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SONDAGGIO SWG: SALGONO ANCORA FDI E PD, SCENDONO LEGA, M5S, FORZA ITALIA E AZIONE

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

FDI 23,8%, PD 22,1%, LEGA 14%, M5S 11,2%, FORZA ITALIA 7,4%, AZIONE + EUROPA 4,9%, VERDI+ SINISTRA 3,8%, ITALIA VIVA 2,7%, ITALEXIT 2,5%, MDP 2,3%

Quando saranno le prossime elezioni politiche? La risposta ancora non è certa, ma la crisi del governo Draghi sembra complicarsi di ora in ora per via dell’irrigidimento delle posizioni di alcuni partiti e tutto può deflagrare rapidamente portando alle urne in poche settimane.
Se l’attuale esecutivo dovesse cadere, infatti, molti partiti premerebbero per tornare il prima possibile alle elezioni – anche se non sarebbe da escludere, in ogni caso, un nuovo governo tecnico guidato da un altro profilo simile a Draghi – e il Presidente Mattarella potrebbe decidere di sciogliere anticipatamente le Camere.
E i sondaggi politici cosa dicono? Secondo l’ultima rilevazione di Swg per il Tg La7 il quadro che si sta consolidando vede in testa sempre lo stesso partito.
Il primo partito nelle intenzioni di voto dei cittadini è sempre Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che cresce dello 0,3% rispetto al sondaggio della scorsa settimana e raggiunge il 23,8%. È record, almeno nelle rilevazioni.
Insegue ancora una volta il Partito Democratico di Enrico Letta, che invece cresce dello 0,4% recuperando un decimo di punto agli avversari ma senza superare il 22,1%.
La Lega di Matteo Salvini, intanto, crolla di un altro mezzo punto e scivola al 14,0%.
Ma a esser messo ancora peggio è il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che dai sondaggi è preoccupato eccome: meno 0,3% e crolla all’11,2%.
Forza Italia di Silvio Berlusconi è sempre il primo partito sotto i dieci punti e resta determinante per la coalizione di centrodestra, qualora si andasse alle elezioni anticipate, infatti, senza gli azzurri non ci sarebbero molte chance di vittoria. Secondo il sondaggio elettorale, però, perde lo 0,4% e cala al 7,4%.
A seguire c’è la federazione tra Azione di Carlo Calenda e +Europa, che cala dello 0,2% e scende al 4,9%, tallonata da un’altra federazione: quella tra i Verdi e Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni, che perde lo 0,1% e cala al 3,8%.
Italia Viva di Matteo Renzi, invece, cresce dello 0,1% e raggiunge il 2,7%, inseguito da Italexit di Gianluigi Paragone al 2,5% (frutto di un più 0,3%).
Chiudono Mdp – Articolo 1 del ministro Speranza al 2,3% (più 0,1%) e Noi con l’Italia all’1,0%.
(da agenzie)

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CONTE, IL PALADINO DEL SUOCERO: GRAZIE A UN GIOCHINO LEGISLATIVO PRODOTTO QUANDO IL FIDANZATO DELLA FIGLIA ERA A PALAZZO CHIGI, CESARE PALADINO È RIUSCITO A FAR AUMENTARE IL VALORE DELL’HOTEL PLAZA DI 245 MILIONI DI EURO. IL TUTTO SENZA PAGARE UN EURO DI TASSE

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

GRAZIE ALLA RIVALUTAZIONE DEI BENI DI IMPRESA CONSENTITA DA UNA DELLE NUMEROSE LEGGINE COVID FIRMATE DA CONTE

La vendita formalmente non è ancora avvenuta, anche se sono confermate dallo stesso Cesare Paladino le trattative in corso per la cessione del suo Hotel Plaza di Roma, nella centralissima via del Corso.
Intanto il suocero di Giuseppe Conte ha ripulito il bilancio della società che possiede le mura dell’hotel, la Immobiliare di Roma Splendido, utilizzando a distanza una magia legislativa che porta ancora la firma del fidanzato della sua bella figlia, Olivia.
Grazie a quella il Plaza è aumentato di valore di 245.500.000 euro, 49.100.000 dei quali «relativi al terreno sottostante al fabbricato». Un bel salto patrimoniale, visto che l’anno prima risultava a bilancio per 93,8 milioni di euro.
Tutto possibile senza pagare un euro di tasse grazie alla rivalutazione dei beni di impresa consentita da una delle leggine Covid che portava la firma di Conte.
RIVALUTAZIONE GRATUITA
È lo stesso suocero del leader M5s a scrivere da amministratore unico della società a spiegare la legittimità della operazione: «L’immobile strumentale ad uso alberghiero, è stato sottoposto a rivalutazione beneficiando delle disposizioni previste dall’applicazione dell’articolo 6- bis del Dl n. 23/2020 (d e c reto «Liquidità»), che ha consentito la rivalutazione gratuita dei beni d’impresa, misura messa in campo già lo scorso anno a sostegno del settore alberghiero e termale particolarmente danneggiato dalle limitazioni imposte per arginare la diffusione del Covid-19».
Ancora una volta dunque per Paladino ci sarebbe da fare santo subito il fidanzato della figlia. Grazie a decreti e dpcm firmati da Conte ha infatti potuto tenere in piedi il Plaza, mantenere con la cassa integrazione persino i figli, evitare con le rateizzazioni la guerra con la Agenzia delle Entrate e perfino uscire dai guai giudiziari in cui si era infilato per il mancato pagamento della tassa di soggiorno al comune di Roma in periodo molto precedente alla pandemia grazie alla depenalizzazione del reato di peculato inserita in uno di quei provvedimenti .
CESSIONI E OPERE D’ARTE
L’operazione rivalutazione del Plaza ha comportato – continua l’amministratore unico della Immobiliare Splendido – «un miglioramento degli indici di patrimonializzazione dell’impresa e pertanto del rating creditizio».
Notizia che ovviamente conta con le banche creditrici che hanno sottoscritto un patto sulla ristrutturazione del gruppo e che si accompagna alla prima cessione di attività non strategica: «Durante l’esercizio – scrive ancora il suocero di Conte – la società ha ceduto inoltre un immobile ad uso abitativo per euro 5.750.000, al fine di ottemperare all’accordo sottoscritto nell’esercizio precedente così da saldare il debito residuo per euro 4.500.000 verso l’istituto di credito interessato. La vendita ha generato una minusvalenza di euro 963 .940» .
A bilancio la società proprietaria dell’hotel Plaza (dove lavora per altro la figlia di Paladino, nonché fidanzata del leader M5s) ha altri preziosi beni materiali: «In particolare opere d’arte iscritte in bilancio al loro valore di acquisto pari a euro 3.794.118. Si tratta di quadri, mobili, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, di cui dispone la società per motivi legati alla rappresentanza, al lustro e all’importanza che certe opere possono dare nei luoghi in cui sono collocate; pertanto non essendoci la volontà di cedere le opere d’arte, le stesse vengono collocate in bilancio tra le immobilizzazioni.
Per tali immobilizzazioni non è applicabile un piano di ammortamento legato alla perdita di utilità economica del bene nel corso del tempo, in quanto, non solo l’o p e ra non perde valore nel tempo, ma può incrementarlo in ragione della notorietà dell’a rtista e del trascorrere del tempo» .
AFFITTO A BUON MERCATO
La Immobiliare controlla anche un’altra società, la Uneal (unione esercizi alberghi di lusso), che ha per oggetto la gestione alberghiera vera e propria del Plaza, che ha riaperto dopo più di due anni di fermo per la pandemia solo qualche settimana fa. Per questo motivo è stato contabilmente scontato buona parte del fitto riscosso, che ammonterebbe a prezzo pieno a 8 milioni di euro l’anno ed è diventato invece di 3,5 milioni.
Assai più contenuto (12 mila euro l’anno) il fitto invece pagato – per un appartamento all’ultimo piano dell’Hotel Plaza, una sorta di attico – da un inquilino speciale: lo stesso Paladino, suocero appunto di Conte. Il prezzo in quella zona di Roma sarebbe basso per un monolocale, è certamente assai generoso per un appartamento con vari saloni e camere come quello abitato dall’amministratore unico della società.
FISCO: TRATTATIVE IN CORSO
Nella nota integrativa al bilancio lo stesso Paladino spiega che il piano di ristrutturazione del gruppo – che comprende numerose altre società partecipate anche dalle figlie – è stato rinviato rispetto alle scadenze concordate del primo semestre 2022 «anche alla luce di possibili sviluppi in merito a trattative con investitori nazionali ed internazionali».
Trattative invece ancora in corso con il fisco per le non banali pendenze esistenti: «La società prosegue nel suo obiettivo di risolvere le pendenze con l’Agenzia delle Entrate ricorrendo, ove possibile, alla rateizzazione delle somme dovute generatisi nel corso dei passati esercizi».
Non entusiastica la relazione del revisore dei conti, Massimo Agostini, che scrive nero su bianco: «Le informazioni reperite, anche per effetto di carenze nell’impianto contabile e nei sistemi di gestione dei dati all’interno dell’azienda, non permettono una verifica puntuale delle poste di bilancio; tuttavia, sono state richieste tutte le delucidazioni necessarie ad avere la maggior comprensione possibile dei fenomeni manifestatisi nel corso dell’esercizio».
E aggiunge: «Nella consapevolezza che la nomina e avvenuta oltre la chiusura dell’eserci – zio relativo all’anno 2021(…) e in presenza di un’incertezza significativa, sono tenuto a richiamare l’attenzione nella relazione di revisione sulla relativa informativa di bilancio, ovvero, qualora tale informativa sia inadeguata, a riflettere tale circostanza nella formulazione del nostro giudizio».
(da Verità & Affari)

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BRUNO TABACCI: “ALLE ELEZIONI IL CENTROSINISTRA DOVREBBE DICHIARARE DA SUBITO CHE, SE VINCESSE, L’UNICO PREMIER POSSIBILE SAREBBE DRAGHI”

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

“CI VORREBBE UNA COALIZIONE CHE GUARDI ALL’ASSE ATLANTICO, CON IN CIMA AL PROGRAMMA L’ATTUAZIONE DEL PNRR, UNA GRANDE SFIDA CHE CI TIENE IMPEGNATI PER QUATTRO DEI CINQUE ANNI DELLA PROSSIMA LEGISLATURA”

«Se si andasse a votare, il centrosinistra dovrebbe presentarsi con una larga coalizione dichiarando fin da subito che, se vincesse, l’unico premier possibile sarebbe Mario Draghi»: Bruno Tabacci, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Economia, da quarant’anni amico del premier, guarda avanti e già questo di per sé conferma la gravità della situazione. «Ogni italiano, avendo di fronte una sfida per la premiership tra una figura del suo calibro e la Meloni, capirebbe quale sia la posta in palio».
Ma cosa può succedere da qui a mercoledì per convincere Draghi a restare?
«Hanno avuto un peso notevole i segnali di questi giorni di sindaci e categorie economiche e i tantissimi apprezzamenti in sede europea e internazionale. C’è un’evidente esigenza di continuità del ruolo di Draghi. E se la crisi domani fosse confermata, ci saranno tensioni sul piano di finanza pubblica e per la risalita dello spread. E rischiamo di perdere 21,8 miliardi di fondi del Pnrr, perché le 55 condizioni per ottenere le risorse Ue non potranno essere rispettate».
Come scongiurare questo quadro a tinte fosche?
«Vedo che pure Berlusconi e Salvini pongono un veto ai 5 stelle, anche se il Movimento come tale non c’è più e la sua rappresentanza è disarticolata tra chi è contro e chi a favore del governo. In tal senso anche loro non sono meglio di Conte, usano un alibi in maniera furbesca. Quindi, per diradare le nubi non ho dubbi che Draghi farà un discorso di verità mettendo avanti gli interessi del Paese. Ma se le risposte delle forze politiche fossero cariche di ambiguità, a differenza della partecipazione preoccupata che hanno mostrato le categorie produttive e le rappresentanze sociali, non resterà che prenderne atto».
E il fronte progressista, privato dei 5 stelle di Conte, come dovrebbe prepararsi alla campagna elettorale?
«Sarà un confronto decisivo per il futuro dell’Italia, nessuno può pensare di fare l’osservatore. E se vi fosse un’impostazione seria dell’offerta politica, l’esito delle elezioni non sarebbe scontato. Ci vorrebbe uno schieramento ampio di centrosinistra, che si ispiri ai progressisti, agli ambientalisti, alle forze più responsabili del Paese – ben rappresentate dall’appello dei sindaci – e che guardi all’asse atlantico come punto di equilibrio dell’assetto mondiale. Con in cima al programma l’attuazione del Pnrr, una grande sfida che ci tiene impegnati per quattro dei cinque anni della prossima legislatura. E questo schieramento dovrebbe sottoporre agli elettori l’impegno che se vincerà proporrà a Mattarella come premier Mario Draghi».
E secondo lei Draghi accetterebbe questa investitura?
«Ma perché? Forse c’è bisogno dell’accettazione preventiva? Un anno e mezzo fa di fronte alla chiamata del capo dello Stato un uomo delle istituzioni come Draghi poté dire di no? Noi riteniamo che il programma di questa coalizione possa essere l’azione di governo e che la figura giusta per rappresentarla a Palazzo Chigi sia la sua».
Sarebbe possibile coinvolgerlo senza gettarlo nella mischia della campagna elettorale?
«Certo che sarebbe possibile, se il centrosinistra indicasse questa intenzione e si muovesse coerentemente. E del resto, il Pd e la sinistra sono state le forze più funzionali al suo governo. Non si può negare che Letta si sia comportato in modo coerente».
Che ostacoli possono frapporsi a un simile disegno?
«Si tratta di organizzare una coalizione ampia, senza il partito di Conte, con la forza di Di Maio e una parte rilevante di quella storia del Movimento; con i partiti di area progressista e con le forze che ambiscono a superare lo sbarramento al 3% di questa legge elettorale. E perché no, se convinti, anche alcuni ministri del centrodestra – o chi ne sia già uscito come Toti – non attratti dal rapporto con Salvini, che si considerano draghiani a pieni carati».
Ma il Pd come potrebbe accettare una simile prospettiva abdicando alla premiership in caso di vittoria?
«Ma perché non dovrebbe, se Letta è stato il più puntuale sostenitore di Draghi? Qualcuno davvero pensa che Draghi non sia un politico? Lo è da tempo ed ha anche un taglio sociale di grande evidenza».
(da La Repubblica)

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MISSILI A LUNGA GITTATA E OBIETTIVI POLITICI: PERCHÉ GLI USA NE HANNO FORNITI SOLO 12?

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

IL SUPPORTO DI WASHINGTON È “CONTROLLATO” PER EVITARE TENSIONI CON MOSCA, MA SE AVESSERO CONSEGNATO I 60 PROMESSI PER I RUSSI SI METTEREBBE MALE

Sul taccuino militare le analisi belliche accompagnano quelle più politiche: è questo il doppio binario della crisi in attesa che l’Armata dia concretezza alle disposizioni del Cremlino.
Nell’arco di 48 ore, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha ordinato per due volte di concentrare l’azione sui sistemi d’artiglieria a lunga gittata ucraini: è una conferma evidente di come gli Himars – appena 12 esemplari in dotazione a Kiev – e alcune armi analoghe stiano incidendo sulle operazioni.
Non cambiano l’assetto strategico, però, come prevedibile, complicano la missione dell’Armata: distruggono siti importanti (depositi, snodi logistici); costringono gli invasori a spostare i centri per le munizioni lontano dalla linea ferroviaria e a ricorrere a trasferimenti con i camion, quindi maggiore sforzo e tempi più lunghi; accrescono l’insicurezza nelle retrovie.
Ripercussioni vi sarebbero anche sul fronte navale. Fonti da Odessa sostengono che numerose unità della Flotta del Mar Nero hanno lasciato la base russa di Sebastopoli per trasferirsi più a Oriente.
Una mossa legata alla minaccia dei missili ucraini, mezzi con un raggio d’azione più ampio.
L’Ucraina ha appena 12 Himars, a questi si aggiungono alcuni lanciarazzi M270.
Davvero pochi. I collaboratori di Zelensky ne avevano chiesti 300, gli analisti hanno replicato che avrebbero potuto accontentarsi di una sessantina. Tutto ciò rientra nel tema delle forniture.
Washington è stata molto generosa, tuttavia non è chiaro perché non abbia garantito un numero maggiore di pezzi: riemerge quindi l’impressione di un supporto esteso quanto «controllato», giustificato da alcuni come un tentativo di non creare tensioni aggiuntive con il Cremlino.
Interessante che Kathy Warden, presidente della Northtrop Grumman, una delle società leader nel settore armamenti, abbia sollecitato indicazioni precise su scorte, necessità di produzione, su cosa sia prioritario mettere a disposizione.
Richiami a non rallentare la solidarietà sono stati rivolti da Svezia e Finlandia, due Stati decisi a contrastare le mosse di Putin e per questo disposti a garantire un flusso continuo di materiale in favore di Kiev. L’Ue ha risposto indirettamente stanziando lunedì altri 500 milioni di euro. L’impressione è che vi sia il timore di un calo di «entusiasmo» da parte di alcuni partner atlantici nel supporto agli ucraini
(da agenzie)

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LO STORICO INVIATO DI GUERRA, BERNARDO VALLI: “NESSUNO PUÒ ACCETTARE UNA PACE CHE PREVEDA UN’UCRAINA DIVISA”

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

“IL GOVERNO DI KIEV NON PUÒ ACCETTARE UNA MUTILAZIONE, NÉ PUÒ FARLO L’OCCIDENTE, DOPO UN SIMILE DISPIEGO DI MEZZI” … “IL BLITZ FALLITO SU KIEV HA SPIAZZATO I VERTICI MILITARI RUSSI E INCRINATO I RAPPORTI COL CREMLINO”

Si ritrova il passo del grande inviato nelle considerazioni che Bernardo Valli, storica firma di Repubblica, accetta di condividere nel corso della nostra conversazione sulla guerra in Ucraina.
«Una guerra vecchio stampo», dice, che forse anche per questo consente l’emersione di ricordi che sono piccoli gioielli: «Non sono in molti a sapere che nel Donbass, durante la seconda guerra mondiale, furono tantissimi gli italiani che rimasero fra i prigionieri», né che tra le caratteristiche della leadership ucraina «si ritrova la forza di quegli ebrei che sfuggirono ai nazisti, poi ai comunisti, e persino agli stessi avversari interni che ne volevano l’eliminazione, una cosa che sa di rivincita, ma anche di compensazione». Ci troviamo di fronte a una guerra di attrito, con grande impiego di uomini e mezzi.
Bernardo Valli, come si esce da una guerra così?
«Prima di tutto bisognerebbe capire come ci si è entrati, in questa guerra. La fila di carrarmati che nelle fasi iniziali premeva alle porte di Kiev riassume la situazione in modo plastico: i russi dovevano occupare Kiev e compiere così un gesto decisivo, invece quella colonna si è dispersa, la guerra si è frantumata, ed è chiaro che da allora c’è stato un cambio di strategia, da parte russa, sia sugli obiettivi che sulle conseguenze. Il problema è che né gli uni né gli altri sono ancora molto chiari».
Quali sono?
«Innanzitutto: la Russia vuole occupare tutta l’Ucraina o mantenere quel 20 per cento di popolazione nel Donbass? La mia impressione è che dopo quello smacco iniziale, i militari – con cui Putin è legato a doppio filo da tempi molto remoti – siano entrati in confusione, e per un verso non abbiano perdonato a Putin quell’invasione generalizzata, che aveva il fine di annettere l’Ucraina con un colpo di mano. E poi non sono stati in grado di gestire quella diversa Ucraina che si sono trovati di fronte: gli schemi usati fino a quel momento per interpretare gli stratificati rapporti complessi tra i due Paesi non funzionavano più. È evidente che il governo di Kiev non può essere disposto ad accettare una mutilazione, né può esserlo l’Occidente, dopo un simile dispiego di mezzi».
Quando Putin agita lo spettro dell’atomica c’è da avere paura o si tratta di un riflesso da guerra fredda?
«Soprattutto è un segno di irresponsabilità politica seria, perché l’impiego dell’atomica, Putin lo sa benissimo, implica una risposta. Questa cosa però dice molto sul personaggio Putin, un uomo che è cresciuto – da agente del Kgb nella Germania orientale fino a presidente della Federazione Russa – grazie all’aiuto dei militari, un aiuto che costituisce un’ipoteca sulla sua intera azione politica. Se i militari oggi siano soddisfatti di lui è un punto interrogativo. Come del resto lo è anche per Zelensky, visti gli ultimi licenziamenti ai vertici di Kiev».
La diplomazia è spaccata tra coloro che sostengono il dialogo con Putin e chi ritiene inutile qualsiasi colloquio. Che ne pensa?
«Putin si è rivelato un personaggio molto inaffidabile. Il problema è che resta un personaggio chiave, sempre che non sia completamente sotto il controllo di un gruppo militare. Quando ci si interroga sul dialogo con Putin non bisogna dimenticare la relazione che la Russia intrattiene con la Cina, che certo non è più quella che ho conosciuto io».
Cina e Russia sembrano allineate nel contestare il sistema di valori delle democrazie occidentali. Che tipo di alleanza è la loro?
«Mi è capitato di seguire da vicino la relazione tra Russia e Cina nella guerra del Vietnam, quando erano quasi sul punto di interrompere i rapporti. Poi dopo l’89 si è strutturato un rapporto diverso, che negli ultimi tempi si è consolidato a partire dall’amicizia tra Putin e Xi. Un’amicizia ambigua, che non ha dato vita ad accordi o ad alleanze decisive, ma che si è strutturata su accordi economici – l’ultimo quella dell’apertura del gas russo a Pechino – e su una serie di intese che hanno creato una sorta di semi-alleanza, da cui sarà impossibile prescindere nel futuro».
Crede alla mediazione di Erdogan?
«Non credo che abbia la chiave del negoziato. E poi sono visibili degli accordi? Nulla, né da una parte né dall’altra. Al momento nessuno può accettare una pace che preveda un’Ucraina divisa, anche perdere il Donbass sarebbe una mutilazione che il governo di Kiev può difficilmente sopportare. Pesa in questa fase la debolezza europea: il cancelliere tedesco Scholz fatica a spezzare la dipendenza dal gas russo, Macron ha perso la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale, l’Italia non ne parliamo Una mediazione in questa fase non sembra affatto vicina».
L’Europa fa bene ad accelerare il percorso di ingresso dell’Ucraina nell’Ue?
«Sì, è una questione di credibilità, e anche una presa d’atto del fatto che l’Ucraina, oltre ad avere dei legami già abbastanza importanti con gli stati europei, deve accelerare la sua separazione dalla Russia. Poi è evidente che all’interno dell’Ucraina ci sono ancora molte spaccature, ma la prospettiva europea può aiutare a ricomporle».
Chi sta vincendo la guerra della propaganda?
«Se si guarda alle atmosfere dei Paesi occidentali, e alla differenza tra l’inizio della guerra e adesso, ho l’impressione che i russi abbiano guadagnato terreno. Fattori come la crisi economica e l’inflazione, che mostrano come il benessere sia minacciato dalla guerra, oltretutto nel momento che coincide con l’esplosione delle vacanze dopo l’esperienza della pandemia, rendono molto impopolare il conflitto».
Come la stiamo raccontando, questa guerra?
«Questa è una guerra antiquata, e colpisce la grande presenza femminile rispetto al passato: i corrispondenti sono in gran parte donne, immerse nella realtà, delle vere reporter, molto efficaci. Vedo una copertura sul posto molto seria».
Lei ha condiviso con Eugenio Scalfari una grande e lunga esperienza professionale. Qual è oggi la sua eredità?
«Il giornale che ha fondato non è più quello, è completamente cambiato, direi che non c’è nessun erede nel giornale che lui ha creato. Nel giornalismo in generale, be’ sì, ha lasciato il senso per le grandi inchieste, per il linguaggio preciso – non amava l’uso del condizionale, né del congiuntivo. Prima di lui, e anche i suoi predecessori immediati, impostavano i giornali sulle valutazioni, sui discorsi morali, sulle considerazioni storiche. Con lui si è imposta la serietà dei fatti, ha portato il giornalismo sul terreno, grazie ai suoi giornalisti».
(da la Stampa)

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IL PROBLEMA NON E’ CONTE, DRAGHI NON SI FIDA DI SALVINI CHE AVANZA RICHIESTE IMPROPONIBILI COME UN NUOVO SCOSTAMENTO DI BILANCIO DA 50 MILIARDI DI EURO

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

DRAGHI VUOLE LA GARANZIA CHE I PARTITI LO LASCINO LAVORARE

«Vediamo». Non si sbilancia Mario Draghi, l’idea del premier è andare fino in fondo con la decisione presa. Al punto che, stando a diversi osservatori autorevoli, potrebbe non dare spazio alla replica dei partiti dopo le sue dichiarazioni – né lasciarsi impressionare dalla fiducia – per andare al Quirinale.
In pratica il tentativo di far finire il premier in un cul-de-sac in cui debba assumersi la responsabilità della crisi, potrebbe finire semplicemente con l’essere aggirato. Troppo «inaffidabili» i partiti perché si possa pensare ad una qualche conciliazione.
Draghi potrebbe ripensarci se tutti coloro che vogliono restare terminino ultimatum e richieste improbabili.
Il riferimento è soprattutto ai leghisti. Impossibile pensare di costruire un nuovo percorso insieme se Matteo Salvini non solo agita a ore alterne lo spauracchio del voto ma, soprattutto, avanza richieste considerate improponibili come lo scostamento di bilancio da 50 miliardi di euro. Servono insomma segnali inequivocabili e garanzie da tutti i partiti già negli interventi prima del voto alla Camera e al Senato.
La sensazione è che il premier attenderà l’ultimo minuto per decidere. Il telefono del premier infatti ha squillato senza sosta. E anche se a palazzo Chigi non confermano, tra gli interlocutori ci sarebbe stato anche Beppe Grillo. Bocche cucite però sui contenuti della conversazione.
(da Il Messaggero)

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COME FARA’ IL GOVERNO LA MELONI SE VINCE LE ELEZIONI: I NOMI SONO PIU’ ADATTI AL MUSEO DELLE CERE

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

A PALAZZO CHIGI NON ANDREBBE LEI PERCHE’ IN EUROPA NON SE LA FILEREBBE NESSUNO… I NOMI DEI PAPABILI SONO UN OMAGGIO AI POTERI FORTI

Oggi la Repubblica si porta (molto) avanti con il lavoro pubblicando una serie di nomi papabili per i ministeri in caso di vittoria di Fratelli d’Italia alle elezioni.
Il partito di Giorgia Meloni è il primo nel centrodestra che sarebbe favoritissimo in caso di urne anticipate. E quindi ci sta che immagini come possa essere un esecutivo trainato da Fdi.
Anche se, scrive oggi Emanuele Lauria, non è detto che alla fine vada lei a Palazzo Chigi: «Non è da escludere che alla fine faccia da kingmaker e indichi lei un altro nome, nel caso in cui lo ritenga una soluzione migliore per il paese», dice al quotidiano una fonte vicina alla leader.
E gli altri nomi? I primi sono quelli di Giulio Tremonti e di Guido Crosetto.
Il primo sarebbe destinato all’Economia in una riedizione dei governi Berlusconi. Per il secondo ci sarebbero due opzioni: il ministero della Difesa o l’autorità delegata per la sicurezza (e il conflitto di interessi?)
Gli altri nomi spendibili sono quello di Giampiero Massolo, presidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, oppure Elisabetta Belloni per gli esteri.
Per la Giustizia piace Carlo Nordio, uno degli ospiti d’onore all’assemblea milanese di Fdi.
Per gli interni c’è Matteo Piantedosi, attuale prefetto di Roma nominato da Luciana Lamorgese ma anche capo di gabinetto del ministro Salvini, già indagato in quanto braccio operativo di Salvini.
E ancora: per il ministero del Lavoro il papabile sarebbe Luca Ricolfi. Sempre per l’economia piacciono Carlo Messina (Intesa) e Domenico Siniscalco, che ha anche lui ricoperto l’incarico al Mef all’epoca di Berlusconi.
Potrebbe esserci anche una conferma rispetto al governo Draghi: quella di Roberto Cingolani alla Transizione ecologica.
Francesco Lollobrigida, cognato della Meloni, oggi capogruppo alla Camera, potrebbe andare ai Rapporti con il Parlamento.
(da agenzie)

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ROCCO CASALINO CACCIATO DAI DEPUTATI M5S: “NON C’ERA MAI, LAVORAVA SOLO PER CONTE”

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

IL COMUNICATORE GRILLINO E’ FUORI DA MONTECITORIO… INTANTO LUI PENSA DI CANDIDARSI AL SENATO

Il direttivo del Movimento 5 Stelle alla Camera ha salutato Rocco Casalino. È accaduto il 15 luglio scorso e, in omaggio alle mode di questi tempi, l’ex concorrente del Grande Fratello diventato comunicatore grillino è stato cacciato con una mail. «Con la presente Le comunichiamo che il giorno 15 luglio 2022 il Suo contratto scade e non è più richiesta alcuna prestazione da parte Sua», è il testo della comunicazione.
Inviata dal capogruppo a Montecitorio Davide Crippa. Ovvero proprio quel Davide Crippa che intanto sta costruendo una fronda anti-Conte. Casalino aveva firmato l’anno scorso un contratto per la comunicazione M5s alla Camera e al Senato.
I gruppi grillini pagavano lo stipendio a metà. Già dall’anno scorso circolavano voci di scontenti nel M5s sul suo ruolo.
Ora è il momento del redde rationem. Condito dai soliti veleni che circolano in questi casi.
La Stampa fa sapere che la decisione era nell’aria: «L’abbiamo pagato per non vederlo mai – avrebbero detto alcuni deputati – lavora solo per Conte». Lui d’altro canto aveva sposato la linea anti-Draghi: «Questo governo non lo sopporto. Prima finisce meglio è».
Intanto anche il rapporto con Conte non era più quello di prima. Perché l’ex Avvocato del Popolo tentenna troppo, meglio puntare tutto sul voto. Al quale potrebbe presentarsi con una nuova veste: candidato in Senato. Intanto ieri Beppe Grillo ha cambiato la foto sul suo profilo Whatsapp sostituendola con l’immagine di un barattolo di colla coccoina. Un riferimento ai grillini troppo attaccati alla poltrona?
(da agenzie)

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CORRUZIONE, ARRESTATA LA SINDACA DI TERRACINA DI FRATELLI D’ITALIA

Luglio 19th, 2022 Riccardo Fucile

BLITZ DEI CARABINIERI IN COMUNE, COLPO AL CUORE DELLA ROCCAFORTE DEL PARTITO DELLA MELONI, ARRESTATI ANCHE DUE ASSESSORI

Arresti nel Comune di Terracina, in provincia di Latina. Oggi i carabinieri hanno portato a termine un’operazione nella quale è finita agli arresti anche la sindaca della località costiera laziale, Roberta Tintari, eletta tra le fila di Fratelli d’Italia.
Ai domiciliari anche due assessori e il presidente del Consiglio comunale. Solo il 14 gennaio, un’altra operazione di Carabinieri e Capitaneria di Porto aveva portato agli arresti domiciliari il vice sindaco Pierpaolo Marcuzzi, coinvolto anche in quest’ultima tranche di indagini.
L’arresto è avvenuto a seguito di un’operazione dei carabinieri e della Capitaneria di Porto ed è ancora in corso con l’accusa di reati contro la pubblica amministrazione che, secondo quanto si apprende, riguarda il settore del demanio marittimo.
In particolare alla Tintari sono contestati i reati di turbata libertà degli incanti e falso in relazione alla gestione dell’arenile comunale. Per gli altri personaggi coinvolti sono state avanzate le accuse, a vario titolo, anche frode, indebite percezioni di erogazioni pubbliche e rilevazioni del segreto d’ufficio.
Nell’ambito dell’attività di indagine, iniziata nell’agosto 2019, sono emersi numerosi fatti di rilievo penale connessi alla gestione dei servizi relativi alla balneazione, ad illegittime sanatorie riguardanti opere e manufatti situati sul pubblico demanio marittimo, a lavori ed opere pubbliche eseguite e commissionate dal Comune di Terracina nonché alla illegittima acquisizione e gestione di fondi economici strutturali. L’attività investigativa ha consentito di portare alla luce e documentare condotte di pubblici funzionari che appaiono finalizzate al perseguimento di interessi personali e non coerenti, dunque, con i compiti istituzionali.
Le indagini hanno interessato anche lavori e opere pubbliche, tra questi la realizzazione di un ponte ciclopedonale attraverso l’indebita percezione di fondi europei strutturali Feamp e Flag con conseguenti danni erariali.
(da agenzie)

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