Destra di Popolo.net

NON BASTA OCCUPARE POLTRONE PER CREARE EGEMONIA CULTURALE

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

SENZA IDEE E SENZA INTELLETTUALI PORTATORI DI IDEE NON SI VA DA NESSUNA PARTE

Sbagliata l’impostazione sbagliata la prosecuzione, per capire cos’è l’egemonia culturale è indispensabile avere idee. In cultura nessuna egemonia, meno che mai connotata da un marchio politico: di sinistra, di destra, di centro, populista, sovranista, e, a maggior ragione, democratica, si acquisisce occupando posti.
Certamente, grazie alle nomine e alle graziose, ma spesso, poi, anche esigenti, concessioni a opera dei detentori, più o meno temporanei e voraci, del potere politico, è possibile avere spazi, occupare luoghi, ottenere cariche.
Però, senza idee e senza persone portatrici di idee non ne (con)seguirà nessuna egemonia. La situazione non sarà pienamente definibile con le parole di Shakespeare, la cui personale “egemonia” culturale è enorme, «molto rumor per nulla» soltanto perché le prebende, i vantaggi materiali, la visibilità per un numero notevole di intellettuali e per molti settori dell’opinione pubblica (quasi sicuramente anche degli influencer e dei loro follower) è tutt’altro che nulla.
Anzi, prebende, vantaggi, visibilità, soprattutto popolarità, aggiungerei, effimera, sono quasi tutto quello che, desiderandolo, riescono a concepire.
LE IDEE NON MUOIONO
La reimpostazione del discorso deve, non soltanto a mio parere, ripartire dalla riflessione sull’esistenza di molteplici centri di attività culturale, dal pluralismo e dalla libertà di produzione, pubblicazione, diffusione delle idee, cioè, dalla democrazia.
In questo contesto, oggi fortunatamente ancora aperto e differenziato, nonostante i preoccupati (e preoccupanti) cantori della crisi della democrazia, esiste una egemonia, spesso sfidata, ma molto resiliente: quella dei valori, soprattutto della libertà, variamente declinata in diritti civili, politici, persino (sic) sociali, del pluralismo e della competizione.
In democrazia, pertanto, tutti i modi di fare cultura nelle arti, in musica, in letteratura, nel cinema possono essere praticati. Talvolta, qualche modalità risulterà più diffusa, più accettata, più apprezzata. Difficilmente sarà l’unica e continuerà a essere sfidata e messa in discussione.
Se è cultura potrà anche vedere ridursi il suo ambito di influenza e successo, verrà superata in “popolarità”, ma avrà comunque acquisito un suo posto nella storia delle arti, della musica, della letteratura. Con enfasi retorica è opportuno e giusto affermare che le idee che hanno dato vita e innervato l’evoluzione della cultura non muoiono.
Continuano a essere fonti di ispirazione, di imitazione, di apprendimenti. Le grandi scuole di cultura sono state fondate e guidate da persone di cultura che non dovevano la loro visibilità e la loro influenza a nessuno, meno che mai alla politica e ai politici, ma soltanto alla forza delle loro idee e delle loro capacità.
Molto è cambiato, soprattutto nelle modalità di comunicazione e diffusione delle idee. Forse, persino in meglio. La scena culturale è ormai legata strettamente alla globalizzazione. Leggerei l’espressione “nessuno è profeta in patria”, in maniera all’altezza dei tempi.
Fare cultura richiede la conoscenza, il confronto, la competizione su scala globale. Continueremo a vedere e capire le differenze fra conservatorismo e progressismo, fra processi culturali innovativi, fra idee che si espandono e si ritraggono. Potremo anche notare che alcune idee acquisiscono egemonia, quanto duratura o temporanea lo si valuterà dopo. Ma egemoni non saranno automaticamente e neppure frequentemente le idee di chi occupa cariche di vertice per nomina politica. Talvolta, proprio al contrario: egemoni saranno coloro che hanno ottenuto quelle cariche come riconoscimento della “genialità” delle loro idee. Ripensare l’egemonia culturale è un impegnativo compito per i produttori di idee.
(da editorialedomani.it)

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FINE CORSA SGARBI, IL TRISTE TRAMONTO DEL SOTTOSEGRETARIO BEATO TRA GLI UCCELLI

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

QUANDO HA DETTO CHE TIRAVA FUORI L’UCCELLO, SPERAVAMO TIRASSE FUORI UN DIPINTO DEL GRANDE MAESTRO FIORENTINO DELLA PROSPETTIVA

Quando ho sentito il sottosegretario alla Cultura dire in tivù “Tiro fuori l’uccello”, ho pensato per un secondo che era ora – oh, finalmente! – si smetteva con le polemiche e gli insulti e si tornava a parlare di arte.
Mi aspettavo in effetti che tirasse fuori un dipinto di Paolo Uccello (1511-1574), il grande maestro fiorentino della prospettiva, ed ero già pronto al perdono seguendo supinamente la vulgata degli ultimi trent’anni: vabbè, Sgarbi sarà quel che sarà, ma di arte ne capisce, un grande classico dell’ottundimento italiano.
Invece no, Sgarbi voleva proprio tirare fuori l’uccello, inteso come pene, e faceva l’elegante gesto di aprirsi la patta dei pantaloni, nella plastica rappresentazione di un atteggiamento provocatorio che già in tutte le seconde medie del pianeta sarebbe considerato un po’ cretino e degno di una visita dal preside.
Avendo (purtroppo) l’età per ricordarmelo, mi è venuto in mente Iggy Pop, strepitoso punkettone e rocker di pregio, detto l’Iguana, che durante i concerti l’uccello lo tirava fuori davvero, per la gioia dei fan che pogavano sotto il palco: un simbolo di trasgressione senza se e senza ma, e soprattutto senza essere sottosegretario alla Cultura (anche se io il vecchio Iggy l’avrei fatto ministro).
Insomma, non intendo qui entrare nel merito delle inchieste giornalistiche (e giudiziarie) di cui Sgarbi è oggetto, né di quadri trovati in soffitta, o rubati, o che ricompaiono qui e là fotografati, modificati, tagliuzzati, sequestrati, eccetera eccetera: lo fanno colleghi più bravi e coraggiosi di me, che per questo si sentono dire – sempre dal sottosegretario alla Cultura – che dovrebbero morire male.
Quando si dice la forza della dialettica. Mi limiterò a una piccola notazione in margine, diciamo così “culturale” su un alto rappresentante del governo italiano che si comporta come un chitarrista heavy metal in piena crisi creativa. Forse, chissà, andrebbe trovata una via di mezzo tra l’antico “politichese” da Prima Repubblica e il dadaismo sgarbista ispirato all’esibizionismo da giardini pubblici con impermeabile aperto a sorpresa (in quel caso, di solito, arriva una volante).
E non vorrei nemmeno che il gesto di Sgarbi facesse scuola tra i colleghi sottosegretari degli altri ministeri, perché sarebbe imbarazzante per il Paese (pardon: Nazzzione) veder sventolare apparati riproduttivi maschili qui e là nel divampare del dibattito politico, magari durante il question time alla Camera… Onorevoli colleghi…
Si rimarca qui, en passant, che ciò che oggi si rimprovera a Sgarbi non è un’intemperanza improvvisa e sconsiderata, ma un atteggiamento che tutti conosciamo, che in qualche modo ci si aspetta da lui come fedeltà al personaggio. A parte i colleghi di Report che volevano fargli qualche domanda nel merito di inchieste e indagini in corso, chi invita Sgarbi lo fa quasi sempre confidando nell’incidente (e indecente) diplomatico, nell’uscita sghemba e scandalosa, nell’impennata dei toni, nella parolaccia liberatoria, nell’insulto da rissa per il parcheggio. In poche parole, si confida nella presenza del prestigioso sottosegretario alla Cultura per aumentare gli ascolti, o i clic, o i titoli sui giornali il giorno dopo, perché Sgarbi è un format. Purtroppo, anche i format più collaudati stufano, passano di moda e funzionano sempre meno, vengono lentamente archiviati nella memoria collettiva, lontani e dimenticati come la mucca Carolina e non è lontano il giorno in cui si dirà: “Sgarbi chi? Quello dell’uccello?”. Ah, vabbè. Amen.
(da Il Fatto Quotidiano)

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LA PENSIONE ANTICIPATA PER LE DONNE E’ IRRAGGIUNGIBILE

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

TAGLIATE DAL GOVERNO MELONI 7 SU 10

La pensione anticipata diventa sempre più un’utopia per le donne. Il prossimo anno sette lavoratrici su dieci non potranno accedere all’uscita anticipata dal lavoro a causa delle strette delle due manovre Meloni sull’Ape sociale, l’Opzione donna e la Quota 103. A cui va aggiunto il taglio degli assegni per i lavoratori pubblici.
I calcoli vengono elaborati dalla Cgil e riportati da la Repubblica e prendono in esame le condizioni più difficili per il pensionamento anticipato: con l’Opzione donna l’uscita passa dai 60 ai 61 anni, con l’Ape sociale si porta l’età d’uscita a 63 anni e 5 mesi (cinque mesi in più) e in più c’è il ricalcolo contributivo con la Quota 103.
Rispetto al 2022 le pensioni anticipate delle donne sono già calate del 28% nel 2023, passando da 107mila a 77mila, come attesta l’Inps. Ma nel 2024 andrà ancora peggio. Si attendono 55mila pensioni anticipate al femminile quest’anno, per poi scendere addirittura a 30mila nel 2025 e nel 2026, di cui 20mila nel privato e 10mila nel pubblico.
Così dal 2022 al 2025 il totale sarà di una riduzione del 72% delle uscite anticipate per le donne. Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil, spiega che “il taglio del governo Meloni, secondo le nostre stime, è clamoroso per le donne”.
In particolare le stime dicono che nel 2024 nessuna donna andrà in pensione con la nuova Quota 103 mentre saranno solamente 250 le uscite con l’Opzione donna. E, ancora, per l’Ape sociale le adesioni al femminile non dovrebbero essere più di 3.510. Così a lasciare il lavoro senza ricorrere alla legge Fornero saranno meno di 4mila donne. In più ci saranno quelle che lavoreranno fino ai 67 anni per evitare il taglio degli assegni per i dipendenti pubblici introdotto dal governo. Un vero e proprio disastro per le pensioni al femminile.
(da agenzie)

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TUTTI GLI ERRORI DEL CASO ILARIA SALIS: E IL GOVERNO SCARICA LE COLPE SULL’AMBASCIATORE A BUDAPEST MANUEL JACOANGELI

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

TAJANI FA IL PESCE IN BARILE E DICE AVER SAPUTO “SOLO L’ALTRO IERI” DELLE MANETTE A MANI E PIEDI DI ILARIA SALIS. MA IL PADRE DELLA 39ENNE ITALIANA ARRESTATA IN UNGHERIA LO SBUGIARDA

Una sequenza di errori. O almeno, di sottovalutazioni. Capaci di irritare la Farnesina. E di provocare uno scomodo gioco del cerino tra l’esecutivo e il corpo diplomatico. Il caso di Ilaria Salis coinvolge l’ambasciata italiana in Ungheria. E l’ambasciatore, Manuel Jacoangeli. È lui, dal 14 giugno 2021, a rappresentare l’Italia a Budapest. E diventa adesso il bersaglio delle critiche neanche troppo velate che arrivano dai vertici del governo.
Un passo indietro. La carriera di Jacoangeli si sviluppa tra Bruxelles, Lubiana, il Consiglio d’Europa e il ministero degli Esteri. Ma anche come consigliere diplomatico di alcuni ministri: prima all’Istruzione con Valeria Fedeli, poi alla Salute con la grillina Giulia Grillo. Resterà al dicastero all’arrivo di Roberto Speranza, ma soltanto per nove mesi: a giugno l’esecutivo guidato da Mario Draghi lo nomina ambasciatore d’Ungheria. Ed è lì che incrocia la storia di Ilaria Salis.
Tutto inizia un anno fa, l’11 febbraio del 2023. Il caso resta però sconosciuto al pubblico per diversi mesi, fino a un articolo pubblicato su questo giornale da Fabio Tonacci. Gli unici a conoscere nel dettaglio la vicenda sono i funzionari dell’ambasciata italiana in Ungheria e, ovviamente, i loro interlocutori istituzionali alla Farnesina.
Per come ricostruiscono adesso la vicenda fonti di governo e diplomatiche, non è l’ambasciatore a maneggiare personalmente il dossier. Tocca ad alcuni suoi sottoposti a Budapest occuparsi dell’iter giudiziario che segue l’arresto della ragazza e porta Salis per diverse volte nell’aula di un tribunale magiaro. Sono loro, ad esempio, a fornire supporto per consentire i contatti su Skype tra la detenuta e i familiari.
È un dettaglio fondamentale, riferiscono ora fonti dell’esecutivo di massimo livello, il fatto che a occuparsi di tutto non sia direttamente Jacoangeli. Nel linguaggio diplomatico, sostengono infatti, soltanto l’intervento diretto dell’ambasciatore permette a un caso di essere considerato “politico”, attirando più facilmente l’attenzione del governo. Altrimenti, viene valutato come tecnico.
Eppure, la detenzione di Salis presentava fin dall’inizio gli ingredienti per esplodere: investe i rapporti tra Italia e Ungheria, dunque tra Orbán e Meloni. E coinvolge Budapest, finita spesso nel mirino di Bruxelles a causa delle violazioni dello stato di diritto
La reazione dell’ambasciatore sarebbe stata dunque lenta, troppo cauta. E avrebbe peccato di sensibilità nell’individuare la delicatezza politica del caso. Quando Repubblica scrive della vicenda, è ormai troppo tardi per rimediare. A quel punto, raccontano, Antonio Tajani viene investito personalmente del problema e raggiunge telefonicamente l’ambasciatore. Ciononostante, nulla accade fino all’altro ieri. Palazzo Chigi mantiene un profilo bassissimo, spinto soprattutto dalla necessità di preservare il rapporto con Orbán.
(da agenzie)

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MELONI IN IMBARAZZO SUL CASO SALIS, SOLO IN SERATA CHIAMA ORBAN

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

TIMORI PER POSSIBILI VENDETTE NEONAZISTE IN UNGHERIA

Le immagini di Ilaria Salis trascinata al guinzaglio come una bestia in un’aula di giustizia di Budapest hanno sgretolato quel muro di indifferenza che Giorgia Meloni, come altri paladini dei sovranisti in Europa, aveva innalzato a difesa dell’autocrazia di Viktor Orbán, da anni accusata di violare lo Stato di diritto.
La telefonata della leader italiana al primo ministro ungherese arriva dopo giorni di pressioni, un imbarazzo crescente, divenuto lampante dopo la gaffe del ministro dell’Agricoltura, e cognato, Francesco Lollobrigida, che dice di non aver visto le foto dell’attivista in catene e quindi di non poter commentare.
Il colloquio telefonico viene preparato dallo staff mentre la premier per tutto il giorno è impegnata a Palazzo Chigi con capi di Stato e di governo, e a impacchettare un video di affettuosità con il tennista Janik Sinner, reduce dal trionfo di Melbourne.
Chiamare Orbán non è una faccenda semplice. Perché c’è una forma da rispettare: la sovranità di uno Stato, con i suoi rituali, che per Meloni è sacra. Un equilibrio delicatissimo che si regge sul riconoscimento obbligato della divisione tra potere giudiziario e potere esecutivo. Meloni può parlare solo di quello che ha visto, e di quello che le hanno riferito con prove certe. Con una strategia precisa di cui deve farsi carico: riuscire a ottenere i domiciliari per l’attivista e da lì farla trasferire in Italia. E così, dopo l’inciso dovuto – «con il rispetto che si deve all’indipendenza e all’autonomia della magistratura ungherese» – chiede a Orbán di garantire «un trattamento consono e più umano» alla cittadina italiana, «come a tutti gli altri detenuti».Ogni sillaba in più può suonare come un giudizio, e provocare una frattura diplomatica.
La presidente del Consiglio è irritata dal fatto che il caso le sia piombato addosso così, perché è convinta che l’ambasciata italiana di Budapest l’avrebbe potuto gestire meglio, e scongiurare situazioni vergognose come quella di lunedì. Meloni si trova all’improvviso con un duplice problema. Il primo di ordine istituzionale: da capo del governo deve dare una risposta all’opinione pubblica che è rimasta scandalizzata dalle foto di Salis e dalle ricostruzioni sul suo stato di detenzione.
Il secondo problema è più squisitamente politico: che fare con Orbán, compare di tante battaglie, scomunicato dai popolari europei e a un passo dal fare il suo ingresso nella famiglia dei Conservatori (Ecr) che Meloni guida e vorrebbe veder crescere. Altro elemento di contesto non secondario: queste sono le ore che precedono il Consiglio europeo straordinario d\i domani. Non un vertice come gli altri.
Ma un processo collettivo al premier di Budapest, che tiene in ostaggio 50 miliardi di aiuti all’Ucraina e la revisione del Bilancio Ue. Meloni arriverà questa sera a Bruxelles con i galloni della mediatrice a cui è affidato il compito – assieme a Emmanuel Macron – di ammorbidire le pretese di Orban, provando comunque a tenerlo lontano dall’orbita russa.
La premier non proferisce parola per giorni. La diplomazia italiana si trova a lavorare faticosamente sulla base di un indirizzo politico poco chiaro e minato dai continui distinguo di esponenti di maggioranza e di governo. I leghisti che se ne infischiano ostentatamente dei metodi medioevali dell’alleato ungherese, e tutto il vertice di Fratelli d’Italia che fa quello che fa quando il disagio si fa insostenibile: tace, o inciampa su dichiarazioni stralunate come ha fatto Lollobrigida. Questa volta però non si tratta di esprimere un giudizio sui saluti fascisti ad Acca Larentia, questa volta sono stati calpestati i diritti minimi di un’italiana arrestata durante gli scontri con gruppi neonazisti, e tutto è avvenuto in Europa, a casa di un leader amico.
Meloni non rivolge un secondo di attenzione a Ilaria Salis prima di lunedì sera, quando, a margine del vertice Italia-Africa, il ministro degli esteri Antonio Tajani la avvicina in Senato e la informa che, dopo la pubblicazione del video sul Tg3, intende convocare l’ambasciatore ungherese. Ádám Kovács rassicura la Farnesina che informerà il governo di Budapest. Chiama il ministro della Giustizia che a sua volta contatta il procuratore e il direttore del carcere per vigilare sulla detenzione di Ilaria.
Tajani ha già parlato con il suo omologo Péter Szijjártó il 22 gennaio, durante il Consiglio degli Affari esteri. E in quell’occasione ha chiesto di valutare misure cautelari alternative. L’obiettivo è tirarla fuori dalle carceri ungheresi. Contemporaneamente il ministro della Giustizia Carlo Nordio che, a sua volta, suggerisce al legale che assiste l’attivista di rinnovare la richiesta per i domiciliari. Cosa che avrebbe dovuto fare durante l’udienza dell’altro ieri, ma che non fa.
Dalle ricostruzioni delle ultime ore, ci sarebbe un preciso motivo dietro questa scelta. L’avvocato punta a ottenere i domiciliari direttamente in Italia. Senza cioè prima passare da un’abitazione in Ungheria, dove – spiegano fonti diplomatiche – le collusioni tra forze dell’ordine ungheresi e gruppi neonazi potrebbero esporre Ilaria al rischio di una vendetta da parte dell’ultradestra.
(da La Stampa)

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DIRE TERRORISMO TANTO PER DIRE

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

LA LEGHISTA CECCARDI PARLA DI “TERRORISMO ROSSO” E DIMENTICA CHE L’ACCUSA CONTRO ILARIA SALIS E’ SOLO DI “LESIONI AGGRAVATE” GUARIBILI IN 5/7 GIORNI

Secondo l’eurodeputata leghista Ceccardi, Ilaria Salis deve «restare in galera» perché bisogna «ribadire sempre la lotta al terrorismo rosso».
Si registra, con sollievo, un importante passo in avanti sul cammino del garantismo: non ha detto, Ceccardi, “marcire in galera”, espressione prediletta nella comunicazione social di molti leghisti; e non ha aggiunto “buttate via la chiave”, coloritura retorica amatissima dal suo leader Salvini.
Bisogna dunque dare atto a Ceccardi di avere saputo contenere il suo evidente entusiasmo per la carcerazione di Salis: una prova di lenta, ma decisa, maturazione democratica.
Quanto alla detenzione in catene di Salis nell’ambito della «lotta al terrorismo rosso», Ceccardi deve solo sperare che la stessa Salis, e il suo combattivo e dignitosissimo padre, non sappiano che davvero Ceccardi ha scritto quelle parole.
Perché potrebbe partire, versus l’eurodeputata leghista, una querela di non facile gestione, visto che l’accusa per la quale Salis sarà processata è di lesioni aggravate (guaribili in 5/7 giorni, per la precisione).
Di terrorismo nessuno, fin qui, aveva mai parlato, né in Italia né in Ungheria, per ragioni giuridicamente e politicamente così ovvie che non vale la pena soffermarsi neppure un rigo di più.
Resta da dire di una ormai annosa valutazione politica, non nuova (specie in questa rubrichetta quotidiana) e non più sorprendente: le prese di posizione meno obiettive, meno opportune, più aggressive, più sbrigative, più brutali, arrivano quasi sempre dai leghisti.
Che in Italia possa esserci un partito più fascista dei neofascisti, è un mistero di difficile spiegazione. Forse si tratta delle famose eccellenze italiane.
(da La Repubblica)

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SUL CASO SALIS L’INVERECONDO ATTEGGIAMENTO DI FRATELLI D’ITALIA

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

LE BUGIE SOVRANISTE: “CATENE COME IN ITALIA”… SI MUOVE IL GARANTE…LA MELONI SPERAVA DI SILENZIARE LA VICENDA, POI LA FOTO IN CATENE LE HANNO ROVINATO TUTTO…. SOLO RAMPELLI SI SMARCA

È stata la foto di Ilaria Salis in catene a rovinare tutto. Fino a quel momento, Palazzo Chigi progettava di perpetuare il profilo basso scelto fino a quel momento, con l’obiettivo di non disturbare le ottime relazioni tra Giorgia Meloni e Viktor Orbán, il leader di Fidesz che Fratelli d’Italia intende accogliere nei Conservatori europei.
Dopo quelle immagini, però, il governo non ha potuto fare più finta di nulla. Perché l’Ungheria è Europa. E perché l’amicizia sincera tra i due capi di governo, che cantavano assieme ad Atreju “Avanti ragazzi di Buda”, non può coprire lo sdegno dell’opinione pubblica per un’italiana umiliata in un’aula di giustizia magiara. Ecco perché l’esecutivo, finalmente, si è mosso. E l’ambasciata italiana ha battuto un colpo, dopo una cautela che ha irritato la Farnesina.
È sera quando Meloni sente Orbán. E dirama un cautissimo comunicato in cui riferisce del contatto e aggiunge: «Nel pieno rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ungherese, ho portato l’attenzione del primo ministro ungherese sul caso della nostra connazionale Salis». I due si ritroveranno forse già stasera a cena a Bruxelles, di certo domani a margine dei lavori del Consiglio europeo straordinario. Cercheranno una via d’uscita per riportare la donna in Italia. Ma proveranno a farlo senza che dalla destra giungano attacchi o critiche al fondatore di Fidesz. Perché Orbán serve a Meloni per rafforzare l’Ecr. E piace a Matteo Salvini, con cui condivide posizioni filorusse.
Meloni, dunque. La leader è consapevole della delicatezza del rapporto con Orbán, ormai giudicato un problema in tutte le Cancellerie europee. Per settimane l’ungherese ha bloccato la revisione del bilancio pluriennale dell’Unione e domani potrebbe dare infine il via libera — assieme ai fondi all’Ucraina — in cambio delle risorse del Pnrr per l’Ungheria. In questo clima la premier deve costruire una via d’uscita nel caso Salis. E farlo senza urtare la suscettibilità dell’amico, che una cosa proprio non tollera: mostrarsi debole o poco nazionalista di fronte al proprio elettorato.
Ecco perché per un giorno intero Palazzo Chigi impone ai parlamentari di FdI una strategia decisa da Meloni: silenzio, se ne occupano i vertici del governo. E soprattutto: nessuno attacchi il magiaro.
Per dirla con il capogruppo Tommaso Foti: «Orbán non c’entra nulla». Si espone, però, la prima fila dei meloniani. A partire da Francesco Lollobrigida: «Non ho visto le immagini di Salis in tribunale, non commento». È tra i pochi in Italia a non aver avuto accesso a quei fotogrammi. Li ha visti Nicola Procaccini, meloniano di punta all’Europarlamento, che sostiene però a proposito delle catene: «In Italia è più o meno uguale».
E quelle foto le ha visionate pure Ignazio La Russa, che promette di incontrare nei prossimi giorni i familiari della ragazza detenuta. Poi però aggiunge: «È una questione che riguarda la dignità dei detenuti, in ogni parte del mondo. Compresa l’Italia, dove ho visto che c’è un sistema non dissimile», almeno per gli uomini, «con il guinzaglio, ma non le manette ai piedi». Roma come Budapest, quindi. Un parallelo che fa infuriare il garante dei detenuti di Milano. E costringe La Russa a precisare: «La nostra legge vieta di esibire il detenuto in condizioni di umiliazione».
Ma c’è di più. È la Lega a scatenarsi. Parla prima Igor Iezzi: «Partire dall’Italia per mettersi nei guai in Ungheria ha delle conseguenze». Poi interviene il vicesegretario Andrea Crippa: «Ogni Paese punisce come vuole e non compete a me giudicare quello che si fa in altri Stati». Infine si espone il deputato leghista Rossano Sasso: «Se fosse colpevole — e non vogliamo nemmeno immaginarlo! — sarà doveroso radiarla dalle graduatorie ministeriali», quelle a cui partecipa in quanto maestra di scuola elementare.
Fin qui, gli attacchi della destra in difesa del sistema giudiziario ungherese. Ma è evidente che la trattativa per riportare in Italia Salis passa soprattutto dall’azione diplomatica.
Al mattino, la Farnesina convoca l’incaricato d’Affari d’Ungheria e chiede di valutare anche misure alternative alla detenzione in carcere. Poi interviene Antonio Tajani. Condanna la linea di Budapest: «Non è in sintonia con la nostra civiltà giuridica». Poi però ridimensiona la portata politica degli eventi: «In punta di diritto, Orbán non c’entra niente. Non è che il governo decide il processo. La magistratura è indipendente». Quanto all’esecutivo italiano, «non possiamo intervenire, l’Ungheria è uno Stato sovrano, possiamo soltanto protestare sulle modalità di trattamento dei detenuti».
In realtà, la stretta allo stato di diritto applicata nel corso degli anni da Orbán è patrimonio comune in tutte le Cancellerie europee ed è finita nel mirino di Bruxelles. Ecco perché l’opposizione si indigna con la destra. Peppe Provenzano chiede a nome del Pd un’informativa urgente dell’esecutivo: «Abbiamo visto Solis in catene, come una bestia, come nel Medioevo. Scene che stanno scandalizzando l’intera Europa, ma non il governo italiano». Ed Elly Schlein aggiunge: «Questa vicenda conferma come Meloni si sia sempre scelta alleati e amici sbagliati, ora spezzi il silenzio».
C’è solo un deputato di Fratelli d’Italia che evita di difendere Orbán e chiede a Palazzo Chigi il massimo sforzo per liberare la ragazza detenuta. È Fabio Rampelli: «Sono certo — dice — che Meloni saprà usare tutto ciò che è in suo potere per ottenere il rientro di Salis in Italia e lo svolgimento di un giusto processo, senza catene. Quelle immagini ci hanno turbati». Un turbamento solitario o quasi, a destra.
(da La Repubblica)

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LA SCUOLA, I CENTRI SOCIALI, LA MONTAGNA: CHI E’ ILARIA SALIS

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

GLI EX COMPAGNI DI LICEO: “E’ UNA DI QUELLE PERSONE CHE QUANDO LA INCONTRI NON TE LA DIMENTICHI PIU’, ERA LA MIGLIORE DELLA CLASSE, SENSIBILE ALLE INGIUSTIZIE E PALADINA DEI PIU’ FRAGILI”

Degli ultimi 11 mesi di vita di Ilaria Salis sappiamo molto. Non grazie alla trasparenza delle carceri ungheresi, ma dal racconto che lei stessa ha fatto sul suo calvario in prigione in una lettera agli avvocati e da suo padre Roberto che, quando ha avuto il via libera dalla figlia, si è fatto portavoce della sua battaglia per il ripristino dei diritti da detenuta europea.
Dei 38 anni prima del suo arresto – l’11 ottobre scorso, dopo la Giornata dell’Onore che ogni anno raduna a Budapest centinaia di nostalgici di Hitler e gruppi di antifascisti militanti -, invece, sappiamo poco o nulla. Non era famosa Ilaria Salis prima che il suo caso facesse il giro d’Europa, prima che diventasse anche un murales sui muri di Roma.
E d’altronde la sua famiglia ci tiene a proteggerla: “Dobbiamo stare attenti, ci sono siti neonazisti che hanno pubblicato il nome, la foto e l’indirizzo della casa milanese di mia figlia”, accusa il padre Roberto.
Quel che è ormai diventato pubblico è che Ilaria Salis, che porta un cognome d’origine sarda e lì, in Sardegna, ha ancora zii e familiari, è nata a Monza, cresciuta in Brianza, si è diplomata col massimo dei voti nel liceo classico della città, lo Zucchi, sezione D.
“Ilaria è una di quelle persone che quando le incontri non te le dimentichi più”, raccontava un’amica al Giorno.” Era la migliore della classe. Sensibile alle ingiustizie e paladina dei più fragili”.
Ed è da lì, da quella comunità dello Zucchi, che gli studenti e le studentesse, di oggi e di ieri, hanno lanciato, qualche giorno fa, un appello in favore di Ilaria: “Siamo un gruppo eterogeneo di persone accomunate dall’appartenenza, in tempi diversi, alla comunità didattica, educativa e ‘politica’ del liceo Zucchi di Monza. Con Ilaria abbiamo condiviso spazi, pensieri, timori e slanci dell’età liceale, e come Ilaria tutti abbiamo mosso i primi passi di una consapevolezza di cittadinanza attiva, di partecipazione e responsabilità civile, nelle aule di quella scuola. Ilaria è una di noi”.
Dopo il liceo, a 18 anni, quell’attivismo è entrato dentro una fabbrica abbandonata: Ilaria Salis, con altri, ha fondato il centro sociale Boccaccio nel cuore della borghesissima Monza. Lì, in via Boccaccio, i nazisti avevano fucilato tre partigiani sotto la neve. Ai militanti in città era sembrato un posto perfetto. “S’è sempre appassionata alle cause sociali. Fin dal liceo. Si consumava sui libri e nell’impegno politico. Il centro sociale, l’ha praticamente fondato lei…”, ha spiegato il padre Roberto al Corriere della Sera.
Amante di teatro, oltre che delle arrampicate in montagna, nella sala del centro sociale, ribattezzata “La scala pericolante”, ha interpretato l’antimilitarismo di Euripide ne “Le troiane”. “Studiava moltissimo, soprattutto la storia”, ha raccontato un altro ex compagno di scuola che fa oggi parte del “Comitato Ilaria Salis” che chiede di riportare l’antifascista in Italia.
Qualche anno più tardi è arrivata la laurea in Storia alla Statale di Milano con pieni voti e una tesi su Sant’Ambrogio. E il lavoro da maestra elementare. “In carcere ha chiesto libri, solo libri, studiava sempre, dalla mattina alla sera, d’altronde lì non c’è molto da fare. Io costruivo bambole con pezzi di lenzuolo, lei studiava”, ha ricordato a Repubblica la sua ex compagna di cella in Ungheria, Carmen Giorgio.
In passato Salis era finita in alcune intercettazioni della procura sulla galassia anarchica: dialogava con Roberto Cropo, anarchico italiano estradato dalla Francia nel 2020. Ma su di lei non erano state formulate accuse. Nel 2017 è stata coinvolta in un processo per un assalto a un gazebo della Lega a Monza ma, come hanno ricordato i suoi legali, “è stata assolta per non aver commesso il fatto”, diversamente da quanto racconta il Carroccio. Nella motivazione il giudice scrisse: “Nessuno dei quattro imputati per il presunto assalto alla sede della Lega a Monza, tra i quali Ilaria Salis, appare aver partecipato all’azione delittuosa commessa dai compagni di corteo, né pare averli in qualche modo incoraggiati o supportati moralmente”. Ha avuto, ha scritto La Verità, una condanna nel 2022 per “resistenza aggravata” e “per aver intonato cori ostili, posizionato per strada sacchi di spazzatura”
L’11 febbraio del 2023 Ilaria Salis era a Budapest. Ha partecipato a una manifestazione antifascista contro il raduno dei militanti neonazisti per il Giorno dell’Onore. “E’ un’idealista”, dice la zia Carla Rovelli, sorella del papà e madrina di battesimo di Salis che per chiederne il ritorno in Italia ha scritto a Papa Francesco.
Qualche ora dopo il corteo è stata fermata in taxi con altri due militanti antifascisti tedeschi, uno dei due aveva un manganello retrattile in tasca. E’ stata accusata per quattro aggressioni ma due contestazioni sono cadute presto perché si è dimostrato che la donna non era ancora arrivata in Ungheria quando sono avvenute.
Oltre alle lesioni per l’accusa “potenzialmente mortali”, che però le due vittime non hanno denunciano e che sono guarite in pochi giorni, le viene addebitata anche l’affiliazione alla Hammerbande, un gruppo nato a Lipsia, in Germania, che si propone di “assaltare i militanti fascisti”. Rischia fino a 24 anni di prigione. La procura di Budapest ne ha chiesti 11. Ilaria Salis si è sempre dichiarata innocente, ha rifiutato un patteggiamento a 11 anni, ha chiesto di poter visionare i video che non la riprenderebbero in volto e di poter avere accesso a tutti gli atti del processo tradotti in lingua italiana.
Il 16 dicembre, su Repubblica, la sua storia è venuta fuori. E ora è diventata un caso politico.
(da La Repubblica)

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LA DIFFAMATORIA ACCUSA DELLA LEGA: “ILARIA SALIS PARTECIPO’ NEL 2017 ALL’ASSALTO A UN NOSTRO GAZEBO”

Gennaio 31st, 2024 Riccardo Fucile

LA RISPOSTA DEL LEGALE DELLA GIOVANE CHE PUBBLICA GLI ATTI: “SALIS FU ASSOLTA PER NON AVER COMMESSO IL FATTO E ANCHE IL PM CHIESE L’ASSOLUZIONE”

Accuse, smentite, contrattacchi. La storia di Ilaria Salis diventa sempre più un caso politico. Le polemiche non si fermano. E la Lega ora accusa: “Il 18 febbraio 2017, a Monza, un gazebo della Lega veniva assaltato da decine di violenti dei centri sociali, e le due ragazze presenti attaccate con insulti e sputi da un nutrito gruppo di facinorosi. Per quei fatti Ilaria Salis è finita a processo, riconosciuta dalle militanti della Lega”.
Il partito di Matteo Salvini adesso tira fuori un episodio di sei anni fa, dopo le immagini shock della 39enne italiana che entra nell’Aula di un tribunale ungherese con mani e piedi legati e tenuta alla catena da una guardia penitenziaria, accusata di aver aggredito due estremisti di destra a Budapest durante il raduno del ‘Giorno dell’onore’.
La risposta del legale dell’attivista, Eugenio Losco, è velocissima e smentisce l’accusa leghista: “Ilaria Salis è stata assolta per non aver commesso il fatto in relazione all’episodio dell’aggressione al gazebo della Lega nel 2017”.
L’avvocato di Salis riporta la sentenza con cui l’attivista fu assolta: “Non è stata affatto individuata dalle due militanti della Lega ma solo individuata come partecipante al corteo che si svolgeva quel giorno a Monza da un video prodotto in atti. Il giudice nella sentenza ha specificato che risulta aver partecipato solo al corteo senza in alcun modo aver partecipato all’azione delittuosa di altre persone nè di aver in qualche modo incoraggiato o supportato altri a farlo”.
Il tribunale brianzolo scrive nelle motivazioni alla sentenza con la quale assolse gli imputati per non aver commesso il fatto nel dicembre scorso: nessuno dei quattro, tra i quali Ilaria Salis, “appare aver partecipato all’azione delittuosa commessa dai compagni di corteo, nè pare averli in qualche modo incoraggiati o supportati moralmente”. Decisivo, viene spiegato, l’esame di un video che riprende i quattro. Anche il pubblico ministero chiese l’assoluzione.
Ancora. “La Lega era parte offesa e si poteva costituire in giudizio come parte civile ma non lo ha fatto. È stato lo stesso pm a chiedere l’assoluzione e quindi non ha fatto appello quando il giudice ha assolto tutti gli imputati, compresa Ilaria Salis – le parole dell’avvocato Losco all’Ansa, legale della Salis – Oltre alle due militanti testimoniò anche Federico Arena, segretario della Lega di Monza, e quindi il processo era ampiamente noto alla Lega, che comunque non si costituì parte civile”.
(da La Repubblica)

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