Destra di Popolo.net

“IL SEGRETO DELLA RESISTENZA UCRAINA E’ LA DOTTRINA MILITARE ALL’AVANGUARDIA CHE I RUSSI NON HANNO“

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

L’ESPERTO GEOPOLITICO MARGELLETTI:“I RUSSI SONO FERMI ALLA STRATEGIA DI 50 ANNI FA“

Professor Andrea Margelletti, la Russia fa fatica ad avanzare e le truppe ucraine riescono a fare fronte all’offensiva: come lo spiega?
«Intanto diciamo che è fallito il tentativo dei russi di allargare il conflitto con una presa rapida dell’Ucraina. Se il blitz di 48-72 ore decantato da Putin fosse avvenuto, l’Occidente avrebbe accusato il contraccolpo. Come è possibile che gli ucraini siano stati in grado di respingere l’offensiva? Semplice, hanno armi all’avanguardia e soprattutto una dottrina militare di altissimo livello e assolutamente attuale. Cosa che, invece, i russi non hanno»
Ci spieghi meglio questo aspetto: cosa è mancato alle truppe sovietiche?
«Allora, inziamo col dire che gli ucraini non è da oggi che hanno imparato una certa strategia, tattica e dottrina militare. È dal 2014 che in Ucraina l’Occidente ha portato un esercito, una strategia e una dottrina assolutamente all’avanguardia e moderna. I russi, ad esempio, hanno a disposizione armi di alto livello, ma dispongono di una dottrina che si è fermata a 50 anni fa. Per questo motivo fanno fatica e non riescono a guadagnare terreno».
In che modo la Russia voleva conquistare l’Ucraina?
«Con due metodi: l’azzeramento e la cancellazione fisica della classe dirigente ucraina e il consegente crollo sotto il profilo morale del popolo ucraino. I russi credevano di poter fare tutto questo in meno di 72 ore, ma hanno sbagliato i conti».
Adesso cosa succederà?
«Difficile dirlo. Perdere per i russi non significa soltanto sconfitta sotto il profilo militare. Per i russi chi perde, perde tutto: anche la vita stessa. Ecco perché Putin non può arrendersi e ora dovrà salvare la faccia. Il rischio, elevato, è un escalation del conflitto».
(da La Repubblica)

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200.000 RUSSI IN FUGA VERSO TURCHIA, CAUCASO E ASIA CENTRALE

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

LA FUGA DEI CERVELLI CHE NON VUOLE PIU’ VIVERE IN UNA DITTATURA CRIMINALE

In crisi economica perché fiaccata dalle sanzioni e con la propria credibilità internazionale ai minimi termini, la Russia sta fronteggiando anche una vera e propria fuga di cervelli.
Che, nel più classico dei circoli viziosi, non farà altro che aggravare ulteriormente i problemi demografici ed economici interni.
I primi casi isolati sono diventati nel corso delle settimane sempre più numerosi e, anche se non si può parlare di “esodo”, il flusso di cittadini russi che stanno abbandonando il Paese si sta ingrossando giorno dopo giorno. Definiti da Putin, seppur non direttamente, “feccia” e “traditori”, sarebbero finora circa 200mila i fuoriusciti che si sono più o meno temporaneamente insediati all’estero. Una situazione che sta già creando i primi grattacapi in alcuni dei Paesi d’arrivo.
Con le opzioni limitate dal bando dei Paesi europei dei voli da e per la Russia, chi vuole fuggire dal regime putiniano sta prendendo in considerazione alcune mete alternative, a cui si guarda soprattutto per la facilità di accesso (in sostanza il fatto che non serva il visto) e le prospettive d’inserimento.
Al momento questo particolare gruppo è composto da, in ordine sparso, Georgia, Armenia, Turchia e alcune Repubbliche dell’Asia Centrale.
Difficile fare una classifica, perché spesso non sono disponibili dati ufficiali, ma pare che finora in 14mila siano arrivati a Istanbul, ripercorrendo il percorso di altre migliaia di russi che trovarono rifugio nella città sul Bosforo dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi.
Stando ad alcune testimonianze, sembra che anche l’Armenia, e in particolare la sua capitale Yerevan, sia uno degli approdi preferiti. Se prima del conflitto a essere ufficialmente registrati nel Paese erano circa 3-4mila lavoratori russi, attualmente a risiedere in loco sarebbero circa 20mila persone provenienti soprattutto da Mosca e San Pietroburgo.
L’Armenia è una meta apprezzata anche per la minore ostilità nei confronti dei russofoni di quella che questi ultimi possono ad esempio incontrare in Georgia, dove comunque si sono registrati migliaia di arrivi, Paese che solo pochi anni fa ha avuto modo di toccare con mano la brutalità di Putin.
Numeri decisamente minori, ma molto significativi, quelli che sta registrando anche la Finlandia, il cui territorio è raggiungibile via treno in poche ore dalla parte occidentale della Russia. A pesare in questo caso la vicinanza geografica – i due Paesi condividono un confine di oltre 1.300 chilometri – e la positiva accoglienza da parte della popolazione locale
Alcuni governi dello spazio post-sovietico si stanno addirittura attrezzando per favorire l’afflusso di capitale umano, senza disdegnare quello legato agli investimenti. È il caso ad esempio dell’Uzbekistan che sta approntando un visto lavorativo e un percorso per ottenere la residenza facilitati e pensati per i lavoratori e gli imprenditori russi e bielorussi del settore tecnologico.
Una simile proposta è stata avanzata anche in Kirghizistan, segno che la fame di competenze e flusso di denaro è particolarmente forte nella regione. D’altronde a lasciare la Russia sono soprattutto giovani professionisti del mondo digitale, in grado di continuare a operare da remoto senza ripercussioni sulla loro attività.
Se, da un lato, i vantaggi per le asfittiche economie dell’Asia Centrale potrebbero essere notevoli, dall’altro l’afflusso di persone con un potere d’acquisto notevolmente più elevato della media regionale sta iniziando a distorcere il mercato locale.
Come riportato da Radio Free Europe/Radio Liberty, l’arrivo in Uzbekistan di migliaia di cittadini provenienti dalla Federazione, accompagnato al ritorno in patria dei migranti locali senza prospettive in Russia, sta gonfiando le valutazioni del settore immobiliare.
Non solo, anche alcuni operatori russi del comparto starebbero guardando alle città più dinamiche della regione per diversificare i propri investimenti, con un ulteriore effetto al rialzo.
Nella capitale uzbeca, Tashkent, alcune testimonianze riportano un aumento degli affitti e dei prezzi di acquisto di abitazioni pari circa al 15% in poche settimane. In sé non una crescita così vertiginosa, ma che si registra in contesti economici già particolarmente indeboliti dalle sanzioni, dalla svalutazione delle monete locali e dal crollo delle rimesse provenienti dall’estero. Ripercussioni che potrebbero ulteriormente aggravarsi nei prossimi mesi.
La fuoriuscita di decine di migliaia di persone non sembra invece al momento preoccupare particolarmente le autorità russe. Anzi, il blocco ufficiale delle attività in Russia di Facebook e Instagram, appena confermata da un tribunale di Mosca, rischia di rendere ancora più complessa la situazione interna.
Non certo per il mancato utilizzo individuale degli utenti, ma per il fatto che ormai sono considerati da molte aziende come canali di business o come semplici mezzi per farsi pubblicità. Non è un caso, infatti, che ad abbandonare la nave putiniana in fase di affondamento siano anche numerosi manager russi delle multinazionali con sede nel Paese. Centinaia di queste, attive nei settori più disparati, hanno sospeso la propria attività nelle ultime settimane, impoverendo ulteriormente l’economia del Paese.
Per quanto ferocemente Putin possa attaccare chi lascia la Federazione, il trend demografico del Paese gioca contro di lui: tra il 2020 e il 2021, a causa soprattutto del Covid, la Russia ha subito il più grande declino di popolazione non legato a una situazione di conflitto della sua storia, perdendo complessivamente quasi 1 milione di abitanti.
Una situazione a cui l’inquilino del Cremlino avrebbe potuto cercare di ovviare provando a rendere il proprio Paese più attrattivo sia per le maestranze del Caucaso e dell’Asia Centrale che per i talenti internazionali. Non certo costringendo alla fuga decine di migliaia di giovani professionisti desiderosi di un futuro più promettente.
(da Globalist)

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A MOSCA NON C’E’ PIU’ L’ECO

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

DIARIO DEGLI ULTIMI GIORNI DELLA RADIO CHIUSA DALLA CENSURA DI PUTIN

“Mercoledì 22 marzo è stato l’ultimo giorno, non torneremo più in redazione”. E ‘toccato ad Irina Vorobieva scrivere il diario degli ultimi giorni dell’Eco di Mosca, radio coraggiosa, che per la libertà di stampa ha pagato un prezzo altissimo nella Russia di Putin. Lo zar in guerra ne ha decretato la fine.
La speranza è che, caduto lo zar, la radio torni a parlare ad una Russia diversa, libera.
Adesso è tempo di chiudere, sono i giorni più bui della Russia dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. In Ucraina i soldati sono costretti ad uccidere e muoiono. In patria, chi protesta, anche soltanto con un foglio bianco in mano, viene arrestato e processato.
Ad Irina, i colleghi hanno chiesto di tenere una rubrica, un diario degli ultimi giorni, le sensazioni prima di chiudersi la porta alle spalle.
Difficile trovare le parole, scrive Irina ad inizio di questo suo diario:”Perché quando vedi gli studi vuoti, il corridoio vuoto senza la famosa galleria fotografica alle pareti, quando vedi “solo uffici”, ti ritrovi in uno spazio gelido, prigioniera del ghiaccio.
Ventisei anni di vita, più di un quarto di secolo di lavoro, di impegno difficile, di rischi collettivi e personali.
Tutto è iniziato in un piccolo ufficio su Nikolskaya. Pochi anni dopo, la redazione si trasferisce a Novy Arbat, in una stanza che era sostanzialmente un lungo corridoio con stanze ai due lati, di diverse dimensioni. “Quando sono venuta a lavorare qui, nel 2007, sono rimasta sorpresa, la redazione mi è apparsa come una serie di alveari, con tutti al lavoro, senza mai fermarsi…Quando ci siamo trasferiti in una nuova, enorme redazione, ricordo, era estate. Decidemmo di darci un certo tono nell’abbigliamento, camicia, giacca…Poi, un giorno rientrò in redazione Vladimir Varfolomeev, tornava dalle vacanze… Abbronzato, in pantaloncini, sandali… Korzun lo guardò e disse “Phew”, Uffa… E si riprese a vivere e a lavorare senza rigidi codici di abbigliamento,
La galleria fotografica del corridoio è stata rimossa, tutte le foto digitalizzate, salvate…”.
“Girando per le stanze della radio, la cosa che colpiva era la gran quantità di dizionari. Dizionari in ogni stanza, su ogni davanzale, pure in giardino,si nel giardino” E poi, quella scritta:” Tutto ciò che viene detto in studio può entrare in YouTube, in Internet – ricorda – tutto!”
“Ci sono ancora i vecchi telefoni, uno è rosso, e si credeva che solo Alexey Venediktov conoscesse il numero di quel telefono. Noi sapevamo soltanto che quando quel telefono squillava, dovevamo rispondere. Le sue chiamate dovevano essere prese al volo, sempre”.
“C’era sempre un casino, nessuno aveva il proprio computer. Arrivavi, ne prendevi uno e lavoravi. Le stanze, il corridoio riempito della voce di noi tutti, sembrava che si fosse davanti alla tv a tifare per la propria squadra ai Mondiali… Tutto sempre assieme: lavorare, mangiare, rincorrere le notizie, litigare su condizionatore si, condizionatore no. E poi, tanti libri, un numero inimmaginabile di libri. I principali centri di distribuzione di libri erano due scaffali: quello di Venediktov e quello di Buntman. Capitava che gli ospiti delle trasmissioni, dopo la messa in onda, restassero in redazione, a guardare, a leggere, a discutere con noi. Tutti qui erano i benvenuti”.
Queste e tanti altri aneddoti nel diario di Irina che ricostruisce gli ultimi giorni di Eco: “Questa settimana abbiamo preso tutte le nostre cose e lasciato l’ufficio di “Ekho Moskvy” al 14 ° piano del grattacielo di Novy Arbat. Nel corso di questi 26 anni, ogni giorno sono accadute storie che si sono fissate per sempre nella nostra memoria comune”. Mercoledì 22 marzo è stato l’ultimo giorno. L’augurio è che, presto, si possa risentire l’Eco di Mosca.
(da Globalist)

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IL DEPUTATO RUSSO CHE PROPONE A PUTIN DI ATTACCARE LA POLONIA, I PAESI BALTICI, LA MOLDAVIA E IL KAZAKISTAN

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

IL FIGHETTO EFEBICO RUSSO PUO’ INTANTO ANDARE IN PRIMA LINEA IN UCRAINA

L’Ucraina non basta. Meglio invadere anche la Polonia, gli Stati baltici, la Moldavia e il Kazakistan perché devono essere “smilitatizzati e denazificati”. Questa è la proposta di Sergei Savostyanov, deputato della Duma della città di Mosca.
Il documento con la sua richiesta al governo e a Vladimir Putin è datato 24 marzo e ha iniziato a circolare su Twitter dopo che Mykhailo Podolyak, capo negoziatore dell’Ucraina e consigliere del presidente Volodymyr Zelensky, ha rilanciato i timori di “un’operazione speciale militare globale”.
Ovvero di un’offensiva di Mosca più ampia e che punti, per quanto riguarda l’Europa, a Polonia, Moldavia, Lettonia, Lituania ed Estonia.
Le parole di Savostyanov e il suo documento sono stati rilanciati da Nexta, media bielorusso filo-ucraino, e da Visegrad24. Poi la notizia è stata riportata anche da Ura.ru, agenzia di stampa online russa.
(da agenzie)

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“È LA VOLTA DELLA GUERRA CHIMICA”

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

DOMENICO QUIRICO: “È L’APOCALISSE POSSIBILE, ESISTE. YPRITE, FOSGENE: SON PAROLE CHE HANNO DENTRO IL SAPORE DELLA MORTE. LA SCIENZA MESSA A TESTIMONIO DELLA STRAGE”… “RACCONTIAMO DUNQUE COME SI MUORE, COME SI POTREBBE MORIRE ANCHE OGGI IN UCRAINA“

L’ingranaggio della guerra ha compiuto un altro dei suoi inesorabili movimenti in avanti, l’incastro ha spinto il meccanismo secondo un andamento interno che sembra non possa essere mutato. È la volta della guerra chimica, si evoca apertamente (le notizie di «intelligence»…) la possibilità di una guerra chimica, la ipotizza il presidente americano Joe Biden. Che promette adeguate e corrispettive risposte.
Davvero sembra che nessuno si impegni a toglier vento alle vele della guerra. I gas venefici: è l’Apocalisse possibile, perché l’abbiamo conosciuta anche in tempi recentissimi, perché ne abbiamo le immagini fosche davanti agli occhi. Perché temiamo sempre che diventi arma del terrorismo globale. Esiste.
Al contrario dell’altra Apocalisse, quella atomica che, nonostante Hiroshima, per la sua enormità che va oltre l’immaginabile esiste ma come impossibilità, come negazione, come pura e finora efficace deterrenza.
Fragile parola a cui ci attacchiamo per non precipitare nel caos. E se suonasse l’ora del disinganno ? Yprite, fosgene: son parole che hanno dentro, a sillabarle, il sapore della morte. La scienza messa a testimonio della strage.
Si sa come è fatta la natura umana: finché ci sono migliaia di chilometri a separarci da una realtà, la Siria, l’Iraq, siamo portati a vedere le cose, anche se si tratta di realtà, come fuochi fatui nella nebbia. Nel tragico, sanguinoso museo delle cere del presente il loro profilo spicca purtroppo con vividezza. Un popolo intero, oggi, ora, vive con a portata di mano la maschera. Perché ad ogni momento potrebbero risuonare quelle particolari sirene: bombardamento, rischio chimico o batteriologico…
I gas sembravano legati al macello delle trincee, alla prima guerra mondiale. Allora la morte era un dato statistico, normale, inevitabile, come adesso gli incidenti stradali. Eppure la morte era più orribile, diversa.
Raccontiamo dunque come si muore, come si potrebbe morire anche oggi in Ucraina. Se la guerra diventasse ancora una volta un’azione su formule, leve e rubinetti.
Dapprima pareva solo una nube di fumo più spessa delle altre il residuo della parete di fuoco e di acciaio del bombardamento.
Per i soldati nella trincea tutti ciechi, ubriachi di fatica, erano sordi anche ai sibili delle ultime granate stanche, molto distanziate che sembravano la coda del bombardamento. Avevano visto molte volte quel paesaggio ardente. Poi la brezza svelava nubi rosse color del sangue, spesse, robuste come una parete.
Si sentiva un odore forte di mandorle amare e ti accorgevi che eri già in una densa nuvola di gas. Gli occhi cominciavano a lacrimare e le gole bruciavano, in preda a uno spasmo di tosse.
Nelle gabbiette gli uccellini che servivano come avviso cadevano morti. «Gas! gas!» si comincia gridare, bisogna tirar fuori le maschere indossarle come si è ripetuto mille volte in addestramento. Perché adesso per fortuna c’erano le maschere.
All’inizio ci si illudeva di difendersi con una garza imbevuta di urina o bicarbonato di sodio premuta contro il viso. Non è più una simulazione, è un brancolare frenetico, solo i più bravi riescono a coprire il viso, ad assicurarle. Altri, troppi, gridando e inciampando, sembrano uomini in preda al fuoco.
Adesso tutti stanno appiattiti contro la trincea con grandi occhi spettrali sbarrati e i becchi fantastici che deformano il viso. Si guardano attraverso i vetri appannati delle maschere spalmate di sapone all’interno perché il vapore del respiro non si condensi accecandoti. Bisogna restare immobili sperando che nel frattempo il nemico non approfitti per avanzare e balzare nella trincea finendoti con la mazza o la zappetta.
Poi alcuni quelli che hanno tardato cominciano a contorcersi come in preda ai crampi e si strappano la maschera per vomitare. Gli occhi bianchi si contorcono e il sangue arriva ad ogni movimento del corpo con un gorgoglio dei polmoni rosi già dal gas. Dicono che nelle trincee li ritrovarono riversi sulla schiena con i pugni serrati come a protestare contro quella morte, le labbra e gli occhi bluastri. Quando a Ypres dove furono i tedeschi a lanciare le granate a gas, e a Loos dove gli inglesi replicarono, quella guerra era già vietata da una convenzione fin dal 1902.
Ma i fronti erano immobili, la immancabile vittoria era diventata un sogno per gli stati maggiori. I generali radunarono il loro genio. Bisognava trovare un modo nuovo di uccidere, sconosciuto e per questo all’inizio letale.
Tutto, anche l’orrore chimico, gli alambicchi letali di una alchimia della morte di massa diventavano indispensabili e quindi leciti. Il rischio è lo stesso anche ora, in questa guerra: una offensiva che si incaglia, il conflitto da lampo diventa infinito, eppure bisogna uscirne vincitori se non si vuole essere spazzati via dalla Storia. Allora anche i gas…
Perché dal quell’inizio di secolo nessuno ha rinunciato a questi arsenali. L’eterno meccanismo della deterrenza: gli altri li hanno, non possiamo restare indifesi… nessuno è riuscito finora a spezzarlo. Perché non c’è, in fondo, la scelta tra una guerra criminale, fuori dalle regole e una guerra pulita. È la guerra stessa che è un crimine.
Eppure Hitler non osò, i tedeschi non impiegarono i gas nella Seconda guerra mondiale, neppure sul fronte orientale dove l’ideologia nazista regrediva il nemico a sotto uomini, selvaggi contro cui le regole della guerra da gentiluomini non avevano valore. Non osò forse perché aveva provato i gas nelle trincee della Prima guerra mondiale. Altri dittatori, nel nostro tempo non hanno avuto lo stesso timore.
Saddam Hussein li ha usati nella guerra contro l’Iran e per punire i curdi. Non gli sembravano abbastanza decisi nel lottare contro le truppe di Khomeini, affidò la punizione a un tecnico della morte chimica, Ali Hassan al Majid: furono cinquemila morti, uomini donne bambini, irrigiditi in orrende pose da oranti. Il luogo Halabia 16 marzo 1988. Non c’erano maschere, protezioni. Non suonarono sirene. Nessuno sapeva, nessuno immaginava.
Il nome è scritto nella vergogna infinita del Novecento. E poi fu Bashar e il nome è Goutha. La sua guerra andava male, la rivoluzione sembrava inarrestabile nonostante disponesse di pochi mezzi, usò il quartiere ribelle per dare una lezione, per mostrare che non aveva scrupoli e nulla poteva fermarlo.
Anche qui abbiamo visto: bocche contratte nella supplica della tremenda agonia, l’anima sputata fuori in un grumo di bava e di sangue. La morte aveva modellato quella maschera, una sintesi perfetta della guerra. Dovremo guardare ancora? E il teatro di Dubrovka a Mosca, era il 2002, i terroristi ceceni e gli ottocento ostaggi russi? Un inutile assedio di due giorni, gli specnaz di Putin sembravano impotenti. Iniettarono un gas nel sistema di aerazione. Morirono anche 129 ostaggi. Chi diede l’ordine?
(da La Stampa)

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“CARI RUSSI, RIBELLATEVI AL TIRANNO PUTIN. GUARDATE GLI UCRAINI”

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

L’APPELLO DELLO SCRITTORE LITTELL

Cari amici russi: amici di lunga data, alcuni di voi, altri più recenti, e altri ancora che non conosco personalmente, amici nella mente e nello spirito. Anche voi state attraversando un momento drammatico. Come la vita di ogni singolo ucraino, anche la vostra, che mai è stata semplice, è oggi radicalmente sconvolta.
Molti di voi sono in fuga dalla Russia. E molti di voi mi hanno confessato di provare sensi di colpa e di vergogna per quello che il vostro Paese sta facendo al suo vicino. Per quello che sta facendo all’Ucraina in nome vostro. Alcuni di voi, gli attivisti, sono avvezzi a sentire sulla nuca la clava di ferro del potere, e già si preparano alla mazzata finale.
Ho scritto ad Aleksandr Cherkasov, un vecchio amico di Memorial. «Te lo farò sapere più tardi», mi ha risposto Sasha con il suo tipico piglio laconico. «In questo momento, dopo la perquisizione, stiamo annaspando tra le macerie, computer distrutti, casseforti sventrate».
Altri ancora, i protagonisti del mondo culturale, artisti, critici, scrittori, siete rimasti pietrificati davanti al collasso repentino del vostro fragile mondo.
Vergogna e colpevolezza
Nessuno di voi è schierato con Putin e il suo regime di ladri, è vero, per la maggior parte li odiate. Ma siamo sinceri: tranne che per pochissimi — quelli che lavorano per Memorial, Novaya Gazeta, Ekho Moskvy, Meduza, l’organizzazione di Navalny e uno sparuto manipolo di attivisti — quanti di voi hanno mai alzato un dito per opporsi al regime?
Salvo forse sfilare di tanto in tanto per le strade, quando si organizzava qualche manifestazione? Potrebbe darsi, allora, che i vostri sensi di vergogna e colpevolezza non siano altro che un concetto astratto? O forse nascono dalla vostra stessa apatia, dalla vostra lunga indifferenza a quanto accade attorno a voi, e dalla vostra complicità passiva, che oggi avvertite come una fitta dolorosa nel corpo e nell’anima?
I vostri errori
Non è sempre stato così. C’è stato un periodo, negli anni Novanta, quando avete goduto di una certa libertà e di uno spiraglio di democrazia: caotica, certo, talvolta sanguinaria, ma vera. E invece il 1991 si è rivelato la fotocopia del 1917. Può fare vittime a milioni, il tiranno, eppure, per qualche motivo, per voi resta sempre la scelta più sicura. Come si spiega? È vero, ci sono stati molti errori. Anziché assaltare gli archivi del Kgb per far emergere i suoi segreti alla luce del giorno, come i tedeschi dell’Est hanno fatto con la Stasi, vi siete distratti davanti alla statua di Dzerzinskij e avete permesso al Kgb di restarsene acquattato nell’ombra per riorganizzarsi, ricostituirsi e riprendersi la Russia.
Quando vi è stata presentata la scelta tra il saccheggio del Paese e il ritorno dei comunisti, non avete pensato di battervi per imporre una terza opzione, ma avete chinato il capo davanti alle razzie.
Nel 1998 la vostra economia era al collasso, e quell’anno segnò la fine delle manifestazioni di piazza per reclamare giustizia sociale e per condannare la guerra in Cecenia. Assicurare la vostra sopravvivenza: da allora non avete pensato ad altro.
I massacri in Cecenia
Poi è arrivato Putin. Giovane, spavaldo, aggressivo, ha giurato di annientare i terroristi e di rilanciare l’economia del Paese. In pochi gli avete creduto, ma avete comunque votato per lui, o vi siete astenuti. A quel punto Putin ha deciso di radere al suolo la Cecenia per la seconda volta, e quasi tutti voi avete chiuso gli occhi e voltato le spalle. Ricordo benissimo quegli anni. Ero in Cecenia, tra i volontari che si prodigavano per recare aiuto alle innumerevoli vittime dell’«operazione anti terrorismo» voluta da Putin, tra le macerie di Groznyi, Katyr-Yurt, Itum-Kale e altre città.
Di tanto in tanto tornavo a Mosca per riprender fiato, e ritrovavo gli amici alle feste. Si beveva, si ballava, e talvolta provavo a raccontarvi qualcosa degli orrori che avevo visto laggiù, i civili torturati, i bambini massacrati, i soldati che restituivano alle famiglie i corpi dei caduti in cambio di soldi, e voi mi dicevate: «Jonathan, siamo stanchi di sentir parlare della tua Cecenia».
Ricordo ancora distintamente quelle parole. E allora andavo su tutte le furie: «Ragazzi, non è la mia Cecenia, è la vostra Cecenia. È il vostro maledetto Paese, non il mio. Io sono solo uno stupido forestiero qui tra voi. È il vostro governo che bombarda le vostre città e stermina i vostri concittadini». Ma niente, era troppo complicato, troppo doloroso, non volevate sentirne parlare.
Soldi e buoni impieghi
Poi è arrivato il boom economico del primo decennio del nuovo millennio, alimentato dal rialzo dei prezzi del greggio e dalla strategia di Putin, che lasciò fluire verso la classe media parte delle risorse sottratte al Paese. Molti di voi hanno fatto soldi, alcuni di voi molti soldi, e persino i meno abbienti si sono assicurati appartamenti nuovi e impieghi ben retribuiti.
I prezzi salivano, ma perché allarmarsi, Mosca era diventata la capitale dalle mille luci sfolgoranti, chic, movimentata e divertente. Yuri Shchekochikhin, Anna Politkovskaya, Aleksandr Litvinenko, e altri ancora: molti di voi hanno espresso sgomento e orrore, ma tutto è finito lì.
Quando Putin, dopo due mandati, ha passato la presidenza al primo ministro per prenderne il posto, ve ne siete accorti appena, a quanto mi risulta. Quando la Russia, pochi mesi dopo l’inizio della presidenza di Medvedev, ha invaso la Georgia, gran parte di voi ha preferito ignorare il conflitto o ha tenuto la bocca chiusa. Negli anni successivi, quanti di voi ho incontrato sulle piste da sci di Gudauri, a spasso sui sentieri attorno a Kazbegi, oppure a godersi i caffè e i bagni turchi a Tbilisi, mentre il vostro esercito stringeva nella sua morsa una parte del Paese? Non che noi, qui in Occidente, abbiamo mosso un dito, devo ammetterlo. Qualche lamentela, qualche sanzione. Ma che cos’erano mai quelle banali violazioni della legge internazionale davanti alla fame globale di petrolio e gas, e alla possibilità di accedere al mercato interno della Russia?
Arresti a migliaia
Alla fine del 2011, però, voi, i miei amici russi, vi siete finalmente svegliati. Quando Putin ancora una volta si è scambiato le poltrone con Medvedev, sistemandosi nuovamente sul seggio presidenziale, molti di voi hanno visto in quella mossa l’ennesima mascalzonata, e siete scesi in piazza a protestare. Navalny si è fatto conoscere nel Paese e per sei mesi avete affollato le strade, facendo tremare il regime, scuotendolo dalla base. Ma la reazione non si è fatta attendere. Immediatamente, il regime ha organizzato le sue contromanifestazioni, per poi passare a leggi via via più repressive che hanno affollato le carceri. Siete stati arrestati a migliaia. Alcuni si sono visti infliggere lunghe pene detentive. Ma il resto ha rinunciato ed è tornato a casa. «Che altro avremmo potuto fare?» è la frase che ho sentito ripetere tante volte, e che ripetete ancora adesso. «Lo Stato è fortissimo, noi siamo deboli».
L’esempio di piazza Maidan
Ebbene, guardate gli ucraini. Guardate quello che hanno saputo fare loro, due anni dopo di voi. Hanno occupato piazza Maidan, infuriati contro un presidente filorusso che aveva tradito la promessa di avvicinarli all’Europa, e non se ne sono più andati. Hanno eretto una tendopoli, interamente autogestita, pronti a tutto per difenderla. Quando è arrivata la polizia per disperderli, si sono opposti con la forza, imbracciando bastoni e spranghe di ferro e lanciando bombe molotov. Alla fine, la polizia ha aperto il fuoco. Ma invece di scappare, la folla di Maidan è passata all’attacco.
Ci sono state molte vittime, ma gli ucraini hanno vinto. Yanukovich è stato costretto alla fuga e il popolo ha riconquistato la democrazia, il diritto di scegliersi i governanti e di mandarli a casa se non mantengono gli impegni presi.
La Crimea invasa
A Putin, la storia di piazza Maidan non è mai andata giù. Un pessimo esempio. Allora ha deciso di occupare la Crimea, approfittando del momento di incertezza generale. Alcuni di voi hanno protestato, ma invano. Tanti, invece, erano entusiasti. Il 91 per cento della popolazione russa si è dichiarato favorevole all’annessione, se non ricordo male. «Fantastico! La Crimea è nostra!», esultavano i vostri connazionali, improvvisamente ebbri di gloria imperiale. Non parlo delle popolazioni più povere, negli angoli più sperduti e dimenticati del Paese, dove alla politica altro non si chiede che vodka e patate, ma di alcuni di voi, i miei amici, e per di più gli amici personali. Parlo di scrittori, editori, intellettuali. Lo stesso si è ripetuto con il Donbass. Novorossia. La Nuova Russia.
Contatti interrotti
Di colpo, ecco emergere un nuovo mito, e alcuni di voi, che fino ad allora avevano disprezzato Putin e la sua claque, si sono ricreduti e hanno cominciato a venerarlo. Non so ancora perché, ma in brevissimo tempo i nostri contatti si sono interrotti. In quanto agli altri, quelli di voi che mi sono rimasti fedeli, avete preferito tacere. «Non mi interesso di politica», dicevate. Per poi passare a discutere di letteratura, film, cataloghi Ikea, o andare a godervi i nuovissimi parchi che il sindaco di Mosca ha regalato ai suoi concittadini dal 2012 in poi, con i loro divani accoglienti e il wi-fi gratuito e i caffè alla moda, frequentati dagli anticonformisti. Sì, il Donbass era lontano, mentre Mosca era in ascesa, sempre più gettonata.
La Siria e i terroristi
La Siria, ve ne siete accorti di sfuggita. Ad ogni modo, si trattava di terroristi, o no? L’Isis, o come diavolo si chiama. Persino il mio editore di Mosca, che ha pubblicato il mio libro sulla Siria, lo ha poi criticato in un’intervista, sostenendo che io non avevo capito nulla di quello che stava accadendo laggiù. Gli unici russi sbarcati in Siria sono stati i militari, e costoro, nel 2015, hanno cominciato a bombardare migliaia di civili in una sorta di addestramento per la guerra successiva, quella vera.
Putin si accanirà su di voi
Molti di voi, ne sono certo, conoscono le celebri parole del pastore protestante tedesco Martin Niemöller: «Per primi, rastrellarono i socialisti, e io non dissi niente perché non ero socialista. Poi fermarono i sindacalisti, e io non dissi niente perché non ero sindacalista. Poi catturarono gli ebrei, e io non dissi niente, perché non ero ebreo. Poi vennero a prelevarmi, e non era rimasto nessuno a protestare per me».
Quanti di voi hanno protestato per i ceceni, per i siriani o per gli ucraini? Alcuni di voi l’hanno fatto. Ma tanti, troppi, hanno taciuto.
Alcuni, è vero, stanno protestando in questo momento, come Dmitry Glukhovsky, Mikhail Shishkin, Mikhail Zygar, Maksim Osipov e altri ancora. Molti fanno sentire la loro voce dall’estero, pochissimi dall’interno del Paese, come Marina Ovsyannikova, che non ha esitato davanti al rischio di andare a raggiungere Navalny nel Gulag.
Riguardo agli altri, voi conoscete a fondo il vostro Paese, meglio di chiunque straniero. Pertanto sono convinto che siete ben consapevoli di questo: quando Putin avrà finito con gli ucraini — e peggio ancora, se non riuscirà a massacrarli tutti, come pare assai probabile — si accanirà su di voi.
Che cosa vi aspetta
Mi rivolgo a voi, amici miei: a coloro che hanno avuto il coraggio di scendere in strada a protestare, spesso individualmente, e hanno ricevuto per adesso solo pene leggere, sappiate che ben presto ne riceverete di ben più pesanti. Alle migliaia di cittadini russi che hanno firmato petizioni, o espresso la propria condanna del regime sulle reti social (fosse anche solo con un quadratino nero su Instagram), o parlato in privato con i colleghi di lavoro: già sapete come andrà a finire. I giorni in cui eravate privati della libertà per dieci anni, o anche venticinque, per una barzelletta, non sono tramontati nel lontano passato, anzi, si profilano ancor più minacciosi nel futuro immediato. E allora chi potrà protestare per voi, se non resterà più nessuno?
Se si è scaltri e coraggiosi
Gli ucraini, oggi ancor più che nel 2014, incarnano un esempio terrificante per il regime di Putin: stanno dimostrando che è possibile opporsi a lui con le armi in pugno. Se si è scaltri, motivati e coraggiosi, Putin può essere fermato, malgrado la sua schiacciante superiorità di mezzi e uomini. Si direbbe che quasi nessuno in tutta la Russia sia al corrente di quanto sta accadendo, pare anzi che nessuno sappia che si sta combattendo una vera guerra ai vostri confini. Ma voi, amici miei, voi sapete benissimo di che si tratta realmente. Voi leggete i notiziari esteri su internet, voi tutti avete amici o parenti. E anche Putin sa che voi sapete. Fate attenzione.
Scappate o sarete schiacciati
Sappiamo da che parte soffia il vento. I giorni della bella vita in cambio del vostro silenzio sono finiti. Le vostre elezioni sono una farsa, le vostre leggi, a parte quelle repressive, non valgono la carta sulla quale sono scritte, le vostre ultime fonti di informazione indipendenti sono sparite, la vostra economia sta precipitando nel baratro più in fretta del tempo che mi occorre per scrivere queste righe, non potete più utilizzare le vostre carte di credito per comprare un biglietto aereo per fuggire dal Paese, ammesso che ci siano ancora voli consentiti. Oggi Putin non si accontenta più del vostro silenzio, ma reclama da voi anche consenso e complicità. E se non volete sottomettervi, cercate scampo nella fuga, in qualunque modo possibile, o resterete schiacciati. Altre possibilità? Dubito che ve ne siano.
Una possibilità c’è
Eppure ne resta ancora una. Quella di rovesciare finalmente questo regime. È probabile che ci vorrà meno di quello che immaginate, nella situazione attuale. Riflettete. La scintilla non verrà da voi. Con la catastrofe economica che sta per travolgere la Russia, l’innesco verrà dalle province, dalle città minori: quando i prezzi schizzano verso l’alto e gli stipendi non vengono più corrisposti, tutti coloro che hanno votato per Putin in questi lunghi anni, perché prometteva pane e pace, scenderanno nelle strade. Putin lo sa, e teme gli intellettuali e il ceto medio di Mosca e di San Pietroburgo: vale a dire voi, cari amici. Ma se ogni città manifesta per proprio conto, come già accaduto a varie riprese, non gli sarà difficile spegnere le ribellioni con la forza, una ad una.
L’opportunità internet
Occorrerà coordinare le mosse, organizzarsi. Le folle dovranno trasformarsi in masse. Avete tra le mani questo strumento magico e straordinario chiamato Internet, che il regime può tentare di bloccare, ma che continuerà a funzionare, e che si potrà far funzionare in qualsiasi circostanza. L’organizzazione di Navalny è stata smantellata, ma altre potranno vedere la luce, più informali, meno centralizzate. Siete numerosissimi, siete milioni di cittadini. La polizia di Mosca può tener testa a trentamila persone nelle strade, forse a centomila. Ma se si trova davanti trecentomila manifestanti, sarà sopraffatta. Dovrà far intervenire l’esercito, ma questo esercito sarà disposto a combattere per Putin, alla resa dei conti? Dopo quello che è stato costretto a fare in Ucraina, dopo il trattamento che gli è stato riservato?
Un modo per farcela
I rischi saranno immensi, ovviamente. In Siria, e oggi in Ucraina, Putin vuole mostrarvi con l’esempio quello che accade a un popolo che osa sfidare il suo khozein, e osa non solo chiedere la libertà, ma lotta per conquistarsela.
Se non farete nulla, anche in quel caso le perdite saranno dolorose. E lo sapete. Vostro figlio azzarderà una battuta in una chat dei video giochi, e sarà arrestato. Vostra figlia esprimerà la sua indignazione su Internet, e sarà arrestata. Un vostro caro amico farà uno sbaglio e morirà in una squallida cella sotto i bastoni della polizia.
È quanto sta accadendo ormai da anni, e continuerà ad accadere, e sempre più spesso, su scala sempre più vasta. Non avete altra scelta. Se non vi muovete, sapete già come andrà a finire. Adesso è il momento della vostra piazza Maidan.
Siate audaci e scaltri, pianificate la vostra strategia, e trovate un modo per farcela.
(da agenzie)

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“VAI FUORI, RAZZISTA“: IN GUADALUPE MANIFESTANTI DI DESTRA FANNO IRRUZIONE DURANTE UNA INTERVISTA ALLA TV DI MARINE LE PEN

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

NELLE ANTILLE FRANCESI STRAPPANO DI MANO IL MICROFONO ALLA SOVRANISTA, MESSA IN SALVO DALLE GUARDIE DEL CORPO

Un gruppo di manifestanti ha fatto irruzione durante il programma che Marine Le Pen stava registrando nel suo hotel a Le Gosier, comune francese nelle Antille.
Gli attivisti si sono presentati come nazionalisti locali di Guadalupa, il dipartimento dove si trova Le Gosier.
Le Pen avrebbe ricevuto «un colpo alla schiena» mentre alcuni attivisti le avrebbero «strappato il microfono alla candidata».
Tra i manifestanti c’era Laurence Maquiaba, che ha detto di voler «impedire che il messaggio di Marine Le Pen venisse trasmesso. Gli abitanti di Guadalupa non vogliono questa persona e un partito che non è affatto cambiato».
Nel filmato le guardie del corpo di Marine Le Pen tentano di proteggerla, mentre i manifestanti le urlavano «Fuori, razzista». Il presidente Emmanuel Macron ha condannato quello che è successo.
(da agenzie)

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“PRIMA SFILAVO, ORA USO IL KALASHNIKOV”: LA STORIA DELLA 33ENNE UCRAINA MARIA KOZIJ, MODELLA CHE HA DECISO DI IMBRACCIARE I FUCILI PER DIFENDERE IL SUO PAESE INVASO DAI RUSSI

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

“SONO UN PERSONA PACIFICA, MA SE QUALCUNO ATTACCA ME, LA MIA FAMIGLIA E I MIEI AMICI, SONO PRONTA A DIFENDERMI” – “VOGLIO AIUTARE A RICOSTRUIRE L’UCRAINA CHE I RUSSI HANNO DISTRUTTO CON LE BOMBE E LE BUGIE”

Maria Kozij ha 33 anni, è ucraina e di professione fa la modella. Fino a poco tempo fa il suo lavoro l’ha portata dappertutto: Parigi, Milano, il mondo, come scrive nel suo profilo Instagram, che racconta di un passato recente fatto di passerelle e servizi fotografici.
Ora vive a Leopoli, a 70 chilometri dalla Polonia: a differenza di altri lei ha deciso di rimanere e di non fuggire. «Molte donne con i bambini piccoli lo fanno e credo che sia una decisione saggia. Ma io voglio aiutare le persone che hanno bisogno di me», dice al telefono, nel tragitto da casa sua alla scuola, che oggi è diventata un rifugio e allo stesso tempo un campo di addestramento per i cittadini che vogliono resistere e combattere.
La paura, e non solo delle bombe, è comunque la sua nuova compagna di vita. «Ogni giorno qui imparo a usare il kalashnikov, un allenatore mi dice come fare», racconta. Il suo «trainer» è un ex militare finlandese arrivato in Ucraina per aiutare la resistenza: dal 24 febbraio, il giorno in cui Maria ha scelto di diventare un’attivista, le insegna a usare la mitragliatrice, per potersi difendere in caso di attacco.
«Sono un persona pacifica, non mangio neppure cibo che provenga da organismi uccisi. Ma se qualcuno attacca me, la mia famiglia e i miei amici, sono pronta a difendermi», spiega Maria.
A marzo avrebbe dovuto essere alla Fashion Week di Parigi, ma per lei c’era un appuntamento più importante: «Difendere la mia gente». Quando imbraccia il kalashnikov c’è un pensiero di sottofondo: non doverlo usare mai, non averne bisogno. «Significherebbe che devo difendere me o qualcuno vicino a me. Non mi fa paura usare un’arma, ho paura dei russi e di quello che può accadere a una donna in un paese in guerra».
La sua carriera di modella è iniziata a 14 anni, in Ucraina: dopo gli studi in arte e giornalismo ha iniziato a viaggiare il mondo. «Dall’età di 24 anni ho cominciato a calcare le passerelle milanesi e quelle di Parigi e voglio tornare a farlo, ho parecchi appuntamenti in calendario: ma lo farò solo quando avremo vinto, saremo liberi e avrò dato il mio contributo per far ripartire la cultura, l’economia, l’arte e la musica. Prima delle guerra ho fatto parte del comitato organizzativo del LvivMozart organizzato da Oksana Lyniv».
Racconta che sono sempre di più le donne che ogni giorno vanno alla scuola per imparare a difendersi e, proprio come lei, a prendere confidenza con le armi. «L’altro ieri abbiamo accolto una donna che è arrivata con un bimbo di appena 5 mesi e anche mia sorella, che ha 20 anni, ha iniziato l’addestramento. Siamo entusiaste di poter imparare a difenderci: ci sono molte donne che oggi combattono in modo ugualmente coraggioso a quello degli uomini».
La sua vita, fatta di appuntamenti mondani e showroom, oggi è cambiata radicalmente: prima c’erano gli shooting per Charme de la Mode, la sua agenzia parigina, e quelli per Industria Models, quella milanese.
Oggi ci sono l’addestramento, la ricerca continua di un luogo sicuro dove rifugiarsi e il timore di poter essere colpiti. Nessuna delle persone a lei vicine è stata uccisa, ma le arriva l’eco di bambini, donne incinte e persone indifese rimaste travolte dal conflitto.
«Eppure non ho mai pensato nemmeno una volta che sarei morta: ho troppe cose da fare, voglio aiutare a ricostruire il mio Paese che i russi hanno distrutto con le bombe e le bugie. Quello che abbiamo imparato è che dobbiamo essere forti non solo a resistere a questa guerra, ma a far sì che la guerra non esista mai più. Possiamo farlo solo ricostruendo le nostre scuole e diffondendo la cultura della pace nelle nuove generazioni».
(da il “Corriere della Sera”)

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ARMATA ROTTA: FATTO FUORI UN ALTRO GENERALE RUSSO, È IL SETTIMO DALL’INIZIO DELLA GUERRA

Marzo 27th, 2022 Riccardo Fucile

SI TRATTA DI YAKOV REZANTSEV, 48 ANNI, ERA IL COMANDANTE DELLA 49ESIMA ARMATA DEL DISTRETTO MILITARE MERIDIONALE… AVEVA DETTO AI SUOI SOLDATI CHE AVREBBERO VINTO IN POCHE ORE (SIAMO AL 32ESIMO GIORNO)

Putin perde un altro generale nel trentaduesimo giorno di guerra in Ucraina. Il generale russo Yakov Rezantsev, 48 anni, è stato ucciso in un attacco vicino alla città meridionale ucraina di Kherson.
La conferma dell’uccisione è arrivata dal ministero ucraino della Difesa citato dalla Bbc. Secondo una fonte occidentale si tratterebbe del settimo generale dell’esercito russo rimasto ucciso in Ucraina.
Il militare 48enne era il comandante della 49esima armata combinata del distretto militare meridionale, e il quarto giorno dell’invasione avrebbe detto ai suoi soldati che la loro campagna di “smilitarizzazione e denazificazione” dell’Ucraina sarebbe stata vittoriosa nel giro di poche ore, secondo alcune comunicazioni intercettate rilasciate dall’esercito di Kiev.
(da agenzie)

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