno finiva con lui, l’altro con me. Abbiamo fatto la nostra strada: lui è stato eletto presidente della Camera, io sono diventato ministro della Giustizia. E siamo pure rimasti amici dopo la lacerazione”.
Come ci siete riusciti? “Eravamo democristiani”. E facendo un pronostico sullo scontro nei Cinque Stelle dice: “Si divideranno. Se non lo fa, Conte è morto”.
(da agenzie)

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IL PIANO B DI GRILLO

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

DI MAIO, FICO E RAGGI AL VERTICE DEL M5S

La speranza (forte) per il dialogo e un piano B con un tris d’assi nel caso la situazione precipiti di nuovo.
Il primo passo è stato quello di trovare un metodo e di scrollarsi di dosso quei «tempi brevissimi» — tre giorni — che Beppe Grillo aveva suggerito. Il comitato dei sette saggi si è confrontato per la prima volta e ha subito inteso che i tempi di una mediazione prevedono un iter più lungo.
C’è chi assicura che si tratti di «sette o dieci giorni al massimo»: molte le questioni sul tavolo e troppo delicati gli equilibri da toccare.
Ecco perché i mediatori hanno ritenuto corretto stabilire un modus operandi, che risente anche degli impegni istituzionali e delle agende fitte dei sette. Confronti in videocall e massimo riserbo sui contenuti dello statuto, perché «andrà trovata una soluzione che non scontenti nessuno e che permetta al Movimento di ripartire con la fiducia necessaria».
Il filo del dialogo è molto sottile e per tenerlo vivo serve una compattezza che i 5 Stelle sembrano avere smarrito da tempo. Eppure ieri ci sono stati passi avanti. Le parole di Conte tra i big sono state lette come un segnale di apertura importante. I vertici si mantengono possibilisti: «Vedremo cosa accadrà, non è il momento di fare previsioni, ma quello di lavorare e stare in silenzio».
L’unica certezza che è stata stabilita dai sette al momento è che il punto di partenza «sarà lo statuto negoziato tra Conte e Grillo». «Tutti dovranno fare mezzo passo indietro e pensare al bene del Movimento», dice una fonte ma ovviamente «bisognerà capire che forzare i toni in questa fase è controproducente. E questo vale soprattutto anche per chi, al nostro interno, dovrebbe avere ruoli super partes», dice un pentastellato.
Il punto è che tenere a bada gli animi della truppa non è cosa semplice, anche se l’«esodo» contiano sembra essersi fermato. Il borsino dei possibili fuoriusciti ha segnato anche nelle ultime ore ulteriori battute d’arresto: un dato di fatto che aiuta in questa fase il dialogo tra le parti.
In ogni caso, Grillo ha anche un piano B, una strategia chiara qualora Conte decida di dar vita a un suo partito. La votazione sul comitato direttivo è sospesa, c’è chi assicura che «difficilmente si farà», ma il fondatore la tiene congelata.
Ed è pronto nel caso a rimettere mano alle regole di candidatura per avere la leadership più riconosciuta e con il consenso più netto tra gli attivisti. Ecco allora l’idea di calare un tris d’assi: un M5S guidato — tra gli altri — da Luigi Di Maio, Roberto Fico e Virginia Raggi. Tutti e tre — viene fatto notare — hanno «l’autorevolezza necessaria per imprimere una svolta».
Sui tre big — non è una novità — c’è pressione. Da quando si parla di scissione, in molti chiedono a Di Maio, Fico e Raggi di valutare una eventuale candidatura. Nessuno, ovviamente, ha mai confermato l’interesse, ma di fronte a un intervento del garante i tre, qualora la situazione precipitasse di nuovo, potrebbero rompere gli indugi. Tuttavia la prospettiva è ancorata al dialogo: «C’è già troppa carne al fuoco e il tempo non è molto. Concentriamoci sul presente», commenta un pentastellato.
(da agenzie)

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CONTE VUOLE GARANZIE: RUOLI CHIARI

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

NO ALLA DIARCHIA

La diffidenza delle prime ore sembra essersi dissolta. Giuseppe Conte vuole credere alla volontà dei «big» di trovare a tutti i costi un accordo che scongiuri lo scisma del M5S e si mostra fiducioso verso la mission dei sette saggi.
Eppure, come giorni fa Beppe Grillo disse «sono il garante ma non sono un coglione», così l’ex premier fa sapere che non si farà umiliare.
Il fondatore ha rimesso il cerino acceso nelle sue mani e se Conte lo spegne e si sfila, dovrà accollarsi il peso della rottura: scelta che renderebbe ancora più fragile, a partire dai numeri in Parlamento, il piano B di un nuovo partito.
E così a Giuseppe Conte non resta che affidarsi al comitato di salvezza, sperando di non uscirne da «leader dimezzato». È la prima condizione, la più importante.
Il già capo del governo accetterà qualche «ritocco» al suo statuto, a patto però che l’impianto complessivo non ne esca stravolto e che i «punti fermi» restino ben saldi. Qualcosa l’aspirante capo politico dovrà concedere a Beppe Grillo (e viceversa), ma nessuno dei due vuol perdere la faccia.
E allora, forte del consenso che ritiene di avere tra gli italiani, oltre che nel M5S, Conte non offrirà nulla che possa apparire un passo indietro.
«La diarchia non esiste — è l’avviso consegnato da Conte a naviganti e pontieri —. I ruoli dovranno essere ben chiari e definiti, senza alcuna ambiguità». Grillo insomma si accontenti del ruolo di garante, faccia il padre nobile e non il padre padrone e rinunci alla pretesa di sconfinare nel campo del futuro «leader di turno».
Nel merito: il capo politico decide la linea sul piano interno e internazionale, dal sostegno ai governi sino alle alleanze elettorali e parlamentari (leggasi Quirinale) e si sceglie i suoi vice, la squadra e pure i comunicatori . Facile a dirsi, molto meno a ottenersi dopo i giudizi lapidari che il comico ha lanciato contro Conte, dopo averlo predestinato alla guida del M5S.
L’amarezza non si è ancora del tutto dissolta e l’ex premier, che vuole «piena agibilità politica», ha chiesto a Fico e a Di Maio precise garanzie.
Nel fronte contiano c’è soddisfazione, ma ci sono anche tanti dubbi e sospetti ingombranti. Lo scenario che più allarma chi sperava nella nascita del nuovo partito, è questo: i pezzi grossi del M5S rispondono alla mozione degli affetti originari e si ricompattano attorno a Grillo, costringendo Conte ad accettare quel ruolo di prestanome o «imbianchino» della casa comune che il professore aveva sdegnosamente rifiutato.
A turbare il week end dell’avvocato è l’incubo del «leader dimezzato», messo con le spalle al muro per evitare che dia vita alla sua nuova creatura. Ma è costretto a fidarsi, di Di Maio in primis.
Dualismo e diffidenza reciproca li dividono da tre anni e la mediazione da assoluto protagonista del ministro degli Esteri ha politicamente rafforzato l’ex capo politico. Ma nell’entourage di Conte assicurano che il rapporto tra i due è molto migliorato e l’avvocato sente di non doversi guardare le spalle, non da «Luigi» almeno. Un deputato vicino a Di Maio la mette così: «Poteva pugnalarlo e non lo ha fatto, è stato leale, anche se il partito di Conte non è mai esistito».
In questa guerra di potere, nervi e veleni entrano anche i sondaggi, quel 10 per cento oltre il quale (senza il M5S) l’avvocato fatica a prendere il largo e quel drammatico 5 per cento a cui rischierebbe di precipitare Grillo, se la scissione non venisse scongiurata.
Numeri che da soli spiegano la volontà di ferro con cui i sette saggi si sono messi al lavoro, per trovare in 72 ore un accordo da cui nessuno, tra Grillo e Conte, esca umiliato e offeso.
(da Il Corriere della Sera)

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PANDEMIA, AUMENTANO I CONTAGI DA VARIANTE DELTA

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

“A FINE AGOSTO SARA’ IL 90% DEI CASI”

Grazie a una massiccia campagna di vaccinazione, il Regno Unito era riuscito a superare l’ondata di contagi vista nella prima parte dell’anno, quasi azzerando morti e ospedalizzazioni. Ma la variante Delta sta cambiando lo scenario.
I nuovi casi positivi al virus del Regno Unito registrati negli ultimi sette giorni sono aumentati quasi del 75% rispetto ai sette giorni precedenti e del 133% se si considerano quelli degli ultimi quattordici giorni rispetto ai quattordici precedenti.
Le ospedalizzazioni sono sensibilmente aumentate, così come i decessi che però si mantengono a livelli piuttosto bassi, grazie ai vaccini.
Il 49% della popolazione del Regno Unito è completamente vaccinata e il 66,3% ha ricevuto almeno una dose. I nuovi casi della variante Delta (venerdì oltre 26mila) sono in larga maggioranza riconducibili a persone non vaccinate o parzialmente vaccinate. Rispetto alla precedente variante Alpha, la Delta riesce ad evadere parzialmente l’efficacia di una dose di vaccino, ma le due dosi forniscono ancora una robusta protezione dal rischio di morte e ospedalizzazioni come confermato dai dati. Al 3 maggio la variante Delta era presente nel 33,4% dei tamponi sequenziati del Regno Unito, per poi arrivare all’oltre 97% di metà giugno.
Lo stesso sta accadendo in Europa. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha avvertito che entro la fine di agosto la variante Delta costituirà il 90% di tutte le infezioni da Coronavirus in Europa.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha già registrato un aumento del 10% dei casi dell’ultima settimana nella regione europea dopo 10 settimane di decrescita.
Il Portogallo è al momento lo stato europeo più colpito. Il paese è stato costretto a reintrodurre il coprifuoco a Porto, Lisbona e nelle località turistiche per scoraggiare gli assembramenti notturni, soprattutto tra i più giovani che sono la fascia di popolazione meno vaccinata. Negli ultimi giorni i casi si sono mantenuti sopra i 2 mila giornalieri, come non accadeva da metà febbraio.
In Italia, l’ultima indagine dell’Istituto superiore di sanità (leggi l’articolo) stima la presenza della variante Delta nel 22,7% dei tamponi sequenziati.
La Russia sta soffrendo più di altri la diffusione di questa variante. Con un basso tasso di vaccinazioni (solo il 12% della popolazione ha completato il ciclo) casi, ospedalizzazioni e morti stanno aumentando rapidamente dopo che la Delta ha ormai soppiantato la precedente variante Alpha, soprattutto a Mosca, dove sono state introdotte nuove restrizioni. I decessi hanno raggiunto il numero record di 669, dopo il precedente record di 624 registrato a dicembre.
Anche Israele, il paese più protetto al mondo grazie alla su campagna vaccinale, sta vivendo un nuovo aumento dei casi ma non ritenuto preoccupante. Quasi il 60% della popolazione ha infatti completato il ciclo vaccinale e il governo non ha imposto nuove restrizioni, preferendo concentrarsi sulle quarantene di chi viene dall’estero e sulla vaccinazione nelle fasce d’età più basse.
Globalmente, sta emergendo con chiarezza la forte correlazione tra vaccinazioni e severità della nuova ondata di variante Delta, in cui si dimostra che entrambe le dosi riescono a prevenire infezioni e malattia severa anche contro una forma del virus più ancora più trasmissibile.
(da agenzie)

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SUL DDL ZAN, I RENZIANI GIOCANO SULLA PELLE DELLE PERSONE PER CALCOLI POLITICI

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

HANNO APPROVATO LO STESSO TESTO ALLA CAMERA, CONCORDATO CON LA MINISTRA BONETTI DI ITALIA VIVA, ORA IL VOLTAFACCIA… ORMAI SONO LA RUOTA DI SCORTA DEI SOVRANISTI

“La fiducia sulla legge contro l’omotransfobia? Non mi risulta che Draghi abbia intenzione di mettere bocca in questa materia. E poi la proposta di mediazione dei renziani è irricevibile. Non giochiamo sulla pelle delle persone per calcoli di tattica politica”. Lo dice in un’intervista a Repubblica il senatore Franco Mirabelli, vice presidente dei senatori Pd, parlando del ddl Zan.
“Io ancora non mi capacito che chi ha votato il ddl Zan alla Camera possa non farlo al Senato – prosegue Mirabelli -. E i renziani a Montecitorio lo hanno votato. Le proposte di mediazione che Italia viva ha presentato sono irricevibili. In particolare quella di togliere all’articolo uno la definizione di ‘identità di genere’. Sa cosa significa? Non offrire alcuna protezione dalle discriminazioni alle persone transgender. In più è una definizione prevista in tutta Europa ed elaborata dalla Consulta nel 2017. Inoltre è stata voluta dalla ministra delle Pari Opportunità, Elena Bonetti, che mi risulta sia renziana”.
“Mediazione Renzi sul Ddl Zan? E’ solo una provocazione. Le mediazioni possibili sono state fatte già tutte alla Camera, con un tavolo aperto a tutte le forze politiche. Iv era presente con la collega Annibali. Abbiamo avuto interlocuzioni con la ministra Bonetti, che ora di fatto viene sbugiardata dalle dichiarazioni di Iv, che alza il prezzo della sua presenza. E’ tattica politica sulla pelle delle persone più fragili e più discriminate come i trans. Mi vergognerei a fare una cosa del genere”. Così a La Stampa Monica Cirinnà, senatrice Pd.
“Il problema dei numeri non c’è, se Iv non fa mancare i suoi voti. Lo abbiamo visto nell’ultima fiducia al governo Conte: siamo più di 160. Iv vuole votare la legge o cerca una maggioranza ampia per rendersi credibile agli occhi del centrodestra? Se poi si vogliono accordare con la Lega per altri motivi lo dicano chiaramente – ha aggiunto – I rischi ci sono sempre quando si votano leggi di questa natura. Come gruppo Pd abbiamo fatto ben due riunioni con il segretario Letta e sono state composte tutte le perplessità: alcune saranno soddisfatte attraverso l’accoglimento di ordini del giorno. Anche le mie due colleghe che volevano segnare la distanza di parte del mondo femminista alla fine hanno detto che voteranno la legge. Sui voti del Pd non ho alcun dubbio”.
La posizione del M5S
“Gli emendamenti presentati da Italia Viva al ddl Zan suonano come un tentativo di affossare la legge. Pensare infatti di eliminare i termini ‘orientamento sessuale’ e ‘identità di genere’ e tornare alla definizione di omofobia e transfobia rischierebbe di farci compiere un altro passo indietro, come già accaduto in passato. Negli anni scorsi infatti i disegni di legge per il contrasto all’omotransfobia si fermarono proprio perché le espressioni usate per identificare il movente d’odio, quindi omofobia e transfobia, non vennero ritenute abbastanza precise per garantire la determinatezza del precetto penale, come peraltro ha ricordato recentemente anche il professore di Diritto pubblico comparato dell’Università La Sapienza Angelo Schillaci. Alla luce di questa riflessione, quanto sta facendo Italia Viva appare semplicemente come un bieco tentativo di dare una sponda alla destra e fare in modo che questa legge – fondamentale – non veda proprio la luce. Come MoVimento 5 Stelle non lo permetteremo, la legge contro l’omotransfobia non può più aspettare. Italia Viva dica se sta con la comunità LGBTI o se la sta usando per tornaconto politico. Perché tutto indica questa seconda ipotesi”.
Così, in una nota, le parlamentari e i parlamentari del MoVimento 5 Stelle del gruppo Pari Opportunità.
(da agenzie)

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SONDAGGIO TECNE’ COMUNALI ROMA: MICHETTI 34,6%, GUALTIERI 27,2%, RAGGI 18,8%, CALENDA 15,3%

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

PARTITI: PD 22,4%, FDI 21,8%, M5S 13,7%, LEGA 9,1%, AZIONE 7%, FORZA ITALIA 4%…BALLOTTAGGIO MICHETTI-GUALTIERI

La campagna elettorale deve entrare ancora nel vivo ma al momento sono queste le tendenze: sono 7,4 i punti percentuali che dividono il candidato del centrodestra Enrico Michetti dal candidato del centrosinistra Roberto Gualtieri.
E’ quanto emerge dai dati elaborati da Monitor Italia, il sondaggio realizzato da Tecnè con Agenzia Dire, con interviste effettuate il primo luglio su un campione di ottocento casi tra i cittadini del comune di Roma.
La corsa per la poltrona di sindaco vede Enrico Michetti al 34,6%, con Fratelli d’Italia al 21,8%, la Lega al 9,1%, Forza Italia al 4% e altre liste per Michetti all’1,2%. Segue Roberto Gualtieri con il 27,2% dei consensi; il Pd ottiene un 22,4% e altre liste con Gualtieri segnano un 6%.
Terza posizione per Virginia Raggi che si ferma al 18,8% e un M5s al 13,7%, altre liste con Raggi al 4,1%. Non distante dalla sindaca grillina il leader di Azione Carlo Calenda con il 15,3%, consenso piu’ alto rispetto alla somma del 7% di Azione e del 6,4% di altre liste con Calenda.
(da agenzie)

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LA MELONI SE LA PRENDE CON SALLUSTI, GUAI A CRITICARLA

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

LETTERA DELLA LEADER SOVRANISTA E RISPOSTA CAUSTICA DEL DIRETTORE DI LIBERO… LA MELONI NON HA GRADITO LA PUBBLICAZIONE DEI NOMI DEI FINANZIATORI DI FRATELLI D’ITALIA

Come se già non ci fossero abbastanza problemi.
Ad aggiungersi alla settimana di fuoco di Alessandro Sallusti – che da qualche giorno è
il nuovo direttore di Libero – arriva anche la lettera piccata di Giorgia Meloni.
Già nei giorni scorsi, Sallusti ha dovuto affrontare lo sfogo del fondatore del quotidiano, Vittorio Feltri, che ha fatto una lunga lista di probabili licenziamenti interni alla redazione (i giornalisti che hanno fino a questo momento caratterizzato la linea oltranzista della pubblicazione) e ha manifestato il proprio disagio di “padre nobile” di fronte alla svolta impressa dalla nuova direzione di Libero.
Oggi arriva anche la lettera di Giorgia Meloni contro Sallusti a gettare altra benzina sul fuoco sul fronte dei dissidi interni.
La leader di Fratelli d’Italia non ha apprezzato le parole di Sallusti – espresse in un suo editoriale – attraverso cui veniva criticata per la sua replica piccata a Ernesto Galli della Loggia che, sul Corriere della Sera, aveva chiesto al partito della Meloni (accreditato dai sondaggi come il primo partito per consensi in Italia) di fare i conti con gli appoggi – soprattutto nel corso di eventi pubblici – di movimenti come Forza Nuova e Casapound.
Giorgia Meloni aveva replicato, chiedendosi perché – in nome della democrazia – avrebbe dovuto «manganellare i fascisti».
Una posizione che non era piaciuta a Sallusti che aveva accusato lei e Matteo Salvini di sudditanza psicologica nei confronti degli intellettuali di sinistra.
Giorgia Meloni non ha perso occasione di rivolgere una lettera piccata al direttore di Libero che, adesso, ha un’altra gatta da pelare.
La lettera ha un richiamo in prima pagina e prosegue a pagina 7 del quotidiano: la leader di Fratelli d’Italia si dice colpita e sorpresa dalle parole di Sallusti. Inoltre, il post scriptum è al vetriolo: Meloni lancia una frecciatina a Sallusti per aver pubblicato i nomi dei finanziatori di Fratelli d’Italia, sottolineando come la stessa operazione sia stata fatta anche dal Fatto Quotidiano e chiedendo la stessa solerzia anche per altri movimenti politici.
L’aria pesante che si respira a Libero dopo l’arrivo di Alessandro Sallusti si evince anche dalla caustica risposta del direttore alla leader di Fratelli d’Italia: «Ho capito, come non detto. Lunga vita al Corriere e a Galli della Loggia. Crepino Libero e Sallusti. Contenti voi…».
(da agenzie)

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LO ZELO DEL DAP CONTRO LA DIFFUSIONE DEI NOMI DEGLI AGENTI PENITENZIARI INDAGATI A SANTA MARIA CAPUA VETERE

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

CHISSA’ COME MAI NON SI INDIGNANO SE L’INDAGATO E’ UN IMMIGRATO DI CUI VIENE PUBBLICATA PERSINO LA FOTO, NON SOLO IL NOME… LE REGOLE VALGANO PER TUTTI

Eccessi mediatici e violazione della privacy degli indagati nell’inchiesta sulle torture, pestaggi e depistaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere lo scorso 6 aprile 2020 e che hanno portato alla sospensione di 52 agenti della polizia penitenziaria e di ulteriori 25 nuovi provvedimenti nei confronti di altri dirigenti e dipendenti.
Sono queste le ragioni per cui i vertici del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia e Roberto Tartaglia, hanno preannunciato un esposto al Garante della privacy, esprimendo preoccupazione per l’eccessiva esposizione mediatica degli indagati.
In precedenza, il sindacato della polizia penitenziaria (Uspp) aveva espresso preoccupazione per la comparsa di uno striscione recante la scritta «52 mele marce? Abbattiamo l’albero!», sottolineando come questo rappresentasse «uno dei segnali di pericolo che deve far riflettere chi continua a pubblicare foto nomi e indirizzi di persone appartenenti a un’istituzione dello Stato che in questo modo di processo pubblico rischiano la reazione di appartenenti alla criminalità, mentre vanno giudicati nelle aule di giustizia».
E sulla medesima questione della pubblicazione dei dati sensibili degli indagati è intervenuta anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia che in giornata si è confrontata telefonicamente con il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna. Il presidente dell’Odg, dopo il colloquio telefonico con la titolare del dicastero di Via Arenula, ha sottolineato come in una vicenda simile sia necessario «ricordare che un conto sono i fatti complessivamente percepiti, un altro le responsabilità penali individuali tutte da accertare», che «sulla base della nostra carta fondamentale sottoposte al principio di non colpevolezza».
Verna ha precisato che la «divulgazione in questa fase di volti e nomi, oltre a poter costituire violazione delle nostre norme deontologiche, può esporre anche a rischi personali agenti penitenziari che potrebbero risultare peraltro estranei alla vicenda».
E dopo aver fatto appello alla «responsabilità» il presidente dell’Odg ha chiosato: «La cronaca si deve fare senza mai che tracimi in gogna, questo anche distingue il giornalismo professionale dalle invettive dei social».
Ricordiamo a questi zelanti interpreti delle norme:
1) I nomi degli indagati (che non vuol dire colpevoli) vengono normalmente pubblicati sui media in quasiasi caso di cronaca giudiziaria, non esiste norma che lo vieti, è diritto all’informazione.
2) Non abbiamo visto la pubblicazione di foto dei 52 agenti indagati da parte della stampa, mentre abbiamo in passato potuto vedere le foto di semplici indagati extracomunitari sbattuti in prima pagina grazie a qualche “manina” che ha passato le foto alla stampa. In quel caso nessuno, cso strano, si è indignato o appellatoalgarante della privacy. Le regole in democrazia valgono per tutti o per qualcuno meno?
(da agenzie)

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IL SACERDOTE DI GENOVA CHE HA MESSO ALLA PORTA I NO VAX: “PER LORO NIENTE LETTURE IN CHIESA, DEVO TUTELARE LA SALUTE”

Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile

DON MASSIMILIANO: “LA PARROCCHIA HA IL DOVERE DI STABILIRE REGOLE PER LA SALUTE DI TUTTI”

In troppi nella chiesa di Santa Zita a Genova ostentavano di non aver ricevuto il vaccino né di volersi sottoporre alla somministrazione del farmaco anti Covid.
Così don Massimiliano Moretti, parroco nel cuore di Genova, ha deciso che «in nome della salute di tutti» chi non è immunizzato eviterà di «leggere nelle messe e di usare i microfoni per cantare».
La decisione del sacerdote è stata comunicata dallo stesso account Facebook della chiesa, provocando dissensi tra i parrocchiani che lo accusano di violare la libertà delle persone
Don Massimiliano, che è anche cappellano del lavoro e responsabile del percorso diocesano di Formazione Politica, ha quindi risposto alle accuse.
«La parrocchia ha il dovere di stabilire delle regole per tutelare la salute di tutti», scrive il prete nel post di replica. «Finché lo Stato lo permette ognuno è libero di fare ciò che vuole, tuttavia, nel rispetto della salute di tutti, chiedo che fin da adesso, coloro che non si sono vaccinati evitino di fare i lettori nelle messe o di usare microfoni per cantare, pregare o per altri usi».
Tra i commenti, in diversi tra parrocchiani del social network sottolineano al parroco che «anche chi è vaccinato può contagiarsi» o addirittura chiede al prete «cosa ne pensa delle morti da vaccino».
«Io non sono uno scienziato e non posso obbligare nessuno a fare il vaccino», ribadisce don Massimiliano, «ma è un mio dovere pensare alla salute di tutti, soprattutto dei tanti anziani che frequentano Santa Zita. Per questo ho deciso, anche di fronte alle notizie che arrivano sulla variante Delta e la sua contagiosità, di limitare al massimo i rischi. Se fosse per me», prosegue il prete, «tutti dovrebbero fare il vaccino per rispetto degli altri. Il vaccino non è un atto di egoismo ma di altruismo, è un modo per salvaguardare la salute di chi ci sta intorno».
I commenti complottistici
La scelta di don Massimiliano ha ricevuto anche il plauso di alcuni fedeli, che ne rimarcano il senso di responsabilità, ma non sono mancati commenti no vax e complottisti contro il prete.
Tra i messaggi: «Il cristianesimo è ridotto all’idolatria di questo regime terapeutico», oppure «L’unica situazione che può comportare rischi reali se non si usa la mascherina può essere quella del coro perché si canta vicini e a voce alta».
Nonostante lo scontro, don Massimiliano non cede e chiede solo di far girare il messaggio, conscio dei danni sanitari e sociali che il virus ha provocato nel quartiere della parrocchia che guida.
(da Open)

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