TUTTI GLI ERRORI DEL CASO ILARIA SALIS: E IL GOVERNO SCARICA LE COLPE SULL’AMBASCIATORE A BUDAPEST MANUEL JACOANGELI
TAJANI FA IL PESCE IN BARILE E DICE AVER SAPUTO “SOLO L’ALTRO IERI” DELLE MANETTE A MANI E PIEDI DI ILARIA SALIS. MA IL PADRE DELLA 39ENNE ITALIANA ARRESTATA IN UNGHERIA LO SBUGIARDA
Una sequenza di errori. O almeno, di sottovalutazioni. Capaci di irritare la Farnesina. E di provocare uno scomodo gioco del cerino tra l’esecutivo e il corpo diplomatico. Il caso di Ilaria Salis coinvolge l’ambasciata italiana in Ungheria. E l’ambasciatore, Manuel Jacoangeli. È lui, dal 14 giugno 2021, a rappresentare l’Italia a Budapest. E diventa adesso il bersaglio delle critiche neanche troppo velate che arrivano dai vertici del governo.
Un passo indietro. La carriera di Jacoangeli si sviluppa tra Bruxelles, Lubiana, il Consiglio d’Europa e il ministero degli Esteri. Ma anche come consigliere diplomatico di alcuni ministri: prima all’Istruzione con Valeria Fedeli, poi alla Salute con la grillina Giulia Grillo. Resterà al dicastero all’arrivo di Roberto Speranza, ma soltanto per nove mesi: a giugno l’esecutivo guidato da Mario Draghi lo nomina ambasciatore d’Ungheria. Ed è lì che incrocia la storia di Ilaria Salis.
Tutto inizia un anno fa, l’11 febbraio del 2023. Il caso resta però sconosciuto al pubblico per diversi mesi, fino a un articolo pubblicato su questo giornale da Fabio Tonacci. Gli unici a conoscere nel dettaglio la vicenda sono i funzionari dell’ambasciata italiana in Ungheria e, ovviamente, i loro interlocutori istituzionali alla Farnesina.
Per come ricostruiscono adesso la vicenda fonti di governo e diplomatiche, non è l’ambasciatore a maneggiare personalmente il dossier. Tocca ad alcuni suoi sottoposti a Budapest occuparsi dell’iter giudiziario che segue l’arresto della ragazza e porta Salis per diverse volte nell’aula di un tribunale magiaro. Sono loro, ad esempio, a fornire supporto per consentire i contatti su Skype tra la detenuta e i familiari.
È un dettaglio fondamentale, riferiscono ora fonti dell’esecutivo di massimo livello, il fatto che a occuparsi di tutto non sia direttamente Jacoangeli. Nel linguaggio diplomatico, sostengono infatti, soltanto l’intervento diretto dell’ambasciatore permette a un caso di essere considerato “politico”, attirando più facilmente l’attenzione del governo. Altrimenti, viene valutato come tecnico.
Eppure, la detenzione di Salis presentava fin dall’inizio gli ingredienti per esplodere: investe i rapporti tra Italia e Ungheria, dunque tra Orbán e Meloni. E coinvolge Budapest, finita spesso nel mirino di Bruxelles a causa delle violazioni dello stato di diritto
La reazione dell’ambasciatore sarebbe stata dunque lenta, troppo cauta. E avrebbe peccato di sensibilità nell’individuare la delicatezza politica del caso. Quando Repubblica scrive della vicenda, è ormai troppo tardi per rimediare. A quel punto, raccontano, Antonio Tajani viene investito personalmente del problema e raggiunge telefonicamente l’ambasciatore. Ciononostante, nulla accade fino all’altro ieri. Palazzo Chigi mantiene un profilo bassissimo, spinto soprattutto dalla necessità di preservare il rapporto con Orbán.
(da agenzie)
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