Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
UN ALTRO INFAME CHE HA SUONATO SULLE MACERIE DEL TEATRO DI MARIUPOL IN ONORE DEGLI ASSASSINI
L’appello del Partito liberal-democratico di Luigi Marattin: “È inaccettabile che Comune
e Città Metropolitana di Bologna garantiscano il patrocinio alla esibizione nella nostra città” del pianista che “ha suonato sulle macerie del teatro di Mariupol, cittadina devastata dagli invasori russi, simbolo della ferocia dei putiniani”
Piovono polemiche a Bologna per il concerto che si terrà il prossimo 5 agosto da parte del pianista ucraino filo-russo Alexander Romanovsky. L’appello affinché il sindaco Matteo Lepore annulli l’evento per un artista considerato” filo putiniano” arriva da un post sui social del Partito liberaldemocratico di Bologna, la formazione fondata da Luigi Marattin.
Questa richiesta arriva nel giorno in cui a Caserta è stato annullato il concerto di Gergiev, poiché le posizioni del direttore d’orchestra russo sono ritenute vicine a Putin.
“È inaccettabile che Comune e Città Metropolitana di Bologna garantiscano il patrocinio alla esibizione nella nostra città, il 5 agosto prossimo, del pianista ucraino filo-russo Alexander Romanovsky – si legga sui social -. Bologna è una città dalle solidissime tradizioni democratiche : non si può avallare il putiniano consentendo ad uno dei suoi propagandisti di toccare il nostro suolo senza, con questo, sporcare la nostra gloriosa bandiera”.
Il partito ricorda che Romanovsky “ha suonato sulle macerie del teatro di Mariupol, cittadina devastata dagli invasori russi, simbolo della ferocia dei fascio-putiniani”. Da qui l’appello al sindaco di Bologna Matteo Lepore: “Annulli l’esibizione di Alexander Romanovsky, lo rispedisca a casa sua o ci restituisca la dignità di bolognesi”.
L’esibizione di Romanovsky, dal titolo ‘Favorite Chopin’, è prevista per il 5 agosto ai Giardini di Porta Europa in Piazza Sergio Vieira de Mello, nell’ambito di Cubo Live, rassegna itinerante di spettacoli dal vivo promossa da Cubo, il museo d’impresa del gruppo Unipol. La rassegna fa parte di Bologna Estate 2025, il cartellone di attività promosso e coordinato dal Comune di Bologna e dalla Città metropolitana di Bologna.
Non è la prima volta che un evento con Romanovsky scatena polemiche. È successo a Genova a febbraio, quando a chiedere l’annullamento del concerto fu Azione, e a Roma a gennaio 2024: in quell’occasione un’esibizione prevista nell’Aula Magna della Sapienza venne annullata dopo le minacce ricevute dagli organizzatori.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
QUELLO CHE MOLTI NON SANNO: ERA STATO DA TRE ANNI ALLONTANATO DA IMPORTANTI ISTITUZIONI OCCIDENTALI TRA CUI LA SCALA, LA CARNAGIE HALL DI NEW YORK, LA FILAMORNICA DI VIENNA E QUELLA DI MONACO… LE CELEBRAZIONI DEGLI ECCIDI IN DONBASS SE LE VADA A FARE A CASA SUA
La Reggia di Caserta ha infine deciso di annullare il concerto sinfonico del direttore d’orchestra russo Valery Gergiev. Il concerto si sarebbe dovuto tenere il 27 luglio nell’ambito di una rassegna finanziata dalla regione Campania, e nelle scorse
settimane aveva suscitato molte polemiche perché Gergiev è un sostenitore del presidente russo Vladimir Putin.
Il caso era poi diventato internazionale, con la partecipazione di Gergiev che era stata criticata anche da Yulia Navalnaya, politica russa e vedova del dissidente Alexei Navalny, morto il 16 febbraio del 2024 in un carcere in Siberia in circostanze mai chiarite. Il 15 luglio Navalnaya aveva scritto una lettera aperta, pubblicata su Repubblica, in cui definiva Gergiev un «caro amico di Vladimir Putin» e «un promotore della politica criminale di Putin, suo complice e fiancheggiatore».
In Italia alcune associazioni di ucraini e dissidenti russi avevano organizzato manifestazioni e comprato diversi biglietti del concerto per andare lì e contestarlo. Anche per questo si temevano problemi di ordine pubblico. Poi c’era stata anche una lettera firmata da migliaia di persone, tra cui molti intellettuali, scrittori e storici. Il presidente della Campania Vincenzo De Luca, del PD, aveva però sempre difeso la scelta di invitare Gergiev, dicendo di essere solidale con l’Ucraina ma anche di voler mantenere un dialogo con la Russia: «Abbiamo accolto migliaia di cittadini dell’Ucraina nel nostro territorio, abbiamo dato prove di solidarietà. Non intendiamo accettare logiche di preclusione o di interruzione del dialogo, perché questo non aiuta la pace», aveva detto.
Nel 2014 Gergiev sostenne pubblicamente l’annessione illegale della Crimea. Nel 2016 diresse l’orchestra in un concerto nel teatro romano di Palmira, la città siriana conquistata dallo Stato Islamico nel maggio 2015 e liberata l’anno successivo dall’esercito siriano fedele al dittatore Bashar al Assad con i
sostegno dei soldati russi: prima del concerto Putin era intervenuto in video dalla sua residenza nel Mar Nero e aveva rivolto un breve messaggio al pubblico presente. In pratica Gergiev è una sorta di “ambasciatore culturale” di Putin, come lo ha definito Navalnaya, e ha un ruolo rilevante nella politica di “normalizzazione” promossa dal presidente russo per far uscire il suo paese dall’isolamento internazionale.
Gergiev non dirige in Italia dal 23 febbraio del 2022, quando si esibì al Teatro alla Scala di Milano, la notte in cui la Russia invase l’Ucraina: in seguito a quegli eventi, non avendo mai condannato quanto era accaduto, Gergiev era stato allontanato da varie importanti istituzioni culturali, tra cui la stessa Scala, la Carnegie Hall di New York, la Filarmonica di Vienna e quella di Monaco.
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
LA OTTUSA TENDENZA OCCIDENTALE A SORVOLARE SUL PROGETTO IMPERIALISTA DI PUTIN PER SOVVERTIRE LO STATO DI DIRITTO… PER FORTUNA CI SONO GLI UCRAINI A RICORDARCI CHE DEMOCRAZIA E LIBERTA’ NON SONO DIRITTI ACQUISITI
Abbiamo provato a spiegare cento volte quanto e come l’imperialismo russo da secoli si
serva della cultura, della Grande Cultura Russa, per annientare l’identità dei popoli colonizzati e per veicolare l’immagine di potenza di Mosca nei Paesi che ancora rispettano lo stato di diritto.
Qualcuno ha capito, ma altri no, anche tra chi non può essere nemmeno lontanamente accusato di essere filo putiniano o anti ucraino (penso innanzitutto al più bravo direttore ed editorialista italiano, Mattia Feltri, e ai suoi due corsivi sull’argomento scritti sulla Stampa).
La questione però non è quella di dover rinunciare ad ammirare, a leggere e ad ascoltare artisti, scrittori, musicisti che al loro tempo inneggiavano a Hitler, a Stalin o a Mao. Non lo è, intanto, perché Hitler, Stalin e Mao sono personaggi storici archiviati da oltre mezzo secolo, e quindi leggere oggi Céline, o ascoltare Furtwängler non è paragonabile a invitare Valery Gergiev
Caserta utilizzando i fondi di coesione europei che in teoria dovrebbero servire a ridurre le disparità economiche e sociali di alcune regioni, non ad offrire un palcoscenico a uno dei principali propagandisti di Putin. Sopratutto, leggere Céline o ascoltare Furtwängler nel 2025 non ha nessun impatto politico sul progetto nazista di conquista dell’Europa e di Soluzione Finale, così come non asseconda la guerra ibrida in pieno svolgimento dichiarata dalla Russia di Vladimir Putin alla società aperta e al sistema liberal democratico.
Una guerra imperialista combattuta con carri armati e missili, ma anche con la propaganda culturale per penetrare con efficacia nel ventre molle della società occidentale, di cui l’Italia per ragioni storiche e politiche e culturali costituisce notoriamente la resistenza più debole.
Per quanto deplorevoli fossero le idee politiche di Céline e Furtwängler, leggerli e ascoltarli oggi non favorisce l’Anschluss né agevola la Shoah. Altra cosa, invece, è consentire a un primario scagnozzo di Putin di mostrare l’aspetto presentabile della Russia al pubblico occidentale, in modo da allentare la tensione nei confronti del regime criminale e da riattivare i rapporti commerciali e politici con Mosca, il modo più diretto per rimuovere l’unica arma di difesa a nostra disposizione.
Del resto Franklin Delano Roosevelt e Wiston Churchill non ospitavano a Washington e a Londra concerti di Furtwängler durante la Seconda Guerra Mondiale né davano ristoro ai propagandisti di Mussolini in nome della grande cultura classica italiana, semmai davano rifugio ai dissidenti del regime, agli ebrei sfuggiti ai pogrom, agli antifascisti
Detto questo, la questione più complessa e pericolosa della vicenda Gergiev e, più in generale, della remissività italiana a considerare quello in corso un attacco esistenziale al nostro modello di vita è la difficoltà di una parte della società occidentale di capire quale sia la posta in gioco e la tendenza a sorvolare sul progetto coloniale del Cremlino volto a ripristinare l’impero russo, manipolare il discorso pubblico del mondo libero e sovvertire il modello politico basato sul rispetto dello stato di diritto e sull’espansione dei diritti civili.
Di nuovo, non è il caso di soffermarsi sugli odiatori professionali della democrazia liberale né sugli utili idioti di Putin, che per complicità o idiozia vanno ormai considerati persi alla causa, ma piuttosto sull’ampio e diffuso atteggiamento di acquiescenza nei confronti di una minaccia considerata remota e improbabile.
Che cosa convince alcuni di noi a non stimare particolarmente urgente la difesa e la protezione della società aperta dalle insidie di chi dall’esterno ma anche dall’interno pianifica apertamente la sua demolizione e sostituzione?
La risposta non può che trovarsi nella distanza temporale e fisica dalla guerra e dall’oppressione che ciascuno di noi fortunatamente può vantare. Sono ottanta gli anni di progresso e di prosperità che ci separano dal grande conflitto degli anni Quaranta che, come oggi, ha visto contrapposte due visioni opposte della convivenza civile, e ne sono passati circa cinquanta da quando comunisti e fascisti sparavano per strada e piazzavano bombe per imporre la loro ideologia.
In questa parte di mondo, da molto tempo siamo convinti dalla
recente esperienza personale che la libera circolazione di idee, persone e beni sia un dato di fatto acquisito e irreversibile, che la storia sia finita con la vittoria della democrazia liberale, e che l’arco dell’universo morale è lungo ma tende inesorabilmente verso la giustizia.
Ma purtroppo non è così, basta guardare a che cosa sta succedendo in America, e alla crescita inaudita di formazioni politiche eversive in tutta Europa.
La malattia occidentale è la mollezza causata dal suo straordinario successo, ma anche l’ottimismo stupido che fa dimenticare la lezione saggia sulla necessità di abbinare il pessimismo della ragione all’ottimismo della volontà.
La controprova della debolezza occidentale tale sta nella forza propulsiva dei movimenti democratici nelle società dell’Europa orientale, quelle più vicine geograficamente, storicamente e personalmente all’incubo illiberale e opprimente della versione sovietica e putiniana del tradizionale imperialismo russo.
In quei Paesi, a cominciare dall’Ucraina, passando per il Baltico, la Georgia e i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, vive lo spirito liberale e democratico, europeo e occidentale, più puro e potente, decisamente più energico e vigoroso di quello residuo nell’ovest assuefatto alla libertà.
È questa la più poderosa centrale politica, popolare e ideale dell’Europa democratica e del mondo libero. Malgrado le bombe che cadono sulla testa, la repressione del dissenso e gli intrecci politico-mafiosi degli oligarchi locali con il Cremlino, chi ancora sente sulle spalle il peso coloniale della cosiddetta grande cultura russa non ha la libertà, il privilegio e
l’incoscienza di capitolare, di darsi per vinto, di invitare Gergiev.
(da Linkiesta)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
MA SALA VUOLE MANIFESTARE ALL’OPINIONE PUBBLICA UNO SCATTO DI DIGNITÀ, UN GRIDO DI ONESTÀ, UNA REAZIONE D’ORGOGLIO … L’UNICO A CHIEDERE IL PASSO INDIETRO DEL SINDACO È IGNAZIO LA RUSSA, CHE INVECE UN CANDIDATO CE L’HA ECCOME: MAURIZIO LUPI. METTENDO SOTTO LA SUA ALA IL PARTITO DI LUPI, “NOI MODERATI”
Da destra a sinistra, nessun partito vuole le ventilate dimissioni di Beppe Sala da sindaco di Milano.
I numeri in consiglio comunale dell’ex city manager di Letizia Moratti sono solidi, e soprattutto ha incassato la solidarietà e il sostegno del Partito Democratico, a cui non è iscritto ma che è il primo azionista della sua maggioranza a Palazzo Marino.
““Avanti insieme, perché non c’è alternativa. Ma cambiando strada, subito”. Dietro la formula diplomatica scelta da Elly Schlein per confermare il sostegno a Beppe Sala, si nasconde molto più di un attestato di fiducia”, spiega Marco Antonellis sull'”Espresso”.
“È il segnale più chiaro di un disagio che al Nazareno non tentano neppure più di mascherare: la consapevolezza che le scelte urbanistiche di Milano degli ultimi nove anni – quelle finite nel mirino della Procura – rischiano di travolgere non solo la giunta, ma anche gli equilibri politici nazionali, consegnando il capoluogo lombardo al centrodestra. E con ciò compromettere anche l’onda lunga che dovrebbe successivamente portare a sfrattare Meloni da Palazzo Chigi”.
Dall’altra parte della barricata, nemmeno Meloni, Tajani e Salvini vogliono che si apra un un nuovo fronte politico. In soccorso di Sala, per fargli cambiare idea di rassegnare le dimissioni, si sono avvicendati anche molti avversari politici, a partire dal come leghista Attilio Fontana, che come presidente della Regione ha sempre avuto buoni rapporti con il sondaco, per finire con Giorgia Meloni che, col pensiero rivolto anche ai
casi Santanché e Delmastro, ha sventolato la bandiera del garantismo, sostenendo che non ci si debba dimettere per un semplice avviso di garanzia.
Come scriveva ieri Lorenzo Giarelli sul “Fatto quotidiano”, “Le dimissioni immediate del sindaco troverebbero impreparata la destra, con conseguente scontro interno per la candidatura nel bel mezzo di tavoli già complicati per le Regionali d’autunno. Ecco allora che se Sala prendesse tempo farebbe comodo a molti”.
Travolto dall’inchiesta giudiziaria, Sala non vuole però perdere del tutto la faccia e finire politicamente fottuto. Rassegnando le dimissioni, vuole rendere evidente uno scatto di dignità, un grido di onestà, una reazione che non lo faccia sembrare all’opinione pubblica ”Lu ciuccio ‘miezzo a li suoni” – un asino alla festa di paese frastornato dalla banda che impazza.
È possibile che le dimissioni annunciate dell’assessore alla rigenerazione urbana, Giancarlo Tancredi, bastino a placare lo tsunami scatenato dalla Procura di Milano.
E che Sala resti al suo posto, come detto, conviene a tutti. Innanzitutto perché a febbraio 2026, tra pochi mesi, saranno inaugurate le Olimpiadi di Milano-Cortina, e sottoporre la città a una logorante campagna elettorale proprio mentre si svolge un evento di portata mondiale sarebbe controproducente per l’immagine già malconcia di Milano.
La seconda e fondamentale ragione che spinge tutti i partiti alla cautela nei confronti dell’inchiesta sull’urbanistica meneghina è che nessuno ha un candidato da schierare per un eventuale dopo-Sala.
Sotto la Madunina il nervosismo si taglia a fette: ci sono molti nodi da sciogliere, oltre al rapporto incestuoso tra politica e finanzieri che si trasformano in costruttori: il giro di mazzette e utilità varie, scoperchiate dai pm della Procura, fanno scopa con il terremoto finanziario che coinvolge Mediobanca, salotto buono meneghino, per la conquista del ricchissimo forziere di Assicurazioni Generali, e con i bagordi a base di coca-escort-champagne emersi con l’inchiesta sulla ”Gintoneria” di Davide Lacerenza. Per non parlare dell’indagine in corso dei Pm milanesi sulla vendita “overnight” del 15% del Monte dei Paschi di Siena da parte del Mef di Giorgetti a Caltagirone, Milleri, Bpm e Anima Sgr.
Non è un caso che l’unico ad aver invocato le dimissioni di Beppe Sala e lo scioglimento della giunta sia Ignazio La Russa. Il “padrone della Lombardia” ha giustificato il reset con ragioni, diciamo così, operative: “Non è per garantismo, ma le dimissioni per le vicende giudiziarie non le ho mai chieste e non le chiederò mai. Però c’è uno scenario da valutare. Mi dicono che ora hanno paura di fare qualunque cosa e Milano rischia la paralisi. Prima va via la giunta e meglio è”.
La verità dietro tale supercazzola di dichiarazione è che ‘Gnazio sogna il blitz: avendo già lanciato come candidato a sindaco Maurizio Lupi. Con tale mossa, il presidente del Senato metterebbe sotto la sua ala “Noi Moderati” di Lupi, inserendo il partitino dentro Fratelli d’Italia. Di più: andare rapidamente al voto potrebbe permettere il filotto alla seconda carica dello Stato. Conquistare nel giro di pochi mesi il Comune di Milano, e nel 2028 agguantare finalmente, per la gioia del fratello
Romano, le redini della Regione Lombardia.
La sparata di La Russa non è ovviamente piaciuta alla sua amica Daniela Santanchè, che avrebbe preferito, pro domo sua, una posizione più cauta dal suo sodale verso Sala: la “Pitonessa, indagata e imputata, da mesi è bersagliata da continue richieste di dimissioni dal ministero del Turismo, e ora proprio il suo più fedele alleato chiede la testa di un sindaco per un semplice avviso di garanzia?
Dopo che Beppe Sala avrà sciolto la riserva, oggi in Consiglio comunale, alle 16.30, l’attenzione degli addetti ai lavori si sposterà a mercoledì 23 luglio, quando si svolgeranno gli interrogatori degli indagati davanti al Gip.
Se il giudice istruttore decidesse di accogliere le richieste dei Pm sulle misure cautelari (domiciliari per l’assessore Tancredi e il finanziere-costruttore Manfredi Catella, carcere per altri quattro), l’inchiesta troverebbe nuovo vigore. Viceversa, il “caso Milano” tenderebbe un po’ a sgonfiarsi, almeno nell’attenzione politico-mediatica.
(da Dagoreport)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
MELONI HA FATTO CAPIRE CHE CONSIDERA ZAIA IL MIGLIOR LEADER POSSIBILE DELLA LEGA, AL POSTO DI UN SALVINI OSTAGGIO DELLE MATTANE DI VANNACCI …UN CAMBIO DI VERTICE NEL CARROCCIO EVOCATO NELLA SPERANZA CHE IL GOVERNATORE ABBOCCHI ALL’AMO
Si sono incontrati in gran segreto, tre settimane fa, a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni e
Luca Zaia.
Dal vis-a-vis non sono emerse novità sostanziali: era soltanto un abboccamento funzionale a una necessaria distensione tra la premier e il “Doge” dopo le polemiche per la mancata concessione del terzo mandato.
La Ducetta ha fatto presente a Zaia che la tanto controversa legge sugli amministratori locali non si poteva cambiare, e che lei preferirebbe evitare un rimpasto con il semplice obiettivo di concedere al governatore del Veneto un ministero, così come ipotizzato da Salvini.
Gli “addetti ai livori” sostengono che, nel segreto dell’incontro, Giorgia Meloni abbia provato a convincere Zaia a scendere comunque in campo con una sua lista, alle prossime regionali in
Veneto, ma appoggiando il candidato del centrodestra, che deve essere ancora individuato.
Ma soprattutto, la premier ha provato a tratteggiare un futuro politico per Zaia, facendogli capire che, agli occhi di Fratelli d’Italia, è lui il miglior leader possibile della Lega al posto del tanto scomodo Salvini. Un cambio al vertice del Carroccio che Giorgia Meloni ha buttato sul tavolo nella speranza che il sempre prudente Zaia abbocchi all’amo.
(da Dagoreport)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
I RAPPORTI TRA IL SEGRETARIO DEL CARROCCIO E ANTONIO TAJANI SONO SEMPRE PIÙ TESI, ANCHE E SOPRATTUTTO SUL DOSSIER REGIONALI. OGGI CI SARÀ UN NUOVO VERTICE A PALAZZO CHIGI PER CHIUDERE SULLE CANDIDATURE
Il primo vertice del centrodestra sulle Regionali, la scorsa settimana, è stato un buco nell’acqua. Giorgia Meloni questa sera tenterà di nuovo.
I leader alleati, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi sono stati invitati a Palazzo Chigi con l’obiettivo di sbloccare le candidature nelle cinque regioni chiamate al voto in autunno. L’impressione, tuttavia, è che neanche questa sarà la volta buona per chiudere la partita
I rapporti sempre più lisi tra Lega e Forza Italia non aiutano. Salvini, alla festa della sezione della Lega di Pontida […] finisce per attaccare frontalmente le tv della famiglia Berlusconi: «Ormai anche su Mediaset, quando accendi, è sempre colpa della Lega, come su La7». E con queste premesse va trovata un’intesa per Campania e Veneto.
Nella Regione campana le trattative sono più avanzate. Meloni voleva aspettare le decisioni del centrosinistra, nella speranza che sul nome del candidato Roberto Fico, ex presidente della Camera del M5S, si consumasse una frattura con il presidente uscente, Vincenzo De Luca, ma non sembra ci sia aria di guerra nel campo largo.
E se strappare la Regione a un centrosinistra compatto è quasi impossibile, allora non c’è molto su cui litigare. Dovrebbe essere Fratelli d’Italia a esprimere il candidato e il nome più forte è quello del viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.
Nelle ultime ore, però, stanno salendo le quotazioni di Giuseppe Romano, detto Giosy, avvocato legato a Raffaele Fitto che lo mise alla guida della nuova Zes unica del Sud, molto stimato da Meloni.
Sarebbe una candidatura civica, ma decisamente in quota FdI. Molto più lontano da una soluzione è il Veneto, dove il pressing del forzista Flavio Tosiviene vissuto con insofferenza dai leghisti.
Intanto Luca Zaia spinge per avere una sua lista personale alle Regionali, ma anche questo, per la premier, è un problema: il giorno dopo il voto quella lista potrebbe trasformarsi, per Zaia, in uno strumento con cui continuare a dettare legge in Regione.
Dentro Palazzo Chigi non la vedono di buon occhio e pure Salvini sembra poco entusiasta, perché la lista Zaia drenerebbe voti alla Lega. Il leader del Carroccio, per altro, ha abbandonato ogni aspirazione sulla Campania per mantenere la bandiera sul Veneto.
Vorrebbe candidare il fedelissimo Alberto Stefani, segretario della Liga veneta e vicesegretario del partito, o Mario Conte, sindaco di Treviso: due nomi per superare l’era Zaia.
Neanche Meloni, però, abbandona l’idea di poter indicare un suo candidato (Raffaele Speranzon o Luca De Carlo, entrambi senatori) e insiste con l’obiettivo, magari, di trovare un compromesso su un nome proveniente dalla società civile, purché sia di area FdI. Prima di ogni discorso, però, va trovata un’intesa con Zaia. Difficile inserirlo nella squadra di ministri a Roma: Meloni non vuole rimpasti. Più facile una nomina “istituzionale”, ma il “Doge” va convinto
Oggi, quindi, potrebbe non arrivare nessuna decisione, se Meloni insisterà col voler chiudere tutte le caselle prima del via libera complessivo. Ma nella maggioranza premono per ufficializzare almeno le candidature sulle quali c’è già un accordo (Puglia, Marche e Toscana), e dare il segnale che qualcosa, almeno, si sta muovendo.
(da La Stampa)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
ALESSANDRA GHISLERI: “I DATI RAPPRESENTANO UN SEGNALE FORTE PER LE ISTITUZIONI: LA SOCIETÀ È PRONTA. ORA LA PALLA PASSA ALLA POLITICA, CHIAMATA A COLMARE UN VUOTO NORMATIVO CHE INCIDE PROFONDAMENTE SULLA VITA (E SULLA MORTE) DI MOLTI CITTADINI
Il tema dell’eutanasia -a cicli alterni- torna con forza al centro del dibattito pubblico
italiano, spinto da numeri che parlano chiaro: il 93,4% dei cittadini conosce il significato del termine, e ben il 75,3% si dichiara favorevole alla sua legalizzazione, cioè con l’intervento delle istituzioni sanitarie per aiutare una persona a morire per alleviare le sue sofferenze legate a malattie incurabili e su esplicita richiesta del paziente.
Sono questi i dati di un sondaggio di Only Numbers che evidenziano un livello di consapevolezza e una volontà popolare difficili da ignorare. In un Paese dove la politica continua a rimandare una legge chiara sul fine vita, la società civile sembra invece avere le idee piuttosto chiare.
La crescente attenzione verso il tema è alimentata da un confronto sempre più aperto, sostenuto da varie associazioni – come ad esempio l’Associazione Luca Coscioni che ha depositato in Senato 74.000 firme per la proposta di legge per legalizzare l’eutanasia in Italia-, da campagne informative e da casi giudiziari che hanno riportato la questione sotto i riflettori dell’opinione pubblica.
La richiesta è netta: garantire la possibilità, per chi si trova in condizioni di sofferenza insostenibile o malattia irreversibile, di poter scegliere una morte dignitosa.
Una posizione condivisa da una larga maggioranza degli italiani, che vede nella legalizzazione dell’eutanasia non una fuga dalla vita, ma un atto di autodeterminazione e rispetto della persona. Riconosciuto con la polarizzazione maggiore proprio dai più giovani (87.8%).
Tuttavia, la posizione favorevole non è incondizionata: la maggior parte degli intervistati ritiene che l’eutanasia debba essere consentita solo in casi specifici, ovvero quando una persona è affetta da una malattia terminale, accompagnata da grandi sofferenze fisiche o psicologiche (49.8%), e con l’esplicito consenso del paziente (31.4%).
Solo il 2.5% ha indicato il consenso esplicito del medico curante. Una posizione di equilibrio, che tiene insieme il rispetto
per la dignità umana e la necessità di criteri rigorosi.
Il messaggio che arriva è chiaro: gli italiani non chiedono una liberalizzazione indiscriminata, ma una legge chiara, che tuteli la libertà di scelta in situazioni limite, dove ogni alternativa alla sofferenza è venuta meno.
Una cosa è certa: la società italiana è pronta ad affrontare con maturità il tema dell’eutanasia. Chiede tutele, regole e umanità. A rafforzare questa volontà popolare è anche un altro dato significativo: il 65,2% degli italiani sarebbe favorevole alla convocazione di un referendum sul tema.
Un segnale forte, che indica come una larga parte della popolazione voglia essere direttamente coinvolta in una decisione di portata etica e sociale così profonda… e, toccando corde così personali, forse sarebbe più facile un’ampia mobilitazione popolare.
Il secondo articolo del disegno di legge attualmente in discussione propone la modifica dell’articolo 580 del Codice penale, introducendo una clausola di non punibilità per chi agevola il suicidio medicalmente assistito, purché siano rispettati requisiti medici e legali precisi.
Su questo punto, il 71.8% degli italiani è favorevole, evidenziando un consenso ampio anche su aspetti normativi molto tecnici, ma centrali nel dibattito. Nonostante la Corte Costituzionale abbia già sollecitato il Parlamento ad affrontare la questione con una normativa adeguata, ad oggi in Italia non esiste ancora una legge che disciplini in modo organico il ricorso all’eutanasia.
La situazione resta ambigua, con differenze di trattamento tra
Regioni e con persone costrette, in alcuni casi, a rivolgersi all’estero –in Svizzera nella maggior parte dei casi conosciuti- per far valere il proprio diritto a scegliere.
I dati sul consenso diffuso potrebbero rappresentare un segnale forte per le istituzioni: la società è pronta. Ora la palla passa alla politica, chiamata a colmare un vuoto normativo che incide profondamente sulla vita – e sulla morte – di molti cittadini.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
STABILI PD, FORZA ITALIA E LEGA
Fratelli d’Italia è ‘solo’ al 28%, in calo rispetto al mese precedente. Leggera flessione anche per il Partito democratico mentre il Movimento 5 Stelle è in netta crescita, con un +0,8% su trenta giorni. Balzo in avanti anche per Alleanza Verdi-Sinistra, mentre restano stabili Forza Italia e Lega. Ecco come si posizionano i partiti secondo l’ultimo sondaggio YouTrend per Sky Tg24.
Chi cresce e chi resta indietro
Fratelli d’Italia perde terreno e si ferma a quota 28,1%. Nell’ultimo mese perde lo 0,3%, allontanandosi così dalla soglia del 30%. Il partito di Giorgia Meloni resta pur sempre primo nelle preferenze degli elettori, i suoi consensi sono forti e il calo assestato non deve preoccupare più di tanto.
Certo è che in questa rilevazione il divario con il Partito democratico, principale rivale di FdI, è più ridotto rispetto al solito. Il Pd raccoglie infatti il 22,1% (in leggero calo, -0,1%), posizionandosi al secondo posto nelle scelte degli elettori. Lo stacco tra i due quindi si è di esattamente sei punti, mentre in genere oscilla tra i sette e gli otto punti percentuali.
Ma se negli ultimi tempi, dopo la crescita registrata lo scorso anno i dem sono rimasti piuttosto stabili senza riuscire ad accorciare la distanza con FdI, a riportare un netto aumento è il Movimento 5 Stelle. Il partito di Giuseppe Conte cresce dello 0,8% in un mese, quasi un punto in più, totalizzando l’incremento più alto di tutti. È un segnale positivo per i pentastellati, che tutto sommato restano abbastanza bassi rispetto alle altre due forze politiche. Il Movimento è al 12,7%, ben distante dal Pd e ancora di più da FdI. Cresce anche Alleanza Verdi-Sinistra, che sale al 7,4% mostrando uno dei suoi risultati migliori. In trenta giorni guadagna un +0,4%, confermando i progressi dell’ultimo anno.
Spostandoci dall’opposizione alla maggioranza, osserviamo un quadro sostanzialmente immobile. Il centrodestra è trainato principalmente da Fratelli d’Italia, mentre Lega e Forza Italia si mantengono più o meno sulle stesse percentuali da quasi tre anni. Finora le variazioni sono state minime, di qualche
zerovirgola, e sono servite più che altro a decretare di volta in volta il sorpasso dell’una o dell’altra forza di governo sull’alleato. Al momento gli azzurri risultano leggermente avanti, stabili all’8,9%, mentre il Carroccio si ferma all’8,2% (-0,1%).
Anche tra i partiti più piccoli, dell’area centro-liberale, levariazioni sono marginali. Azione è quello che raccoglie più voti, al 3,6% e registra un aumento dello 0,4% nell’ultimo mese. Seguono Più Europa, al 2,1% (+0,1%) e Italia Viva, al 2% (+0,2%). Chiude la classifica Noi Moderati con lo 0,3% (-0,1%).-.
(da Fanapage)
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Luglio 21st, 2025 Riccardo Fucile
SE GIORGIA MELONI CAMBIERA’ LA LEGGE ELETTORALE (PROPORZIONALE CON PREMIO DI MAGGIORANZA), SERVIRA’ INDICARE UN CANDIDATO PREMIER, CHE POTREBBE ESSERE LA SINDACA DI GENOVA, SILVIA SALIS
Mancano venti-ventidue mesi, se, come dicono dentro Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni
farà di tutto per anticipare le elezioni del
2027 in primavera. Così, il motore della politica ha ripreso a girare. I partiti discutono di strategia e sopravvivenza, alla luce anche della quasi certezza che la premier cambierà la legge elettorale. Se resteranno compatti, come Meloni ha chiesto a Matteo Salvini, consapevole che la Lega rischia di più dalla cancellazione dei collegi uninominali, avranno i numeri per inventarsi un nuovo meccanismo di distribuzione dei seggi in Parlamento.
L’orizzonte di un proporzionale, con premio di maggioranza, e indicazione del presidente del Consiglio, come previsto dalla riforma del premierato, ha già rianimato il frammentato cosmo alternativo a Meloni, dove si muovono, coordinandosi, Matteo Renzi e Dario Franceschini. Il leader di Italia Viva lo fa apertamente, il secondo come piace a lui, da regista, dietro le quinte. Sanno annusare l’aria e hanno in mente lo stesso piano.
Creare una forza riformista, di cultura liberale, attenta alle imprese e alle esigenze del mondo cattolico che non vuole soccombere alle campagne della destra sui migranti, ma neppure all’egemonia della sinistra sui diritti. Renzi e Franceschini ragionano di leadership, di possibili candidati, o, ancora meglio, candidate anti-Meloni. Franceschini si è lasciato andare in un colloquio con Il Foglio: ha immaginato una nuova forza politica capace di arrivare al 10%, aggregando tutti i piccoli partiti o semplici progetti civici ancora in cerca d’autore, e ha fatto tre nomi da tenere d’occhio, tra cui la sindaca di Genova Silvia Salis.
Poco dopo, Renzi ha riunito la convention nazionale di Italia Viva proprio a Genova, sotto lo slogan: “Si può fare”. per Renzi quel richiamo ha un valore preciso: è il momento di far risorgere lo spirito del Pd della fondazione, quello più liberal. Ed è proprio ciò di cui è convinto Franceschini. Se non si può fare più dentro il Pd, lo si farà con un’altra formazione. Mettere insieme Renzi, la voglia di politica di Ettore Maria Ruffini, i cattolici dem insoddisfatti, Più Europa, sperando di tenere agganciata Azione di Carlo Calenda e magari anche le aspirazioni liberaldemocratiche di Luigi Marattin.
Secondo Franceschini il Pd di Elly Schlein è schiacciato a sinistra e va lasciato là, al suo circa 22%, in competizione con il M5S e Avs. Il proporzionale alimenterà la contesa. I sondaggi ormai sono fermi da tempo: linee piatte. Dal 2022 non c’è alcun exploit, solo una forte polarizzazione. Eppure un’analisi Swg di una settimana fa segnala che 4 italiani su 10 hanno voglia di un partito completamente nuovo. E ne hanno voglia soprattutto gli elettori giovani e meno attratti dalla destra. Una conferma dell’analisi che fa Franceschini e che rafforza l’idea che quel 7, 8% del Terzo Polo Renzi-Calenda preso nel 2022 sia un’ottima base di partenza.
L’ex premier e i suoi non fanno che parlare di Salis. Renzi ci si rivede: sindaca, giovane, in grado di bruciare le tappe e passare da una grande città a Roma. Persino al governo, secondo lui. Per storia, carattere e capacità – sostiene – potrebbe riuscirci. Nella politica di oggi, veloce a creare e a distruggere, non sarebbe neanche una particolare stranezza. E poi è donna. Un elemento che tengono in considerazione sia Renzi sia Franceschini: perfetta per sfidare Meloni, tanto più se passerà la norma che impone di indicare il candidato premier.
La leader FdI la vuole per mettere in difficoltà il campo progressista, convinta che Schlein e Conte difficilmente si metteranno d’accordo. A quel punto potrebbe servire un terzo nome, un federatore super partes.
Nel Pd, nell’ala dormiente dei riformisti, considerano l’idea di Salis prematura. Per Renzi quella del 2027 è una sfida vitale anche per un altro motivo. Perché il prossimo Parlamento voterà il successore di Sergio Mattarella al Quirinale. E lui dà credito alle voci che circolano da destra a sinistra su Meloni intenzionata ad abbattere un altro muro, e diventare la prima donna presidente della Repubblica, dopo esserlo stata del Consiglio dei ministri.
(da La Stampa)
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