IL GRANDE ESODO DEI RUSSI: TRA SANZIONI, INCUBO POVERTA’ E MISURE REPRESSIVE, OLTRE 100MILA CITTADINI RUSSI HANNO ABBANDONATO IL PAESE
UNA GRAN PARTE SONO GIOVANI E DI CETO SOCIALE MEDIO-ALTO, CHE TEMONO DI RESTARE BLOCCATI IN UN PAESE SENZA FUTURO… I PIÙ ANZIANI, INVECE, SONO TEMPRATI DA ANNI DI UNIONE SOVIETICA: “NOI AMIAMO IL NOSTRO PAESE, MA È LA RUSSIA CHE NON AMA NOI”
Non ci sono solo i milioni di disgraziatissimi ucraini in fuga dalla propria patria devastata. Anche i russi scappano dalla propria. Molti di meno, certamente, e soprattutto per altre ragioni. I russi che scelgono l’espatrio non si lasciano alle spalle una casa bombardata, semmai un Paese dove comportarsi da persone libere diventa una chimera.
Senza dimenticare – perché c’è anche questo – l’incubo dell’impoverimento incombente, conseguenza di quelle sanzioni decretate dall’Occidente che hanno già cominciato a incidere sulla vita quotidiana del cittadino russo che vive nelle due metropoli di Mosca e San Pietroburgo e nelle altre città importanti: i bancomat svuotati, il rublo che diventa carta straccia, i beni d’importazione (soprattutto le medicine) che rapidamente si vanno esaurendo.
E su tutto, un angoscioso clima di guerra che le persone istruite e informate, a differenza della massa delle campagne, accuratamente mantenuta nell’ignoranza dal regime, percepiscono e soffrono.
A oggi, i russi che hanno varcato i confini in treno o in auto (gli aerei non possono più volare da e per l’estero) sono già stimati in un centinaio di migliaia. Se ne sono andati in Finlandia, in Estonia, in Lettonia, ma anche in Georgia, in Azerbaigian e nel Kazakistan.
Solo a Tbilisi, capitale della Georgia amica dell’Occidente, sarebbero già arrivati 25mila russi, che si sommano alle migliaia che già avevano eletto questa Repubblica del Caucaso a rifugio più o meno provvisorio dopo le recenti strette poliziesche seguite alle proteste di piazza per il tentato assassinio del leader dell’opposizione Aleksei Navalny, contro cui la Procura russa ha chiesto ieri 13 anni di carcere nel processo per frode.
Il treno che ogni giorno arriva nella capitale finlandese Helsinki da San Pietroburgo è regolarmente pieno fino all’ultimo posto, il che significa circa 700 persone a viaggio. I russi che sbarcano sono in gran parte giovani e di ceto sociale medio-alto, non hanno molta voglia di parlare con i giornalisti, e se lo fanno si coprono il volto per non essere identificati. Raccontano tutti storie simili. I giovani, abituati all’apertura mentale, dicono di temere di restare bloccati in un Paese repressivo e impoverito, senza futuro.
I più anziani, invece, spiegano di star vedendo come in un incubo il ritorno imprevisto di un clima da Unione Sovietica, che avendo già sperimentato non intendono tornare a subire: una donna ha raccontato a una televisione italiana di amare il suo Paese, «ma è la Russia che non ama noi». Quel «noi» include varie categorie di persone, molte delle quali non scappano.
C’è l’ottantaquattrenne Elena Osipova, superstite dello spaventoso assedio nazista di Leningrado nella seconda guerra mondiale, che da vent’ anni regolarmente manifesta contro lo Stato di polizia imposto da Putin e che anche domenica scorsa è stata arrestata nella sua città (nel frattempo ribattezzata San Pietroburgo) per aver chiesto con due cartelli in mano di porre fine alla guerra in Ucraina; ci sono i coraggiosi giornalisti come Marina Ovsinnikova, arrestata lunedì sera dopo aver esposto in diretta un cartello contro la guerra durante il telegiornale della sera sul principale canale pubblico russo; ci sono le migliaia di giovani e meno giovani che rischiano ormai consapevolmente anni di galera per aver risposto all’invito di Navalny a scendere in piazza; c’è la ragazza isolata arrestata a Mosca davanti alla cattedrale di Cristo Salvatore con un cartello che ricorda anche al metropolita ultraputiniano Kirill il sesto comandamento: non uccidere
(da “il Giornale”)
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