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SONDAGGISTI: ALLE ELEZIONI EUROPEE I PARTITI DI CENTROSINISTRA POTREBBERO OTTENERE PIÙ VOTI DEL CENTRODESTRA

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

FRATELLI D’ITALIA RISCHIA DI FERMARSI AL 26%, LA LEGA BARCOLLA TRA IL 7 E IL 7,5%, FORZA ITALIA È DATA ADDIRITTURA AL 10. IN TOTALE, LA MAGGIORANZA ARRIVEREBBE AL 43,5%. IL CENTROSINISTRA AL 44%

Secondo i più noti sondaggisti italiani, ci potrebbe essere qualche sorpresa alle prossime elezioni europee del 9 giugno. La più sorprendente è che i partiti assimilabili al centrosinistra potrebbero ottenere più voti di quelli che potrebbe ottenere il centrodestra.
Fratelli d’Italia potrebbe fermarsi al 26%, la Lega barcolla tra il 7 e il 7,5, Forza Italia è data al 10%. In totale, la maggioranza di governo, nella migliore delle ipotesi, arriverebbe al 43,5%.
Dal lato dell’opposizione, invece, il Pd è quotato tra il 21 e il 22%, il M5s, che non ha nomi pesanti da piazzare come capilista, non andrebbe oltre il 14-15%: i partiti di Elly Schlein e Giuseppe Conte, in tandem, potrebbero arrivare al 37%.
Un dato a cui vanno poi aggiunte le sigle centriste (Azione e +Europa, che secondo SWG hanno rispettivamente il 4 e il 2,8%) e la sinistra sinistra (Avs di Bonelli e Fratoianni, quotato intorno al 4%), per un totale di 47,8%.
Anche senza Azione , il centrosinistra potrebbe toccare quindi il 44%
(da Dagoreport)

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LO SFOGO DI JUAN JESUS: “DIRMI ‘SEI SOLO UN NEGRO’ E’ OFFENSIVO MA NON RAZZISTA?”

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

“MI SONO COMPORTATO DA SIGNORE E NON SONO STATO TUTELATO, E’ UN GRAVE PRECEDENTE”… LA PROSSIMA VOLTA ASPETTALO FUORI, LA GIUSTIZIA SPORTIVA NON ESISTE

Il difensore del Napoli Juan Jesus non riesce a spiegarsi la decisione del Giudice sportivo, che ha assolto Francesco Acerbi dalle accuse di razzismo durante Inter-Napoli. Con un lungo comunicato sul sito del suo club, il brasiliano dice di aver «letto più volte, con grande rammarico» la decisione del Giudice sportivo che «ha ritenuto che non ci sia la prova che io sia stato vittima di insulti razzisti» lo scorso 17 marzo. Una decisione che Juan Jesus dice di voler rispettare, per quanto «faccio fatica a capire e mi lascia una grande amarezza».
Questa vicenda «grave» fa sentire il brasiliano «sinceramente avvilito». Anche perché, spiega, «ho avuto l’unico torto di aver gestito “da signore”, evitando di interrompere un’importante partita con tutti i disagi che avrebbe comportato agli spettatori che stavano assistendo al match, e confidando che il mio atteggiamento sarebbe stato rispettato e preso, forse, ad esempio».
Se un caso simile dovesse ripetersi, chi si troverà coinvolto «agirà in modo ben diverso per tutelarsi – scrive il difensore – e cercare di porre un freno alla vergogna del razzismo che, purtroppo, fatica a scomparire. Non mi sento in alcun modo tutelato da questa decisione che si affanna tra il dover ammettere che “è stata raggiunta sicuramente la prova dell’offesa” ed il sostenere che non vi sarebbe la certezza del suo carattere discriminatorio che, sempre secondo la decisione, solo io e “in buona fede” avrei percepito».
«Non capisco, davvero, in che modo la frase “vai via nero, sei solo un negro” possa essere certamente offensiva, ma non discriminatoria. Non comprendo, infatti, perché mai agitarsi tanto quella sera se davvero fosse stata una “semplice offesa” rispetto alla quale lo stesso Acerbi si è sentito in dovere di scusarsi, l’arbitro ha ritenuto di dover informare la Var, la partita è stata interrotta per oltre 1 minuto ed i suoi compagni di squadra si sono affannati nel volermi parlare. Non riesco a spiegarmi perché mai, solo il giorno dopo e in ritiro con la Nazionale, Acerbi abbia iniziato una inversione di rotta sulla versione dei fatti e non abbia, invece, subito negato, appena finita la partita, quanto era in realtà avvenuto. Non mi aspettavo un finale di questo genere che temo, ma spero di sbagliarmi, potrebbe costituire un grave precedente per giustificare a posteriori certi comportamenti. Spero sinceramente che questa, per me, triste vicenda possa aiutare tutto il mondo del calcio a riflettere su un tema così grave ed urgente».
(da agenzie)

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I VECCHI AMORI NON SI DIMENTICANO, MELONI STRIZZA L’OCCHIO AI NO VAX: “SUGLI EFFETTI AVVERSI DEL VACCINO ANTI-COVID IL GOVERNO ANDRA’ FINO IN FONDO”

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

A QUANDO UNA COMMISSIONE PER STABILIRE QUANTE MIGLIAIA DI MORTI HANNO SULLA COSCIENZA QUEI POLITICI CHE SI ESPRIMEVANO CONTRO LA VACCINAZIONE?

Assicura che il governo andrà fino in fondo. E che lo Stato si assumerà eventuali responsabilità. Giorgia Meloni parla in tv dei vaccini anti-covid e fa promesse alle persone che hanno avuto effetti avversi. Strizzando l’occhio ai no-vax, come ai tempi della pandemia e contro il governo Draghi.
La premier fa sapere di essersi “confrontata col ministro Schillaci per chiedere che ci sia massima disponibilità da parte del governo per andare in fondo, capire e assumersi per lo Stato italiano le responsabilità che si deve assumere”, dice su Rete 4, ospite del programma ‘Fuori dal coro’.
A Mario Giordano, che sostiene che queste persone si sentano spesso abbandonate, “non devono – risponde Meloni – Il tema della commissione di inchiesta è sicuramente un tema importante e sono contenta che anche quella stia andando avanti nonostante l’opposizione di quelli che ci spiegavano che loro avevano gestito benissimo la pandemia ma non vogliono che si possa approfondire su come si gestisce la pandemia che serve soprattutto a evitare e impedire che in un futuro, che speriamo non arrivi mai, si possano ripetere eventuali errori”.
Hanno ragione le opposizioni, questa commissione è una farsa per mettere sotto accusa chi ha avuto senso di responsabilità invitando gli italiani a vaccinarsi, a differenza di quei politici che facevano il tifo per i no-vax e hanno favorito la diffusione del virus, causando migliaia di morti
(da agenzie)

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IN TANTI PAESI STRANIERI SI STA IN FILA PER ORE PER IL PANE, IN ITALIA PER ORE SOTTO LA PIOGGIA PER L’ULTIMO MODELLO DI SWATCH

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

A ROMA IN VIA DEL CORSO CODE ASSURDE PER COMPRARE L’ULTIMO MODELLO A 311 EURO: CHE VOLETE SPERARE DA UNA MASSA DI SOGGETTI DEL GENERE?

In fila anche con l’ombrello e l’impermeabile pur di accaparrarsi il MoonSwatch Snoopy Mission to the Moonphase, l’ultima novità della Swatch in collaborazione con Omega. Disponibile da oggi solo in alcuni negozi selezionati, tra cui via del Corso, ha attirato l’attenzione di appassionati del genere ma anche di chi ha fiutato la possibilità di fare soldi rivendendo il prodotto a mille euro: tre volte tanto. E così davanti allo store al civico 146 c’erano decine di persone già da prima dell’orario di apertura, previsto per le 10. In fila, in attesa che i commessi iniziassero a esporre e vendere i nuovi orologi.
Ad aggiudicarseli, mentre le forze dell’ordine sul posto cercavano di gestire la coda ed evitare disordini — memori di quanto accaduto con gli orologi Omega e il Moonswatch con Moonshine Gold — sono state però solo le persone che sono riuscite a entrare per prime. Alle 11 gli orologi, venduti al prezzo di 315 euro l’uno, erano già tutti terminati, pur non essendo in edizione limitata. Subito dopo l’acquisto, però, c’è chi ha fatto un paio di foto e ha messo in vendita l’orologio sui social. Una persona che l’ha comprato stamattina l’ha piazzato su un gruppo Facebook a mille euro, mostrando anche lo scontrino. A Nettuno un ragazzo lo rivende a 850 euro. Anche il suo, ovviamente, è fresco d’acquisto.
Non è la prima volta che si vedono code simili. È successo più volte per le scarpe — da quelle della Lidl nel 2020 fino alle Nike Dunk Low a inizio 2021 — ma negli ultimi anni anche per gli orologi. Il 26 marzo del 2022 la “MoonSwatch mania” ha invaso il centro di Roma con persone accampate dal giorno prima con sdraio e coperte. Bis a giugno dello stesso anno, quando pur di accaparrarsi il sacro pezzo di bioceramica c’è chi si è piazzato sotto al sole cocente già dalle prime ore del mattino. “A 260 euro è l’Omega del popolo. O, meglio, di noi poveracci”, aveva scherzato un uomo, appassionato d’orologi. Poi nella primavera del 2023, in occasione dell’uscita del Moonswatch con Moonshine Gold, al costo di 285 euro. E anche in questi casi non erano mancati forze dell’ordine, vigilantes, avidi reseller, saltafila o persone che si erano messe in coda per conto di altri.
(da agenzie)

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STA PER CADERE L’ULTIMO RESIDUO DEL RENZISMO: IL JOBS ACT: LA CGIL RACCOGLIE LE FIRME PER FAR TORNARE L’ARTICOLO 18 SULLA REINTEGRA NEL POSTO DI LAVORO, IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

I REFERENDUM SARANNO QUATTRO: I PRIMI DUE FANNO A PEZZI IL DECRETO LEGISLATIVO 23 DEL 2015, IL JOBS ACT DEL GOVERNO DI MATTEONZO. GLI ALTRI DUE RIGUARDANO VORREBBERO RIPRISTINARE LE CAUSALI AI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO

Abolire il Jobs Act. Tornare all’articolo 18, nella versione della legge Fornero. E quindi alla reintegra nel posto di lavoro, in caso di licenziamento illegittimo. E laddove il reintegro non c’era e non ci sarà, nelle aziende sotto i 16 dipendenti, eliminare il tetto delle sei mensilità all’indennizzo. Sarà un giudice a fissare il quantum, in base ad anzianità di servizio e dimensioni dell’impresa.
Eccoli i referendum della Cgil. Sono quattro. I primi due fanno a pezzi il decreto legislativo 23 del 2015, il Jobs Act del governo Renzi. Responsabile – per il sindacato rosso guidato da Maurizio Landini – di precarietà e disparità tra gli assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, con e senza reintegra. A poco sono valsi i numerosi interventi della Consulta sul tema. Secondo la Cgil serve un taglio netto: l’abrogazione del decreto 23 e poi lo stop al tetto agli indennizzi.
Gli altri due referendum riguardano invece il ripristino delle causali ai contratti a tempo determinato (l’assenza di motivazione dell’assunzione spesso apre ad abusi), com’era in origine nel decreto Dignità. E la responsabilità del committente sugli infortuni sul lavoro, negli appalti.
La strategia del sindacato di corso d’Italia è stata ufficializzata ieri dall’assemblea generale della Cgil. Un percorso di mobilitazione […] che durerà due mesi. Si parte con lo sciopero generale dell’11 aprile di quattro ore in tutti i settori privati e otto ore nell’edilizia contro le morti sul lavoro e per la sicurezza.
Poi sabato 20 aprile la manifestazione nazionale a Roma sempre di Cgil e Uil. Il Primo maggio, anche con la Cisl, a Monfalcone per i vent’anni della Grande Europa, l’allargamento a 25 Paesi, all’epoca celebrato a Gorizia. Se il tema della festa del lavoro è dunque l’Europa, la manifestazione di sabato 25 maggio a Napoli della Cgil con le associazioni della “Via maestra” sarà invece contro il premierato e l’autonomia differenziata, per il lavoro, la salute, la previdenza universale e la pace.
La sfida della Cgil dunque è forte. Riportare il tema del precariato al centro del dibattito. E legarlo all’articolo 18, che molti giovani di oggi neanche conoscono, abituati ad aprire e chiudere contrattini sempre più brevi.
(da agenzie)

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LE BARRICATE DI SANTANCHÈ: “NON MI DIMETTO NEANCHE PER UN RINVIO A GIUDIZIO. GIORGIA È CON ME”

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

NON MOLLEREBBE LA POLTRONA NEANCHE SOTTO I BOMBARDAMENTI

“Giorgia? Ma ci siamo sentite, è serenissima!”. Chi pensava che Daniela Santanchè vivesse giornate di mesta rassegnazione, quella di chi ha un destino tracciato, evidentemente non conosce il personaggio. Nemmeno di fronte a un rinvio a giudizio, come vorrebbe il grosso di FdI e forse la stessa Giorgia Meloni, la ministra del Turismo pare disposta a farsi da parte con fare remissivo.
Perché “un rinvio a giudizio non è mica una sentenza di terzo grado”, così ha confidato in questi giorni ai grand commis del suo dicastero. I quali, davanti a tanta spavalderia, sono rimasti un po’ di sasso: perché la notizia della chiusura dell’indagine in cui la ministra è accusata di truffa ai danni dello Stato, pareva a tutti annunciarne il capolinea.
Perché la stessa Santanchè, nelle ore successive alla decisione dei pm, aveva diffuso una nota in cui sembrava per la prima volta rinunciataria: “Dopo la decisione del Gup – dichiarava – per rispetto del governo e del mio partito, farò una seria e cosciente valutazione di questa vicenda”.
E terzo, perché persino il ministro Francesco Lollobrigida, il cognato della premier, sabato scorso, a margine del congresso di FdI a Roma, aveva liquidato la questione ancora più seccamente: “Se rinviata a giudizio, la ministra ne trarrà le conseguenze”. Più chiaro di così.
E invece Santanchè, nelle riunioni coi dirigenti del ministero, ha raccontato tutta un’altra versione. Altro che dimissioni in automatico. “Ho parlato con Giorgia, è serenissima. Lo sa bene che è tutto un accanimento contro di me – queste le parole della ministra, riferite da chi ha partecipato a uno degli incontri – Le accuse non stanno in piedi”. E no, nemmeno in caso di rinvio a giudizio, c’è la certezza che si dimetta, come pensano invece a via della Scrofa: “Non è mica una condanna definitiva!”.
Sarà solo un bluff? Si vedrà. Certo, Santanchè è molto attiva, in queste settimane. Una batteria di riunioni tra il ministero e il Senato.
In più, senza troppo clamore, in queste settimane è riuscita a trasformare Enit, il vecchio ente nazionale del turismo, in una Spa di Stato nuova di zecca. Al timone è stata confermata l’ad uscente Ivana Jelinic, la manager della Fiavet scelta dal governo un anno fa, mentre con la nascita della nuova società, tra fine febbraio e inizio marzo, è stata nominata una nuova presidente, Alessandra Priante, ex Unwto (l’agenzia Onu del turismo), e soprattutto ex collaboratrice del leghista Gianmarco Centinaio, ai tempi del governo gialloverde.
La Lega di Matteo Salvini non raccoglie l’appello all’unità di Giorgia Meloni sulle elezioni europee e rilancia: ora vuole le dimissioni della ministra del Turismo Daniela Santanchè, indagata con l’accusa di truffa aggravata ai danni dell’Inps. L’imbarazzo per la posizione della ministra arriva ai piani alti del Carroccio e a esprimerla è il deputato ed ex sottosegretario Stefano Candiani: “Noi siamo garantisti fino al terzo grado di giudizio, ma sarebbe meglio che Santanchè si dimettesse prima della condanna per evitare imbarazzi nel governo”, dice parlando col Fatto.
Una linea molto dura perché per la prima volta un esponente della maggioranza parla esplicitamente di dimissioni della ministra del Turismo. Meloni ha chiesto a Santanchè le carte dell’inchiesta e dato la linea di Palazzo Chigi: si aspetta il rinvio a giudizio e poi la ministra dovrà fare un passo indietro.
Ma la Lega adesso chiede di accelerare e non aspettare il rinvio a giudizio. Una posizione che si inserisce nello scontro delle ultime ore tra Salvini e Meloni sulle alleanze europee: dopo le parole di sabato di Marine Le Pen all’adunataleghista (“Meloni vuole appoggiare Von der Leyen”) e la risposta della premier (“così si divide la maggioranza”), ieri Salvini ha replicato di essere “su posizioni diverse in Europa”.
Candiani lo dice in maniera più diretta: “In linea generale sarebbe sempre meglio aspettare la condanna. Noi siamo garantisti”. Ma non si dovrebbe dimettere? “Forse sarebbe meglio che Santanchè non aspettasse la condanna per evitare imbarazzi al governo: finite le indagini dovrebbe trarne le conseguenze”, dice Candiani piuttosto imbarazzato uscendo dal portone principale di Montecitorio. Anche la conclusione è emblematica: “Comunque è un problema balneare”, dice con una battuta velenosa con riferimento al conflitto d’interessi della ministra.
Per il successore di Santanchè si è già aperta una sfida nel governo. La Lega rivendica quel posto da prima della formazione del governo e vorrebbe riaverlo oggi. D’altronde, spiega un dirigente del partito, il Turismo negli ultimi anni è sempre stato appannaggio della Lega: prima con Gian Marco Centinaio durante il governo Conte-1 e poi con Massimo Garavaglianell’esecutivo di Mario Draghi. La premier invece, secondo fonti autorevoli di Fratelli d’Italia, sarebbe orientata a togliere le deleghe a Santanchè per tenerle ad interim e poi redistribuirle dopo le elezioni europee, magari in caso di un rimpasto
(da agenzie)

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QUASI LA META’ DEGLI ITALIANI A BASSO REDDITO E’ STATA COSTRETTA A RINUNCIARE ALLE CURE MEDICHE NEL 2023

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

IL GOVERNO DELLA DESTRA ASOCIALE HA AGGRAVATO LA SITUAZIONE: LISTE D’ATTESA INTERMINABILI E CHI NON NON PUO’ PERMETTERSI LA SANITA’ PRIVATA PUO’ MORIRE

Sono troppi gli italiani costretti a rinunciare alle cure mediche. Non tutti riescono ad accedere al Servizio sanitario nazionale, viste le interminabili liste d’attesa, e non tutti hanno la disponibilità economica sufficiente per rivolgersi al privato. A fare una fotografia della situazione è il rapporto dell’Aiop (Associazione Italiana ospedalità privata) in collaborazione con il Censis, secondo cui nel 2023 il 42% dei pazienti con redditi bassi, fino a 15mila euro, è stato costretto a procrastinare o direttamente a rinunciare alle cure sanitarie, impossibilitato ad accedere al Ssn e non potendo sostenere i costi del privato.
La quota di coloro che sono stati costretti a rimandare o rinunciare alle cure mediche è del 32,6% nella fascia di reddito tra i 15mila e i 30mila euro, per scendere ulteriormente al 22,2% in quella tra i 30mila e i 50mila euro. Oltre i 50mila euro, invece, è il 14,7% a rinunciare. Nel report si segnala “l’effetto erosivo” sulla ricchezza che hanno le spese sanitarie, quando devono essere pagate di tasca propria. Anche in questo caso, chiaramente, l’impatto è diverso a seconda della fascia di reddito. In generale il 36,9% degli italiani ha rinunciato ad altre spese, per potersi permettere quelle sanitarie: il il 50,4% tra i redditi bassi, il 40,5% tra quelli medio-bassi, il 27,7% tra quelli medio-alti e il 22,6% tra quelli alti.
Nel report vengono elencati anche altri dati, frutto dell’indagine. Ad esempio si rende noto che la quota di cittadini che, dopo aver cercato inutilmente di accedere al Servizio sanitario, ha scelto di rivolgersi al privato è del 34,4% dei redditi più bassi, del 40,2% di quelli medio-bassi, del 43,7% dei medio-alti e del 41,7% dei più alti. Secondo il report si sta andando verso una “sanità per censo” dove chi può permettersi le cure vi accede, mentre chi non è in grado si trova costretto a rinunciare. Non solo: aumenta anche la quota di persone che si rivolgono direttamente alla sanità a pagamento, consapevole degli ostacoli all’accesso alla sanità pubblica: si tratta del 40,6% dei bassi redditi, del 48,7% dei redditi medio-bassi, del 57% dei redditi medio-alti e del 63,3% dei redditi più alti.
“I tempi di attesa incongrui con la gravità e complessità del quesito diagnostico o della diagnosi rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell’ambito di un sistema a vocazione universalistica, dal momento che determinano una divaricazione tra coloro che possono rivolgersi al mercato delle prestazioni sanitarie al di fuori del Ssn e coloro che, per ragioni economico-sociali, non possono ricorrere alla sanità a pagamento”, si legge nel report. Che poi conclude: “Per questi ultimi l’alternativa è tra un’attesa suscettibile di compromettere, in tutto o in parte, il proprio stato di salute e la rinuncia alle cure”.
(da Fanpage)

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VIRGINIA RAGGI NON CORRERA’ ALLE EUROPEE, LE REGOLE ESCLUDONO L’EX SINDACA DA TEMPO IN ROTTA DI COLLISIONE CON CONTE E I VERTICI 5 STELLE: VIRGY CONTINUA A FARE ASSE CON UN ALTRO FUORIUSCITO DI LUSSO COME DI BATTISTA

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

CONTE CORTEGGIA LA GALASSIA PACIFISTA MA SI E’ VISTO SOFFIARE SOTTO IL NASO DA SCHLEIN L’EX DIRETTORE DI AVVENIRE MARCO TARQUINIO

La corsa verso le Europee del M5S è meno entusiasmante del previsto, almeno per ora: le candidature di peso, le corse da indipendenti, stentano a decollare. L’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico al Sud, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci nelle Isole, nome di richiamo dell’antimafia: fine.
Con Giuseppe Conte che «sta avendo più difficoltà del previsto a trovare nomi di spessore elettorale », raccontano nel Movimento. Lo scouting infatti è diretto appannaggio del presidente e di sicuro vedersi soffiare sotto il naso dal Pd l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, anche se nulla era stato messo nero su bianco, non è un bel segnale.
Anche perché, sul tema della pace, i 5 Stelle si stanno spendendo molto e il profilo di un giornalista sempre critico nei confronti della strada del riarmo pareva tagliato su misura. Ad oggi nel Nord-ovest e nel Nord-est le capoliste più quotate sono due europarlamentari uscenti, scelte come capoliste da Luigi Di Maio nel 2019: Mariangela Danzì e Sabrina Pignedoli. Sono donne, hanno una loro esperienza maturata nella legislatura al termine, hanno un buon rapporto con gli attivisti, ma per un partito che in teoria vorrebbe scippare ai dem la leadership del “campo giusto” servirebbe qualche colpo di scena in più.
«Qui non è come alle Politiche, che basta un buon posto in lista: le preferenze vanno conquistate…», è la constatazione che si fa in via di Campo Marzio a Roma. Il capo della comunicazione Rocco Casalino s’è comprato casa a Roma e chi lo sposta più, magari ci riproverà Livio De Santoli, professore alla Sapienza esperto di politiche energetiche, candidato da capolista ma senza successo nel 2022, l’ex ministro Andrea Riccardi, anima della comunità di Sant’Egidio, è corteggiato da tempo finora senza successo.
Intanto le regole per le autocandidature alle Europee riservate agli iscritti sono state pubblicate sul sito del M5S due giorni fa ed esattamente com’era avvenuto nel 2022, per le Politiche, la farraginosità esplicativa del regolamento per partecipare aveva aperto uno squarcio inaspettato: la ex sindaca di Roma Virginia Raggi potrà candidarsi? La risposta è no. Nel regolamento è scritto così: chi vuole candidarsi, e di sicuro a Raggi non dispiacerebbe correre per Bruxelles, “non deve ricoprire attualmente una carica elettiva, salvo che la stessa non abbia scadenza nell’anno 2024 (…) non deve avere svolto due mandati; è escluso dal conteggio del limite dei due mandati elettivi un mandato da consigliere comunale, circoscrizionale o municipale, in qualunque momento svolto”.
Raggi è consigliera comunale, quindi rientra nella prima eccezione. Nella seconda invece no, perché Raggi è oggi al terzo mandato: due da consigliera comunale, uno da sindaca.
L’europarlamento, per lei, sarebbe il quarto mandato. Ora, la ex sindaca è da tempo in rotta di collisione con gli attuali vertici dei 5 Stelle, mentre continua a coltivare amicizia e attivismo con un fuoriuscito di lusso come Alessandro Di Battista.
Se pure le postille fossero state scritte per allargare anche a lei la possibilità di una candidatura, attraverso un’interpretazione ampia della regola, dietro ci sarebbe dovuto essere un riavvicinamento con Conte.
(da agenzie)

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L’ANAC BLOCCA I LAVORI PER LA DIGA DI GENOVA: BEN SETTE I PROFILI “CRITICI”

Marzo 27th, 2024 Riccardo Fucile

A RISCHIO L’OPERA PIU’ COSTOSA E IMPONENTE DEL PNRR…UN ALTRO BLUFF DI CHI NON CONSIDERA I PERICOLI DELLE GRANDI OPERE

Semaforo rosso dall’Anac per la nuova diga di Genova, una delle opere simbolo del Pnrr. L’Autorità nazionale anticorruzione ha bocciato il progetto individuando «sette profili critici». A riportare la notizia è il Sole 24 Ore, secondo cui la delibera del 20 marzo scorso potrebbe già essere stata trasmessa sia alla procura di Genova che alla Corte dei conti. Le contestazioni dell’Anac, in particolare, riguardano la mancata procedura di gara, l’inserimento della diga tra le opere beneficiarie dei fondi del Pnrr, alcuni rilievi «legati alla concatenazione degli eventi nel corso delle procedure di affidamento».
Il conflitto d’interessi
Ma anche l’ipotesi di un possibile conflitto di interessi dell’ingegnere Marco Rettinghieri, ex responsabile dell’attuazione del programma straordinario, tra cui è inserita anche la diga oggetto dell’appalto, e successivamente divenuto presidente del Cda di Webuild Italia spa», l’azienda vincitrice dell’appalto. Su quest’ultimo punto è arrivata la risposta della stazione appaltante, che ha respinto il presunto conflitto di interessi precisando che le funzioni di Rettinghieri «presso l’autorità portuale erano da tempo cessate all’atto dell’avvio della gara». Sul sito di Webuild, la nuova diga foranea di Genova è stata descritta come «un’opera al mondo per complessità, dimensioni e ricadute positive sulla città» ma anche come «il più grande intervento di sempre per il potenziamento della portualità italiana».
La diga più profonda d’Europa
Si tratta infatti della diga più profonda mai realizzata in Europa, che candiderebbe il capoluogo ligure a diventare uno dei più grandi hub logistici per il commercio del Vecchio Continente. Un eventuale stop ai lavori per la diga di Genova sarebbe clamoroso, se non altro perché con i suoi 1,3 miliardi di euro complessivi si tratta dell’opera più imponente e più costosa del Pnrr, il piano nazionale messo a punto dal governo italiano per spendere i finanziamenti europei del Recovery Fund.
(da Open)

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