LO ZELO DEL DAP CONTRO LA DIFFUSIONE DEI NOMI DEGLI AGENTI PENITENZIARI INDAGATI A SANTA MARIA CAPUA VETERE
CHISSA’ COME MAI NON SI INDIGNANO SE L’INDAGATO E’ UN IMMIGRATO DI CUI VIENE PUBBLICATA PERSINO LA FOTO, NON SOLO IL NOME… LE REGOLE VALGANO PER TUTTI
Eccessi mediatici e violazione della privacy degli indagati nell’inchiesta sulle torture, pestaggi e depistaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere lo scorso 6 aprile 2020 e che hanno portato alla sospensione di 52 agenti della polizia penitenziaria e di ulteriori 25 nuovi provvedimenti nei confronti di altri dirigenti e dipendenti.
Sono queste le ragioni per cui i vertici del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia e Roberto Tartaglia, hanno preannunciato un esposto al Garante della privacy, esprimendo preoccupazione per l’eccessiva esposizione mediatica degli indagati.
In precedenza, il sindacato della polizia penitenziaria (Uspp) aveva espresso preoccupazione per la comparsa di uno striscione recante la scritta «52 mele marce? Abbattiamo l’albero!», sottolineando come questo rappresentasse «uno dei segnali di pericolo che deve far riflettere chi continua a pubblicare foto nomi e indirizzi di persone appartenenti a un’istituzione dello Stato che in questo modo di processo pubblico rischiano la reazione di appartenenti alla criminalità, mentre vanno giudicati nelle aule di giustizia».
E sulla medesima questione della pubblicazione dei dati sensibili degli indagati è intervenuta anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia che in giornata si è confrontata telefonicamente con il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna. Il presidente dell’Odg, dopo il colloquio telefonico con la titolare del dicastero di Via Arenula, ha sottolineato come in una vicenda simile sia necessario «ricordare che un conto sono i fatti complessivamente percepiti, un altro le responsabilità penali individuali tutte da accertare», che «sulla base della nostra carta fondamentale sottoposte al principio di non colpevolezza».
Verna ha precisato che la «divulgazione in questa fase di volti e nomi, oltre a poter costituire violazione delle nostre norme deontologiche, può esporre anche a rischi personali agenti penitenziari che potrebbero risultare peraltro estranei alla vicenda».
E dopo aver fatto appello alla «responsabilità» il presidente dell’Odg ha chiosato: «La cronaca si deve fare senza mai che tracimi in gogna, questo anche distingue il giornalismo professionale dalle invettive dei social».
Ricordiamo a questi zelanti interpreti delle norme:
1) I nomi degli indagati (che non vuol dire colpevoli) vengono normalmente pubblicati sui media in quasiasi caso di cronaca giudiziaria, non esiste norma che lo vieti, è diritto all’informazione.
2) Non abbiamo visto la pubblicazione di foto dei 52 agenti indagati da parte della stampa, mentre abbiamo in passato potuto vedere le foto di semplici indagati extracomunitari sbattuti in prima pagina grazie a qualche “manina” che ha passato le foto alla stampa. In quel caso nessuno, cso strano, si è indignato o appellatoalgarante della privacy. Le regole in democrazia valgono per tutti o per qualcuno meno?
(da agenzie)
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