Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
BAKUN APPARTIENE AL PARTITO DI DESTRA POLACCO KUKIZ’15
Wojciech Bakun è il sindaco di Przemyl, la città polacca al confine con l’Ucraina, che ha
ricevuto Matteo Salvini in visita lo scorso 8 marzo per una missione di pace.
Al suo arrivo alla stazione della cittadina, che fino ad ora ricevuto mezzo milione di rifugiati in fuga dalla guerra, il segretario del Carroccio è stato accolto da una contestazione: Bakun gli ha mostrato una t-shirt con il volto di Vladimir Putin, la stessa che il leader della Lega aveva indossato sulla Piazza Rossa durante una sua visita a Mosca nel 2018.
Ora il sindaco polacco commenta l’accaduto ai microfoni di Fanpage.it, in un’intervista realizzata da Giovanni Culmone, Rosario Sardella e Ludovico Tallarita, e spiega perché, nonostante sia un esponente del partito Kukiz’15, considerato di estrema destra, si sente lontanissimo dalle posizioni di Salvini, in particolare sulla politica estera.
Nonostante sia contrario all’aborto o condivida con la Lega la linea contro i migranti, il sindaco critica fortemente la vicinanza con Putin che Salvini ha mostrato in passato: “Per quanto riguarda questa guerra e Putin è un altro discorso. Dobbiamo vederla tutti allo stesso modo. La guerra non è iniziata due settimane fa, questa guerra è iniziata nel 2014. Da allora non solo Salvini ma anche molti altri politici in Europa e in alcune parti del mondo hanno continuato a dare sostegno a Putin”.
“Sono praticamente sicuro – afferma Wojciech Bakun – che nessuno all’interno di Kukiz’15 parlerebbe con Salvini di qualsiasi cosa”, dice prendendo le distanze dal leader della Lega.
“Non siamo contro i rifugiati – dice spiegando perché vorrebbe un muro che separa l’Ucraina dalla Polonia – siamo contro le persone che attraversano il confine senza permesso, questa è la differenza”. La situazione secondo il sindaco è adesso differente rispetto alle crisi del passato, perché adesso l’Ucraina è un Paese in guerra.
(da Fanpage)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
“È IN QUEL MOMENTO CHE LA RUSSIA HA DECISO LA GUERRA“
Prima di mettersi a studiare la vita di Benito Mussolini, Antonio Scurati, scrittore e saggista, ha analizzato in profondità la guerra e i suoi effetti sull’opinione pubblica. Quegli scritti, che potrebbero essere ripubblicati presto, sono tornati tragicamente di attualità con l’invasione russa.
Scurati, lei sta scrivendo il terzo volume della sagra di M. in cui racconta lo scoppio della Seconda guerra mondiale, vede delle similitudini con il presente?
«Sono refrattario ai paragoni storici, ma ci sono dei tratti di agghiacciante simmetria tra la condotta pratica e verbale di Putin nel momento in cui invade l’Ucraina e quella di Hitler quando aggredisce prima la Cecoslovacchia e poi la Polonia».
Dove vede queste simmetrie?
«Dall’abbandono delle politica da parte di Putin. Hitler dal ’38 non ragiona in termini politici, ma escatologici, apocalittici e religiosi. Crede di andare incontro a un Armageddon con un nemico mortale che prevede. Temo che Putin stia ormai dentro questa dimensione e che ogni tentativo di comprendere le sue mosse in termini politici manchi il bersaglio».
Ci sono altre similitudini?
«Il pretesto delle minoranze da tutelare, Hitler fece lo stesso con i sudeti e poi con Danzica. Poi c’è l’azione pervicace che Putin porta avanti: ha cominciato in Cecenia, poi ha bombardato la popolazione civile della Georgia, poi ha preso la Crimea, ha usato le armi chimiche in Siria e adesso l’Ucraina. È la stessa metodica determinazione di Hitler che annette l’Austria, poi la Cecoslovacchia, poi la Polonia. E ogni volta chi lo sta a guardare ha la tentazione di dire che non si spingerà oltre».
Non sarà così scriteriato da allargare il conflitto a un Paese Nato?
«Messa in una prospettiva storica, la minaccia putinania porta con sé questo monito. Se non fosse fermato, e in parte già lo è stato, in Ucraina si può pensare che avrebbe proseguito con i Paese baltici».
Il dilemma sull’invio delle armi è quello che si presentò a Danzica?
«Sì. Intendiamoci, la probabilità di un’estensione del conflitto al mondo intero non è la stessa del 1938. Ma sulla questione ucraina si potrebbe applicare la magistrale sintesi di Churchill quando dopo la Conferenza di Monaco fulminò Chamberlain dicendo “dovevate scegliere tra la vergogna e la guerra. Avete scelto la vergogna, avrete la guerra”. Vale anche per le mire di Putin».
L’Occidente doveva muoversi prima?
«L’Ucraina non aveva scelto di entrare nella Nato, come dice qualche fautore del pacifismo a ogni costo, spero in buona fede. Non c’è nessuna procedura per l’ingresso. La neutralità che si invoca è scritta nella Costituzione ucraina. Gli ucraini aspirano a condividere i nostri valori e gli stili di vita democratici e liberali. È in quel momento che la Russia di Putin ha deciso la guerra. È tutto leggibile nella logica neozarista: qualunque cosa l’Ucraina avesse fatto che non fosse stata abdicare completamente a se stessa avrebbe avuto la guerra. Qui avremmo dovuto chiederci: l’abbandoniamo o la sosteniamo?».
Se domani non ci fosse più Putin il problema resterebbe?
«Sono pacifista e il massimo che posso auspicare è la sua deposizione al termine di una congiura di palazzo. Anche senza Putin però, la questione russa rimarrebbe: un grande e glorioso Paese che non solo non è Europa per storia politica, ma che ne è un antagonista».
Fino ad alcuni mesi fa alcuni sostenuto che la Russia doveva diventare un alleato dell’Italia.
«Un’idea sciagurata che alcuni leader dei partiti populisti hanno sostenuto».
Salvini ora ha abbandonato quelle posizioni, è un fatto positivo?
«Una forma di spregiudicato camaleontismo e prontezza a tradire qualsiasi principio
Il viaggio in Polonia è figlio di una contraddizione?
«C’è la caratteristica fondamentale del populismo: non avere idee proprie, ma solo tattiche. Riempirsi dei rancori momentanei della gente e da quelle esalazioni lasciare che venga guidata la propria linea politica.
Oggi Putin è in disgrazia presso l’opinione pubblica italiana?
Si può anche andare al confine a fingere di essere anti putiniano. C’è un tratto caricaturale, ma in realtà c’è l’arma segreta del populismo, il fatto di avvalersi di quella che Mussolini definiva “supremazia tattica del vuoto”. Un vuoto che va riempito con gli umori momentanei per riscuotere il dividendo politico del momento».
L’opinione pubblica è impreparata alla guerra?
«Questo è sicuro. A ogni nuova guerra che lambisce l’Occidente, ci scopriamo sgomenti e impotenti».
Perché?
«La mia tesi è che c’è stata una trasformazione nel nostro rapporto con la guerra. Dalla prima guerra del Golfo siamo diventati di fatto degli spettatori, la guerra diventa uno spettacolo per famiglia».
Che conseguenze ha?
«Abbiamo perso la consapevolezza che le guerre esistono e questo ci impedisce di agire in termini civili e politici. E restiamo indifferenti come dei telespettatori»
Ma la risposta delle istituzione è stata urgente.
«Questa è una novità, c’è una risposta delle istituzioni internazionali e anche di qualche grande azienda».
E l’opinione pubblica?
«Il pubblico italiano sta rispondendo in maniera emotiva. Ma non è una risposta adeguata».
Le immagini che arrivano dall’Ucraina possono contribuire a questa presa di coscienza?
Sono critico su questo. Usare immagini della sofferenza altrui istituisce un orizzonte mediatico all’insegna dell’oscenità e non più della tragicità».
Perché alcuni intellettuali dicono di andare oltre le emozioni per capire?
«Da una parte c’è un riflesso pavloviano di antiche affiliazioni con la Russia e di avversità alla Nato, tipico della cultura comunista. Ma soprattutto c’è un autocriticismo ossessivo da parte dell’intellettuale d’Occidente, che sfocia in forme nevrotiche»
La critica non va bene?
«Intendiamoci: la critica e l’autocritica sono il cuore stesso dell’Occidente, sono il titolo di nobiltà intellettuale. Però questo autocolpevolizzarsi in maniera smodata è una degenerazione che si iscrive all’interno della cancel culture».
Lei si aspettava una guerra tradizionale con carri armati e truppe che invadono un Paese?
«Mi ha sorpreso la volontà di potenza che si esercita con l’invasione, la forte territorialità della strategia militare. Un altro punto è interessante: il disinteresse di Putin verso gli effetti mediatici della guerra, per cui se per vincere si deve bombardare un ospedale pediatrico, si bombarda senza problemi, potendo contare sul totale controllo dell’opinione pubblica interna. Gli Stati Uniti dal Vietnam in poi hanno fatto il contrario. Queste cose sembrano indicare un ritorno a un passato che credevamo sepolto».
(da La Stampa)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
COSI’ LE DONNE UCRAINE DIMOSTRANO LA PROPRIA FORZA
“Alcune famiglie già nel 2014 erano scappate dalla Crimea o dal Donbass, stabilendosi
vicino Kiev. Ora stanno rivivendo un incubo, devono scappare per la seconda volta”.
Nataliya Kudryk è una giornalista ucraina che da 16 anni vive in Italia e che lavora come inviata speciale per Radio Liberty.
In questi giorni sta collaborando attivamente con i media italiani per commentare quel che sta succedendo in Ucraina ed è in costante contatto con parenti e amici nel Paese dove è in corso l’offensiva su larga scala da parte della Russia.
Che tipo di testimonianze le arrivano dall’Ucraina?
Ho dei parenti che sono riusciti a scappare dai territori già occupati dai russi, a nordovest di Kiev, dove c’è Irpin’, Buča e l’aeroporto militare di Hostomel, che è stato bombardato. Mentre attraversavano i cosidetti “corridoi umanitari” i russi prima hanno controllato i documenti, le macchine, avevano visto che dentro c’erano i bambini. Ma appena la colonna di macchine iniziava a muoversi loro sparavano. Hanno visto due donne venire uccise dai russi.
E prima di fuggire in che condizioni vivevano
Disastrose: vivevano nei sotterranei con i bambini. Non avevano la luce, il gas, il riscaldamento, la connessione internet era scarsa. Per fortuna erano in campagna e avevano qualcosa da mangiare. Però era molto pericoloso perché non potevano uscire.
Era troppo pericoloso?
I russi non permettevano loro di circolare liberamente. Erano molto ostili, sparavano sulle macchine in fuga, sulle famiglie. L’abbiamo visto a Irpin, dove una famiglia è stata uccisa da colpi di mortaio durante l’evacuazione da Kiev. Il sindaco di Hostomel, Yuriy Prylypko, è stato ucciso pochi giorni fa insieme ad altri due volontari, mentre portava cibo e medicinali alle persone bisognose della cittadina.
Gli ucraini all’estero stanno dando una mano?
Sì, molti di loro contribuiscono a organizzare le consegne degli aiuti umanitari. Io conosco di più la realtà italiana, ovviamente, ma da quello che leggo succede anche da altri Paesi europei. Solo in questi Paesi vivono 3 milioni di cittadini ucraini. Molti aiutano anche a ricevere profughi in Europa, in questi casi i contatti sono fondamentali.
Qual è il ruolo delle donne in questa guerra?
Questo conflitto, che noi chiamiamo “grande guerra patriottica per la liberazione dell’Ucraina”, le donne hanno assunto un ruolo molto forte e significativo. Innanzitutto ci sono quelle che, anche se hanno famiglia, che hanno deciso di prendere le armi e andare sul fronte, per difendere la loro patria e il futuro dei loro figli. Vogliono che loro possano vivere nel Paese democratico che è esistito negli ultimi trent’anni. Il percorso democratico dell’Ucraina dal 1991 è stato molto difficile, con diverse problematiche e tappe difficili. Nonostante tutto, è chiaro che l’Ucraina ha intrapreso questo cammino politico democratico verso l’Occidente. Per non perdere l’indipendenza che abbiamo acquisito, le donne vanno a difendersi. Attenzione, loro non lottano per avere più potere, non hanno messo neanche un piede fuori dal confine dell’Ucraina, difendono il proprio Paese e il futuro dei figli.
Questa è anche una guerra digitale, di informazione. Le donne sono impegnate anche su quel fronte?
Sì, ci sono donne che combattono sul “fronte digitale”, per attaccare i siti russi. Sono anche molto attive sui social per raccontare quello che sta succedendo in Ucraina. cercando di raggiungere e sensibilizzare l’opinione pubblica russa. Danno anche consigli ai russi su dove trovare informazioni sui loro cari che sono in guerra.
La decisione di queste donne non è scontata, mentre gli uomini di una certa fascia d’età sono obbligati a restare nel Paese, loro possono scegliere.
Sì. Poi ci sono molte altre donne, alcune partite anche dall’estero, che sono andate sul fronte e aiutare come infermiere o all’interno della rete del volontariato. Ho molte amiche che adesso lavorano per assicurarsi che gli aiuti umanitari arrivino in tempo sul fronte o nelle città che sono sotto assedio degli occupanti russi. Erano maestre, avvocatesse, hanno lasciato il proprio lavoro e ora aiutano come possono, cuciono bandiere ucraine, preparano garze per i feriti, preparano pacchetti di pranzo al sacco per i soldati al fronte.
Come è organizzata la rete del volontariato?
Questo movimento volontario non è nato spontaneamente nelle ultime due settimane. Già da 8 anni in Ucraina si è formata una rete molto efficace. Nel 2014 l’esercito ucraino era abbastanza debole. Dal governo c’erano dei finanziamenti per rinforzare l’esercito, ma la stragrande maggioranza degli aiuti è stata fornita proprio dai volontari. Per questo ora ci sono state basi abbastanza forti. L’emergenza ora è stata quasi mondiale, visto che tutto il mondo civile occidentale appoggia l’Ucraina, e quindi su questi volontari che lavorano al fronte per aiutare cade davvero un grosso peso, per sostenere coloro che combattono sul fronte ma aiutano anche la popolazione civile che soffre.
Poi ci sono le donne che tentano di proteggere i figli.
Non difendono solo i propri figli, ma anche i figli degli altri. Ci sono donne che organizzano l’evacuazione e l’accompagnamento dei bambini dagli orfanotrofi e dagli ospedali, inclusi i minori disabili. Nella città di Kharkiv, ad esempio, intere strutture devono essere evacuate, e le donne si sono assunte la responsabilità di salvare questi bambini più bisognosi.
Ce ne sono altre che lasciano il Paese con i loro bambini.
Scelgono di salvarli anche a costo di spezzare le famiglie. Parlando con le amiche che conosco, ho visto che molto spesso il peso psicologico più grande, la decisione su come reagire in questa situazione di shock, cade proprio sulle donne. Ad esempio, se il marito non è andato sul fronte, spesso ha paura di trasferirsi all’estero, perché per lui è una realtà sconosciuta e non ha il coraggio di affrontarla. Preferisce rimanere a casa, e poi decidere cosa fare. Invece la moglie prende i bambini esi trasferisce all’estero per salvarli, anche se l’ambiente è completamente estraneo e se non parla le lingue. A costo di allontanarsi dai mariti e dagli anziani genitori.
Altre invece scelgono di rimanere lì.
Sì, anche se magari avevano la possibilità di fuggire all’estero. Dicono che sono nate lì e vogliono rimanere lì. Un’altra categoria di donne a cui va il mio pensiero di sostegno sono quelle che sono state costrette a partorire nei bunker.
Cosa pensi della morte della donna incinta che è stata soccorsa a Mariupol, e portata fuori in barella dall’ospedale bombardato?
È la conferma che colpiscono donne e bambini. Un fatto così grave e clamoroso che non serve aggiungere altro per commentare.
Abbiamo letto di storie impressionanti.
Mi fanno tenerezza e rabbia al tempo stesso. Devono avere una tenacia incredibile per sopportare il parto in questi sotterranei non allestiti per questo tipo di situazioni. Non posso neanche immaginare. Queste donne sono veramente eroine, difendono il grido di vita che nasce e, con esso, il futuro dell’Ucraina. Ma vorrei sottolineare un’altra cosa sulle donne.
Quale?
La forza femminile non si sta mostrando adesso per la prima volta. Durante la storia ucraina le donne hanno sempre avuto un ruolo molto importante. Le donne ucraine lottano per l’indipendenza della propria terra già dai tempi della prima guerra mondiale, quando il Paese non era indipendente.
In che modo?
Si sono unite ai combattenti ucraini della “Legione Ukrainski sichovi strilzi”, un battaglione di volontari che faceva parte dell’esercito austro-ungarico. Dai documenti storici risulta che ci fossero più di trenta donne, anche se non abbiamo un numero preciso. Dopo la fine della prima guerra mondiale, si è iniziato a sviluppare il movimento di emancipazione femminile in Ucraina
Ci fa un altro esempio?
L’Ucraina è sopravvissuta alla grande carestia stalinista, nel 1932-1933, chiamata Holodomor. Sono morte tra 4 e 7 milioni di ucraini, soprattutto contadini. È stato praticamente un genocidio del popolo ucraino, la popolazione è stata messa in condizione di morire per fame, per la collettivizzazione stalinista. Questo è stato un trauma molto grande per l’intera nazione. Poi anche durante la seconda guerra mondiale sono morti milioni di ucraini. E anche in questo caso, per ricostruire il Paese, il ruolo delle donne è stato fondamentale.
(da TPI )
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
L’ENNESIMO CRIMINE DI GUERRA DEI RUSSI
Altri civili innocenti che perdono la vita in questa assurda guerra della Russia contro l’Ucraina. Altre dieci persone, cittadini comuni, colpiti mentre si trovavano in fila per acquistare del pane in una delle pochissime attività commerciali che forniscono ancora cibi e altri beni di prima necessità nella zona.
È accaduto questa mattina, intorno alle ore 10, a Chernihiv (che conta circa 300mila abitanti), città nella zona Nord dell’Ucraina e a circa 150 chilometri di distanza dalla capitale Kyiv.
Il video mostra gli istanti successivi all’uccisione di quei dieci civili e si conclude con l’arrivo dei mezzi di soccorso. Ma sul terreno già giacciono senza vita quei dieci corpi colpiti a morte mentre si trovavano a fare la fila per acquistare del pane.
Il filmato è stato condiviso anche dai profili social dell’Ambasciata americana a Kyiv, con questo commento: “Oggi le forze russe hanno sparato e ucciso 10 persone in fila per il pane a Chernihiv. Questi orribili attacchi devono finire. Stiamo considerando tutte le opzioni disponibili per accertare la responsabilità di qualsiasi crimine atroce in Ucraina”.
Un attacco nei confronti dei civili. L’ennesimo di queste tre lunghissime settimane di guerra che si aggiunge a un’altrettanto lunghissima lista. Questa volta è avvenuto nella zona Nord, non distante dal confine tra l’Ucraina e la Bielorussia. E solamente tre giorni fa, in quella stessa città, è stato bombardato un palazzo residenziale di nove piani. Sintomo di come gli attacchi dei soldati russi ci sono stati, ci sono e ci saranno. Nonostante l’obbligo di ritiro delle truppe confermato oggi pomeriggio dalla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja nei confronti della Russia.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
ORA SE LA PRENDE CON L’AMBASCIATORE ITALIANO IN POLONIA CHE NON AVREBBE ORGANIZZATO MEGLIO LA VISITA, IL FUNZIONARIO LO GELA: “GLI AVEVO DETTO CHE NON ERA IL CASO DI VENIRE“
Quanti voti è costata a Matteo Salvini la beffa di Przemysl? 
La contestazione da parte del sindaco della cittadina polacca Wojciech Bakun con tanto di maglietta di Vladimir Putin sventolata sotto il naso del leader della Lega è stata il clou della “missione di pace” di Salvini in Polonia.
E, spiega oggi Repubblica, ha fatto perdere 260 mila voti al Capitano.
Secondo Swg il Carroccio ha perso lo 0,8% dei consensi in sette giorni, scendendo dal 17% al 16,2%. E i meme pubblicati dal primo cittadino non hanno certo aiutato il Capitano. Visto che oggi la Lega è al punto più basso dal maggio 2019, ovvero da quelle elezioni europee che avevano incoronato il partito e spinto Salvini a cercare di dare il benservito a Conte con la crisi del Papeete.
Ora il Capitano deve fare i conti con i risultati. Che dicono, come fa notare al quotidiano il direttore di Demopolis Pietro Vento, che la Lega ha dimezzato in meno di tre anni il risultato delle Europee.
Anche a causa delle tante giravolte del Capitano, passato dall’appoggio a Putin all’Alleanza Atlantica così come in Europa è passato dal sostegno a Marine Le Pen a quello a Mario Draghi.
Lui intanto ha diradato gli appuntamenti con la stampa
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
NON CONOSCE NEANCHE LA STORIA
Diego Fusaro è un filosofo moderno sui generis. A differenza di tutti i suoi più celebri
“colleghi” (ci perdoneranno), lui si ferma all’apparenza e non approfondisce temi di cui – evidentemente – sa poco o nulla.
E così, nella smania di condividere qualunque cosa sui social, il 38enne torinese inciampa fermandosi a un titolo nel tentativo di sollevare l’ennesima e inutile polemica sulla guerra in Ucraina.
Perché a lui basta leggere un nome per sentenziare. Peccato che non conosca la storia di quel che legge. Peccato che sarebbe bastato leggere quell’articolo per evitare una figura barbina.
“Un giorno Hitler, un giorno Stalin. La propaganda organizzata è sempre più ridicola”. La polemica è la solita: la critica al sistema mediatico. Lo aveva già fatto – a ripetizione – sulla pandemia Covid. E ha ricominciato con questo ritornello anche “commentando” i tragici eventi che si stanno susseguendo in queste prime tre settimane di guerra in Ucraina.
E lo fa pubblicando (e non linkando, perché probabilmente non ha neanche letto quel pezzo) un articolo del quotidiano La Repubblica.
Fermandosi solamente al titolo, Diego Fusaro sostiene che ci sia la tendenza a utilizzare “nomi” passati per raccontare storie presenti.
Peccato che quel “Martello di Stalin” non sia un diretto riferimento al rivoluzionario russo che prese il potere dopo la morte di Lenin, ma il nome di un’arma che venne utilizzata proprio dai militari sovietici durante la seconda guerra mondiale contro i tedeschi.
Ed era tutto scritto e spiegato all’interno dell’articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica (con tanto di video) nella giornata di ieri, martedì 15 marzo. E sarebbe bastata anche una rapida ricerca su un qualsiasi motore di ricerca per capire l’argomento alla base di quel filmato e di quell’articolo.
Infatti, anche sul web sono riportate delle immagini “da museo” di quell’obice da 203 millimetri utilizzato dai sovietici nell’assalto a Berlino avvenuto tra i mesi di aprile e maggio del 1945 e che rappresentò l’ultimo grande micro-conflitto (rispetto alla portata globale) della seconda guerra mondiale. Non è filosofia. È storia.
(da NetQuotidiano)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
UNA “OPERAZIONE SPECIALE“ DELLE FORZE UCRAINE
Era stato incappucciato e portato via dai militari russi mentre era impegnato nella distribuzione di aiuti umanitari ai suoi concittadini. Poi il silenzio. ù
Di Ivan Fedorov si erano perse le tracce (negli ultimi giorni si era parlato di un suo trasferimento forzato a Lugansk) tra le mani dei soldati inviati dal Cremlino.
Oggi, a diversi giorni di distanza da quel rapimento, il sindaco di Melitpol è tornato in libertà. Ad annunciarlo è stato Kyrylo Tymoshenko, vice capo di Stato maggiore di Kyiv e dirigente molto vicino al Presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
“Amici abbiamo buone notizie. È appena finita l’operazione speciale della liberazione del sindaco di Melitopol, Ivan è al sicuro. Insieme al presidente e al capo dell’ufficio abbiamo appena parlato con lui. Voglio solo dire che noi non abbandoniamo i nostri”. Non si hanno, al momento, ulteriori notizie su questa operazione speciale. Sta di fatto che Ivan Fedorov non è più nelle mani dei militari russi ed è tornato libero e al sicuro.
E nei giorni di quella sua assenza forzata, Mosca si era immediatamente prodigata nella sostituzione. Subito dopo il rapimento, infatti, la Russia aveva imposto Galina Danilchenko come sindaca di Melitopol.
E fin dal suo primo messaggio era palese la sua linea filo-russa: dall’annuncio del prossimo arrivo, in televisione, esclusivamente dei media controllati dal Cremlino alla richiesta ai cittadini di interrompere tutte le manifestazioni contro l’invasione russa e abituarsi “alla nuova realtà”. Una sindaca non eletta al posto di un primo cittadino democraticamente eletto.
Nei prossimi giorni, dunque, Fedorov dovrebbe riprendere in mano tutte le funzioni derivanti da quel mandato interrotto dai russi. Fino a oggi.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
UN CRIMINE DI GUERRA CHE NESSUNO DIMENTICHERA’: QUANDO TOCCHERA’ A VOI LO RICORDERETE PER GENERAZIONI
Altre immagini di devastazione e distruzione che arrivano da quella stessa città,
Mariupol, dove la scorsa settimana i militari russi avevano distrutto l’ospedale dove al suo interno c’erano diversi civili.
Oggi la storia si è ripetuta, con le truppe inviate dal Cremlino che hanno bombardato il teatro di Mariupol. All’interno della struttura, al momento dell’attacco, si trovavano tantissimi cittadini che avevano cercato rifugio lì dentro dopo che le loro case e abitazioni erano state distrutte dagli attacchi missilistici delle scorse settimane.Non si conosce, al momento, il numero esatto delle persone presenti all’interno del teatro di Mariupol. Ma il consiglio comunale della città che da giorni è sotto assedio e sotto attacco, ha raccontato così la situazione
“È noto che dopo i bombardamenti la parte centrale del Teatro Drammatico è stata distrutta e l’ingresso del rifugio antiaereo nell’edificio è stato distrutto. Le informazioni sulle vittime sono in fase di verifica. È impossibile trovare parole che possano descrivere il livello di crudeltà e cinismo con cui gli occupanti russi stanno distruggendo la popolazione civile della città ucraina in riva al mare. Donne, bambini e anziani restano nel mirino del nemico. Queste sono persone pacifiche completamente disarmate. È ovvio che l’unico obiettivo dell’esercito russo è il genocidio del popolo ucraino”.
E altre immagini di susseguono e testimoniano l’attacco missilistico al teatro di Mariupol.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2022 Riccardo Fucile
UNA GRAN PARTE SONO GIOVANI E DI CETO SOCIALE MEDIO-ALTO, CHE TEMONO DI RESTARE BLOCCATI IN UN PAESE SENZA FUTURO… I PIÙ ANZIANI, INVECE, SONO TEMPRATI DA ANNI DI UNIONE SOVIETICA: “NOI AMIAMO IL NOSTRO PAESE, MA È LA RUSSIA CHE NON AMA NOI”
Non ci sono solo i milioni di disgraziatissimi ucraini in fuga dalla propria patria devastata. Anche i russi scappano dalla propria. Molti di meno, certamente, e soprattutto per altre ragioni. I russi che scelgono l’espatrio non si lasciano alle spalle una casa bombardata, semmai un Paese dove comportarsi da persone libere diventa una chimera.
Senza dimenticare – perché c’è anche questo – l’incubo dell’impoverimento incombente, conseguenza di quelle sanzioni decretate dall’Occidente che hanno già cominciato a incidere sulla vita quotidiana del cittadino russo che vive nelle due metropoli di Mosca e San Pietroburgo e nelle altre città importanti: i bancomat svuotati, il rublo che diventa carta straccia, i beni d’importazione (soprattutto le medicine) che rapidamente si vanno esaurendo.
E su tutto, un angoscioso clima di guerra che le persone istruite e informate, a differenza della massa delle campagne, accuratamente mantenuta nell’ignoranza dal regime, percepiscono e soffrono.
A oggi, i russi che hanno varcato i confini in treno o in auto (gli aerei non possono più volare da e per l’estero) sono già stimati in un centinaio di migliaia. Se ne sono andati in Finlandia, in Estonia, in Lettonia, ma anche in Georgia, in Azerbaigian e nel Kazakistan.
Solo a Tbilisi, capitale della Georgia amica dell’Occidente, sarebbero già arrivati 25mila russi, che si sommano alle migliaia che già avevano eletto questa Repubblica del Caucaso a rifugio più o meno provvisorio dopo le recenti strette poliziesche seguite alle proteste di piazza per il tentato assassinio del leader dell’opposizione Aleksei Navalny, contro cui la Procura russa ha chiesto ieri 13 anni di carcere nel processo per frode.
Il treno che ogni giorno arriva nella capitale finlandese Helsinki da San Pietroburgo è regolarmente pieno fino all’ultimo posto, il che significa circa 700 persone a viaggio. I russi che sbarcano sono in gran parte giovani e di ceto sociale medio-alto, non hanno molta voglia di parlare con i giornalisti, e se lo fanno si coprono il volto per non essere identificati. Raccontano tutti storie simili. I giovani, abituati all’apertura mentale, dicono di temere di restare bloccati in un Paese repressivo e impoverito, senza futuro.
I più anziani, invece, spiegano di star vedendo come in un incubo il ritorno imprevisto di un clima da Unione Sovietica, che avendo già sperimentato non intendono tornare a subire: una donna ha raccontato a una televisione italiana di amare il suo Paese, «ma è la Russia che non ama noi». Quel «noi» include varie categorie di persone, molte delle quali non scappano.
C’è l’ottantaquattrenne Elena Osipova, superstite dello spaventoso assedio nazista di Leningrado nella seconda guerra mondiale, che da vent’ anni regolarmente manifesta contro lo Stato di polizia imposto da Putin e che anche domenica scorsa è stata arrestata nella sua città (nel frattempo ribattezzata San Pietroburgo) per aver chiesto con due cartelli in mano di porre fine alla guerra in Ucraina; ci sono i coraggiosi giornalisti come Marina Ovsinnikova, arrestata lunedì sera dopo aver esposto in diretta un cartello contro la guerra durante il telegiornale della sera sul principale canale pubblico russo; ci sono le migliaia di giovani e meno giovani che rischiano ormai consapevolmente anni di galera per aver risposto all’invito di Navalny a scendere in piazza; c’è la ragazza isolata arrestata a Mosca davanti alla cattedrale di Cristo Salvatore con un cartello che ricorda anche al metropolita ultraputiniano Kirill il sesto comandamento: non uccidere
(da “il Giornale”)
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