Destra di Popolo.net

LE AMMISSIONI DI UN ANALISTA DEI SERVIZI SEGRETI RUSSI: “SIAMO NELLA MERDA, PUTIN FA DI TESTA SUA, SARÀ UN INFERNO”

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

PUBBLICHIAMO IL TESTO INTEGRALE… “LA GUERRA LAMPO E’ FALLITA, NEI PRIMI GIORNI FORZE RUSSE MASSACRATE, NESSUNO E’ DISPONIBILE A SOSTITUIRE ZELENSKY ED ESSERE AMMAZZATO DOPO 10 MINUTI, IL LIVELLO DI ODIO CONTRO DI NOI E’ AL MASSIMO, DOPO NON BASTEREBBERO 500.000 SOLDATI FISSI, MOLTI MILITARI SONO GIA’ SCAPPATI“… “NON ESISTE IL BOTTONE ROSSO NUCLEARE NELLE MANI DI UN SOLO UOMO, CI SONO PIU’ PERSONE DESIGNATE E CI SARA’ CHI DIRA’ DI NO“… “PUTIN E’ UN CODARDO, UNO CHE HA PAURA PERSINO DI PRENDERSI IL COVID CE LO VEDETE A IMMOLARSI IN UN CONFLITTO NUCLEARE?“

La guerra lampo di Putin in Ucraina è fallita e alla Russia restano pochi mesi prima del collasso economico. Non sono le parole di un funzionario occidentale ma le confessioni di un analista del Fsb, la principale agenzia russa per la sicurezza.
Il testo è stato pubblicato da Vladimir Osechkin, fondatore del portale Gulagu.net specializzato in diritti umani, che lo attribuisce a una fonte interna ai servizi russi. Ed è ritenuto autentico. “Il testo arriva da una fonte attendibile (il fondatore di Gulagu.net) ed è molto più lungo di quanto un falsario si azzarderebbe a scrivere (più lungo è il testo, maggiore è il rischio di commettere un errore). L’ho mostrato a due fonti del Fsb e non hanno dubbi che sia stato scritto da un loro collega”.
Di seguito, il testo tradotto della confessione:
Sono un addetto ai lavori dei servizi speciali della Federazione Russa, pubblicherò ciò che penso senza modifiche e censure, perché questo è l’inferno: “Sarò subito onesto: ho dormito pochissimo in tutti questi giorni, ero quasi sempre al lavoro, la mia mente vacilla un po’, come fosse avvolta nella nebbia. Ad essere onesti, è stato aperto il vaso di Pandora – entro l’estate comincerà un vero orrore a livello globale – la carestia mondiale è inevitabile (Russia e Ucraina erano i principali fornitori di grano al mondo: il raccolto di quest’anno sarà ridotto al minimo e i problemi logistici porteranno la catastrofe a un punto drammatico).
Non so dirvi cosa abbia spinto i vertici del potere a decidere questa operazione ma ora stanno sistematicamente aizzando i loro i cani contro di noi (i Servizi). Ci rimproverano per le nostre analisi.
Di recente, siamo stati sollecitati sempre di più a personalizzare i nostri rapporti in base alle esigenze di chi li richiedeva e di questo ho già parlato. Tutti questi consulenti e rappresentanti politici e il loro seguito e i gruppi di influenza – tutto questo ha creato il caos. Un grande caos… Soprattutto: nessuno sapeva che ci sarebbe stata una guerra del genere, l’hanno nascosta a tutti. […]
Ecco perché siamo in un totale pizdets (un fottuto macello) – non voglio nemmeno scegliere un’altra parola. Per lo stesso motivo non c’è protezione dalle sanzioni: beh, è ​​possibile che Nabiullina (Elvira Nabiullina, governatrice della Banca centrale russa – ndr) venga tacciata di negligenza, ma che colpe può avere?
Nessuno sapeva che ci sarebbe stata una simile guerra, quindi nessuno si è preparato a fronteggiare tali sanzioni. Questo è il rovescio della segretezza: poiché non è stato detto a nessuno, allora chi avrebbe potuto analizzare ciò di cui nessuno ha parlato?
Kadyrov (Ramzan Kadyrov, presidente della Repubblica cecena, parte della Federazione Russa – ndr) sta impazzendo. È in conflitto persino con noi: forse anche gli ucraini hanno fatto trapelare notizie false che nei primi giorni dell’operazione siamo stati noi a svelare i percorsi battuti dalle forze speciali di Kadyrov. Erano terribilmente allo scoperto durante la loro marcia, non avevano ancora iniziato a combattere, ma in alcune zone sono stati semplicemente fatti a pezzi. Ora dicono: è stato l’Fsb a far trapelare informazioni sui loro movimenti contro gli ucraini. Non ho tali informazioni, a cui non do più che l’1-2 per cento di affidabilità (ma non può nemmeno essere completamente escluso).
La guerra-lampo è fallita. Ora è semplicemente impossibile completare la missione: se Zelensky e le autorità ucraine fossero stati catturati entro i primi tre giorni, avrebbero conquistato tutti gli edifici chiave a Kiev, avrebbero dato loro l’ordine di arrendersi – in quel caso sì, la resistenza si sarebbe placata, almeno in teoria. Ma ora qual è il prossimo passo? Anche con questa variante ideale ci sarebbe stato un problema irrisolvibile: con chi negoziare? Se uccidiamo Zelensky con chi dovremmo firmare degli accordi? Se li firmiamo con Zelensky, una volta ucciso lui, queste carte non varranno più nulla.
La “Opposition Platform for Life” (un partito politico ucraino con posizioni filo-russe ed euroscettiche – ndr) si è rifiutato di collaborare, Medvedchuk (Viktor Medvedchuk, oligarca e parlamentare ucraino filo-russo – ndr) è un codardo ed è fuggito. C’è un secondo leader lì – Boyko (Yuriy Boyko, ex vice premier ai tempi del presidente filo-russo Viktor Yanukovich – ndr) ma si rifiuta di lavorare con noi. Volevano provare con Tsarev (Oleg Tsarev, oligarca ucraino separatista, ndr) ma anche i nostri filo-russi si sono rivoltati contro di lui. Far tornare Yanukovich? Ma come?
Se ammettiamo che è impossibile occupare (l’Ucraina), le nuove autorità che installeremo (a Kiev) verranno uccise dopo dieci minuti. Abbiamo bisogno di 500mila o più soldati per mantenere il controllo del Paese, senza contare i sistemi di approvvigionamento.
E adesso? Non possiamo annunciare la mobilitazione generale per due motivi:
1) Una mobilitazione su larga scala minerebbe la situazione interna al Paese: a livello politico, economico e sociale.
2) La nostra logistica è già sovraccarica. Come guideremo un contingente molte volte più numeroso e cosa otterremmo? L’Ucraina è un Paese difficile in termini di territorio. E ora il livello di odio verso di noi sta salendo alle stelle. Le nostre strade semplicemente non saranno in grado di gestire tali convogli di rifornimento: tutto si fermerà. Sarà il caos.
Perdite: non so quante siano. Nessuno lo sa. Per i primi due giorni era ancora tutto sotto controllo, ora nessuno sa cosa stia succedendo. Unità intere possono essere trovate o possono dissolversi a causa dell’attacco. E lì, anche i comandanti sul posto potrebbero non sapere quanti dei loro uomini stanno scappando, quanti sono morti, quanti sono stati fatti prigionieri. Il numero dei morti è decisamente nell’ordine delle migliaia. Forse 10mila, forse 5mila.
Ora, anche se Zelensky viene ucciso o fatto prigioniero, nulla cambierà. Abbiamo costruito un’altra Cecenia in termini di odio verso di noi. E ora anche coloro che ci sono stati fedeli si oppongono, poiché tutto è stato pianificato dall’alto, a nessuno è stato detto che tale opzione era possibile. Hanno spiegato che era necessario creare una minaccia credibile per raggiungere in maniera pacifica le condizioni di un giusto accordo. Stavamo preparando una serie di proteste in Ucraina contro Zelensky ma escludevamo un nostro ingresso diretto.
Le perdite civili cresceranno in modo esponenziale e anche la resistenza nei nostri confronti aumenterà. Le nostre truppe hanno già cercato di entrare nelle città con la fanteria: su venti tentativi di ingresso, solo uno ha avuto in parte successo. Ricorda l’assalto a Mosul.
Tenere sotto assedio Kiev? Secondo l’esperienza dei conflitti militari nella stessa Europa degli ultimi decenni (la Serbia è il più grande banco di prova in questo senso), le città possono restare sotto assedio per anni e persino continuare a sopravvivere e ad assicurare servizi. I convogli umanitari in arrivo dall’Europa sono una questione di tempo. Abbiamo una scadenza limitata: giugno. Per il mese di giugno non avremo più un’economia, non rimarrà nulla. […]
In generale, il Paese non ha via d’uscita. Non c’è alcuna opzione per una possibile vittoria. Hanno ripetuto al 100 per cento quanto accaduto all’inizio del secolo scorso, quando hanno deciso di prendere a calci il debole Giappone per ottenere una rapida vittoria e poi si è scoperto che l’esercito era nei guai.
Quindi hanno cominciato una guerra a oltranza e in seguito hanno iniziato ad arruolare nell’esercito i bolscevichi. Per “rieducarli”. Dopotutto erano emarginati, poco interessanti per le masse. E alla fine, i bolscevichi, che in realtà erano sconosciuti ai più, hanno raccolto slogan contro la guerra e così tutto ebbe inizio.
Non so chi abbia inventato la “Blitzkrieg ucraina”. Se ci venissero fornite vere informazioni sui progetti preparatori, indicheremmo almeno che il piano originale è controverso. Ora siamo nella merda fino al collo. E non è chiaro cosa fare. “Denazificazione” e “smilitarizzazione” non sono categorie analitiche, perché non hanno parametri chiaramente definiti attraverso cui si possa determinare lo stato di avanzamento o la mancata realizzazione della missione.
Ora resta da vedere se qualche consigliere convincerà i vertici del potere ad avviare un conflitto con l’Europa, chiedendo di rimuovere alcune sanzioni. O le ritirano, o è la guerra. E se rifiutano? Non escludo che in seguito saremo coinvolti in un vero conflitto internazionale, come Hitler nel 1939. E alla fine la nostra Z sarà paragonata alla svastica.
C’è la possibilità di un attacco nucleare a livello locale? Sì. Non per scopi militari ma con l’obiettivo di intimidire il nemico. Naryshkin (Sergey Naryshkin, direttore del Svr, il servizio segreto estero russo – ndr) e il suo SVR stanno scavando ovunque per dimostrare che gli ucraini abbiano cercato di sviluppare armi nucleari in segreto. Kadyrov ha perso la calma per un motivo, ha creato per sé l’immagine del più influente e dell’invincibile, se perde la faccia sarà abbattuto dalla sua stessa gente.
Andiamo oltre. Alla Siria. In Siria in qualsiasi momento i nostri ragazzi si possono aspettare che il contingente esaurisca le proprie risorse, se la Turchia blocca gli stretti anche al trasporto di rifornimenti. Siamo una situazione simile a quella della Germania nel 1943.
Nonostante il cinismo, aggiungo solo che non credo che Vladimir Vladimirovic Putin premerà il pulsante rosso per distruggere il mondo intero. In primo luogo, c’è più di una persona designata a prendere tale decisione, e qualcuno dirà di no. Non esiste un “bottone rosso nelle mani di un solo uomo”.
In secondo luogo, vi sono alcuni dubbi sul fatto che tutto funzioni correttamente da quel punto di vista. L’esperienza mostra che maggiore è la trasparenza e il controllo, più facile è identificare le carenze di un sistema. Non sono sicuro che il famoso sistema del pulsante rosso funzioni come propagandato.
In terzo luogo, ed è questa la cosa più vile e triste, personalmente non credo nella disponibilità al sacrificio di una persona che non si lascia avvicinare da nessuno per paura del Coronavirus, figuriamoci se ha il coraggio di ordinare un attacco di questo tipo.
(da TPI)

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BIMBO DI 18 MESI UCCISO DAI BOMBARDAMENTI RUSSI A MARIUPOL

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

LA CORSA DISPERATA DEI GENITORI PER TENTARE DI SALVARLO

Un altro bambino è stato ucciso durante gli attacchi alla città di Mariupol, in Ucraina. Questa volta si tratta di un bimbo di 18 mesi, morto all’interno di un ospedale distrutto dai bombardamenti.
I genitori, Marina Yatsko e il compagno Fedor, hanno provato a soccorrerlo senza però riuscire a salvargli la vita. A raccontare questa drammatica storia, l’agenzia internazionale Associated Press. Le immagini espongono quanto sta accadendo in questi giorni di combattimento in Ucraina.
Si stima che le vittime civili siano circa 2.000. Il numero è stato fornito dalle autorità ucraine, che più volte hanno accusato la Russia di aver preso di mira anche le strutture dei civili.
Nonostante il cessate il fuoco temporaneo negoziato per permettere ai civili di abbandonare la città, nella giornata di sabato le forze di Putin sono state accusate di aver violato i termini dell’accordo proprio a Mariupol.
Le autorità infatti hanno denunciato l’impossibilità di organizzare corridoi umanitari a casa dei costanti bombardamenti. Le truppe russe avrebbero iniziato a bombardare proprio le aree destinate alla fuga sicura dei civili, che di fatto non hanno potuto lasciare la città.
I residenti sono tornati nei bunker per cercare riparo dai bombardamenti.
Mariupol è circondata dalle truppe russe e da giorni resiste a un attacco che si sta facendo sempre più violento. Il sindaco Vadym Boychenko ha già denunciato mancanza di cibo, acqua ed energia elettrica.
Il controllo di Mariupol permetterebbe alle forze russe di collegare agilmente la Crimea, già annessa nel 2014, al Paese sotto assedio.
La strategia militare russa, secondo quanto riportano le autorità ucraine, è quella di isolare completamente la città e portarla allo stremo delle forze, senza cibo, riscaldamento o acqua in modo da piegare la resistenza russa che è il principale problema delle truppe di Putin.
(da agenzie)

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SONDAGGIO DIRE-TECNÈ: PD E FDI APPAIATI AL 21,5%

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

STACCATI LEGA AL 16,3%, M5S AL 12,4%, FORZA ITALIA 10,4%, AZIONE + EUROPA 4,8%

Con un calo rispettivamente dello 0,7% e dello 0,3%, rispetto alla settimana scorsa, il Partito Democratico e Fratelli d’Italia si ritrovano appaiati nelle preferenze espresse dagli italiani entrambi con il 21,5%.
E’ quanto emerge dal sondaggio Dire-Tecnè realizzato il 4 marzo 2022 su un campione di mille persone.
Dietro Pd e Fdi , la Lega al 16,3%.
Seguono M5s, quarto, con il 12,4% (-0,1%). Quindi Forza Italia con il 10,4%.
Bene Azione ed Europa+ (+0,3%) ora al 4,8%. Poi Italia Viva al 2,8%, Europa Verde 2,5% (+,3%), Sinistra Italiana 2,4% (+,3%).
Le coalizioni perdono entrambe qualcosa nell’ultima settimana, con un -0,3% per il centrodestra e -0,4% per il centrosinistra. E’ quanto emerge dal sondaggio Dire-Tecnè realizzato il 4 marzo 2022 su un campione di mille persone.
(da agenzie)

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SALVINI EVITA DI PARTECIPARE ALLE MANIFESTAZIONI DI UCRAINI PER NON ESSERE VICINO AI CARTELLI ANTI-PUTIN

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

IN QUESTO CASO NIENTE SELFIE PER IL SOVRANISTA PON PON

Salvini continua nella sua tattica: far finta di preoccuparsi delle sorti dell’Ucraina ma senza condannare in maniera chiara aperta e ferma Vladimir Putin, del quale ha fatto per anni politicamente il ragazzo pon-pon e con il quale aveva sottoscritto il patto d’azione che legava la Lega al partito dello Zar con un programma politico reazionario.
Salvini, come hanno capito perfino i sassi, non vuole e soprattutto non può attaccare in maniera diretta Putin perché forse i legami politici e organizzativi in questi anni sono stati più solidi di quanto sia emerso.
Il capo della Lega si guarda bene dal presentarsi alle manifestazioni organizzate dagli ucraini dove il suo idolo Putin è il principale bersaglio degli attacchi. E come potrebbe mai Salvini partecipare ad una iniziativa nella quale si attacca Putin?
Salvini annuncia di tutto, persino che vuole andare a manifestare in Ucraina (ovviamente, è una balla). Annunci su annunci cercando di cavalcare l’onda (è anche scontato, ormai). Finora, però, non si è visto a nessuna manifestazione che le tante comunità ucraine hanno organizzato a centinaia in giro per l’Italia e neanche a quelle organizzate da associazioni di vario tipo
(da agenzie)

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CRISTO NON SI È FERMATO A LEOPOLI

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

LA STATUA DI GESÙ CRISTO SALVATORE RIMOSSA DALLA CATTEDRALE ARMENA DI LEOPOLI PER PROTEGGERLA DAI BOMBARDAMENTI, L’ULTIMA VOLTA SUCCESSE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

La statua di Gesù Cristo il Salvatore è stata rimossa dalla cattedrale armena di Leopoli e portata in un bunker, per proteggerla dai bombardamenti russi, ha scritto su Twitter Tim Le Berre, che si occupa di conservazione nei musei militari per l’esercito francese.
«L’ultima volta fu portata fuori durante la Seconda Guerra mondiale», ha spiegato Le Berre, che è specializzato in protezione dei patrimoni artistici in zone di conflitto armato, e ha postato la foto scattata dal fotografo freelance portoghese André Luís Alves, un’immagine drammatica e molto condivisa sui social network, dove qualcuno l’ha paragonata alla Deposizione di Caravaggio.
«Stiamo avvolgendo le sculture con teli ignifughi, lana di vetro, un alluminio speciale, e poi li mettiamo nei sacchi», ha confermato Lilia Onyschenko, direttrice del dipartimento per la protezione del patrimonio storico di Leopoli.
«Questo non salva le statue se sono colpite direttamente, ma se ci fosse una potente onda d’urto non si romperanno in mille pezzi. Non sempre però è possibile smantellare questi monumenti, perché alcuni sono molto grandi».
«Abbiamo deciso di mettere il crocifisso in sicurezza perché così è stato deciso di fare in tutta la città, ogni oggetto storico deve essere protetto così come le persone. E ora il Cristo si trova in luogo sicuro», ha spiegato padre Jakub della Cattedrale armena di Leopoli all’inviata del Corriere, Marta Serafini.
Intanto una folla di fedeli è accorsa alla chiesa per pregare per le vittime e per i militari al fronte, mentre molti curiosi sono accorsi alla Cattedrale alla notizia che il crocifisso era stato rimosso. «Mio padre è a Kiev, sto dicendo una preghiera per lui. Ma anche per tutti noi», ha detto Marayana, una fedele.
La cattedrale armena di Leopoli è considerata una delle «più antiche e lussuose chiese dell’Europa occidentale», ha spiegato al sito armeno Aravot lo scienziato politico Gagik Hambaryan, che ha a sua volta condiviso l’immagine su Facebook. La statua del Cristo è venerata non solo dai credenti della chiesa armena apostolica, ha aggiunto, ma anche dagli altri cristiani.
Il Cristo, spiega EuroMaidan Press, è parte di un’iconostasi medievale, la parete divisoria decorata che separa la navata delle chiese di rito orientale cattoliche e ortodosse dal presbiterio dove viene celebrata l’eucarestia, che è sopravvissuta alla Seconda Guerra mondiale.
(da Il Corriere della Sera)

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PUTIN MANDA I POVERI IN UCRAINA COME CARNE DA MACELLO: LA MAGGIOR PARTE DEI SOLDATI ARRIVA DALLE PROVINCE PIÙ POVERE E REMOTE DEL PAESE, LONTANE DALL’UCRAINA

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

MOLTI VENGONO DALLA BURIAZIA, UNA REPUBBLICA DELLA FEDERAZIONE RUSSA AL CONFINE CON LA MONGOLIA

Il cartello con la scritta «No alla guerra» è talmente grande da coprire Irina Ochirova dai piedi quasi fino al mento, quando lei lo srotola sotto il monumento a Lenin in una delle piazze centrali di Ulan-Ude, la capitale della Buriazia. Suo figlio Sergey, 25 anni di cui 7 nell’esercito russo, è caduto prigioniero in Ucraina, in quella guerra che il Cremlino proibisce di chiamare guerra.
Il video nel quale lui ammette davanti a una telecamera di aver guidato un camion carico di munizioni delle truppe russe che hanno invaso l’Ucraina è finito anche nei social russi, ma è stato bollato dalle autorità come un falso della propaganda di Kiev. §La madre però l’ha riconosciuto. È andata in piazza per dimostrare a tutti che «quello non è un fake, quello è mio figlio».
Ma al ministero della Difesa non le hanno risposto, e anche la lettera che ha scritto a Vladimir Putin non ha suscitato nessuna reazione, e Irina teme che suo figlio possa venire archiviato come un «fake». Il numero reale dei caduti e dei prigionieri russi, dopo dieci giorni di guerra, continua a restare un segreto.
Volodymyr Zelensky parla di 10 mila soldati russi uccisi, un’enormità (in dieci anni di invasione dell’Afghanistan le perdite ufficiali dell’Armata Rossa non hanno superato i 15 mila uomini), il ministero della Difesa russo ha ammesso due giorni fa 498 caduti.
Molti vengono dalla Buriazia, una repubblica della Federazione Russa che dista circa 6500 chilometri da Kiev, al confine con la Mongolia: almeno otto militari, quasi tutti della 11sima brigata speciale d’assalto, sono morti e numerosi altri sono stati catturati. Le liste dei militari uccisi o catturati pubblicate dagli ucraini – Zelensky ha ordinato l’istituzione di un numero verde e di un sito dove le madri russe potevano reclamare i loro figli – non sono accessibili in Russia, e spesso le famiglie e gli amici vengono a sapere loro notizie solo quando Kiev pubblica i video dei prigionieri.
Ma chi ha avuto modo di leggerle, come il capo del team d’indagine giornalistica Bellingcat Christo Grozev, ha notato una notevole quantità di cognomi non slavi. Potrebbe ovviamente trattarsi di una coincidenza, ma la quota di soldati catturati o uccisi che non hanno cognomi russi sembra sproporzionata.
Come Rafik Rakhmankulov, un carrista catturato dopo essere stato abbandonato insieme al suo carro rimasto a secco, che ora sua madre Natalia cerca di recuperare dall’Ucraina.
Come Nurmagomed Gadzhimagomedov, del Daghestan, Konstantin Mandzhiev, della Calmucchia, e Ilnur Sibgatullin, del Tatarstan, o Viktor Isaikin, della Mordovia, commemorati ufficialmente dai capi delle loro regioni.
Esperti militari ucraini avevano notato che già nel 2014 Mosca cercava di inviare nel Donbass soldati delle minoranze etniche della Russia, preferibilmente di religione musulmana. Il motivo è la parentela, linguistica, culturale, ma spesso anche di sangue tra russi e ucraini: nella parte europea della Russia è difficile trovare qualcuno che non abbia familiari dall’altra parte del confine, e comunque sparare a persone che parlano la stessa lingua può sembrare più faticoso.
La frase di Putin che si è vantato, due giorni fa, di essere «daghestano e ceceno, inguscio e tataro, ebreo, mordvino e osseto», suona inquietante in questo contesto. Anche perché i ragazzi benestanti delle grandi città russe evitano la caserma, o iscrivendosi all’università, o pagando mazzette. Ad andare al fronte, dice Grozev, sono i figli delle province più remote e povere, di famiglie disagiate e poco istruite.
Il politologo Abbas Galyamov scrive di fare fatica a credere a un livello di cinismo che scelga la carne da cannone per etnia, ma ammette che «un piano del genere potrebbe essere efficace: un morto in un villaggio sperduto della Yakuzia farebbe diventare nera di dolore la madre, farebbe ubriacare ai funerali i compaesani, e poi?».
Molte famiglie non avrebbero il coraggio e gli strumenti per protestare, a volte nemmeno per scrivere un post di denuncia. E molte famiglie potrebbero addirittura non ricevere un corpo da piangere: gli ucraini sostengono di non riuscire a restituire le salme dei russi al loro comando.
(da “la Stampa”)

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IL PRETE DI LEOPOLI PRONTO A DARE BATTAGLIA: “LA CHIESA AMA ANCHE I NEMICI? FINCHE’ NON VEDI UNA BOMBA SU UN ASILO NON PUOI CAPIRE“

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

“QUI SERVONO CASCHI E GIUBBOTTI ANTIPROIETTILI“

“Abbiamo bisogno al più presto di caschi militari, di giubbotti anti proiettili di livello quattro, di vestiti e scarponi per chi va a combattere”. La voce di don Ihor arriva chiara e pacata da Leopoli, la città ucraina con il centro storico patrimonio dell’umanità dell’Unesco, a circa settanta chilometri dal confine polacco e a 160 dai monti Carpazi Orientali.
A lanciare questo appello non è un uomo dell’esercito, un parlamentare o uno dei tanti giovani volontari che hanno deciso di arruolarsi ma un membro della Chiesa cattolica cristiana. Anche lui, come tutti i suoi fedeli e i suoi concittadini è pronto a dar battaglia. Farà resistenza con la tonaca o con il clergyman.
Quando gli chiediamo se andrà a combattere ci risponde: “Non so cosa farò; non posso rispondere ora. La mia missione è quella di darmi da fare dove posso essere più utile: dobbiamo organizzarci e sostenere chi dovrà fronteggiare i russi”.
Leopoli è la città da dove provengono molte donne che lavorano in Italia per accudire gli anziani. Fino al 24 febbraio non sapevamo quasi nulla della loro terra, di questo centro di quasi 800mila abitanti dove ogni giorno arrivano circa 200mila pendolari per studiare all’Università o per lavorare nelle industrie.
Ora Leopoli è la capitale della solidarietà. È il luogo dove arrivano medicine, cibo, biancheria, materiale utile all’esercito, ma anche donne e bambini che dall’est dell’Ucraina cercano di fuggire in Polonia, in Romania o in Moldavia, facendo obbligatoriamente tappa in questa città per ora preservata dalla ferocia delle truppe russe. Alla stazione tutti i treni hanno ormai una sola tratta: partono dall’Est, da Kharkiv, da Dnipro, per giungere a Leopoli zeppi di persone. Altre corse sono state annullate.
Da lì inizia la diaspora ucraina. C’è chi resta, chi tenta di raggiungere i parenti in Italia, in Germania, in Francia, chi non ha nessuno e attraversa a piedi il confine puntando alla Polonia per poi affidarsi al destino. “Comprare caschi che proteggono o giubbotti per difendersi qui è impossibile – dice ancora al Fatto.it don Ihor – Non ce ne sono più. Ciò che troviamo arriva da Varsavia attraverso delle persone che riescono ancora a recuperare ciò che più ci serve”.
Don Ihor fino a pochi giorni fa si occupava di anime, di giovani, di pastorale. Ora ha dovuto imparare anche il linguaggio della guerra: “Non so cosa significhi giubbotto anti proiettile di livello quattro ma riferisco quanto mi hanno detto chi li usa”.
Il suo nome in ucraino significa “Dio è gentile”. Don Ihor ne è certo, lo sa, ma ora non basta più solo pregare: “È possibile che arrivino anche qui e dobbiamo farci trovare pronti. Putin l’ha detto: vuole tutta l’Ucraina”.
Leopoli si aspetta l’attacco. Le parole di don Ihor ci descrivono una città in allerta: posti di blocco ovunque; strade disseminate di cavalli di Frisia; abitazioni e negozi trasformati in fortezze. E poi, dietro le quinte, un formicaio di uomini, donne e bambini che preparano molotov con bottiglie di vetro; che raccolgono barrette proteiche e tè liofilizzato arrivati dal resto dell’Europa per essere inviati a chi già sta al fronte
Mentre scriviamo il sacerdote resistente ci informa con un video (che preferisce non divulgare per paura) che dalla stazione di Leopoli stanno partendo una tonnellata di medicinali per Kiev. “Il cibo c’è. Quello lo troviamo. Arriva dalla Polonia, da dove si può ancora attraversare il confine. Mandateci soldi per acquistare strumenti per proteggerci e medicinali. Tutte le armi che sono arrivate dai vostri Stati sono andate ad Est dove ora c’è più bisogno”, spiega don Ihor, come se fosse un mantra
La sua messa, da quando è iniziata la guerra, è tra la gente. È tutto urgente. C’è frenesia, paura, ma il prete è anche molto razionale: “I sabotatori russi son qui da tre mesi. Sono arrivati a novembre: hanno preso case in affitto e per tre mesi hanno aiutato a pianificare tutto. Hanno fotografato le strade delle nostre città; hanno realizzato mappe e all’ultimo con una vernice verde hanno segnato a terra dove possono atterrare i soldati paracadutisti”
Secondo il prete è accaduto tutto con l’inganno, complice di ogni guerra: “Hanno detto falsità. E ora continuano a dirne. Ho dei contatti a Kherson dove ormai vedono solo la TV russa; mi hanno inviato dei video dove dicono alla gente che stanno portando la pace contro i nazisti. In questi giorni si è parlato dei forni crematori per far sparire i corpi dei soldati russi: immagini che non fanno vedere ma noi qui abbiamo le foto, i video che lo testimoniano”.
Don Ihor è in collegamento con il resto del mondo. Ogni giorno informa gli amici con dei vocali, con fotografie: testimonianze registrate dal vivo che mostrano una città brulicante, in fermento. In Italia, il prete ucraino, è in contatto con Anna che da anni vive nel nostro Paese, a Madonna di Campiglio. È lui ad aver celebrato, a Leopoli, le nozze di questa giovane donna e di suo marito Matteo.
Anna ha ancora mamma e papà in Ucraina e il fratello: “Nessuno di loro vuol fuggire qui. I miei genitori hanno la loro casa costruita con tanta fatica, gli animali e non se la sentono ora di abbandonare tutto. Mio fratello sta dando una mano nell’organizzazione ma poi, appena potrà, andrà a combattere per la nostra patria. Se non avessi figli l’avrei raggiunto”.
Anna, sta facendo di tutto per dare una mano al suo popolo, mettendo in moto una grandiosa macchina di solidarietà. A casa sua sono arrivate la cognata e un’amica con le figlie. Lei ha chiamato assessori, sindaci e vescovo per raccogliere ciò che è più utile: “Dobbiamo agire velocemente. Non eravamo pronti ad un’invasione di tutto il Paese. Ogni giorno sento don Ihor. Lui sa cosa è necessario in questo momento. Ogni nostra telefonata finisce in questo modo: ‘slava Ucraini’ (Gloria all’Ucraina) e la mia risposta è ‘heroiam slava’ (Gloria agli eroi)”. Vengono i brividi ad ascoltare quest’ultime parole.
Il don è effettivamente informato, preparato, sa anche che l’Italia è divisa sulla pace. Sa della manifestazione di oggi a Roma. Quando gli accenniamo alla spaccatura sulle forniture militari non tentenna nel rispondere: “Faccio parte della Chiesa, ci è chiesto di amare anche i nemici ma quando sei in guerra hai delle responsabilità. Voglio spiegarmi con un esempio banale: se per strada vedo un uomo che sta picchiando un bambino ho il dovere di intervenire e di fermarlo in ogni modo. La nostra scelta non è tra fare o non fare ma tra difendere o meno i più deboli. Finché non vedi con i tuoi occhi una bomba su un asilo forse non puoi capire”.
(da agenzie)

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ALL’ARMI, CITTADINI! OLTRE 100.000 VOLONTARI UCRAINI CHE SI SONO ARRUOLATI DELLE FORZE DI DIFESA TERRITORIALE DALL’INIZIO DELL’ATTACCO RUSSO AL PAESE

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

A GUIDARE LA RESISTENZA C’È IL GENERALE VALERY FYODOROVICH ZALUZHNY, IL PRIMO CAPO DI STATO MAGGIORE UCRAINO A NON ESSERE USCITO DA UN’ACCADEMIA SOVIETICA …. PRO-EUROPA E PRO-NATO, NEL PAESE È AMMIRATISSIMO

E’ arrivato a 100.000 il numero di volontari ucraini che si sono arruolati delle Forze di difesa territoriale dall’inizio dell’attacco russo al Paese. Lo rende noto la Guardia nazionale ucraina citata dal Kyiv Independent.
Nel 2014 l’Ucraina ha perso la Crimea quasi senza sparare un colpo. Gli ufficiali di Kiev davanti all’arrivo dei soldati russi cambiarono bandiera. L’intera catena di comando era cresciuta nelle accademie dell’Unione sovietica. I loro vicini di branda, i giovani con cui avevano combattuto in Afghanistan o in Cecenia erano diventati i nemici.
Difficile, difficilissimo per gli ucraini combattere ex commilitoni. Valery Fyodorovich Zaluzhny, il capo di stato maggiore che sta guidando la resistenza del Paese contro l’invasione russa è l’esatto opposto di quelli che allora tradirono la nuova patria. Primo, Zaluzhny è un uomo dell’ovest. È nato a Novohrad-Volynskyi, una città di tradizione cattolica e influenza polacca.
Se Ucraina significa confine, frontiera tra mondo ortodosso e cattolico, tra la steppa e il continente urbanizzato, lui è figlio del mondo di qua.
Se potesse scegliere dove stare, come cultura, impostazione politica, relazioni sociali, non avrebbe dubbi, sceglierebbe l’Europa, non l’Asia. «Le stellette sulla manica non danno diritto di essere arroganti», ha detto.
Fa ancora parte di una generazione a metà strada tra il suo presidente attore, disinvolto, maglietta e selfie, social e pr, e le mummie targate Urss. Ma è un generale che sa sorridere ai soldati.
È entrato in carica meno di un anno fa quando il presidente Zelensky ha capito di dover avere in quella posizione qualcuno di cui fidarsi.
Secondo, è il primo capo di stato maggiore ucraino a non essere uscito da un’accademia sovietica. Il tessuto rigido della divisa resta quello, così la passione per una smisurata quantità di medaglie, persino la struttura di comando del suo esercito è d’impostazione sovietica.
Ma lui non ha amici e conoscenti dall’altra parte. Anzi. Il suo battesimo del fuoco da giovane ufficiale è stata proprio la secessione pro-russa del Donbass nel 2014. È per merito suo e di tanti altri giovani ucraini se le prime conquiste russe si sono limitate a una frazione del territorio della regione. Ha sparato, ha combattuto, ma soprattutto ha saputo animare un esercito improvvisato, fatto più da volontari e miliziani che da professionisti.
È diventato leggendario in Ucraina il reparto di giovani ribelli di Maidan, universitari di Kiev dai capelli lunghi e la passione per il rock, che Zaluzhny ha portato nel Donbass. È con soldati così che allora l’Ucraina fermò l’avanzata dei separatisti filorussi.
«A volte è stato difficile con loro. Non erano come c’è scritto nel manuale del soldato. Ma con le loro vite, il loro sangue, il loro coraggio, hanno fatto quello che andava fatto. Abbiamo fermato il nemico, siamo rimasti in piedi a difendere la nostra terra».
Il modello è lo stesso che le sue Forze Armate stanno cercando di replicare anche in questa guerra, a dimensione nazionale.
Terzo, è un modernizzatore senza rimpianti. «I giovani che entrano in Accademia oggi, sono diversi da come eravamo noi. Sono migliori. Conoscono le lingue, passano dalla scrivania al campo di battaglia portandosi dietro l’abilità con i gadget elettronici che sono entrati nell’equipaggiamento».
È un falco pro Nato. È stato lui ad insistere perché l’Ucraina partecipasse a campi di addestramento con americani e britannici. Lui a chiedere la compatibilità tra gli armamenti e i sistemi di comunicazione della Nato, pur sapendo che entrarci sarebbe stato difficilissimo.
Le sue liste per la spesa sono fatte di droni, elettronica, sensori.
È innamorato del Javelin, un razzo anti carro a spalla Usa micidiale e facile da usare: il carro armato nemico non ha scampo. Il Javelin potrebbe diventare per l’Ucraina quello che lo stinger è stato per l’Afghanistan. Quarto, è un combattente di prima linea. E l’Ucraina ha tantissimo bisogno di coraggio.
(da Il Corriere della Sera)

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“I PRIVILEGI DI OGGI CI AVEVANO FATTO DIMENTICARE L’IMPORTANZA DELL’AIUTO RECIPROCO” : I CITTADINI UCRAINI SI MOBILITANO IN MASSA PER SOSTENERE CHI SI OPPONE ALL’AVANZATA RUSSA

Marzo 6th, 2022 Riccardo Fucile

NON SOLO CHI COMBATTE E CURA I FERITI: C’È CHI ORGANIZZA PACCHI DI CIBO, CHI PREPARA MOLOTOV E CHI INVIA FOTO E VIDEO PER DARE AGGIORNAMENTI SULLA SITUAZIONE

Vale adesso la pena di raccontare meglio questa determinata volontà di resistenza ucraina contro l’invasione militare russa. Perché è indubbio che non solo i giovani più nazionalisti, ma soprattutto la gente comune di ogni età e classe sociale lotta, combatte, si mobilita in massa come può per sostenere chi si oppone da soldato all’esercito russo.
Fuggono donne e bambini, però altri restano e coloro che se la sentono partono volontari col fucile in mano, tanti altri ancora li sostengono cuocendo loro pasti nelle cantine dei ristoranti o delle proprie abitazioni, organizzando pacchi di coperte e sacchi a pelo per chi dorme nelle trincee, raccogliendo vestiti caldi, preparando bottiglie molotov appena dietro le retrovie, o anche semplicemente offrendo rifugio alle famiglie di chi è andato in battaglia, garantendo protezione e riparo ai più deboli.
Dai tattoo alle molotov
«È il momento della solidarietà militante. Non eravamo più abituati. La paura ossessiva del Covid e i privilegi egoistici della ricchezza nell’opulenza della società dei consumi ci avevano fatto dimenticare i gesti semplici dell’aiuto reciproco», sostiene Alona Prominez, 53 anni, che sino a pochi giorni fa era impiegata in una grande cartiera e ora si occupa di organizzare i pacchi di cibo. Non lontano da lei, Daria Chuba, trentenne esperta in tatuaggi, da tre giorni sta accovacciata per ore e ore nella penombra di un capannone per confezionare bottiglie molotov.
I responsabili vietano qualsiasi video o fotografia, ma lei è ben contenta di mostrare la sua arte nel dosare nelle bottiglie il terzo di olio minerale assieme alla benzina e le lunghe micce, che sono la parte più complicata.
«Si tratta di fare sciogliere sacchi di palline di polistirolo nell’acetone, la pasta appiccicosa che ne deriva viene modellata a forma di lungo stoppino che esce dalla bottiglia. I russi resteranno ustionati a morte delle nostre armi artigianali», spiega allegra.
Tra i volontari permane l’entusiasmo attivo che aiuta a superare le paure e forgia l’unità del gruppo. «Lasciati soli diventiamo preda dei nostri incubi peggiori, ma indaffarati assieme per un obiettivo comune diventiamo una forza imbattibile. Putin la pagherà cara, non gli basteranno gli anni che gli restano da vivere per pentirsi dei suoi errori», dice Valery, 33enne proprietario del bar Mates, dove cuochi e camerieri servono la cena gratis a chi presidia i posti di blocco.
«Gli abitanti del vicinato ci mandano continuamente cibo da regalare ai nostri soldati. Ci sono momenti che non sappiamo neppure più dove metterlo», spiega. Sono racconti che ricordano quelli delle popolazioni europee sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Vennero scritti infiniti volumi sulla solidarietà tra londinesi sotto le bombe di Hitler; fenomeni molto simili avvenivano anche a Stalingrado accerchiata dalla Wehrmacht e durante i primi mesi del 1945, nella Berlino ormai braccata dalle divisioni di Stalin.
Tanta determinazione è sostenuta dalla diffusa convinzione per cui le forze Ucraine sono in grado di bloccare l’invasione russa. «Mosca può ripetere tutte le falsità che vuole, ma praticamente tutte le nostre grandi città restano invitte. La nostra guerra partigiana è destinata a prevalere», sostiene con lo sguardo diritto il cinquantenne imprenditore Yuri Navrotsky, che per lunghi anni è stato alto ufficiale della contraerea.
I suoi vecchi compagni gli mandano di continuo sul cellulare le foto e i video della battaglia dell’aeroporto di Hostomel, il 24 febbraio alle porte della capitale, quando i missili terra-aria ucraini abbatterono in pochi minuti almeno tre Ilyushin Il-76, gli aerei trasporto truppa russi, uccidendo subito 500 uomini tra le migliori unità commando.
«Da allora Putin ha dovuto ripiegare sulla strategia dell’avanzata lenta. Ma il suo gigantesco convoglio di carri e soldati entrato dalla Bielorussia, passando per il reattore nucleare di Chernobyl, adesso è bloccato a 30 chilometri da Kiev e li stiamo massacrando dall’aria grazie ai droni turchi Bayraktar ultimo modello», aggiunge.
Sui social sono diffusi video che inneggiano in ucraino alla «grandezza gloriosa» dei droni di Erdogan. E rimbalzano i vecchi aneddoti sull’Ucraina «patria di confine», la cui proverbiale «ubertosa terra nera granaio dell’Europa» sarebbe stata concimata nei secoli dalle infinite schiere di nemici uccisi e seppelliti mentre tentavano di occuparla.
«Non bisogna credere ai numeri dei soldati uccisi forniti da Mosca. Noi sappiamo che non sono 500, bensì probabilmente già più di 10.000. Putin ha già utilizzato tutti gli oltre 100.000 combattenti che aveva mobilitato per l’invasione. Adesso dovrebbe trovarne almeno altrettanti per proseguire, ma non ci sono», afferma.
La paura delle bombe A questo punto però cresce una paura: e se Putin dovesse ricorrere ai bombardamenti pesanti da distanza per distruggere la Kiev che non riesce a prendere con le fanterie?
«È un’eventualità. La Nato dovrebbe intervenire per fermare Putin, sarebbe un crimine orribile, potrebbe persino ricorre ad atomiche tattiche», risponde Yuri preoccupato. Lo stesso timore serpeggia negli ospedali della capitale. Le autorità di Kiev non rivelano i numeri delle vittime. Ma all’ospedale numero 18 in centro città il medico anestesista Sergei Alexandrovich ci fa capire che i bilanci potrebbero essere già gravi. «Abbiamo oltre cento ricoverati, sono tutti residenti di Kiev con ferite di guerra – dice -. E siamo pronti al peggio».
(da Il Corriere della Sera)

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