ARCELOR MITTAL, QUANDO PRESE IL CONTROLLO DELL’AZIENDA SIDERURGICA NEL 2018, SI ERA IMPEGNATA A REINTEGRARE LE OLTRE 1.400 TUTE BLU IN CASSA INTEGRAZIONE (LAVORATORI CHE INVECE SONO RIMASTI A CASA)
OBIETTIVI MANCATI ANCHE SUL RISANAMENTO AMBIENTALE E SUL RITORNO ALLA PIENA PRODUZIONE – LE TESTIMONIANZE: “VUOI SAPERE COSA MANGIO OGNI GIORNO? PASTA IN BIANCO”. “TROPPE BUGIE, IN QUELLA FABBRICA NON CI VOGLIO PIÙ METTERE PIEDE”
«Mi hanno inguaiato, pretendo un incentivo all’esodo. In questi cinque anni di cassa integrazione mi hanno fatto riempire di debiti, devo levarmi il mutuo della casa, oppure compio un atto estremo, mi metto una corda alla gola, così non posso andare avanti». Antonio Motolese non scherza.
Cinque anni fa quando allo Stato subentrò Arcelormittal nella gestione della fabbrica, è rimasto fuori, un esubero. È uno dei 1.447 lavoratori ex Ilva in Amministrazione Straordinaria che in base all’accordo del 2018 avrebbe dovuto essere reintegrato tra il 2023 e il 2025 cioè al termine degli interventi di ambientalizzazione che avrebbero consentito al siderurgico di Taranto di tornare a produrre fino a 8 milioni di tonnellate d’acciaio.
Quegli obiettivi sono lontani dall’essere raggiunti, il 2023 si è chiuso con una produzione inferiore ai 4 milioni di tonnellate di acciaio, inoltre dalle denunce di lavoratori e sindacati emerge che la manutenzione è ferma, anche le emissioni inquinanti restano imponenti e vistose come quelle che hanno colorato di rosso ancora una volta il cielo di Taranto il 3 gennaio scorso o i dati sul benzene confermati da Arpa e che hanno acceso un nuovo faro in Procura e portato in fabbrica i carabinieri per l’inchiesta ambientale.
Debiti e mutui Antonio chiede di essere ascoltato. «Vuoi sapere cosa mangio ogni giorno? Pasta in bianco. Non ci credi? Vieni a casa mia. Prima, se un amico mi chiedeva cosa avevo mangiato, rispondevo pasta e fagioli, ora invece urlo la verità senza problemi. Se ho potuto mettere a tavola qualcosa di diverso a Natale è solo grazie a mia suocera e mio cognato vigile del fuoco. Ho un mutuo da pagare per altri 7 anni. Mio figlio lavora ma non può aiutarmi, prende solo 700 euro al mese e ringrazio il cielo: come avrei potuto mantenerlo? Io in quella fabbrica non ci voglio più mettere piede. Voglio l’incentivo, mi devo levare tutti i debiti, non posso lasciarli ai miei figli».
Francesco Rizzo segretario Usb mi invita ad approfondire. Riceve centinaia di messaggi di lavoratori che gli chiedono se ci saranno nuovi incentivi. E lui sa che questa è una battaglia da fare. Michele Capezzera, gruista da 5 anni cassaintegrato in amministrazione straordinaria. «Anche io prego per avere questo scivolo, francamente ci spero, ci conto, non posso più stare così e non credo a nessuna promessa».
Per chi diceva subito sì, c’erano 100 mila euro lordi, 77 mila euro netti. Ora invece con il passare degli anni l’incentivo all’esodo è sceso a 15 mila euro. Dati esodi aggiornati al 31 dicembre 2023: 1.418 di cui, 1.114 a Taranto Ilva, 7 a Taranto Energia, 254 a Genova, 15 a Marghera, 28 a Novi Ligure.
Esodi e incentivi Ma perché non avete accettato la proposta per andarvene quando era concreta nel 2018? «Vuoi la verità? – confessa Michele – 5 anni fa sono andato a firmare. Poi una volta lì, davanti a quel foglio non me la sono sentita. Non sapevo cosa fare con quei soldi, avevo paura che andassero dispersi. Mia moglie è una psicologa e mi ha aiutato ad affrontare questa situazione. Ora ho capito che devo provare a rifarmi una vita, magari posso fare l’autista. L’ho già fatto, sono bravo, mi sento un’altra persona, per me la salute è la priorità. Là non ci voglio mettere più piede, ci hanno riempito di bugie».
Sono quasi tutti operai in cassa a zero ore in amministrazione straordinaria a pensarla così. Tra coloro che, invece, sono stati assunti da Arcelormittal c’è più incertezza. Graziano Vernice: «Se i sindacati ottenessero almeno 150 mila euro per l’esodo allora ci penserei. Io però pretendo ancora il posto di lavoro, a casa non voglio stare più».
Vito Pastore, area tubifici, martoriata, impianti a valle da anni quasi fermi, cassa integrazione a morire. «Il dramma sai qual è? Siamo spaccati: c’è chi non fa nemmeno un’ora di cassa integrazione e quindi non se ne frega niente della guerra in corso; quelli invece che vivono di ammortizzatori sociali vendono nell’incentivo all’esodo l’unica possibilità di sopravvivenza, e infine, bisogna essere sinceri, c’è anche una piccolissima percentuale di persone che chiede volontariamente di stare in cassaintegrazione, se ne frega».
Chi racconta questa realtà da fuori lo fa con le lenti dei grandi numeri. È una sofferenza che non si può capire se non si vive questa condizione sulla pelle ogni giorno da decenni in fabbrica e in città. Chiedo anche a Fabio: perché non te ne sei andato cinque anni fa? «A casa con mia moglie facemmo i conti. Ci sarebbero bastati quei 77 mila euro netti per pagare tutti i debiti? No, per questo non lo presi».
E adesso, ti basterebbero? «No, ma firmerei». Eppure come sempre nulla è bianco o nero. Soprattutto in una fabbrica di migliaia di anime. Antonio De Stradis: «Il lavoro vale più di ogni incentivo». Lui che è entrato al siderurgico come sabbiatore e verniciatore ed è stato a contatto con solventi e ha respirato polveri, ammette però che è sfinito. Sono tutti pieni di debiti.
Ma perché se cresce tra i lavoratori il desiderio di andarsene in cambio di un incentivo all’esodo giusto e sostanzioso, lo scivolo non è stato discusso e preso in considerazione dal governo?
Davide Sperti segretario Uilm Taranto: «Abbiamo chiesto ai commissari governativi già ad aprile 2023 di ridiscutere il tema di nuovi incentivi all’esodo. Ci hanno risposto che erano d’accordo, c’è anche una dote residua di 117 milioni di euro. Insomma possono farlo ma non senza l’ok governativo e senza che tutti, compresa l’azienda, si siedano al tavolo. Questi non hanno voluto muovere palla».
Nicola Bando sogna di tornare a fare il macellaio, come prima di indossare la tuta blu: «Abbiamo diritto di vivere, sognare. Io per esempio potrei anche sostenere mia moglie e farle aprire una sartoria». Anche lui vive a Tamburi. «Schiavi delle nostre case comprate a caro prezzo e che oggi non valgono niente, ho ancora 56 mila euro da dare, 560 euro al mese. A forza di stringere i denti ce li stiamo spezzando».
(da la Stampa)
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