Destra di Popolo.net

IL VIAGGIO DI RENZI A NEW YORK PER LA QUOTAZIONE IN BORSA DELLA SOCIETA’ RUSSA

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

ORMAI FA IL LOBBYSTA MENTRE SPUNTA UN ALTRO VIAGGIO IN ARABIA SAUDITA

Il senatore Matteo Renzi è in partenza. Ovviamente si tratta di una missione di lavoro e stavolta la meta è Wall Street.
Lì, il 3 novembre, si quoterà in Borsa la società italo-russa di car sharing Delimobil Holding. Di cui il leader di Italia Viva è membro del consiglio di amministrazione.
E per questo dovrà essere presente anche lui. E, fa sapere oggi Repubblica, dovrà rimanere negli Stati Uniti per diversi giorni, dopo l’arruolamento da parte di Vincenzo Trani. Il fondatore della società di microcredito Mikro Kapital, presidente della Camera di Commercio italo-russa e console onorario della Bielorussia in Campania lo ha voluto proprio per cercare di favorire lo sbarco della sua azienda nella terra a stelle e strisce.
E mentre non è noto a quanto ammonti il compenso di Renzi per la presenza nel Cda, si sa che Delimobil paga in totale un milione di dollari di compensi all’intero Cda. Una circostanza che non fa che alimentare le critiche nei confronti del senatore di Rignano
Accusato di conflitto d’interessi perché consulente retribuito di società private e leader politico.
La replica dell’ex presidente del Consiglio è sempre la stessa: «Tutte le mie attività sono assolutamente disciplinate dalla legge. E quindi come tali riguardano la mia sfera privata».
Intanto tornano d’attualità anche gli incarichi e i viaggi in Arabia Saudita come membro del Future Investment Initiative. Un fondo che fa capo a Mohammed bin Salman (considerato il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi). Ieri sera, Report ha parlato di un presunto viaggio negli Emirati Arabi a fine novembre 2020, finora rimasto inedito. Lo dimostrerebbe una foto del senatore su un volo Emirates.
(da agenzie)

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SALVINI RESTA SOLO A OMAGGIARE BOLSONARO, L’ASSASSINO DI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI BRASILIANI

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

RAZZISTA, OMOFOBO, FAVOREVOLE ALLA TORTURA, TEORICO DEL “COVID E’ UNA SEMPLICE INFLUENZA”, RESPONSABILE DELLA MORTE DI 600.000 CONNAZIONALI, INDAGATO PER CRIMINI CONTRO L’UMANITA’ E COMPLICE DELLA DISTRUZIONE DI 9.000 CHILOMETRI QUADRATI DELLA FORESTA AMAZZONICA

Il segretario della Lega e il presidente del Brasile si sono visti a Pistoia, dove Bolsonaro – in Italia per il G20 appena trascorso – è andato per commemorare i caduti del suo Paese durante la Seconda guerra mondiale.
Un incontro rivendicato da Salvini ma che imbarazza i suoi alleati di governo.
L’ex militare, noto per le sue posizioni omofobe e per essersi detto favorevole alla tortura e alla pena di morte, ha dato conferma del suo estremismo nella gestione della pandemia e nel suo approccio con i cambiamenti climatici.
Posizioni assolutamente agli antipodi rispetto a quelle portate avanti, nei mesi scorsi ma anche negli ultimi giorni, dal governo Draghi. Di cui, lo ricordiamo, la Lega di Salvini fa parte.
Era il 24 marzo 2020, erano i giorni in cui il virus sconosciuto si diffondeva nel mondo facendo migliaia di morti. Costringendo i Paesi ad affrontare un nemico senza sapere quali fossero le armi migliori da bandire. Non si può dire che in quei tempi ci fosse già una sola linea da seguire, ma era ormai evidente che il Covid fosse una malattia pericolosa, che stava portando via tante vite umane.
Era chiaro quasi a tutti i leader mondiali, non a Bolsonaro. In un discorso a reti unificate definiva la pandemia una montatura dei media e la malattia portata dal virus “solo una piccola influenza”, attaccando i governatori locali per aver chiuso i negozi e le scuole e imposto le quarantene.
Per aver, insomma, fatto l’unica cosa che in quel momento sembrava potesse arginare il virus. “Questi media seminano il panico, creano apposta un clima di isteria”, aveva concluso, causando l’imbarazzo della sua stessa squadra. Era solo l’inizio di lunghi mesi in cui la tesi di Bolsonaro – che si è poi anche ammalato di Covid – è rimasta la stessa. Nonostante il Paese fosse letteralmente piegato da un virus diventato incontrollabile in ogni sua ondata. Nonostante i morti continuassero ad aumentare e migliaia di cittadini scendessero in piazza a protestare contro di lui.
Quanto grande sia stato il disastro lo dice una cifra: 608mila morti per Covid in Brasile, da quando la pandemia è iniziata ad oggi. È andata peggio solo negli Stati Uniti.
Non è da escludere che la cifra relativa del Paese sudamericano sia sottostimata: ci sono luoghi, come le favelas, in cui probabilmente in tanti sono morti senza che nessuno li aiutasse o che, peggio, se ne accorgesse. Quel che è certo è che molti di questi decessi – addirittura la metà – avrebbero potuto essere evitati.
Lo si legge, senza giri di parole, nella relazione di 1200 pagine presentata pochi giorni fa dal Senato al termine dei lavori di una commissione d’inchiesta che ha portato il congresso a chiedere che Bolsonaro fosse perseguito per “crimini contro l’umanità”. Per i relatori la gestione della pandemia in Brasile è stata “un mix di negligenza, incompetenza e negazionismo anti-scientifico”.
Una delle accuse più gravi riguarda la scelta “deliberata e cosciente”, di non acquistare subito i vaccini, come invece chiedevano anche le autorità sanitarie. Scettico sulla pandemia, figurarsi nei confronti del farmaco che immunizza dal virus. Ufficialmente, di recente, ha dichiarato di sostenere gli sforzi per la vaccinazione. Peccato che, oltre a non essere vaccinato, la settimana scorsa è arrivato a dire che i vaccini favoriscono l’insorgenza dell’Aids. Una dichiarazione priva di ogni fondamento scientifico, fatta via social. Facebook ha dovuto rimuovere il video in cui quelle parole venivano pronunciate.
Nei mesi scorsi aveva poi millantato la scoperta di un farmaco in grado di sconfiggere il Covid: “Esiste in Brasile, ma non è ancora scientificamente provato”. E probabilmente non sarà mai certificato, visto che nel Paese dell’America Latina è in corso un’inchiesta sulla morte di 200 persone tra le 645 utilizzate come cavie per verificare l’effetto di questo prodotto sperimentale.
Le autorità sanitarie avevano autorizzato sì la procedura sugli umani, ma per un numero molto più basso di pazienti. E la sperimentazione avrebbe dovuto riguardare persone sane, non – come poi è accaduto – un numero cospicuo di ammalati. L’ennesima tegola per un Paese che ha pagato a causa del Covid – e di scelte politiche sbagliate – un conto altissimo.
Altro capitolo è quello del clima. “Le foreste sono importanti per me perché coprono oltre il 60 per cento del mio paese”, ha detto oggi Bolsonaro in un messaggio registrato in occasione del Cop26 sul clima a Glasgow. Affermazioni che non sembrano affatto coerenti con quello che è successo sul suo territorio nel recente passato. Il 2019, anno in cui l’ex militare era già al potere, è stato il periodo peggiore per l’Amazzonia, con 9.178 chilometri quadrati di vegetazione distrutti dal fuoco. Non è andata meglio nel 2020. Secondo l’Istituto nazionale delle investigazioni spaziali brasiliano nel solo mese di dicembre sono andati distrutti 216 kmq di foresta, corrispondenti a un’area del 14% superiore rispetto a quella persa nel dicembre 2019. Ma per Bolsonaro è tutto a posto: “L’Amazzonia è una foresta umida, non prende fuoco”, ha detto appena due giorni fa. Il presidente del Brasile è ritenuto inoltre responsabile dell’aumento delle emissioni di gas serra dovuto agli allevamenti intensivi autorizzati nelle aree dove un tempo c’era il bosco.
(da agenzie)

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AGGRESSIONE OMOFOBA IN CENTRO A FERRARA DA PARTE DI UN GRUPPO DI COGLIONI MINORENNI

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

“IL DUCE VI BRUCEREBBE TUTTI”: SONO I FIGLI DEL SOVRANISMO BECERO E IGNORANTE

Riferimenti al fascismo e al Duce per schernire un gruppo di giovani ragazzi della comunità Lgbtq+. «Conoscete Benito Mussolini? Sapete che lui vi brucerebbe tutti?» è la frase che è risuonata in un video realizzato domenica scorsa 31 ottobre a Ferrara, e pronunciata da un gruppo di giovani tra i 15 e i 17 anni.
All’insulto è seguito un lancio di petardi e perfino di un piccione morto. Un’aggressione omofoba in piena regola ai danni di ragazzi tra i 12 e i 19 anni. Gli insulti sono stati ripresi da una delle vittime che ha caricato tutto sui social come denuncia, facendo diventare virale la clip.
I ragazzi oggetto dell’aggressione erano seduti a chiacchierare, ha riferito la madre di uno di loro alla Nuova Ferrara: «Mia figlia aveva giusto una borsetta rainbow», arcobaleno. «Conoscono alcuni dei giovani che li hanno aggrediti – aggiunge – in altre occasioni c’erano state battute, allusioni, ma niente di simile a quanto accaduto l’altra sera».
La famiglia, sottolinea la donna, ha contattato Arcigay Ferrara che si è messa a disposizione per eventuali supporti legali, visto che c’è l’intenzione di «presentare formale denuncia». «Mi auguro che anche altri genitori scelgano di unirsi a me», ha detto al Resto del Carlino. I giovani, aggrediti, hanno chiamato subito il 112 e la pattuglia ha allontanato gli aggressori consigliando loro di sporgere denuncia.
(da agenzie)

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DA TRIESTE A MILANO FINO A NOVARA: LA RIVOLTA CONTRO I NO VAX: “UNA MINORANZA NON PUO’ FERMARE UNA CITTA'”

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

PETIZIONI OVUNQUE PER FERMARE LE MANIFESTAZIONI DEI DEMENTI

A Trieste arriva prima la petizione online per togliersi l’etichetta di No Green pass. E poi il divieto di manifestare in piazza Unità d’Italia fino al 31 dicembre. Anche per contenere la crescita dei contagi.
Anche a Milano la Confcommercio lancia una petizione per fermare la paralisi della città ogni sabato: «Una minoranza – qualunque essa sia – non può imporre la propria volontà e tenere sotto scacco una grande città».
A Novara invece dopo le surreali spiegazioni dell’organizzatrice Giusy Pace per la manifestazione in cui si richiamava Auschwitz il sindaco Alessandro Canelli chiede al prefetto di non autorizzare altri sit-in. E lei, infermiera, ora rischia il licenziamento. Mentre il presidente del Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga va all’attacco: «C’è qualcuno che ha preso la laurea su Facebook e ci viene a raccontare come funziona la medicina». C’è in atto una rivolta della maggioranza silenziosa contro i No vax? Di certo anche dalla società civile cominciano ad emergere segnali di insofferenza.
«In vista del periodo natalizio Milano non può accettare, dopo tutta la sofferenza di questo lungo anno e mezzo di pandemia, che si crei un clima di contrapposizione dannoso per la società civile e per il mondo delle imprese», dicono i commercianti di Milano.
«Chi combatte contro i vaccini e contro il green pass non deve mettere in pericolo queste libertà e la salute dei cittadini; non può danneggiare l’economia. Nello spazio pubblico facciamo sentire anche la voce della grande maggioranza dei cittadini che si sono vaccinati, mettendo in sicurezza sé stessi e adempiendo un dovere di solidarietà sociale, scolpito nell’art. 2 della Costituzione e richiamato dalle massime autorità civili e religiose», scrivono a Trieste. E tra chi ha firmato c’è anche l’attore Diego Abatantuono.
Che in un’intervista a Il Messaggero oggi spiega perché: «Trovo incomprensibile che ci si possa schierare contro il vaccino o solo accettare un confronto con chi si definisce No vax. Io posso discutere con chi ha idee diverse dalle mie ma non con una persona che rifiuta l’immunizzazione. Dietro la sua posizione non c’è un pensiero ma il nulla». E ancora: «Quando vedo un No vax in tv cambio canale».
(da agenzie)

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GIORGIA MELONI NON VEDE LA “MATRICE” MA SCATTA APPENA TOCCANO GLI ULTRAS PSEUDOFASCISTI DELLA LAZIO

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

E’ LA STESSA MISURA CHE HA IMPEDITO AI TIFOSI DEL MARSIGLIA DI SEGUIRE LA LORO SQUADRA ALL’OLIMPICO DUE SETTIMANE FA

I toni utilizzati dal Ministero degli Interni francese sono molto polemici. E forse su quello doveva concentrarsi l’indignazione di Giorgia Meloni.
E, invece, la leader di Fratelli d’Italia sbaglia la mira e non si capacita del perché sia stato deciso il divieto di trasferta per i tifosi della Lazio in vista del match di Europa League a Marsiglia.
Eppure i precedenti parlano chiaro, tanto che lo stesso club biancoceleste, in una nota, condivide questa decisione (ma condanna i toni e le etichettature). Perché d’Oltralpe si parla delle abitudini di alcuni (non tutti) supporters del club capitolino. Come quella di “intonare canti fascisti e di fare il saluto nazista”. Anche per questo, visto che a Marsiglia la situazione ribolle da tempo, si è preferito evitare un mix che avrebbe potuto provocare tensioni.
“Fratelli d’Italia chiede al Governo di attivarsi immediatamente per impedire l’immotivata discriminazione creata dal provvedimento del Ministero dell’Interno francese che vieta l’ingresso in Francia a tutti i tifosi della Lazio o a chiunque si presenti come tale il 3 e 4 novembre – ha scritto Giorgia Meloni sui social -. Ci troviamo di fronte a un pericoloso precedente: in occasione di una partita di calcio, in questo caso Marsiglia-Lazio, il governo di Parigi non si limita a vietare l’accesso allo stadio o alla città che ospita la partita ma arriva addirittura a negare l’accesso su suolo francese “dai posti di frontiera stradali, ferroviari, portuali e aeroportuali” non solo a chi vorrebbe andare allo stadio ma a chiunque si dichiari sostenitore di una squadra. Ci aspettiamo dal Presidente del Consiglio Draghi e dal governo italiano una presa di posizione netta su un provvedimento che va contro tutte le leggi internazionali sulla libera circolazione delle persone”.
Un pericoloso precedente, dice la leader di Fratelli d’Italia. Eppure, solo qualche settimana fa, un provvedimento analogo fu preso nei confronti dei tifosi del Marsiglia a cui fu impedito di seguire la propria squadra a Roma per il match di andata proprio contro la Lazio.
Ma lì Giorgia Meloni non disse nulla. Anche perché i precedenti tra le due tifoserie non sono propriamente idilliaci. Come ricorda La Stampa, per esempio il 25 ottobre del 2018 – ultimo precedente tra le due squadre – si registrarono quattro accoltellati alla vigilia del match e risse con il coinvolgimento di oltre 200 persone. Ma lì da FdI il silenzio. Così come in occasione della gara di andata.
Pochi istanti dopo la comunicazione del divieto di trasferta per i tifosi biancocelesti in vista di Marsiglia-Lazio, il club di Claudio Lotito ha pubblicato una nota stampa in cui ricorda come un provvedimento analogo, ma al contrario, era stato preso per la partita di andata giocata all’Olimpico di Roma, quando ai sostenitori francesi fu vietata la trasferta.
“La decisione del Ministero dell’Interno francese di vietare in via precauzionale la trasferta nella città di Marsiglia ai tifosi della Lazio non sorprende ed è in linea con quanto già deciso dalle Autorità italiane nella partita d’andata. A stupire sono piuttosto le modalità di applicazione dell’ordinanza su scala nazionale e le sue ingiustificabili motivazioni (di cui è stata data notizia anche sui tg nazionali): la Lazio non può accettare un’offesa gratuita a tutta la tifoseria biancoceleste ed alla Società stessa, che ha sempre combattuto con azioni concrete i comportamenti violenti ed ogni tipo di discriminazione, dentro e fuori gli stadi. La Società Sportiva Lazio ha sempre posto in essere iniziative tese a promuovere i principi valoriali dello sport ed il superamento di tutti gli steccati di carattere sociale, culturale, economico, etnico e religioso come è stato ampiamente riconosciuto anche ai massimi livelli istituzionali. Abbiamo visto peraltro che la violenza negli stadi è un fenomeno purtroppo ancora diffuso e preoccupante, a partire da quanto è accaduto recentemente proprio al Velodrome di Marsiglia. Ci attendiamo quindi un chiarimento da parte delle istituzioni francesi ed una presa di posizione netta della nostra diplomazia verso espressioni di qualunquismo che dovrebbero indignare tutti gli italiani, a prescindere dall’essere tifosi o meno e dai colori delle proprie bandiere.”
La decisione del Ministero dell’Interno transalpino, dunque, è stata pacificamente accettata anche dal club laziale, anche se i modi e i toni sono stati ritenuti non consoni.
(da NextQuotidiano)

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NO VAX, NO PARTY: BASSETTI CHIEDE LA LINEA DURA CONTRO CHI NON SI E’ VACCINATO

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

FUORI DA RISTORANTI, STADI ED EVENTI

Solo qualche giorno fa si era detto contrario al Green Pass. Non tanto per il ruolo della certificazione verde, ma per le sue modalità di utilizzo.
Oggi Matteo Bassetti rincara la dose, chiedendo un ulteriore giro di vite nei confronti dei no vax, estendendo le limitazioni a tutti coloro i quali hanno deciso di non vaccinarsi. Non si tratta di un vero e proprio cambio d’idea da parte del direttore del reparto di Malattie Infettive del San Martino di Genova, perché la critica originaria era al sistema di tamponi.
Intervistato dal quotidiano La Stampa, Bassetti chiede il pugno duro:
“L’Italia è diventata un tamponificio. È venuto il momento di dare una stretta al Green Pass, togliendo la possibilità dei tamponi per accedere a ristoranti, bar, teatri, cinema e stadi. Lo stesso si potrebbe fare per i luoghi di lavoro, ma limitando il certificato ai mestieri a contatto col pubblico per cui metterei l’obbligo vaccinale”.
Un lockdown parziale per i no vax, dunque. Secondo il direttore della Clinica di Malattie Infettive del San Martino di Genova, infatti, la soluzione dovrebbe essere quella di non permettere ai non vaccinati di frequentare i luoghi di svago e intrattenimento. Il motivo, secondo lui, è semplice: i tamponi possono dare una risposta solo parziale (e ridotta nel tempo, in quanto analizzano uno status quo istantaneo) e non offrono sicurezza.
La linea, dunque, è la stessa – ma ancora più rigida – professata negli ultimi mesi. D’altronde Bassetti si è sempre detto favorevole all’obbligo vaccinale per tutti e, ancor di più, per quelle categorie lavorative che lavorano a stretto contatto con il pubblico. E sulle persone che si lamentano per la loro “libertà violata” tira dritto:
“Il problema è che la loro libertà cozza con quella di tutti e con il sistema sanitario. Se i non vaccinati fossero 30 milioni anziché 7 avremmo la stessa situazione dell’anno scorso, gli ospedali pieni e le chiusure. Per questo io sarei per l’obbligo vaccinale e per stringere sul Green Pass per tenere i non vaccinati fuori dai luoghi di divertimento”.
(da agenzie)

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L’INCONTRO TRA SALVINI E BOLSONARO AL CIMITERO DI PISTOIA FA ARRABBIARE ANCHE I PRETI (E IL SINDACO DI FDI NON CI SARA’)

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

ANCHE GLI ALLEATI DELLA LEGA SI SCAGLIANO CONTRO IL SEGRETARIO DEL CARROCCIO… UN INCONTRO EMBLEMATICO TRA UN CRIMINALE E UN SEQUESTRATORE DI PERSONE

Una pietra tombale sul populismo? No, anzi. Oggi a Pistoia è previsto l’incontro tra Matteo Salvini e Jair Bolsonaro.
La scelta del leader della Lega di trovarsi nella stessa ora e nello stesso posto del Presidente del Brasile ha provocato grande indignazione. E non solo nella sinistra italiana, ma anche negli ambienti interni alla coalizione di centrodestra. E per non farsi mancare nulla, il segretario del Carroccio è finito anche nel mirino delle critiche della Diocesi del cimitero toscano.
“Ricordiamo che la commemorazione dei defunti è una particolare opera di misericordia dei cristiani e non può né deve essere oggetto di odiose strumentalizzazioni da parte di qualsiasi parte politica”, fanno sapere dalla Diocesi cimiteriale di San Rocco a Pistoia.
Perché proprio il Campo Santo sarà il teatro dell’incontro Salvini-Bolsonaro. Il Presidente brasiliano, rimasto in Italia anche dopo la fine del vertice del G20 – con tanto di cittadinanza onoraria ad Anguillara Veneta – oggi visiterà il cimitero per “onorare i militari caduti in Italia nella seconda guerra mondiale” in occasione delle celebrazioni del 2 novembre.
E lì, stessa ora e stesso posto, è atteso anche Matteo Salvini che fa spallucce davanti alle polemiche e dice di volerlo incontrare perché questa sarà “un’occasione per ringraziarlo per l’estradizione di Cesare Battisti”.
Ma non c’è solo la Diocesi toscana a protestare contro la strumentalizzazione politica di questo evento. Da Forza Italia, come riporta il quotidiano la Repubblica, si è alzato un coro unanime contro il leader della Lega: “Assurdo questo show accanto al campione del populismo e del negazionismo mondiale”.
E Fratelli d’Italia che ne pensa? La risposta non arriva in forma verbale, ma simbolica. Il sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi, eletto con FdI non sarà presente all’evento e rimarrà impegnato in un vertice sul Recovery Fund e il PNRR. Insomma, poteva scegliere e ha scelto di non seguire il leader del Carroccio.
(da NextQuotidiano)

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LA VOGLIA DI QUIRINALE DEL CAV PUO’ SBRICIOLARE IL CENTRODESTRA

Novembre 2nd, 2021 Riccardo Fucile

SALVINI, MELONI E LA CANDIDATURA DI BERLUSCONI AL COLLE: MANEGGIARE CON CURA

Io non so cosa abbia davvero in testa Silvio Berlusconi e non so se è vero che crede all’ipotesi di succedere a Sergio Mattarella. Non so se ci speri (molti dicono di sì), non so se ci stia lavorando (molti dicono di sì) e non so quale sia il vero livello di condivisione sul tema raggiunto con i suoi alleati.
So però almeno due cose su cui possiamo convenire un po’ tutti, comunque la si pensi in materia.
La prima è che non potrà essere una candidatura da “larghe intese”, poiché non è sinceramente credibile immaginare una convergenza ufficiale sul Cavaliere da parte del Pd di Enrico Letta né da parte di quella variegata e imperscrutabile galassia chiamata M5S, peraltro faticosamente tenuta insieme da Giuseppe Conte.
Poi c’è la seconda consapevolezza, quella attraverso la quale immaginiamo la grande ostilità che l’ipotesi produrrebbe nell’ampio e influente mondo “progressista”, un mondo capace di coinvolgere (dentro e fuori l’Italia) soggetti di peso anche ben oltre i confini della politica
Acquisite queste certezze, possiamo però affermare con una certa serenità che ben poco importa a Berlusconi di tutto ciò: altro non è che lo schieramento dei suoi nemici di sempre, quelli con i quali se le dà di santa ragione da quattro decenni almeno.
Siccome però per arrivare al Quirinale occorre un voto a maggioranza del Parlamento, ecco che arriviamo al nocciolo della questione, che sul piano politico è semplice semplice: Berlusconi può “salire” al Colle se succedono due fatti imprescindibili e necessari contemporaneamente: 1) Deve votare per lui l’intera coalizione di destra-centro fino all’ultimo Grande Elettore; 2) Servono una cinquantina di voti “nuovi”.
Cominciamo dal punto due, quello politicamente meno sensibile. Qui possiamo dire che deve vedersela proprio il Cavaliere in persona, trovando questi voti attraverso alleanze politiche (qualcuno pensa ai parlamentari di Italia Viva, considerando il voto sulla “legge Zan” al Senato una sorta di prova generale) o con trattative più individuali, tipo quelle necessarie per provare ad agganciare un certo numero di “anime perse” nei gruppi misti dei due rami del Parlamento.
Assai più delicata invece è la questione interna alla coalizione, vero punto di analisi cui intendo dedicare questo post.
Qui infatti le cose sono ben chiare per le prime tre votazioni, quelle in cui serve una maggioranza qualificata per eleggere il Capo dello Stato: l’area di destra-centro può votare Berlusconi come candidato “simbolo” ben sapendo però che non ha possibilità di essere eletto (ragione per cui non avrebbe neppure molto senso votarlo in verità, se non per mostrare una certa forza numerica tale da impressionare gli indecisi).
Le cose però si fanno serie a partire dalla quarta votazione, anzi, per dirla proprio tutta, esattamente in quella occasione: lì si vota a maggioranza semplice degli aventi diritto.
Quindi servono tutti i voti di Forza Italia, tutti quelli di Brugnaro e Toti, tutti quelli di Fratelli d’Italia e tutti quelli della Lega, a cui aggiungere alcune decine di schede da pescare fuori dal recinto “destra-centro”, come abbiamo chiarito poche righe sopra.
Siccome però si vota a scrutinio segreto (che però è un po’ meno tale da quando esistono i telefonini che fanno foto molto nitide), ecco che quella votazione può assumere le caratteristiche del trionfo (per la prima volta da destra si elegge il Capo dello Stato) o della débâcle, qualora si arrivi a provare l’opzione Berlusconi facendola naufragare nelle tradizionali ceste di vimini (vengono poste all’uscita delle cabine in legno collocate tra i banchi del governo nell’aula di Montecitorio).
Voglio cioè dire che la coalizione recentemente riunita a Villa Grande sull’Appia Antica è già attraversata di suo da tensioni forti, come si è reso evidente nella campagna elettorale per i comuni di quest’autunno, al punto che potrebbe non reggere a un insuccesso figlio di un voto segreto, con tutte le velenose interpretazioni che inevitabilmente finirebbe per generare.
Ora, la natura della eventuale candidatura del Cavaliere potrebbe prendere forme nuove e suggestive, come quella indicata da Gianfranco Rotondi (due anni al Quirinale e poi via), ma un dato è certo: Meloni e Salvini devono pensarci bene prima di fare quel passo.
Se Berlusconi è il candidato deve uscire dalle urne raccogliendo (come minimo) tutti i voti disponibili sommando gli elettori già dalla sua parte.
In caso contrario ne uscirebbe una coalizione da aggiustare un minuto dopo il voto.
E non sarebbe un lavoro da fare con i cerotti.
(da Huffingtonpost)

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