Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA NON RISPOSTA DEL MINISTRO ALLA INTERROGAZIONE DI RENZI E LA REPLICA DELL’EX PREMIER: “LE RICOSTRUZIONI NON TORNANO, SIAMO DI FRONTE A UN USO PROPRIETARIO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA E A UNA RETICENZA OMERTOSA”… ROSSOMANDO (PD): “L’8 DICEMBRE ALLA CENA DI DI NATALE DI FDI A BIELLA E’ VERO CHE ERANO PRESENTI AGENTI DELLA POLIZIA PENITENZIARIA CHE HANNO SFILATO CON LA MAGLIETTA “ANCHE IO SONO DELMASTRO”?
Sull’episodio che ha coinvolto il deputato di FdI Emanuele Pozzolo la
notte di Capodanno, “vorrei parlare da magistrato e non posso. E dovendo parlare da ministro non posso che inchinarmi di fronte al segreto istruttorio. Sono in corso indagini e sarebbe improprio e delittuoso se dovessi rivelare delle cose, che comunque non so”.
Non si sbilancia il ministro della Giustizia Carlo Nordio in Aula al Senato rispondendo a un’interrogazione presentata dal leader di Iv Matteo Renzi sul caso Pozzolo. “Va da sé che, nel momento in cui un domani dovessero emergere da parte della magistratura delle ricostruzioni adeguate e obiettive, sarei il primo a riferirle qui. Più di tanto non posso dire, perché noi ci inchiniamo di fronte all’autonomia e la tanto decantata indipendenza della magistratura”.
Sul caso del deputato di Fratelli d’Italia – ora sospeso dal gruppo del partito alla Camera – e del colpo sparato al veglione di Capodanno a Rosazza (Biella) alla presenza del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, va all’attacco Matteo Renzi perché “è chiaro che qualcuno sta mentendo agli italiani”, dice in aula al Senato nel corso del question time del Guardasigilli.
L’ultimo dell’anno, “a quattro ore dal messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in cui c’è un passaggio sulle armi, arriviamo a Rosazza dove c’è un veglione a cui partecipa Delmastro e dove si porta la scorta”. “Arriva un deputato FdI che tira fuori la pistola, forse non aveva fatto in tempo ad ascoltare il messaggio del capo dello Stato, ma nella sala c’erano dei bambini. A un certo punto esplode un colpo, ma il sottosegretario non c’è, è uscito, da solo, a 400 metri di distanza, e tutti gli agenti della polizia penitenziaria della scorta restano nel locale e a sparare non si capisce chi sia stato”.
Insomma, dice Renzi, “è chiaro che qualcuno sta mentendo agli italiani, ma lei è in grado di stabilire cosa è successo? Quella pistola poteva uccidere in una sala piena di gente”, ma “evidentemente abbiamo due concetti diversi di dignità”.
Continua il senatore di Iv nella controreplica al Guardasigilli: “Io sono insoddisfatto, e mi dispiace tirare in ballo un galantuomo come lei. Qui nessuno di noi vuole mettere in dubbio il segreto istruttorio, ma non cambia di una virgola il giudizio politico nell’utilizzo della scorta da parte del sottosegretario né nelle responsabilità atroci del portare un’arma in una sala dove ci sono dei bambini. Uno che esca con il sottosegretario a controllare dove sta andando nella notte, dovrebbe esserci. Le ricostruzioni non tornano. A me non interessa che vi sia un colpevole giudiziariamente. Io ritengo che questa vicenda denoti una incultura istituzionale spaventosa, un utilizzo proprietario della polizia penitenziaria e una reticenza omertosa di fronte alla verità. La notte di capodanno avete toccato il fondo, cercate di rialzarvi”, attacca Renzi.Durante il question time è intervenuta anche la senatrice del Pd, Anna Rossomando, per chiedere chiarimenti sulla “natura dei rapporti intercorrenti tra il sottosegretario Delmastro e alcuni settori della polizia penitenziaria vicini al suo partito, e se non ritenga che tali rapporti abbiano creato una sovrapposizione tra il ruolo istituzionale che la delega assegna al sottosegretario Delmastro e attività di propaganda di partito, e se infine, per questo e altri fatti ricordati, ritenga ancora compatibile l’esercizio di una delega così delicata in capo all’onorevole Delmastro”. Tra le premesse citate nella sua interrogazione, la senatrice ha ricordato che “lo scorso 3 dicembre a Biella è stata organizzata la cena per gli auguri di Natale di Fratelli d’Italia dove erano presenti, tra gli altri, il sottosegretario Delmastro e l’onorevole Pozzolo e dove, sempre secondo quanto riportato da organi di stampa, uno dei tavoli del ristorante che ha ospitato l’evento sarebbe stato riservato alla polizia penitenziaria. Secondo quanto si legge sul quotidiano online il Post: “La cena è stata anche l’occasione per una grande dimostrazione di solidarietà verso Delmastro, che quattro giorni prima era stato rinviato a giudizio per avere rivelato documenti riservati legati al caso Cospito. Nella sala principale c’era un grande striscione con su scritto: ‘Siamo tutti Delmastro’. Alcuni agenti della polizia penitenziaria locale, iscritti al sindacato Sinappe, hanno sfilato tra i tavoli indossando una maglietta con scritto ‘Anche io sono Delmastro’, tenendo in mano un cartoncino con la faccia del sottosegretario”.
(da La Repubblica)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
“NELLA MOSTRA A LUCCA HA ESPOSTO LA NOSTRA COPIA. DALLE IMMAGINI CHE RIUSCIAMO A TROVARE IN ALTA RISOLUZIONE RICONOSCIAMO IL NOSTRO DIFETTO DI STAMPA DI QUELL’OPERA, LA NOSTRA FIRMA. QUANDO RITIRIAMO L’OPERA, LA RITIRIAMO CON LA CANDELA. POI, CHE SIA STATA AGGIUNTA”
Loro malgrado sono finiti dentro l’inchiesta della Procura di Macerata che ruota attorno a un dipinto, “La cattura di San Pietro” del pittore Rutilio Manetti, esponente del Seicento senese: Samuele e Cristian De Pietri sono i titolari del Glab di Correggio, un laboratorio che realizza riproduzioni di opere originali.
Tutta la vicenda parte però da Pinerolo, una decina di anni fa. Nel 2013 la tela di Manetti fu trafugata dal castello di Buriasco. L’indagine della Procura di Macerata intende chiarire se la “Cattura” che è di proprietà di Vittorio Sgarbi sia l’opera che era rubata nel Torinese o sia effettivamente, come racconta il sottosegretario ai Beni culturali, un altro dipinto dello stesso autore rinvenuto nella villa Maidalchina, nel Viterbese, acquistata dalla madre una ventina di anni fa. A differenziare le due opere il dettaglio di una candela, presente nella tela di proprietà di Sgarbi e assente nel dipinto di Buriasco. Una delle ipotesi è che quella candela sia stata apposta in seguito.
«Vittorio Sgarbi sta cercando di spostare l’attenzione sulla nostra tecnologia e sul nostro prodotto», denuncia Samuele De Pietri. «Noi abbiamo creato un vero e proprio clone del dipinto, e quando è stato qui da noi l’ha potuto visionare. Ora sta cercando di depistare le indagini in atto per non far vedere che (nella mostra a Lucca del 2021, ndr) ha esposto la nostra copia. Dalle immagini che noi riusciamo a trovare in alta risoluzione in rete – ma anche tramite tutta la gente che ci ha contattato – noi riconosciamo il nostro difetto di stampa di quell’opera, la nostra firma. È palese».
Clone che presentava la famosa candela, attorno cui ruota l’inchiesta.
«Io quando ritiro l’opera a Padova, la ritiro con la candela. Poi che sia stata aggiunta o no… Noi abbiamo fornito tutte le scansioni al Nucleo investigativo. Di questo non posso parlare. Ora il fatto centrale è che lui prende le distanze da noi, quando con lui siamo stati anche in Parlamento».
Perché un collezionista chiede alla vostra azienda di creare un clone di un quadro?
«Per tutelare l’originale. Ci capita spesso di fare delle vere e proprie copie, così le persone le possono esporre in casa senza mettere in pericolo l’originale, che è protetto in un caveau. Oppure è in una mostra: ci è capitato che il proprietario di un dipinto che andava per mesi all’estero volesse riempire il chiodo in casa con la riproduzione di un’opera importante. Noi abbiamo delle copie qui in laboratorio: è difficile riconoscere l’originale, se non si guarda sul retro».
Sgarbi è stato il vostro cliente più rinomato?
«No, è stato un nostro cliente, questo sì. Ci ha aperto il mercato, è quello che ci ha certificato, mi passi il termine, perché ci ha portato in Parlamento e ci ha presentato tanta gente, anche Erik Schmidt, neodirettore del museo di Capodimonte. Sgarbi ci ha aperto tante porte. Poi direttamente a lui abbiamo fatto alcune opere di cui non posso più parlare. Abbiamo iniziato a lavorare per lui nel 2021, il quadro l’ho ritirato nel 2020».
Si è fatto vivo con voi in questi giorni?
«Assolutamente no. Parla di noi sulla stampa, in tv, l’ultimo intervento nella trasmissione di Porro dove ha portato un Adelchi Mantovani di cui noi abbiamo una riproduzione ma la ricostruzione del perché è stato fatto quel dipinto è completamente errata».
Il fatto di aver esposto a Lucca il clone anziché il quadro autentico sminuisce la vostra opera?
«Per noi è un vanto che sia stato esposto il nostro clone e nessun critico – si vede dalle immagini di Report – se n’è accorto, il che significa che allora facciamo davvero un prodotto ottimo, a differenza di quello che dice Sgarbi».
(da La Repubblica)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
“ISRAELE E’ ACCUSATA DI UNA CAMPAGNA MILITARE ELIMINAZIONISTA, I SUOI LEADER HANNO INCITATO AL GENOCIDIO DEI PALESTINESI”
Israele sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza? E il
massacro di palestinesi, per lo più civili, può essere ancora interrotto? È su questi due aspetti che la Corte Internazionale di Giustizia – il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite – è chiamata ad esprimersi dopo la causa intentata nelle scorse settimane dal Sudafrica. La prima udienza si sta svolgendo in queste ore nel Palazzo della Pace all’Aia, nei Paesi Bassi. Pretoria accusa Tel Aviv di aver commesso un genocidio in violazione della Convenzione per la prevenzione e repressione di tale crimine del 1948, testo ratificato sia dal Sud Africa che da Israele.
Più nello specifico Pretoria ha portato due serie di prove: l’entità della devastazione a Gaza, a partire dal gran numero di morti (oltre 23mila), e un lungo elenco di citazioni di funzionari israeliani, che negli ultimi tre mesi hanno ripetutamente sollecitato massacri contro i civili palestinesi. Le deliberazioni del tribunale dell’Aia sul genocidio potrebbero richiedere diversi mesi o anni. Il Sudafrica, tuttavia, chiede anche alla Corte Internazionale di Giustizia una misura provvisoria e rapida, ordinando a Israele di interrompere immediatamente la sua campagna militare a Gaza.
La seconda richiesta è indipendente dalla prima e potrebbe essere accolta nel giro di pochi giorni. Dunque, cosa accadrà adesso alla Corte dell’Aia? E quali sono gli esiti della causa intentata dal Sudafrica contro Israele?
Fanpage.it ha interpellato il professor Luigi Daniele – docente di Diritto dei conflitti armati e diritto Internazionale Umanitario e penale alla Nottingham Trent University.
Oggi alla Corte Internazionale di Giustizia si sta svolgendo la prima udienza sulla causa intentata dal Sudafrica – sostenuto da Turchia, Malesia e Bolivia – contro Israele per la guerra a Gaza. Quali sono nel dettaglio le accuse contro Tel Aviv?
Le accuse sono di violazione, da parte di Governo ed esercito israeliani, degli obblighi discendenti dalla Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948, cioè in concreto l’aver “minacciato, istigato, adottato, approvato e commesso” condotte di genocidio contro il popolo palestinese, “come distinto gruppo nazionale ed etnico”. Secondo il Sudafrica (in ciò allineato al parere di una moltitudine di organizzazioni internazionali e al prestigioso Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio) le condotte di genocidio configurabili sono l’uccisione di membri del gruppo vittima, le lesioni gravi all’integrità fisica e mentale di membri del gruppo e l’inflizione deliberata di condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica parziale del gruppo stesso (rispettivamente articoli 2(a), 2(b) e 2(c) della Convenzione). I giuristi sudafricani insistono sulle affermazioni ripetute da rappresentanti dello Stato di Israele, ai livelli più alti, ad esempio dal Presidente israeliano, dal Primo Ministro e dal Ministro della Difesa, che ritengono esprimere un dolo specifico di genocidio.
Oltre alle dichiarazioni dei leader israeliani sono state messe in atto pratiche configurabili come genocidio?
L’intento genocidario può essere dedotto, secondo i ricorrenti, anche dalla natura e dalle modalità operative dell’operazione militare di Israele a Gaza, tenendo conto, tra l’altro, dell’impedimento da parte di Israele dell’arrivo di cibo, acqua, medicine, carburante e aiuti umanitari essenziali per la sopravvivenza della popolazione palestinese assediata e bloccata, spingendola sull’orlo della carestia. Ma il Sudafrica insiste anche su portata, estensione, tipologia e distruttività degli attacchi militari di Israele a Gaza, che hanno coinvolto il bombardamento prolungato per 3 mesi di uno dei luoghi più densamente popolati al mondo, costringendo all’evacuazione 1,9 milioni di persone, cioè l’85% della popolazione di Gaza, dalle loro case e radunandole in aree sempre più piccole, senza rifugi adeguati, in cui continuano ad essere attaccate, uccise e ferite in massa. Israele, ad oggi, ha ucciso oltre 23.350 palestinesi identificati, inclusi almeno 9.600 bambini e almeno 6750 donne (70% delle vittime, cui vanno aggiunti tutti i civili uccisi tra i circa 7mila maschi adulti, per un totale verosimilmente tra l’85 e il 90% di vittime civili rispetto a quelle complessive), con oltre 8mila altri dispersi, presumibilmente morti sotto le macerie, e ha ferito oltre 60mila altri palestinesi, causando loro gravi danni fisici e mentali. Israele, nota il Sudafrica, ha anche distrutto vaste aree di Gaza, compresi interi quartieri residenziali, e ha danneggiato o distrutto oltre 360mila case palestinesi, insieme a vaste porzioni di terreni agricoli, panetterie, scuole, università, imprese, luoghi di culto, cimiteri, siti culturali ed archeologici, edifici municipali e giudiziari, nonché infrastrutture critiche, tra cui impianti idrici e fognari e reti elettriche, mentre perseguiva un attacco incessante contro il sistema sanitario e i presidi medici palestinesi. Israele, affermano i giuristi sudafricani, ha ridotto e continua a ridurre Gaza in macerie, uccidendo, ferendo e distruggendo la sua popolazione e creando condizioni di vita intese a causarne la distruzione fisica come gruppo.
Quali prove sono state raccolte per inchiodare lo stato di Israele alle sue responsabilità nel processo alla Corte Internazionale di Giustizia?
Le giovani giuriste e giuristi dell’organizzazione Law for Palestine hanno messo insieme un catalogo di più di 500 dichiarazioni di pubblici ufficiali, personale militare e commentatori di istigazione pubblica e diretta al genocidio dei palestinesi, che ai sensi della Convenzione vanno perseguite. Per responsabilità statali, come quelle di cui si discute alla CIG, il punto sono le dichiarazioni di ufficiali di governo. I riferimenti ad ordini divini di massacri indiscriminati (come quello di Netanyahu allo sterminio degli Amaleciti), la rimozione ideologica di ogni innocenza di due milioni e mezzo di civili (come quella del Presidente Herzog, che affermava l’intera “nazione” di Gaza essere responsabile del 7 ottobre, negando apertamente l’esistenza di civili non coinvolti), o il linguaggio disumanizzante (“tutti terroristi”, “animali”, o comunque “parenti di terroristi”) o la valanga di istigazioni ad “annientare, distruggere, bruciare, radere al suolo, cancellare dalla faccia della terra” Gaza sono tutte rilevanti. Indicano, secondo il Sudafrica, un esecutivo che ha predisposto e portato avanti una risposta militare di stampo eliminazionista. A ben vedere, tra le numerose immagini registrate da soldati israeliani mentre distruggono interi quartieri, scuole, università, o addirittura ironizzano divertiti sul fatto che “non si trovano più bambini” a Gaza, alcune – citate nel ricorso sudafricano – riprendono i soldati stessi cantare di essere a Gaza per “eliminare la stirpe di Amalek”, allo slogan “non ci sono civili non coinvolti”, dunque riproducendo esattamente le affermazioni di Herzog e Netanyahu.
Al di là di tutti questi aspetti, la catastrofe umanitaria e sanitaria inflitta scientemente alla popolazione civile di Gaza, privata dagli ordini di assedio totale dei mezzi di sussistenza e di cura (con epidemie mortali rivendicate come legittimo strumento di guerra da uno dei consulenti del Ministro della Difesa), unita ai ben 600 attacchi militari a strutture sanitarie già allo stremo nella cura di decine di migliaia di mutilati, feriti e vulnerabili (soprattutto bambini), costituiscono i nodi più critici e meno difendibili. Non è necessario, in altre parole, uccidere decine di migliaia di membri del gruppo vittima per violare gli obblighi della Convenzione, è sufficiente imporre condizioni tali da lasciarne morire più o meno lentamente una parte sostanziale, o quanto meno l’aver agito in questo senso, senza necessità che si realizzi compiutamente la distruzione fisica del gruppo stesso (altrimenti un genocidio si configurerebbe solo quando realizzato nella sua interezza e in tutte le sue estreme conseguenze, svuotando di senso gli obblighi giuridici di prevenzione).
Dunque, cosa accadrà adesso alla Corte dell’Aia e quando si arriverà a un verdetto definitivo?
A questo stadio, alla Corte è richiesto solo di pronunciarsi sulle misure cautelari richieste dal Sudafrica al fine di interrompere le violazioni, tra cui l’ordine di cessazione delle ostilità per prevenire ulteriori massacri di civili. Per la decisione nel merito del caso, invece, potrebbero volerci anni. Per emettere questa sentenza provvisoria, invece, la corte deve solo accertarsi – questo aspetto è fondamentale – che il verificarsi di un genocidio sia plausibile e che esista il rischio di danni irreparabili in mancanza dell’adozione delle misure cautelari richieste.
La cessazione delle ostilità, comunque, non è l’unica misura richiesta. Il Sudafrica richiede anche il ritiro degli ordini di assedio comportanti ostruzioni all’ingresso di tutti gli aiuti (al momento gravemente insufficienti a evitare morti per carestia, malattie e mancanza di cure), così come quelli che comportano l’espulsione forzata dei palestinesi dalle proprie aree di residenza. Israele interverrà nel procedimento, contestando le accuse. Successivamente, altri stati potranno intervenire formalmente con le proprie osservazioni circa la contesa, così come accaduto in precedenza in altri casi.
Quali sono i possibili esiti di questa causa? E cosa rischia lo stato di Israele, nel concreto?
Gli ordini della Corte sono immediatamente vincolanti. Non esistono, però, autorità sovranazionali di esecuzione, come una polizia a livello nazionale, per intenderci, per cui le misure per imporre il rispetto degli ordini della Corte, in caso di rifiuto dello stato, andrebbero applicate dal Consiglio di Sicurezza. Ciononostante, un ordine di cessazione delle ostilità sarebbe un colpo significativo per il Governo israeliano, a quel punto ufficialmente sanzionato per le proprie gravi violazioni, comparabili a quelle del Governo della Federazione Russa.
Inoltre, la Convenzione proibisce la complicità nel genocidio. Esistono già casi incardinati dinanzi a corti domestiche statunitensi per complicità e violazioni dei rispettivi obblighi nazionali di prevenzione del genocidio a Gaza. Questi obblighi, infatti, rispetto ai genocidi, sono interpretati dalla Corte stessa come autenticamente universali, erga omnes partes, nel senso di spettare a qualsiasi stato che abbia mezzi in proprio potere per contribuire a porre fine alle violazioni (il Sudafrica stesso afferma di aver agito adempiendo a tali obblighi) ed il cui adempimento ciascuno stato parte è legittimato a invocare, a prescindere dalla sussistenza di un danno o interesse specifico dello stato stesso.
Una pronuncia di merito favorevole al Sudafrica, in ogni caso, avrebbe ramificazioni giuridiche, diplomatiche e commerciali di primo ordine, poiché a quel punto gli stati terzi rischierebbero, continuando il proprio supporto incondizionato, di rendersi a tutti gli effetti complici (in senso giuridico e non solo politico, o morale, in cui i profili di complicità sono già ampiamente chiari).
Ci sono già dei precedenti di ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia? Ci riassume come andò a finire?
Sì, diversi. Quello più risalente, Bosnia contro Serbia. Più di recente, il ricorso del Gambia contro il Myanmar, ma anche quello dell’Ucraina contro la Federazione Russa. In entrambi i casi la Corte ha ordinato misure provvisorie. Nel caso del Gambia, alla contestazione del Myanmar che non esistesse una effettiva disputa tra i due stati, tale da radicare la competenza della Corte, fu sufficiente opporre le note ufficiali inviate dal Gambia, a cui aveva fatto seguito il silenzio del Myanmar, per registrare l’esistenza di una disputa sulla Convenzione del 1948. In questo caso, siamo di fronte a una disputa anche più evidente, poiché Israele ha accusato apertamente il Sudafrica di aver avanzato una calunnia e di essersi resa complice di Hamas. Curioso, visto che al quarto rigo della prima pagina del ricorso del Sudafrica vi è una chiara ed equivocabile condanna dei crimini di Hamas.
Nel caso del Gambia contro il Myanmar, l’ordinanza di misure provvisorie fu adottata nel gennaio del 2020 all’unanimità. Nel caso dell’Ucraina contro la Russia, l’ordinanza di misure provvisorie, inclusa la cessazione immediata delle ostilità, è stata adottata con 13 voti favorevoli e due contrari, nel marzo 2022.
Quali sono le differenze tra Corte Internazionale di Giustizia e Corte penale internazionale?
La Corte Internazionale di Giustizia dirime le controversie tra stati, accerta responsabilità di diritto internazionale degli stati come enti. La Corte penale internazionale è un tribunale penale che accerta responsabilità di individui per crimini internazionali.
Anche la Corte penale internazionale sta indagando sui crimini commessi in Israele e a Gaza, seppur con gravi ritardi e una postura assai più dimessa di quella sui crimini commessi in Ucraina, in cui si è mostrata capace di perseguire il diritto alla giustizia delle vittime senza timore dei rapporti di forza, avendo emesso in tempi relativamente brevi un mandato d’arresto contro il capo di stato della seconda potenza nucleare del pianeta (e giustamente).
Singoli individui e leader israeliani potrebbero rispondere anche alla Corte penale internazionale?
Sì, dovrebbero. Il baratro delle atrocità commesse a Gaza, chi le ha seguite lo sa, è una mostruosità che segnerà la storia di questo secolo. Se chi le ha ordinate rimarrà impunito, così come è accaduto in questo contesto fino ad oggi, l’impunità sarà una luce verde per atrocità contro le popolazioni civili nei conflitti del futuro. Inoltre, ferma restando la necessità di accertamenti terzi ed imparziali, anche membri dei gruppi armati palestinesi potrebbero e dovrebbero rispondere delle azioni del 7 ottobre contro civili israeliani.
Attualmente il nodo è interamente nel campo del Procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, il cui approccio fino ad oggi ha sollevato numerose critiche, segnalando timidezza, un ecumenismo da diplomatico e infinite cautele anche verbali nelle dichiarazioni sui probabili crimini delle forze israeliane ed apparendo invece più netto su quelli dei gruppi armati palestinesi. È una battaglia legale, comunque, interamente aperta, su cui si gioca il futuro stesso della giustizia penale internazionale, che come progetto appare in caduta libera, sotto i colpi dei doppi standard che assecondano i rapporti di forza geopolitici e il profilarsi di un diritto penale internazionale che potrebbe dirsi del nemico, sacrosanto per i crimini degli avversari strategici e impronunciabile per quelli degli alleati. Un tale declino equivarrebbe alla morte di questo progetto universalista.
Di fronte a questa disillusione forzata, ricordo però sempre uno degli eroi della mia formazione, un grande giurista ebreo, Benjamin Ferencz, ultimo procuratore vivente del Tribunale di Norimberga (scomparso nel 2023 lasciando un grande vuoto), che ha passato tutta la vita e persino i suoi ultimi anni da ultracentenario potremmo dire da attivista, cioè insistendo sulla necessità di perseguire tutte le responsabilità di chiunque violi il diritto internazionale, stati e leader di governi, senza sconti a nessuno, disarmando le guerre col diritto. Insisteva con lo stesso slogan, in tutte le sedi: “Law, not war”, a cui aggiungeva sempre le sue 3 “semplici indicazioni pratiche” per le più giovani e i più giovani studiosi, cioè: “1) mai arrendersi, 2) mai arrendersi, 3) mai arrendersi”. Lo ripeto sempre ai miei studenti e forse proprio oggi è essenziale ripetercelo.
(da Fanpage)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
TRA I NOMI CHE CIRCOLANO RACHELE MUSSOLINI E MICOL GRASSELLI, AMICA DI ARIANNA MELONI, CONSIGLIERE ALLA PISANA… AL NORD-EST, C’È IN VENETO ELENA DONEZZAN, MA OCCHIO ANCHE A ELISABETTA GARDINI
Se in Fratelli d’Italia danno tutti per fatta (anche se lei non ha ancora deciso) la candidatura di Giorgia Meloni alle Europee, allo stesso tempo si vuole dare una impronta molto femminile, si parla addirittura di una «valanga rosa», alla rappresentanza del partito a Strasburgo.
Ovvero, nei primi casting per le elezioni, che andranno consegnate 40 giorni prima del 9 giugno, data del voto, si stanno vagliando con particolare attenzione le candidature di donne, perché basta con il luogo comune – così viene fatto notare nella sede del partito in via della Scrofa, dove Arianna Meloni è plenipotenziaria – secondo cui FdI è un partito con una leader femmina ma per lo più fatto di maschi. Urgono campionesse di voti da schierare in questa partita in cui la squadra della destra potrebbe avere, se si arriva a quota 30%, più di 25 europarlamentari.
Tra i nomi forti che circolano, ma ancora non c’è niente di ufficiale, eccone uno a cui i vertici del partito tengono assai, e non per il cognome ma per la crescita che ha fatto in questi anni e per l’impegno che sta dimostrando: Rachele Mussolini. E’ la consigliera comunale più votata di Roma alle ultime comunali (6522 preferenze), più progressista che conservatrice (così la descrivono i suoi amici), per niente nostalgica e più tendenza Romano (suo padre) che Benito (suo nonno) e insomma: davvero Rachele è in pista per l’Europarlamento? «E’ il partito che decide e se servo in quel ruolo sono pronta».
Certo lei non si auto-candida, ma figuriamoci, però Rachele ha la fisionomia giusta agli occhi di chi fa le liste, e il cognome non sembra né un vantaggio né un handicap. E poi? Sempre per la circoscrizione Centro – dove a molti di FdI piacerebbe riproporre Roberta Angelilli, personalità di peso che è già stata eurodeputata ma adesso è vice di Rocca in Regione Lazio e questo resterà il suo posto – un nome che gira è quello di Micol Grasselli, molto vicina ad Arianna, consigliere alla Pisana.
Al Nord-est, c’è in Veneto Elena Donezzan, 51 anni e 10.744 preferenze, assessore regionale. Sarà candidata a Strasburgo (e poi nel 2025 anche come presidente del dopo Zaia se non ci sarà il terzo mandato?), e lei stessa non ne fa mistero: «Sento giusto mettere a disposizione la mia rete di relazioni e la mia visibilità».
E ancora cherchez la femme (che non è cherchez la fiamma, ma ci somiglia) al Sud. Viene data in ascesa Ira Fele, famiglia di costruttori in provincia di Napoli, moglie di Michele Schiano di Visconti, deputato meloniano d’origine democristiana molto radicato sul territorio. In Puglia, c’è Chiara Gemma, eurodeputata uscente, ex M5S passata a FdI.
Le scelte In Calabria, l’accoppiata è Denis Nesci, eurodeputato uscente, e la melonianissima Luciana De Francesco. Ma i talent scout sono soltanto all’inizio dell’opera. Altre donne attenzionate per il Mezzogiorno: Ines Frongillo (vice-coordinatrice in Irpinia), Gabriella Peluso (già candidata alle Politiche) e Elena Scarlato. L’importante è non sbagliare le scelte.
Per il Nord-ovest, in evidenza alcuni nomi: Alessia Villa, 39 anni, super-votata per il Pirellone, e poi Lara Mangoni, Barbara Mazzali, Anna Dotti, Patrizia Baffi. Per il Nord-est s’è detto di Elena Donazzan, ma occhio anche a Elisabetta Gardini: è già stata eurodeputata e potrebbero ridiventarlo. Le donne meloniane sono in campo. E chissà se l’Europa, un tempo considerata matrigna a destra, dopo giugno diventerà madre accogliente per le sorelle d’Italia.
(da agenzie)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
OBIETTIVI MANCATI ANCHE SUL RISANAMENTO AMBIENTALE E SUL RITORNO ALLA PIENA PRODUZIONE – LE TESTIMONIANZE: “VUOI SAPERE COSA MANGIO OGNI GIORNO? PASTA IN BIANCO”. “TROPPE BUGIE, IN QUELLA FABBRICA NON CI VOGLIO PIÙ METTERE PIEDE”
«Mi hanno inguaiato, pretendo un incentivo all’esodo. In questi cinque
anni di cassa integrazione mi hanno fatto riempire di debiti, devo levarmi il mutuo della casa, oppure compio un atto estremo, mi metto una corda alla gola, così non posso andare avanti». Antonio Motolese non scherza.
Cinque anni fa quando allo Stato subentrò Arcelormittal nella gestione della fabbrica, è rimasto fuori, un esubero. È uno dei 1.447 lavoratori ex Ilva in Amministrazione Straordinaria che in base all’accordo del 2018 avrebbe dovuto essere reintegrato tra il 2023 e il 2025 cioè al termine degli interventi di ambientalizzazione che avrebbero consentito al siderurgico di Taranto di tornare a produrre fino a 8 milioni di tonnellate d’acciaio.
Quegli obiettivi sono lontani dall’essere raggiunti, il 2023 si è chiuso con una produzione inferiore ai 4 milioni di tonnellate di acciaio, inoltre dalle denunce di lavoratori e sindacati emerge che la manutenzione è ferma, anche le emissioni inquinanti restano imponenti e vistose come quelle che hanno colorato di rosso ancora una volta il cielo di Taranto il 3 gennaio scorso o i dati sul benzene confermati da Arpa e che hanno acceso un nuovo faro in Procura e portato in fabbrica i carabinieri per l’inchiesta ambientale.
Debiti e mutui Antonio chiede di essere ascoltato. «Vuoi sapere cosa mangio ogni giorno? Pasta in bianco. Non ci credi? Vieni a casa mia. Prima, se un amico mi chiedeva cosa avevo mangiato, rispondevo pasta e fagioli, ora invece urlo la verità senza problemi. Se ho potuto mettere a tavola qualcosa di diverso a Natale è solo grazie a mia suocera e mio cognato vigile del fuoco. Ho un mutuo da pagare per altri 7 anni. Mio figlio lavora ma non può aiutarmi, prende solo 700 euro al mese e ringrazio il cielo: come avrei potuto mantenerlo? Io in quella fabbrica non ci voglio più mettere piede. Voglio l’incentivo, mi devo levare tutti i debiti, non posso lasciarli ai miei figli».
Francesco Rizzo segretario Usb mi invita ad approfondire. Riceve centinaia di messaggi di lavoratori che gli chiedono se ci saranno nuovi incentivi. E lui sa che questa è una battaglia da fare. Michele Capezzera, gruista da 5 anni cassaintegrato in amministrazione straordinaria. «Anche io prego per avere questo scivolo, francamente ci spero, ci conto, non posso più stare così e non credo a nessuna promessa».
Per chi diceva subito sì, c’erano 100 mila euro lordi, 77 mila euro netti. Ora invece con il passare degli anni l’incentivo all’esodo è sceso a 15 mila euro. Dati esodi aggiornati al 31 dicembre 2023: 1.418 di cui, 1.114 a Taranto Ilva, 7 a Taranto Energia, 254 a Genova, 15 a Marghera, 28 a Novi Ligure.
Esodi e incentivi Ma perché non avete accettato la proposta per andarvene quando era concreta nel 2018? «Vuoi la verità? – confessa Michele – 5 anni fa sono andato a firmare. Poi una volta lì, davanti a quel foglio non me la sono sentita. Non sapevo cosa fare con quei soldi, avevo paura che andassero dispersi. Mia moglie è una psicologa e mi ha aiutato ad affrontare questa situazione. Ora ho capito che devo provare a rifarmi una vita, magari posso fare l’autista. L’ho già fatto, sono bravo, mi sento un’altra persona, per me la salute è la priorità. Là non ci voglio mettere più piede, ci hanno riempito di bugie».
Sono quasi tutti operai in cassa a zero ore in amministrazione straordinaria a pensarla così. Tra coloro che, invece, sono stati assunti da Arcelormittal c’è più incertezza. Graziano Vernice: «Se i sindacati ottenessero almeno 150 mila euro per l’esodo allora ci penserei. Io però pretendo ancora il posto di lavoro, a casa non voglio stare più».
Vito Pastore, area tubifici, martoriata, impianti a valle da anni quasi fermi, cassa integrazione a morire. «Il dramma sai qual è? Siamo spaccati: c’è chi non fa nemmeno un’ora di cassa integrazione e quindi non se ne frega niente della guerra in corso; quelli invece che vivono di ammortizzatori sociali vendono nell’incentivo all’esodo l’unica possibilità di sopravvivenza, e infine, bisogna essere sinceri, c’è anche una piccolissima percentuale di persone che chiede volontariamente di stare in cassaintegrazione, se ne frega».
Chi racconta questa realtà da fuori lo fa con le lenti dei grandi numeri. È una sofferenza che non si può capire se non si vive questa condizione sulla pelle ogni giorno da decenni in fabbrica e in città. Chiedo anche a Fabio: perché non te ne sei andato cinque anni fa? «A casa con mia moglie facemmo i conti. Ci sarebbero bastati quei 77 mila euro netti per pagare tutti i debiti? No, per questo non lo presi».
E adesso, ti basterebbero? «No, ma firmerei». Eppure come sempre nulla è bianco o nero. Soprattutto in una fabbrica di migliaia di anime. Antonio De Stradis: «Il lavoro vale più di ogni incentivo». Lui che è entrato al siderurgico come sabbiatore e verniciatore ed è stato a contatto con solventi e ha respirato polveri, ammette però che è sfinito. Sono tutti pieni di debiti.
Ma perché se cresce tra i lavoratori il desiderio di andarsene in cambio di un incentivo all’esodo giusto e sostanzioso, lo scivolo non è stato discusso e preso in considerazione dal governo?
Davide Sperti segretario Uilm Taranto: «Abbiamo chiesto ai commissari governativi già ad aprile 2023 di ridiscutere il tema di nuovi incentivi all’esodo. Ci hanno risposto che erano d’accordo, c’è anche una dote residua di 117 milioni di euro. Insomma possono farlo ma non senza l’ok governativo e senza che tutti, compresa l’azienda, si siedano al tavolo. Questi non hanno voluto muovere palla».
Nicola Bando sogna di tornare a fare il macellaio, come prima di indossare la tuta blu: «Abbiamo diritto di vivere, sognare. Io per esempio potrei anche sostenere mia moglie e farle aprire una sartoria». Anche lui vive a Tamburi. «Schiavi delle nostre case comprate a caro prezzo e che oggi non valgono niente, ho ancora 56 mila euro da dare, 560 euro al mese. A forza di stringere i denti ce li stiamo spezzando».
(da la Stampa)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
“IL DIRITTO PENALE NON PUO’ RESTARE INDIFFERENTE DI FRONTE A UN PIBBLICO UFFICIALE CHE ABUSA DEL SUO POTERE NEI CONFRONTI DI UN PRIVATO”
La maggioranza ha approvato in commissione Giustizia del Senato la norma che prevede l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Dopo il voto, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto: “L’abrogazione di questo reato evanescente, richiesta a gran voce da tutti gli amministratori di ogni parte politica, contribuirà ad un’accelerazione delle procedure e avrà quell’impatto favorevole sull’economia”. Per i contrari alla misura, invece, la cancellazione della previsione penale lascerà senza condanna i pubblici ufficiali che abusano del proprio ruolo, creando pericolose sacche di impunità.
Tra i più critici verso la cancellazione dell’abuso d’ufficio, c’è l’Associazione Nazionale Magistrati. Dice a Fanpage.it il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia: “Ci rendiamo conto dei problemi della fattispecie penale, ma semmai questa doveva essere l’occasione per una sua rivisitazione. La scelta abrogativa invece non è accettabile”. Santalucia elenca almeno tre rischi che derivano dall’abolizione del reato: “Anzitutto una considerazione generale, non si può pensare che il diritto penale resti indifferente di fronte a un pubblico ufficiale che abusa del suo potere nei confronti di un privato. Questo è evidente, proprio per la gerarchia dei valori che stanno in Costituzione”.
Continua il presidente del sindacato delle toghe: “In secondo luogo, c’è il problema della normativa sovranazionale europea, che impone l’obbligo di punire l’abuso di ufficio e quindi noi su questo probabilmente saremo sguarniti”. Terzo punto, “l’abuso d’ufficio oggi punisce anche chi non si astiene dal prendere una decisione, quando ha un interesse personale in causa – argomenta Santalucia -. Mi devono spiegare come la paura della firma giustifichi l’abolizione della punizione per chi non si astiene dal determinare un provvedimento, anche quando ha un interesse evidente personale in causa. Almeno questa parte della norma doveva essere conservata”.
Il capo dell’Anm respinge anche l’idea per cui la spada di Damocle delle inchieste per abuso d’ufficio sarebbe un freno alle procedure di appalto, anche in relazione ai fondi del Pnrr. Per Santalucia, “ci sono due filosofie di fondo contrapposte. C’è chi pensa, come la maggioranza di governo, che eliminare le norme e i controlli agevoli, semplifichi e acceleri l’azione amministrativa. Io ritengo che i controlli, quando sono efficaci e puntuali, aiutano l’azione amministrativa, non sono un ostacolo e anzi possono migliorarne la qualità”.
Tuttavia, come ricordato dal ministro della Giustizia Nordio, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è stata sollecitata da molti amministratori locali, che lamentano come sui territori, gli esposti su questa materia vengano spesso usati strumentalmente per mettere in difficoltà sindaci e amministratori, a fronte poi di un numero effettivo di condanne molto limitato.
Ribatte Santalucia: “Se c’è un malcostume politico e amministrativo, bisognerebbe intervenire su quello e non abolire una norma che tutela le ragioni del cittadino”.
Conclude il presidente dell’Anm: “Può darsi che siano anche rari i casi di abuso di potere e di prevaricazione dei diritti dei cittadini. Ma quei pochi casi perché non punirli? Solo perché sono pochi? Ci sono molti reati nel codice penale che non hanno statistiche importanti, ma ci guarderemo bene dall’abolirli”.
(da Fanpage)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
NEL CENTRODESTRA CONTINUA LA LOTTA PER LE POLTRONE… FORZA ITALIA NON INTENDE RINUNCIARE ALLA BASILICATA
La riunione coi parlamentari di questa mattina si è conclusa senza
dichiarazioni alla stampa, in visto del Consiglio Federale convocato per lunedì prossimo a Milano. Ma il leader della Lega, Matteo Salvini, starebbe già pensando ad una strategia più ampia per uscire dall’impasse che si è generata sul nome di Christian Solinas, governatore della Sardegna uscente e segretario del Partito sardo d’azione che la Lega ha sostenuto e continua a sostenere per una ricandidatura. Anche perché il tempo stringe: domenica prossima vanno presentati i simboli e il 25 gennaio scade il termine per la presentazione dei candidati presidenti (si vota il 25 febbraio). Già il simbolo può ovviamente fare la differenza, visto che generalmente il nome del candidato governatore è richiamato in una o più liste. Dunque, dopo aver alzato la tensione per giorni, fino a chiedere l’intervento della premier Giorgia Meloni, oggi Salvini ha fatto le prime aperture alla mediazione. Nella riunione coi suoi parlamentari ha detto di non voler «litigare» e che la coalizione deve essere unita, senza dare espliciti dettagli.
La strategia
Ma il disegno sembra essere chiaro: il segretario del Carroccio sa che l’esperienza Solinas ha avuto i suoi limiti (Solinas è anche indagato per corruzione) e che il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, meloniano, è considerato un nome forte. Tanto più che il centrosinistra potrebbe trovare l’unità attorno al nome della grillina Alessandra Todde, sostenuta anche dal Pd e per la quale continua il lavoro per convincere al passo indietro Renato Soru, inizialmente intenzionato a correre da solo. La divisione del centrodestra potrebbe avere pesanti ricadute. E’ per questo che se formalmente il sostegno a Solinas non manca e, ancora questa mattina, Edoardo Rixi (molto vicino al capo) sosteneva che «gli elettori non capirebbero il cambiamento di candidato», il piano B di Salvini è accettare il passo indietro ma riaprire tutti i tavoli delle prossime regionali: Piemonte, Basilicata e Abruzzo, visto che alla Lega, senza la Sardegna, mancherebbe il candidato. E tra le tre Regioni, il nome più facile da discutere è quello del governatore della Basilicata Vito Bardi, ex generale della Guardia di finanza e candidato nel 2019 in quota Forza Italia.
Il nome per la Basilicata
Qui, Salvini punterebbe su Pasquale Pepe, ex senatore della Lega non rieletto, attuale sindaco di Tolve, e coordinatore regionale. L’idea di ripescare Pepe è già circolata più volte e sempre smentita in particolare da Forza Italia che ha sempre confermato la fiducia a Bardi.
Visto però che Bardi, per la sua esperienza, potrebbe essere ricollocato in qualche incarico più o meno vicino al governo, il segretario del Carroccio punterebbe a insistere sulla scelta di Pepe. Più in generale, la strategia di Matteo Salvini a questo punto è di dare maggiori responsabilità e visibilità anche ad altri esponenti leghisti. Durante la riunione di questa mattina ha detto ai suoi che per le Europee chiederà ai parlamentari più in vista di candidarsi.
(da agenzie)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
“SE NON ARRETRANO OGNUNO ANDRÀ PER SÉ MA E’ CHIARO CHE NON CONVIENE A NESSUNO”… SALVINI SPARA AVVERTIMENTI: “SE SALTA SOLINAS IN SARDEGNA SALTANO ANCHE MARSILIO IN ABRUZZO E BARDI IN BASILICATA”. I MELONIANI REPLICANO: “SALVINI IN SARDEGNA VALE IL 3%”. IL FORZISTA GASPARRI: “IL GIOCO SI E’ FATTO COMPLICATO”
Sciarpa e berretto giallorosso, Maurizio Gasparri sta entrando allo stadio Olimpico per il derby Lazio-Roma quando ammette che la coalizione di governo non è mai stata così vicina alla rottura sulle Regionali: «Il gioco si è fatto complicato. Quando si arriva alla finalissima devono intervenire i capitani delle squadre, i Rivera, i Mazzola…».
E quindi i Salvini, i Tajani e soprattutto le Meloni. Ma un vertice all’orizzonte ancora non c’è, il che conferma quanto concreto sia il rischio di uno strappo. Come spiegano i fedelissimi della premier, ci si siede al tavolo solo quando c’è l’accordo, altrimenti «si finisce per sancire la spaccatura».
Nelle ultime ore i toni si sono alzati ancora, in pubblico come nei contatti riservati. Salvini in tv da Bruno Vespa si dice fiducioso, «si troverà la quadra». Ma intanto spara avvertimenti a tutto campo, dice (a Meloni e Tajani), che se salta Solinas in Sardegna saltano anche Marsilio in Abruzzo e Bardi in Basilicata.
E se fino a ieri mattina a via della Scrofa avevano l’impressione che il capitano leghista stesse «mandando avanti Andrea Crippa», per non esporsi in prima persona, a sera hanno cominciato a prendere sul serio le minacce di Salvini. Braccio di ferro. Muro contro muro. E Giorgia Meloni, com’è noto, non ama fare passi indietro. Ecco allora la controminaccia di FdI: «Se la Lega non cede finirà che ci spaccheremo e ognuno andrà per la sua strada, ma è chiaro che non conviene a nessuno». E non conviene soprattutto al Carroccio, è il non detto.
«Salvini in Sardegna vale il 3%», malignano i meloniani e ricordano che Solinas nei sondaggi sui governatori più amati è ultimo in classifica. E che il presidente uscente non gode dell’appoggio delle decisive liste locali, riformiste e moderate. Paolo Truzzu, il sindaco di Cagliari che Meloni vuole alla guida della Regione, quanto a consenso non sta messo molto meglio. Eppure lei lo ha blindato e non intende ripensarci, anche a costo di perdere l’isola. Il rischio esiste, perché in Sardegna Schlein e Conte hanno siglato l’intesa sul nome di Alessandra Todde, che appare forte abbastanza da non temere la corsa solitaria dell’ex governatore Soru.
L’alternativa allo strappo, a sentire i dirigenti di FdI, è che Salvini rinunci a Solinas per far posto a Truzzu, che in Umbria resti Donatella Tesei e che in Basilicata salti l’azzurro Bardi, da sostituire con un leghista.
Ma i forzisti non ci stanno e annunciano le barricate. «Bardi non si tocca, è escluso», è il mandato che Antonio Tajani ha dato ai suoi parlamentari. Forza Italia si sente sottorappresentata e il segretario è pronto a mettere sulla bilancia i voti del suo partito, in proporzione al numero attuale di governatori: oltre alla Basilicata il Piemonte, il Molise, la Calabria e la Sicilia.
(da Il Corrieree della Sera)
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Gennaio 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA DI DESTRA, INSIEME AI RENZIANI (ORMAI STAMPELLA DEL GOVERNO), VOTA LA NORMA PER LIMITARE LE INTERCETTAZIONI, IMPEDENDO AI MAGISTRATI DI TRASCRIVERE NEI VERBALI I VIRGOLETTATI SU TERZE PERSONE ESTRANEE ALL’INDAGINE… UN ASSIST INDIRETTO A SALVINI, CITATO (MA NON E’ INDAGATO) NEL CASO ANAS-VERDINI – LA DUCETTA È TERRORIZZATA DALL’INCHIESTA SUI RAPPORTI DEL FIGLIO DI DENIS, TOMMASO: SE IL “CAPITONE” FOSSE COINVOLTO DIRETTAMENTE, IL GOVERNO ZOMPEREBBE
Dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio, la limitazione del reato di traffico
di influenze e della legge Severino, oggi la maggioranza di destra più i renziani voteranno una nuova norma che limiterà l’utilizzo e la pubblicazione delle intercettazioni.
Al governo non basta l’emendamento Costa che impedirà ai giornalisti di pubblicare l’ordinanza di custodia cautelare: la maggioranza voterà a favore di un emendamento di Forza Italia al disegno di legge Nordio che impedirà ai magistrati di trascrivere nel verbale le intercettazioni che riguardano terze persone estranee all’indagine, che quindi non potranno essere nemmeno pubblicate. A queste persone, specifica l’emendamento, sarà “garantito l’anonimato”.
L’emendamento è stato presentato dal capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia al Senato Pierantonio Zanettin al disegno di legge Nordio, il provvedimento che abolisce il reato di abuso d’ufficio e modifica quello di traffico di influenze. Oggi il codice prevede che gli inquirenti trascrivano sommariamente il contenuto degli ascolti evitando ciò che non è utile alle indagini.
Ma Zanettin inserisce un elemento in più: nei verbali e nelle annotazioni di polizia giudiziaria dovranno essere “esclusi i nominativi di persone estranee alle indagini alle quali è garantito l’anonimato”. Inoltre il pm dovrà dare indicazione e vigilare sugli inquirenti perché questo avvenga.
Ieri il governo ha dato parere favorevole anche se con riformulazione. Quindi il testo finale sarà leggermente modificato ma l’impianto […] resterà quello. Oggi la maggioranza più i renziani, che sono rappresentati da Ivan Scalfarotto in commissione Giustizia al Senato, voteranno la norma che poi dovrà passare all’aula.
Un emendamento che avrà un impatto sull’utilizzo delle intercettazioni come strumento di indagine, ma soprattutto nella pubblicazione da parte dei media. Per fare solo uno degli ultimi esempi, nell’inchiesta sugli appalti Anas che ha portato agli arresti domiciliari per Tommaso Verdini era finita anche un’intercettazione in cui veniva nominato il ministro Matteo Salvini, “cognato” di Verdini junior.
Nell’estate del 2022 alcuni imprenditori, dopo le prime perquisizioni, avevano rescisso i contratti con la Inver di Tommaso Verdini ma poi il tutto era ripartito. Fabio Pileri, uno dei soci di Verdini, diceva al telefono: “Guarda caso stasera è arrivato l’invito a cena… guarda caso dopo che Salvini si è insediato, eh! Che tempistiche ragazzi! Vergognoso!”. Se dovesse essere approvata la norma di Zanettin, il nome di Salvini – che non è coinvolto nell’inchiesta né tantomeno è indagato – non finirebbe nei verbali. Dovrebbe essere sbianchettato e non potrebbe finire sui giornali.
Ieri intanto l’Anac ha criticato il governo per l’abolizione dell’abuso d’ufficio confermato martedì in commissione Giustizia: secondo il presidente dell’autorità anticorruzione Giuseppe Busia si produce “un vuoto normativo” che lascia “ancora più incertezza”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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