Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
ORA E’ PIU’ CHIARO CHE SALVINI E LA MELONI HANO PRESE LE DIFESE DEI NO VAX, NON DEI LAVORATORI…. I DANNI ALL’ECONOMIA DI TRIESTE FATELA PAGARE AI SOVRANISTI COMPLICI DI QUATTRO CAZZARI GUIDATI DA UN MEDICO RADIATO DALL’ORDINE
Oggi Stefano Puzzer non ha più la divisa da portuale. Jeans, maglione blu e
sneakers ai piedi. L’unica cosa che conserva dai giorni scorsi è il cappellino grigio che ha tenuto in tutte le proteste. E ormai di uomini con quella divisa tra le piazze di Trieste se ne vedono pochi.
Questa manifestazione non è più loro, come specificano nell’ultimo comunicato stampa arrivato nelle ultime ore: «Visti gli ultimi sviluppi delle mobilitazioni contro il Green pass, il coordinamento dei lavoratori portuali non intende partecipare alla gestione complessiva delle stesse o a qualsiasi coordinamento/associazione relativa». Le ultime righe sono per il loro vecchio leader, che la mattina del 18 ottobre aveva rassegnato le dimissioni: «Ringraziamo l’amico e collega Stefano Puzzer per tutto il lavoro svolto e gli auguriamo tutto il meglio per il futuro».
Al momento quindi nessuna sigla sindacale del porto di Trieste partecipa alle manifestazioni contro il Green pass organizzate nella città.
Il comando a questo punto passa nelle mani del Coordinamento 15 ottobre, un nome dedicato al giorno in cui è iniziato il presidio davanti al Molo 7 del porto.
Il comitato è composto da Dario Giacomini, Eva Genzo, Roberto Perga, Matteo Schiavon e Stefano Puzzer. Il primo messaggio, lanciato dalla stesso Puzzer è quello di non venire più a Trieste ma continuare la protesta da casa: «Tutte le piazze di Italia devono diventare questa piazza qua. Più città si metteranno a fare questa lotta, più grande sarà il nostro peso. Più lo faremo e più dovranno scendere e trattare con noi. Il nostro obiettivo è togliere il Green pass e l’obbligo vaccinale per i sanitari, da questo punto noi non ci muoviamo di un millimetro».
Tradotto: ormai parla da solo, nessuno lo segue più.
Chi è Dario Giacomini, il medico radiato dall’ordine
Tra i nomi del Coordinamento 15 ottobre c’è quello di Dario Giacomini. Medico, direttore del reparto di radiologia di Arzignano, in provincia di Vicenza, negli ultimi mesi ha aperto Contiamo-Ci!, un’associazione che raccoglie i sanitari che non vogliono accettare l’obbligo vaccinale.
(da Open)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
SOVRANISTI CONTRO FORZISTI CHE RIVENDICANO CALABRIA E TRIESTE…FDI CHE INVITA GLI ALTRI A LASCIARE IL GOVERNO, FORZA ITALIA SFERZANTE: “MICHETTI L’HA IMPOSTO LA MELONI, HA PERSO LEI. SALVINI DICE DI ESSERE CONTENTO PER AVER VINTO A DESIO E SANSEPOLCRO”
“Come sto? Col cerotto in testa” risponde il senatore forzista (romano) Giro, uno dei pochi che almeno risponde. Ventiquattr’ore dopo lo tsunami del quasi-cappotto, il centrodestra fatica a ritrovare la voce. Men che mai unitaria.
A partire dai leader: il decisivo vertice del centrodestra per analizzare le cause della sconfitta alle amministrative e ricompattare la linea ancora non è in agenda.
A martedì pomeriggio, la data non è fissata: gli impegni reciproci complicano gli incastri, dicono. In realtà, quello che manca è proprio il terreno comune, con Meloni in pressing sugli alleati per chiudere la pagina governativa, e il rischio concreto di veemente rimpallo di responsabilità sul voto.
Forza Italia, Lega e FdI sono più distanti che mai. Ognuno con la propria mappa in testa. Quella meloniana almeno è chiara. La ribadisce, nel cortile di Montecitorio, il capogruppo Lollobrigida: “Se in questo governo i ministri di centrodestra sono ospiti, se il loro peso è marginale, se i provvedimenti varati sono quelli del programma della sinistra, a un certo punto bisogna trarne le conseguenze. Serve la schiena dritta. E’ un consiglio che diamo”.
Sulle comunali, macché candidati deboli: “E’ mancata un’alternativa chiara”. Posizione che, nonostante il no di Salvini, nella Lega qualche sponda la trova. Borghi ha lanciato un sondaggio su Twitter – Non ci voti più perché a) appoggiamo Draghi b) non capisco più la linea c) non voglio il green pass d) non gradivo il candidato – e aspetta i risultati.
L’ala sovranista è furibonda per la nonchalance con cui gli azzurri rivendicano i “loro” risultati in Calabria e a Trieste.
Si fa notare en passant che nella Cosenza del neo-governatore calabrese Occhiuto il centrodestra ha perso 42 a 57%. Che a Roma l’unico eletto in consiglio comunale è il centrista Di Stefano, voluto da Cesa.
Alla fatidica domanda – come state? – Mulé risponde citando Berlusconi: “Abbiamo il sole in tasca”. Lollobrigida rievoca: “L’ultimo che l’ha detto è stato Alfano e si è sciolto il Pdl”. Ritorce contro i M5S: “D’Incà mi ha chiesto se ci siamo ripresi.. lui a noi…”
Da Forza Italia nascondono più di un sogghigno. Ce l’hanno con FdI: “La caduta di Michetti è cominciata dopo l’estate, l’hanno sequestrato loro per affidarlo in esclusiva a Trancassini. Non si è mai riunito un comitato dei tre partiti per decisioni di peso… Di che si lamentano adesso?”.
A onor del vero, non si lamentano, poiché pare che anche tra dirigenti e parlamentari – inner circle escluso – il telefono è muto. La botta è ancora troppo forte. Ma il vetriolo azzurro non risparmia neppure i leghisti, che sarebbero sodisfatti dei risultati a Desio, Sansepolcro e Lanciano: “Contenti loro…”.
L’arrivo di Berlusconi a Roma incombe, ma anche il Cavaliere ha le sue spine: domani si vota il capogruppo alla Camera e si profila uno scontro tra il pupillo di Tajani, Barelli, e Sestino Giacomoni, sostenuto dai governisti che chiedono (ministri compresi) il voto segreto, salvo che si spariglino le carte con un terzo nome (Valentini).
Domani, archiviata la questione Lamorgese su cui battono Salvini e Meloni, si riparte con la controversa mozione per lo scioglimento di Forza Nuova. E il vertice della pace finisce in lista d’attesa.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
IL RADICALE USUELLI GLIELO CONSEGNA CON LA SCRITTA: “ALLE PROSSIME ELEZIONI FATTI I PACCHI TUOI” (NON QUELLI SOTTRATTI AI POVERI)
Il primo è un furente nome eletto in Regione Lombardia con + Europa e i
Radicali, il secondo è tristemente noto per essere stato uno dei collegamenti tra la Lega e Lealtà Azione, vicenda venuta a galla durante l’inchiesta di Fanpage.
“Alle prossime elezioni fatti i pacchi tuoi”, lo ha scritto Usuelli sul pacco recapitato a Bastoni.
Come molti ricorderanno, nel corso dell’inchiesta è emerso come Bastoni e due colleghi di partito sfruttavano i pacchi forniti da Banco Alimentare per organizzare iniziative di stampo politico. Addirittura sui viveri dati alla povera gente era spillato il santino del candidato di turno.
La resa dei conti è arrivata in consiglio. Intervenendo in Aula per motivare l’iniziativa, Michele Usuelli ha dichiarato: “Non tocca a me contestare ipotesi di reato per finanziamento illecito dei partiti, sarà eventualmente la Magistratura a farlo e neppure sono stupito dalle contiguità tra l’estrema destra e i miei colleghi o ex colleghi Bastoni e Sardone, vicinanza che, peraltro, almeno Bastoni ha sempre rivendicato – ha detto l’eletto nelle liste radicali -. Ciò che invece mi indigna profondamente è che queste persone si siano permesse di andare a prendere gratis i pacchi alimentari per i poveri dal Banco Alimentare e, dopo averci affisso un loro volantino elettorale, avere scelto di distribuirli solo agli italiani, violando quindi lo statuto del Banco Alimentare, le norme per una corretta campagna elettorale e soprattutto quelle del vivere civile”.
Poi continua Usuelli, “Questo è un dettaglio di inaudita violenza nei confronti di chi quel cibo lo ha donato, lo ha raccolto, e anche di chi lo riceve. Avevo visto in Cambogia nel 2002 il partito del dittatore Hun Sen fare la stessa cosa: distribuivano in campagna, prima delle elezioni, pacchi alimentari della Croce Rossa, non pagati da loro. Ricordo che pensavo: almeno questo in Italia non accadrà mai”.
(da NextQuotidiano)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
L’INDIGNAZIONE DEI LEGALI DEI FAMILIARI DI YOUNS… SE FOSSE STATO UN UOMO DI COLORE A SPARARE SAREBBE IN GALERA DA TEMPO… PER OTTENERE IL VIDEO I LEGALI HANNO DOVUTO DIFFIDARE IL PM: QUESTA SAREBBE LA GIUSTIZIA?
Domani, mercoledì 20 ottobre, scadranno gli arresti domiciliari per Massimo Adriatici. L’ex assessore alla Sicurezza del Comune di Voghera (Pavia) è accusato di eccesso colposo di legittima difesa dopo che, lo scorso luglio, ha ucciso con un colpo di pistola il 39enne Youns El Boussettaoui:
“Noi non possiamo appellarci – spiega a Fanpage.it l’avvocato Debora Piazza, che rappresenta la famiglia del 39enne -. Il Pm non ha fatto richiesta di rinvio a giudizio né di giudizio immediato né ha modificato il capo di imputazione da omicidio colposo a omicidio volontario”.
Ancora nessuna risposta per obbligo di firma o divieto di dimora
Ricevuta la notizia della scadenza della misura cautelare, gli avvocati avevano fatto richiesta di considerare per l’ex assessore l’obbligo di firma o il divieto di dimora a Voghera. Al riguardo però non è arrivata ancora alcuna risposta:
“Abbiamo le mani legate – precisa Piazza a Fanpage.it – se i termini sono scaduti con un capo di imputazione del genere non possiamo fare nulla. Tra l’altro il pm non ha neanche chiesto l’applicazione della misura cautelare per i proiettili utilizzati che ricordo essere assolutamente vietati”. L’avvocato si riferisce ai proiettili “dum dum” o “hallow point” e di tipo espansivo che sono vietati persino in guerra e che sarebbero stati utilizzati da Adriatici.
Un altro rischio, secondo i legali, è che il reato contestato rimanga quello dell’omicidio colposo nonostante gli avvocati sostengano di avere elementi che confermerebbero l’ipotesi di omicidio volontario: “L’unica cosa è che, quando ci sarà l’udienza preliminare, il gip modifichi il capo di imputazione”.
Rimane però tanta amarezza: “Come ho scritto nelle nostre memorie – continua Piazza – la difesa è inerme di fronte a una presa di posizione del pm. Noi abbiamo dovuto diffidare il pm per avere i video e non c’è stato ancora detto come questi siano stati acquisiti”.
Tra i filmati a cui Piazza si riferisce c’è quello del momento dello sparo: “Il nostro consulente ci sta lavorando, ma pare che siano spezzoni messi uno sull’altro. Noi il giorno dopo l’omicidio abbiamo chiesto il sequestro dei video sia alla polizia locale sia al pm, ci chiediamo perché il pm non li abbia subito sequestrati. Ci sono tante mancanze”.
(da Fanpage)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
NELLA CONFERENZA STAMPA FINALE L’USO FUORI LUOGO DI UN AGGETTIVO DI CUI NON CONOSCE NEMMENO IL SIGNIFICATO
L’esito delle elezioni a Roma? “Laconico”. Ha detto proprio così Enrico
Michetti, l’ineffabile (ormai ex) candidato del centrodestra a Roma. Il 60 a 40 per centro rimediato ieri da Gualtieri si prestava a ogni tipo di interpretazione, ma anche il più spericolato e avventuroso degli opinionisti si sarebbe spinto a definirlo “laconico”, se non altro per una ragione: non significa assolutamente nulla in un contesto simile. Vocabolario Treccani alla mano, il termine “laconico” è un aggettivo che deve le sue origini all’antica regione della Laconia, con riferimento – citiamo testualmente – “al modo di parlare o di scrivere, breve, conciso (in quanto si attribuiva agli Spartani l’abitudine all’espressione sobria e sentenziosa)”.
Uno stile laconico è proprio – si legge sempre sulla Treccani – di “una persona che si esprime concisamente, che è di solito o in singoli casi di poche parole”.
Cosa tutto questo abbia a che fare con la terrificante scoppola che Michetti, la Lega e Fratelli d’Italia hanno appena rimediato a Roma è difficile da capire.
La spiegazione, in fondo, è la più semplice possibile: Michetti non ha la più pallida idea di cosa significhi il termine “laconico”.
Una sensazione che si è diffusa rapidamente anche negli studi del Tg La7 durante la Maratona Mentana, dove si sentono distintamente risatine e commenti ironici in sottofondo mentre Michetti analizza la sconfitta davanti ai giornalisti.
Se Paolo Mieli aveva avuto un moto di compassione nei confronti del candidato del centrodestra (“A me è simpatico”), ci aveva pensato il direttore del Tg La7 a smorzare subito gli entusiasmi dello storico, alla sua maniera: “Tutti dicono che è simpatico, evidentemente non era il parametro principale del voto.”
Mentre Michetti si congeda dalla sua ultima conferenza stampa da candidato sindaco (e probabilmente della sua vita politica), Mentana è ancora più impietoso: “Temo per lui che non vedremo un futuro politico”
Un modo laconico – questo sì – per mettere la parola fine sulla sua carriera politica. Chissà se Michetti almeno qualcosa lo abbia imparato.
(da NextQuotidiano)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL AUMENTA L’ISTIGAZIONE A DELINQUERE DEI GRUPPI NO VAX
La solidarietà dei No Pass si sposta sui portuali di Trieste, il mirino su Mario Draghi. Se nella prima parte della protesta contro la certificazione verde il nome del presidente del Consiglio è rimasto più nelle retrovie, e al centro delle accuse figuravano altri protagonisti (Di Maio, Speranza e i sanitari che a vario titolo promuovevano il pass), le proteste al varco 4 hanno delineato il profilo di un nuovo nemico. Il dissenso è spesso manifestato in maniera pacifica, ma con altrettanta frequenza sui gruppi Telegram e Twitter compaiono insulti e minacce all’ex presidente della Bce. L’accusa è rivolta anche ai media italiani, colpevoli di tacere ciò che sulla stampa estera verrebbe invece denunciato: L’Italia è in una dittatura, il “Draghistan”.
Un canale sulla piattaforma di messaggistica porta il nome di #draghiarriviamo. Il titolo è stato modificato di recente. Nel 2020 il gruppo era nato con un altro bersaglio, colui che all’epoca aveva disposto le chiusure dei locali, come misura anti contagio: Giuseppe Conte. Tra gli oltre 400 iscritti, i toni variano: alcuni tengono (o si tengono) informati sulla situazioni ai porti. Per altri, quell’“arriviamo” ha il chiaro intento di risultare una minaccia fisica nei confronti di Palazzo Chigi.
“L’odio per questa persona cresce a dismisura”, si legge in un messaggio, accompagnato da una foto del premier. “Andiamo a prenderli. Dobbiamo liberare l’Italia da Draghi e dalle merde traditrici, Mattarella incluso” scrive un utente. “Ci vuole un cavallo di Troia a Palazzo Chigi” suggerisce un altro. E ancora: “La casa di Draghi già una volta prese fuoco…mmm”.
Anche in altri gruppi Telegram, che in questi giorni hanno alimentato le proteste che si sono trasferite da internet alle piazze, il nome del presidente del Consiglio ricorre adesso in maniera sempre più frequente. “Ma a questo punto Draghi non ha paura? Io mi preoccuperei” si domanda un utente. “Certo che ha paura, ma è scortato da deficienti armati. Ma non avrà la scorta per sempre…”, risponde un altro. Il complotto è chiaro: “E’ ormai evidente che Draghi conduce una dittatura che ha lo scopo di ridurre il popolo italiano alla fame e alla sudditanza”; “Draghi è stato chiamato a svendere l’Italia e lo fa senza tentennamenti. Ma pagherà. Senza dubbio”. Qualcuno lancia un contest: “Brucia anche tu l’immagine di Draghi e posta il video”. Un altro rilancia: “Draghi insieme al governo e ai loro familiari sono da sterminare”.
I gruppi sono corredati da altri post che negano la presenza del covid e promuovono articoli che segnalano gravi effetti collaterali. “Dittatura” è tra le parole più ripetute: il popolo di Twitter ha ribattezzato il paese Draghistan, con l’hashtag davanti, come impone il linguaggio della piattaforma. In questo caso trovare minacce è più difficile, i più lamentano la fine della democrazia in Italia. “Oggi piove in Draghistan” scrive un utente, postando l’immagine degli idranti dello sgombero, “Io sto con i portuali di Trieste, scene inammissibili in qualsiasi paese che si dica democratico, 8 mesi per ridurci così”. Poi i tanti altri: “Se il green pass è la vostra cura rimaniamo malati di libertà”; Senza nazi-pass i sudditi del Draghistan non hanno diritto all’assistenza sanitaria!”; “Uniamoci mano nella mano come fratelli nella lotta contro la violenza di stato del vero neo-fascismo che ha preso il potere in Italia! Abbasso il Draghistan”.
Del Draghistan, scrivono gli utenti, parla la stampa estera, ma ne tace quella italiana. “I giornali di tutto il mondo mostrano le violenze e le torture di Stato del regime in Italia” scrivono, riportando le immagini di cui in realtà anche i media italiani hanno dato conto: quelle dello sgombero al porto.
A sostegno della tesi, un utente riporta il titolo di un editoriale pubblicato da Associated Press: “Covid 19 e il fantasma del fascismo in Italia”. A parere dell’utente, il pezzo sosterrebbe la sua tesi e il fascismo di cui si parla sarebbe la dittatura imposta da Draghi. In realtà, l’articolo parla dell’esatto opposto: l’estrema destra che cavalca le proteste contro il covid. In 238 hanno battuto un cuore per il post, altri 130 lo hanno condiviso sulla propria bacheca. Ma qualcuno fa notare l’errore: “Guarda che l’articolo di Ap parla di voi, eh”.
(da agenzie)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
HA RINUNCIATO A RAPPRESENTARE L’85% DI ITALIANI VACCINATI PER CORRERE DIETRO A UN 5% DI NO VAX CHE MANIFESTANO ACCANTO A DELINQUENTI: CI SI MERAVIGLIA SE I MODERATI SONO RIMASTI A CASA?
La Sinistra ha stravinto le elezioni, ma c’è poco da festeggiare quando il
successo arriva per abbandono dell’avversario, che già dopo il primo turno barcollava più di un pugile suonato.
Nonostante l’avvertimento emerso quindici giorni fa dalle urne, Meloni e Salvini non hanno saputo riacquistare lucidità su Green Pass e toni da moderare, e invece di puntare sull’85% degli italiani che si sono vaccinati e chiedono tranquillità dopo la pandemia, hanno continuato a tirare pugni insieme al 5% che blocca i porti o manifesta accanto ai delinquenti che poi vanno ad assaltare la Cgil.
Così, al netto di un altro 10% a cui di regola non frega niente di niente, la destra si è auto-confinata nella minoranza del Paese, completando il disastro annunciato con la scelta dei peggiori candidati possibili.
Una débâcle che ha responsabilità chiare, di cui però i colpevoli si lavano già le mani, farneticando di campagne antifasciste orchestrate dalla stampa, come se a sfasciare l’ufficio di Landini siano stati i giornalisti.
Nulla da recriminare, invece, sulle grida sguaiate della leader di Fratelli d’Italia in Parlamento contro la Lamorgese, o sui continui diktat del capo della Lega a Draghi, che hanno fatto scappare gli elettori moderati.
E dire che proprio questi ultimi sono stati decisivi lì dove le destre hanno centrato le uniche vittorie, in Calabria e a Trieste, in entrambi i casi con uomini di Forza Italia (a favore del Green Pass e leale al governo di cui fa parte).
Ora dunque resta da vedere se i pugili suonati sono solo Meloni e Salvini, o è tutto il Centrodestra.
(da La Notizia)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALLA CONSULENTE IN COMUNICAZIONE MARTINA CARONE
Sarebbe stato game, set, match se anche Trieste fosse caduta. Ma il tennistico 6 a 0 nella sfida centrodestra-centrosinistra per i capoluoghi di regione non c’è stato. Tuttavia, Roma e Milano, capitale istituzionale e capitale economica di Italia, da domani saranno governate da un sindaco di area Pd. Bologna, Napoli e Torino altrettanto. Matteo Salvini e Giorgia Meloni – da Forza Italia, per questioni di consenso, non ci si aspettava un exploit – non sono riusciti a far eleggere nessun candidato nelle città più grandi al voto.
Il centrodestra perde Savona, Cosenza, Isernia. Non gli riesce il ribaltone a Varese e lascia al centrosinistra 13 capoluoghi di provincia o regione su 20.
Altre tre città saranno guidate da sindaci di liste civiche. Salvini e Meloni mantengono sotto la propria influenza soltanto Novara, Trieste, Pordenone e Grosseto. E se non è un set a zero del gergo tennistico, quantomeno i due leader del centrodestra hanno subito un cappotto nel ping pong delle amministrative: solo quattro capoluoghi su 20.
Non può esultare, tuttavia, il Movimento 5 stelle. Va bene, l’élite grillina è corsa a Napoli a festeggiare la vittoria di Gaetano Manfredi al primo turno. Ma quell’entusiasmo mal cela le percentuali da limite di soglia dello sbarramento ottenute nelle maggior parte dei Comuni al voto. E il Partito democratico? Certo, la linea lettiana del campo largo progressista ha avuto ragione in questa tornata. Però, i Dem sono ben lontani dal tornare a essere il partito delle periferie che, in queste elezioni, hanno fatto vincere lo stesso candidato ad ogni latitudine: l’astensione. Abbiamo analizzato l’esito delle Comunali con Martina Carone, consulente in comunicazione per Quorum – YouTrend e docente di Analisi dei media all’università di Padova.
Quali sono le prime evidenze di questo voto?
«L’astensione, prima di tutto. La principale vittima della bassa affluenza è stato il centrodestra, in un contesto generale in cui i dati in mano ai sondaggisti ci dicono che l’area politica preferita dagli italiani resta comunque il centrodestra, scelto più o meno dal 40% dei campioni statistici. Ma in questa tornata, gli elettori di questo campo politico non sono andati a votare. Poi, notiamo come il Movimento 5 stelle sia stato praticamente inesistente nella tornata elettorale. È vero, sul piano locale i grillini non hanno mai brillato particolarmente, ma in queste elezioni hanno perso Roma e Torino che, cinque anni fa, erano state attenzionate da tutto il mondo. Se sta sparendo, è solo perché esiste in funzione dell’alleanza con il Partito democratico. Credo, infine, che sia importante fare una valutazione rispetto all’astensionismo, e credo che la debba fare sia chi ha gioito sia chi ha pianto per gli esiti elettorali.
Noi osservatori, invece, dobbiamo ragionare su quanto siano rappresentative queste comunali rispetto alle nazionali: erano chiamati al voto circa 12 milioni di italiani, soprattutto di grandi comuni e che non sono rappresentativi del trend nazionale – le grandi città sono generalmente più sbilanciate verso il centrosinistra. Letta ha cantato vittoria, ma se vuole sperare in risultati altrettanto soddisfacenti alle prossime legislative, deve concentrarsi sulle periferie. Il segretario ha dichiarato che il Pd non è più il partito della Ztl, ma di certo non è ancora il partito della periferia, visto che le periferie – vedere Roma – sono le aree che hanno registrato l’astensione più alta».
Anche per Conte il protagonista è l’astensionismo. Per Meloni il Pd non può esultare poiché Gualtieri, a Roma, ha vinto con solo 24% dell’elettorato. Salvini dice che i sindaci sono stati eletti da «una minoranza di minoranza».
Anche per Letta l’affluenza è uno dei punti «dolenti» di queste elezioni. Come si spiega questo livello così alto di astensionismo?
«Da una parte, il secondo turno fisiologicamente vede un calo della partecipazione. Primo perché non ci sono i traini delle preferenze dei consiglieri, delle liste, insomma di un’offerta politica più ampia che dà maggiore scelta all’elettore. Al ballottaggio l’offerta è semplicemente di tipo binario. Poi, perché non sono stati secondi turni particolarmente entusiasmanti. Le offerte politiche che hanno passato il secondo turno non hanno particolarmente galvanizzato. Poche sfide davvero in bilico, al di là di come i media potessero raccontare i vari “testa a testa”, la “sfida all’ultimo voto”, il “clamoroso ribaltone”. Però facciamo attenzione: Meloni sostiene che non sia riconoscibile una vittoria con il 24% dei voti a Roma.
Tuttavia, sembrerebbe che proprio gli elettori della destra non siano andati a votare. Se fossi in lei, mi preoccuperei più di portare i miei elettori alle urne che delegittimare la vittoria di Gualtieri: se aumenta l’astensione nei municipi dove Michetti è andato discretamente bene al primo turno, vuol dire che tutto sommato gli elettori del centrodestra hanno trovato poco convincente la proposta di Fratelli d’Italia. In generale, i candidati del centrodestra non sono riusciti a motivare l’elettorato, per vari motivi. Pensiamo ai giochi di forza tra Meloni e Salvini che hanno reso difficile il compromesso, o alla scelta di non schierare nomi di peso nelle sfide più ostiche, come potevano essere Bologna e Milano. Ancora, le vicende nazionali, che hanno acceso i riflettori sulla contrapposizione tra fascismo e antifascismo.
Anche qui, Meloni e Salvini non l’hanno gestita bene. Penso al video in cui la leader di Fratelli d’Italia dichiara di essere ogni cosa ma non pronuncia mai la parola “antifascista”. Anche il leader leghista ha giocato nel suo passato politico con alcune nostalgie di sacche di elettorato: più che condanne nette al fascismo, ha cercato spesso di spostare il focus su altro. Per esempio nel giorno della nascita del Duce, il 29 luglio, Salvini pubblica un tweet citando Mussolini: “Tanti nemici, tanto onore”. Anche il segretario della Lega pesca da certi ambienti, li tiene in considerazione per il suo posizionamento».
La Lega di Salvini è tornata a incidere sotto il Po’ con la stessa efficacia della Lega Nord, verde, padana e invisa ai meridionali. Vedendo le percentuali raccolte in questa tornata, crede che resisterà anche al Centro-Sud un tesoretto di elettorato sul quale il segretario del Carroccio potrà contare per la volata verso le elezioni politiche?
«Un elettorato su cui può fare affidamento la Lega esiste. Non è detto che ci possa fare affidamento Salvini. Gli amministratori del Carroccio che governano le regioni del Nord, ad esempio, acquistano sempre più rilevanza nel dibattito pubblico. Pensiamo a Zaia, a Fedriga, sensibili ad esempio alle posizioni della comunità scientifica sul Green pass. Il consenso leghista, il nocciolo duro, viene mantenuto in vita da queste leadership che, interamente, si contrappongono a Salvini. Come influenza, loro coprono i poli industriali del Nord, rifuggono i toni forti che la segreteria usa contro il governo, contro Bruxelles. Ripeto, resta il nocciolo duro dell’elettorato leghista che garantisce un buon tesoretto di voti anche per le prossime elezioni politiche, ma non è detto che Salvini sia il miglior interprete per poterci dialogare».
Però a Torino, il candidato della Lega giorgettiano, Paolo Damilano, ha incassato una sconfitta netta. Non sarà mica in discussione l’intero partito – non solo Salvini -, attualmente forza di governo che non riesce ad avere un impatto sull’agenda Draghi?
«Credo che Salvini stia scontando la decisione di essere all’interno della maggioranza. Chissà quanto è stata una decisione presa dopo essere rimasto scottato dall’uscita dal governo Conte I. Evidentemente, dopo l’anno e mezzo all’opposizione, ha dovuto anche cercare di equilibrare le richieste che venivano dalle aree più governiste del suo partito, vedi Giorgetti. È in difficoltà Salvini perché la sua destrezza politica che ha permesso alla Lega di passare dal 3% al 34% delle Europee si è manifestata fuori dalle dinamiche tipiche di governo. Per lui, restare con Draghi è una grande sfida a cui è difficile rinunciare: se vuole andare a Palazzo Chigi, deve dimostrare di avere una classe dirigente formata e di sapersi muovere nei ranghi istituzionali. Fatica tantissimo, tuttavia, perché lui deve essere la super star: non riesce a conciliare il protagonismo con l’azione di un esecutivo poco strillato, poco urlato. Tornando alle ultime amministrative, ritengo che lui e Meloni abbiano peccato di hybris: hanno pensato che la selezione dei candidati non fosse determinante, visto quanto erano forti a livello nazionale i singoli leader. Invece, i risultati della tornata ci dicono che a livello locale la scelta dei candidati giusti ha ancora un suo rilievo».
A Roma è stata più influente l’indicazione di Conte che la reticenza di Raggi nell’appoggiare Gualtieri. Ritiene sia arrivato il momento per l’elettorato grillino purista di staccarsi e riconoscere in Di Battista e nell’ex sindaca di Roma i suoi leader?
«Anche il Movimento 5 stelle deve fare un ampio ragionamento rispetto alle proprie leadership. E il plurale non lo utilizzo a casa. Il Movimento è un mostro a diverse teste e, soprattutto a Roma, queste teste si sono beccate tra loro. La palese sconfitta di Raggi mette in grave difficoltà quella parte di Movimento che fa capo all’esperienza della sindaca e, potenzialmente, la perdita del Campidoglio può rafforzare la linea di Conte. A livello nazionale, i 5 stelle prendono così tante scocce, come si dice a Roma. Indicativo è il ritardo con cui Conte si è espresso su queste amministrative: è la conferma che c’è un dialogo vigoroso all’interno, che diventa spesso uno scontro. A ogni modo, non credo che una parte più movimentista, passatemi il termine, possa andare da qualche parte. Se il Movimento ha ancora un peso politico è grazie alla figura di Conte, ancora apprezzata, non di certo per le istanze di Di Battista o dei grillini ortodossi. Quella parte lì non ha particolare futuro politico»
Resta il fatto che l’alleanza Pd-M5s si rivela vincente per i Dem, ma un abbraccio mortale per i 5 stelle. Stanno scomparendo, persino Letta ha parlato di elettorati che si fondono ma che, al momento del voto, hanno premiato il Pd. Conte dovrebbe fare una riflessione sull’opportunità di unirsi in coalizione con il centrosinistra?
«Se fossi in Conte, avrei timore a parlare di una cosa del genere, ma se fossi nelle altre correnti interne, spingerei tantissimo per fare questo discorso: dopo il tracollo dei grillini in questa tornata, se fossi in un’area non contiana del Movimento, aprirei molto volentieri un ragionamento di questo tipo. Vorrei aggiungere, però, un appunto anche per il Pd lettiano. Doveva essere un partito nuovo, Letta nel discorso di insediamento lo scorso marzo mise tra i nuovi pilastri quello della leadership e della rappresentanza femminile. Non mi pare che la sua segreteria, però, abbia cambiato il corso delle cose – a parte i capigruppo di Camera e Senato -. Oggi Letta dice che gli dispiace non avere sindache donne nelle grandi città, ma lui è il segretario e qualcosa avrebbe potuto farla prima di dispiacersene. Non è solo una questione di avere o meno delle candidate: è una questione di come viene selezionata la classe dirigente e di come si scelgono le candidature. Siamo onesti, se le candidature sono espressioni delle correnti interne al Pd e i capi corrente sono tutti uomini, non porterai la parità di genere nel partito semplicemente cambiando la segreteria o i capigruppo».
(da agenzie)
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Ottobre 19th, 2021 Riccardo Fucile
SI LAMENTA DEGLI IDRANTI SUI NO VAX A TRIESTE MA LI HA AZIONATI LUI CON I DECRETI SICUREZZA, MASSIMO DELL’IPOCRISIA
È tutto fumo e niente arrosto il petto in fuori che per mesi Salvini ha mostrato
all’opinione pubblica e ha sfoggiato nelle sue interviste che brulicavano sicumera.
È la proiezione di un centrodestra che nei risultati rimane impastato in una coalizione che non trova una “matrice” (cit. Giorgia Meloni) e che esce malissimo dalle elezioni amministrative.
Capiamoci: le elezioni amministrative sarebbero state il primo passo per una grande cavalcata che li avrebbe portati a “prendersi il Paese” (parole testuali di Matteo Salvini). E ne esce male anche Giorgia Meloni, forse ora finalmente consapevole che la sua crescita di consenso è frutto soprattutto di un travaso di voti tutti interni alla coalizione, figli di una mancata durezza imputata al segretario della Lega (che intanto al suo interno invece viene accusato di essere troppo poco diplomatico) che lei è riuscita a strappare restando fuori dal governo.
E forse sarebbe il caso di rendersi conto che no, che Salvini non ha già in mano il prossimo governo e anche Giorgia Meloni si può battere
Le parole di Salvini dimostrano perfettamente come il continuo spostare il baricentro della discussione senza mai affrontare gli argomenti ma semplicemente sorpassandoli di striscio risultati ripetitivo e sciocco
Salvini ha lanciato il suo tweet per attaccare Lamorgese ma si è dimenticato che la repressione del dissenso e la sua criminalizzazione è frutto di quei Decreti sicurezza che lui sventola tutt’ora come vittoria. Del resto gli è sempre stato difficile capire che comprimere i diritti degli altri finisce sempre per comprimere i propri diritti, nel corso delle cose.
La Lega che perde a Varese del resto è una notizia che sarebbe stata inimmaginabile fino a pochi mesi fa (a Varese in molti pensava che fosse arrivato il tempo di riuscire a strappare la città al centrosinistra e Varese tra le altre cose è il fortino elettorale di Roberto Maroni che nella Lega cominciano a rimpiangere in molti) e che il feudo di Durigon, Latina, sia rimasto al centrosinistra nonostante nella Lega si sentisse futuri padroni della città.
Se Salvini piange anche Giorgia Meloni non sorride: la crescita di Fratelli d’Italia (prevista da tutti) non ha cambiato gli equilibri delle coalizioni in campo e ora sarà molto più difficile rivendicare una leadership automatica
Infine c’è la questione dei destrorsi più esagitati che fino a qualche mese fa credevano in Salvini e Meloni e che oggi si sentono abbandonati: i no vax sono solo una parte di chi vedeva nei due i possibili liberatori dalla “dittatura sanitaria” e oggi ormai si sentono traditi.
Meloni e Salvini hanno occupato per mesi i media da vincitori ma sono molto meno di quello che temono i loro avversari. Queste elezioni cambiano le proporzioni.
(da TPI)
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