Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
ALTRO DATO: SE SCENDESSE IN CAMPO “UN” BERLUSCONI, I CONSENSI DI FORZA ITALIA CRESCEREBBERO FINO QUASI A RADDOPPIARSI, INTORNO AL 15% … MA SE SCENDE IN CAMPO, O PIER SILVIO PRENDERA’ PIU’ VOTI DI MELONI, STRAPPANDOLI A FDI E LEGA, E FARA’ IL PREMIER OPPURE LO VEDREMO CHE PRENDERA’ ORDINI DALLA DUCETTA
Marina e Pier Silvio Berlusconi si sono confrontati a lungo, nelle ultime settimane, sul
destino del partito fondato da “Papi”.
La primogenita del Cavaliere di Arcore, che il prossimo 10 agosto soffierà su 59 candeline, ha ricoperto, seduta nel suo salottino milanese, un ruolo politico di mediazione tra gli interessi della famiglia e le istanze del partito.
Poi il 56enne fratellino, con il pretesto di presentare il palinsesto del Biscione, ha fatto “coming out”, palesando in maniera esplicita il suo sogno di entrare in politica, legnando la gestione del partito da parte del “maggiordomo” di casa Meloni, Antonio Tajani.
A questo punto, i due si sono chiesti quale debba essere il loro ruolo nei confronti del partito lanciato in orbita nel 1994 da Silvio Berlusconi: molliamo definitivamente Forza Italia o lo gestiamo cambiandone i connotati?
Di fronte a tale dilemma, Marina ha continuato a rastrellare informazioni attraverso i suoi incontri riservati, prima con il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, e poi con quello del Piemonte, Alberto Cirio. Entrambi hanno affidato alla presidente di Fininvest e di Mondadori critiche puntute sulla gestione di Antonio Tajani e della sua “banda dei laziali”.
La Cavaliera ha poi ascoltato Stefano Benigni, giovane stellina del firmamento azzurro, e si è confrontata con la sua longa manus romana, Deborah Bergamini. Inevitabile anche un vis-a-vis con l’eterno Gianni Letta, che è ritornato alla grande a brigare tra i palazzi romani per conto della “Dinasty di Arcore”.
I due fratelli, nell’attesa di sciogliere la riserva, e dunque capire
se entrare in modo contundente nella governance di Forza Italia, hanno commissionato un sondaggione sulla forza del brand Berlusconi in chiave elettorale.
La rilevazione avrebbe fornito alcune informazioni interessanti: ad esempio, dell’8% dei consensi di cui è attualmente accreditato il partito, la metà, cioè il 4%, è riconducibile al ricordo di Silvio Berlusconi.
Altro dato: se scendesse in campo “un” Berlusconi, i consensi di Forza Italia crescerebbero fino quasi a raddoppiarsi. Quel che colpisce è che il partito raccoglierebbe più voti con Pier Silvio leader di quanti ne conquisterebbe con Marina. Un dato che conferma la fragilità della primogenita anche agli occhi degli elettori, che evidentemente rivedono in “Pier Dudi” il giovane Silvio. Se avverrà la discesa in campo, o Pier Silvio prenderà più voti di Meloni, strappandoli a FdI e Lega, e farà il presidente del consiglio oppure sarà divertente vedere Pier Silvio che prenderà ordini dalla Ducetta della Garbatella…
(da Dagoreport)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“NOI GIORNALISTI SIAMO STREMATI, RACCONTIAMO LE SOFFERENZE DELLA NOSTRA GENTE MA SIAMO DENTRO LA STESSA TRAGEDIA”
Bevono sale e acqua i giornalisti di Gaza per poter restare in piedi, per poter continuare a raccontare al mondo cosa avviene nella Striscia, per difendere il diritto di cronaca e all’informazione.
Come riporta Al Jazeera 231 giornalisti e giornaliste sono stati uccisi negli ultimi 21 mesi dall’esercito israeliano, il numero più alto che si sia mai registrato in un conflitto. L’ultima reporter ammazzata dall’aviazione di Tel Aviv è Walaa Al-Jaabari, morta insieme al figlio che portava in grembo, al marito e al resto dei loro figli, in seguito a un attacco aereo che ha preso di mira il loro appartamento nel quartiere Tel Al-Hawa di Gaza City. I pochi giornalisti che sono sopravvissuti finora, adesso stanno morendo di fame.
Lo testimonia la giornalista Sally Abdullah Thabit, svenuta in diretta tv due giorni fa a causa della fame, e che Fanpage.it ha intervistato oggi.
Sally Abdullah Thabit, lei è corrispondente per Alkofiya TV e negli ultimi 21 mesi ha raccontato instancabilmente il massacro israeliano a Gaza. Può raccontarci cosa è successo due giorni fa?
Due giorni fa stavo seguendo un servizio in diretta da Zekim, nel nord della Striscia, dove l’occupazione israeliana aveva appena commesso un nuovo massacro di persone affamate in cerca di cibo. Mentre parlavo in live, ho avuto un crollo fisico. Ho sentito il cuore accelerare, la pressione è calata, ho avuto nausea. Mi sono accasciata. Ho chiesto al collega di poter interrompere: non stavo bene. Stavo male per la fame. Stavo male perché erano quattro giorni che non mangiavo assolutamente niente. Stavo male perché anche io sto morendo di fame come tutti qui a Gaza.
In che condizione siete costretti a vivere e lavorare voi giornalisti di Gaza oggi?
In una condizione tragica, che peggiora ogni giorno. I numeri delle persone affamate e che perdono la vita sono altissimi. I bambini, in particolare, soffrono di malnutrizione. L’assedio israeliano impedisce il passaggio degli aiuti alimentari dal valico di Karam Abu Salem, anche attraverso i canali ufficiali come quello dell’UNRWA. La fame è diventata un’arma. Uccide in silenzio, senza bombe.
In che modo la fame sta incidendo sul tuo lavoro?
Siamo stremati. Raccontiamo le sofferenze della nostra gente da oltre un anno e mezzo, ma ne facciamo parte anche noi. Siamo dentro la stessa tragedia. Per questo chiediamo al mondo di guardarci, di ascoltare i civili di Gaza, ma di guardare anche chi ogni giorno dà voce a questa catastrofe mentre cerca disperatamente del cibo per i propri figli.
Cosa vuol dire essere anche una madre in questa situazione?
È una lotta quotidiana. Esco dal lavoro e vado nei mercati,
sperando di trovare qualcosa da portare a casa. Le verdure quasi non ci sono, e quel poco che c’è ha prezzi proibitivi. Questo mi crea ansia, mi toglie le forze. Cerco qualcosa da mettere in tavola, anche se non ha tutti i nutrienti. Basta che sfami i miei figli.
C’è qualcosa che vorresti dire ai giornalisti fuori da Gaza?
Sì: parlate di noi. Non dimenticate Gaza. Chiediamo ai colleghi giornalisti in tutto il mondo di parlare di noi, di Gaza, dei bombardamenti, della distruzione, dei massacri, dei crimini commessi. E denunciate questa nuova arma che Israele sta usando: la fame. È un crimine che sta uccidendo sempre più civili.
(da Fanpage)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
SE IL 36% METTE DA PARTE PER “PRECAUZIONE” IN CASO DI IMPREVISTI, IL 38% DEI RISPARMIATORI HA OBIETTIVI PRECISI: LA CASA, GLI STUDI DEI FIGLI, LE ESIGENZE DELLA VECCHIAIA. A FAR PAURA È LA PENSIONE. MOLTI TEMONO DI DOVER ANDARE AVANTI CON UN ASSEGNO DA FAME
Eppur si muove, il risparmio degli italiani. Mai così tanti dal Duemila i connazionali
che hanno “messo da parte” […] «Ci sono buone notizie» nel rapporto di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi, sottolinea il capo economista della Ca’ de Sass, Gregorio De Felice. Intanto il 58% di italiani che accumula risorse «significa 500mila famiglie incluse nel risparmio nell’ultimo anno», specifica il direttore del Centro, Giuseppe Russo. Gli italiani paiono soddisfatti del loro reddito, 2.552 euro netti al mese, e riescono a destinare al salvadanaio una quota stabile sopra l’11 per cento.
Per cosa? Per il 36% le risorse accantonate servono ad affrontare gli imprevisti: quel ruolo “precauzionale” che ben conosciamo. Ma tra le righe dell’indagine presentata ieri fa capolino un nuovo atteggiamento: la “sicurezza” è sempre la ricercata numero uno, ma scende sotto il 50% delle preferenze. Crescono le formichine “intenzionali”, coloro che mettono da parte non solo perché “non si sa mai”, ma con obiettivi precisi: la casa, gli studi dei figli, le esigenze della vecchiaia: sono ormai il 38% dei risparmiatori.
Già, la pensione fa sempre più paura: il giudizio sulla soddisfazione attesa al momento dell’assegno previdenziale è molto negativo. Sta diventando una «preoccupazione generazionale». Eppure, ed ecco le ombre del rapporto, poco meno di un quarto del campione ha una forma pensionistica complementare (24,5 per cento). Livello stratosferico se si pensa a un decennio fa, ma pur sempre stridente con l’urgenza percepita circa il rischio di non arrivare a fine mese con l’assegno Inps.
Le obbligazioni dominano tra gli investimenti finanziari, il risparmio gestito torna a macinare, le azioni restano ai margini: nemmeno il 5% del campione ha operato in Borsa negli ultimi 12 mesi.
(da agenzie)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA SUA SCELTA HA FATTO INVIPERIRE MARIO GIORDANO, SBATTUTO ALLA DOMENICA SERA CON IL SUO “FUORI DAL CORO”. E, GUARDA CASO, GIORDANO È DIVENTATO IMPROVVISAMENTE OSTILE AL GOVERNO MELONI: “NON STA DANDO LE RISPOSTE CHE SI ASPETTAVANO GLI ITALIANI, SEMBRA UN GOVERNO MELONI-FORLANI”
Pier Silvio Berlusconi non ha abbandonato il progetto di riequilibrare politicamente Mediaset attraverso una proposta, nell’informazione e nei talk, meno sbilanciata su Giorgia Meloni e sul centrodestra.
D’altronde Rete4, in modo particolare, è stata prima un fortino di Salvini e della Lega, attraverso il tandem Crippa-Confalonieri, e poi di Giorgia Meloni con il duplex Porro-Del Debbio. La depurazione del canale dalle scorie sovraniste è iniziata imbarcando Bianca Berlinguer e contestualmente Myrta Merlino a Canale5.
Due esperimenti dai risultati opposti: se “Bianchina” ha fatto breccia tra i vecchi tele-morenti affezionati a Rete4, la compagna di Tardelli non ha sfondato sulla rete ammiraglia. Il tentativo di sedurre le casalinghe fedeli ai “caffeucci” di Barbara D’Urso è fallito.
Il progetto di bilanciare le reti Mediaset va avanti. D’altronde, senza il canone riconosciuto alla Rai, il Biscione deve aggrapparsi agli ascolti e alle inserzioni pubblicitarie, e, come ha sempre insegnato il Cav., si dà ai telespettatori ciò che chiedono. E se Mediaset vuole catturare nuove fette di pubblico, deve parlare anche al pubblico de’ sinistra
In questo contesto, va letto l’arrivo del fu dalemiano, e ora in
quota Pd, Tommaso Labate, alla conduzione di “Realpolitik”, un programma di approfondimento politico che andrà in onda, in prima serata, proprio su Rete4.
Il giornalista del “Corriere della Sera”, pur essendo un prezzemolone dei talk, soprattutto di La7 (è ospite fisso delle maratone di Mentana), non è avvezzo alla conduzione televisiva.
Un conto è sproloquiare in un contesto “protetto” come quello dell’amico Mentana, un altro è avere sulle proprie spalle il funzionamento di un’intera trasmissione. Una sfida che, ad esempio, ha già travolto l’ambizioso Antonino Monteleone: da “iena” funzionava, da conduttore Rai ha registrato fragorosi flop.
L’arrivo di Labate a Rete4 ha già fatto storcere il nasino a Mario Giordano: il giornalista, che in questi anni ha furoreggiato ergendosi a Funari minore, strepitando e urlando con la sua vocina garrula, tra un flirt con i complottisti no-vax e le mazzate alle zucche di Halloween, è stato delocalizzato alla domenica sera, con il suo “Fuori dal Coro”.
Una mezza bocciatura, amplificata dalla fiducia riconosciuta all’acerbo e ubiquo Labate. Che Giordano sia inviperito si è notato all’evento “la Ripartenza”, organizzato a Bari da Nicola Porro.
L’ex “Lucignolo” sembrava un leader dell’opposizione: “Gli italiani che sono andati a dare una maggioranza forte al centrodestra l’hanno data per avere risposte che non ci sono. Non ci sono sul fronte della sicurezza, il decreto sicurezza fa acqua da tutte le parti, sulla sanità, sulle liste d’attesa, sul fisco, non c’è quel cambio di marcia… allora, ho fatto il governo Meloni
Forlani”. Parole durissime, ancor più che arrivano da un giornalista mai ostile verso il centrodestra…
(da Dagoreport)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“SONO USCITO DALLA STANZA NEL MOMENTO IN CUI HA COMINCIATO L’AUTOINFUSIONE. MA PRIMA MI HA CHIESTO. ‘VUOI CHE RIMANGA ANCORA UN PO’?’. ‘NO’, HO RISPOSTO IO. E SI È SENTITA LIBERA DI ANDARE. POI SONO SCOPPIATO A PIANGERE A DIROTTO”
Le sue ultime parole per Laura. «Le ho detto “vai amore, sei libera”. Lei ha risposto
“ciao amore, ciao vita”. Poi sono uscito dalla stanza nel momento esatto in cui ha cominciato l’autoinfusione. Mi sono messo in disparte, come ha voluto lei, per evitare di condizionarla dal punto di vista emotivo. Prima che uscissi mi ha chiesto “vuoi che rimanga ancora un po’?”
“No”, ho risposto io, ma non nel senso che non volevo, nel senso di “sentiti libera”. Lei ha capito. E si è sentita libera di andare».
Quando è rientrato in stanza tutto era compiuto.
«Ho guardato il flussimetro, ho visto che non c’erano più segni di vita e sono scoppiato a piangere a dirotto. Un pianto vero, tosto. Ho realizzato che non mi era mai capitato. Avevo pianto sempre soltanto la notte, sommessamente, senza farmi mai sentire o vedere da lei. Stavolta ho lasciato che le lacrime andassero dove volevano; un pianto liberatorio».
Stefano Massoli, 63 anni, è il marito di Laura Santi. Erano insieme da 25 anni e hanno condiviso i giorni, i luoghi e i pensieri con la «nemica», la sclerosi multipla (diagnosticata nel 2000). La malattia, il prendersi cura di lei, la lotta per ottenere il suicidio assistito: Stefano c’era, c’è sempre stato.
È vero che prima del sì definitivo dell’Azienda sanitaria Laura aveva preso contatti per andare a morire in Svizzera?
«Sono stati ben più di semplici contatti. Abbiamo fatto tre prenotazioni e tutte e tre le volte abbiamo disdetto perché, quando eravamo vicino al giorno della partenza, arrivava qualche mezza risposta che ci faceva sperare in una soluzione qui, finalmente».
È stato in questi ultimi mesi?
«Sì. La seconda prenotazione è stata una richiesta di Laura per il suo compleanno. Avevamo già prenotato e disdetto una prima volta ma sembrava di nuovo tutto fermo e allora ricordo che lei mi disse: “Per festeggiare i miei 50 anni vorrei prenotare d
nuovo in Svizzera per il 13 gennaio, che era — appunto — il giorno del suo compleanno. Ma anche quella volta si mosse qualcosa e decidemmo di aspettare ancora. L’ultimo appuntamento è stato per il 30 giugno. Ma è arrivata la risposta definitiva dall’Azienda sanitaria e abbiamo ovviamente rinunciato».
Ha un significato particolare la scelta del 21 luglio?
«No, nessuno».
Chi era a conoscenza del giorno?
«Solo una cerchia ristrettissima di persone, fra le quali due sue amiche carissime, un amico mio e Filomena Gallo, dell’Associazione Coscioni.
Non sapevano niente nemmeno familiari e amici, non ha voluto vedere o salutare nessuno perché non voleva che qualcuno intervenisse per provare a dissuaderla. È morta alle 11.52 a casa sua, nel suo letto».
Che stato d’animo ha visto sul volto di sua moglie in quegli ultimi minuti?
«Felicità. Sembrerà un’eresia ma lei pensi a una persona che ha un cervello che va a 2000 ma è imprigionata nel suo corpo-involucro. Ogni santo giorno, con dolori e immobilità crescenti, infezioni continue, cateteri, con il tempo scandito da antibiotici, antinfiammatori, antidolorifici. Mi creda, morire e liberarti dalla prigione della vita può diventare il tuo sogno più grande. La felicità, appunto».
Laura era credente?
«Agnostica. Ha parlato con lei a lungo, ci è stato molto vicino e
siamo diventati anche amici dell’arcivescovo della diocesi di Perugia, Ivan Maffeis, una persona dal cuore d’oro che applica la pietas umana».
Ha cambiato la sua posizione sulla fede?
«Assolutamente no».
Che cosa le lascia questa esperienza?
«Un grande orgoglio per essere stato al fianco di una donna del genere e per aver combattuto e vinto assieme a lei questa battaglia. Ricordo la prima volta che le ho sentito dire “suicidio assistito”, è stato un pugno nello stomaco. E da quella volta in poi ne ho presi molti altri, ma ho capito quello che c’era da capire e sono contento di questo risultato. Ora so che voglio continuare a impegnarmi su questo fronte, in suo nome e in suo onore».
(da Corriere della Sera)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
NELLA STRISCIA ARRIVANO 18 CAMION DI CIBO AL GIORNO QUANDO NE SERVIREBBERO 500 PER SFAMARE I DUE MILIONI DI ABITANTI… IN GIORDANIA CI SONO MAGAZZINI STRACOLMI DI ALIMENTI CHE NON VENGONO CONSEGNATI PERCHÉ ISRAELE LO IMPEDISCE
I palestinesi hanno finito le scorte, consumato i soldi per comprare quel che c’è ancora sul mercato nero. Prima hanno ridotto le dosi nei piatti, poi hanno rinunciato a uno, a due pasti e infine si sono ridotti a mangiare una volta al giorno. Riso o lenticchie. Niente di più. Sono dimagriti i palestinesi. Il colore della pelle è cambiato, è diventato terreo. Ora è il tempo di quello che il segretario generale dell’Onu António Guterres chiama l’«horror show», lo spettacolo dell’orrore
Da una settimana molti genitori stanno rinunciando a quel poco che hanno per darlo ai figli. Ma niente sazia. Come dall’Etiopia in tempi di siccità, dal Burkina Faso in carestia, da Gaza escono foto di bambini con la testa grossa sulle spalle rinsecchite, gli occhi persi in orbite che sembrano crateri e tutte le costole a vista.
Morti di fame.
«Non è accettabile far entrare a Gaza aiuti umanitari con il contagocce», hanno scritto 28 Paesi Occidentali.
Eccole le gocce: 18 camion al giorno quando ne servirebbero almeno 500 per sfamare i due milioni di palestinesi imprigionati nella Striscia.
L’orrore di cui parla il segretario generale dell’Onu è che in Giordania ci sono magazzini stracolmi di alimenti che non vengono consegnati agli abitanti della Striscia perché Israele lo impedisce.
Il cardinale Pizzaballa, un uomo che poteva diventare Papa, è stato due giorni a Gaza dopo il bombardamento dell’unica parrocchia cristiana rimasta. Tornato a Gerusalemme ha raccontato di avere «il cuore in subbuglio» per quello a cui ha
assistito. «La fame è visibile», ha detto in conferenza stampa. «Nel modo in cui le persone camminano, stanche, ingobbite. Vedi la fame perché dimenticano le cose, si devono sedere mentre ti parlano, si assopiscono ogni momento senza forze. Lo vedi nel modo in cui i bambini chiedono da mangiare, rassegnati, senza davvero credere che riceveranno qualcosa».
Ieri gli ospedali di Gaza hanno fatto i conti: i morti per mancanza di cibo nelle 24 ore precedenti sono stati 15.
Un’impennata senza precedenti. La somma della vergogna è arrivata a 101. Tra le nuove vittime 11 adulti e solo 4 bambini. Significa che la carestia fabbricata dalla mano dell’uomo (secondo una esplicita definizione di Medici senza Frontiere) sta falcidiando anche altre fasce di età.
Orrore è che per cercare cibo si viene uccisi. Oltre mille da fine maggio dice Philippe Lazzarini, il direttore dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Gente morta mentre era in coda ai centri di distribuzione della famigerata Ghf, Gaza Humanitarian Foundation. Ammazzati da spari o bombe israeliane, ma anche dalla calca o dall’insolazione mentre aspettavano i pacchi alimentari. Non è strano. Non è un incidente. Prima Lazzarini con l’Unrwa gestiva oltre 400 centri di distribuzione.
Ora la Ghf ne apre a singhiozzo quattro.
I palestinesi hanno fame e si spingono per accaparrarsi un pacco. Poi siccome dentro c’è farina, lenticchie, olio di semi, biscotti, tonno in scatola, è troppo pesante, il cartone cede e bisogna fermarsi a raccogliere. La fila si interrompe, la gente
dietro spinge, qualcuno afferra una scatola, si litiga.
I soldati israeliani o i mercenari americani di guardia «si sentono minacciati» e sparano.
«Riescono a procurarsi dei pacchi solo i più forti — spiega Mara Bernasconi, appena rientrata da Gaza —. Donne e anziani sono di fatto esclusi dalla distribuzione della Ghf».
(da agenzie)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
ALTRO CHE CERTI INFAMI, MIKHAIL VOSKRESENSKY HA RINUCIATO A ONORI, PRESTIGIO E AGIATEZZA RIFIUTANDO DI SOSTENERE LA GUERRA CONTRO IL POPOLO UCRAINO: “UN ARTISTA NON PUO’ SOSTENERE UN REGIME CRIMINALE”
Misha vive con la famiglia in un piccolo appartamento in affitto nel Bronx, e tira
avanti dando lezioni di pianoforte. Anche su una tastiera digitale. Per ragioni di spazio, di buon vicinato e di soldi: la tastiera prende poco spazio, ha una manopola per controllare il volume e costa meno di un piano.
Può sembrare la storia ordinaria di uno dei tanti bravi musicisti che, a New York come altrove, fanno fatica a sbarcare il lunario. Ma la vita di Misha non ha proprio niente di ordinario. Mikhail (Misha) Sergeevich Voskresensky, concertista della grande tradizione romantica, famoso per il suo controllo dei colori musicali, per lo stile raffinato e per la maestria nel far “cantare” lo strumento, fino a tre anni fa era uno degli artisti più amati e onorati nella sua Russia. Da cui è fuggito all’età di 87 anni, perché pacifista. Questa è la sua storia.
“Avevo la direzione del conservatorio Tchaikovsky di Mosca”, inizia a raccontare. “Il massimo, per un musicista russo. Il conservatorio per me era tutto”, dice a Fanpage.it. La nostalgia non incrina la voce, che sembra quella di un ventenne. Nell’edificio ottocentesco color crema sulla elegante Bolshaya Nikitskaya Ulitsa, con davanti un boschetto di betulle e la statua di bronzo dell’autore del Lago dei Cigni e dello Schiaccianoci, Misha Voskresensky si è laureato nel 1958. Prima di diventare rettore, ha diretto per decenni il dipartimento di pianoforte. Col
nipote come assistente. La sua seconda moglie, giovane pianista di talento, ha studiato tra le boiserie di quelle aule, e affrontato le prime prove concertistiche tra gli stucchi di epoca zarista nella sala Rachmaninov, che del conservatorio è il delizioso auditorium. Voskresensky vi diede il suo ultimo concerto in patria, davanti a centinaia di spettatori. Era il 22 febbraio 2022, due giorni prima che — su ordine di Vladimir Putin — le forze armate russe invadessero l’Ucraina.
“Non me lo aspettavo. E ho subito deciso di lasciare la Russia. Non ho mai avuto particolari problemi con l’attuale regime. Sono un artista, non un politico”, spiega il musicista. “Ma con chi è a favore della guerra, con chi giustifica l’uccisione di esseri umani, proprio non posso vivere. Non riesco nemmeno a parlarci”.
Voskresensky si ricorda bene della Grande guerra patriottica, la Seconda guerra mondiale. E delle sofferenze immani di allora. Era solo un bambino ma ha impressi nella memoria il bombardamento di Berdyansk, la sua città natale sul mare d’Azov — nella oblast di Zaporizhzhia. Misha Voskresensky è un russo d’Ucraina. Berdyansk oggi è occupata dai soldati di Vladimir Putin. “Liberata dai nazisti di Kiev”, secondo la propaganda. Non secondo Voskresensky. Suo padre morì sul fronte, combattendo nazisti veri e non immaginari. “La guerra è solo crudeltà e barbarie”, commenta il grande pianista.
Fin dai giorni immediatamente successivi all’invasione, le autorità russe hanno cercato di assoldare il mondo culturale per la propaganda a sostegno della guerra. Decine di rassegne non in
linea con la narrativa del Cremlino furono immediatamente censurate e gli artisti “contro” messi all’indice, ma non era questo a spaventare il rettore Voskresensky. “Nell’ambiente artistico e cosmopolita del conservatorio Tchaikovsky mi ritrovavo a parlare con persone — anche cari amici — tutt’altro che stupide e nemmeno pro-Putin ma che legittimavano la guerra”. A nulla valeva far presente in modo sommesso che nessuno aveva attaccato alcuna parte della Russia.
“Se avessi replicato a tono o scritto pamphlet contro il conflitto, sarei stato subito arrestato. Il mio unico modo di protestare era andarmene. Mia moglie Visha è stata subito d’accordo”.
I due non volevano che il loro figlio di quattro anni crescesse sotto un regime guerrafondaio, aggiunge il pianista. “Così ho lasciato la mia splendida casa nel centro di Mosca, la mia dacia (casa di campagna, ndr), la mia bella automobile e soprattutto tanti bravi allievi e tutti i miei amici. Non è stato facile, alla mia età”.
Voskresensky non sembra essere cambiato molto da quando era giovane. Nel 1963 era considerato un prodigio al massimo della carriera ed era invitato a tenere concerti in mezzo mondo. Spesso si esibiva negli Usa e in altri Paesi dell’Occidente. Il Kgb, il servizio segreto sovietico, gli chiese di fare da staffetta per documenti trafugati dai suoi agenti all’estero. “Dissi di no, spiegando che sono molto emotivo, come tutti gli artisti, e che come spia avrei finito per tradirmi, con danni enormi per l’Urss”, ricorda divertito. Il funzionario dei servizi non replicò. Ma per oltre dieci anni il Cremlino vietò a Misha di suonare
fuori dalla Russia. E anche la sua attività concertistica in patria fu parzialmente compromessa. In pratica, gli stroncarono la carriera. Ma Voskresensky ha sempre avuto una grande passione e un innato talento per la pedagogia musicale, oltre che per le esecuzioni. Il suo modo di insegnare è così efficace e gradito dagli allievi che il conservatorio dove insegnò Tchaikovsky divenne il suo regno incontrastato. Ricevette anche riconoscimenti e titoli ufficiali, come quello di “Artista del popolo”, più o meno equivalente a un nostro cavalierato. “Avevo molti privilegi, in Russia. La mia vita era agiata. Certo non ero ricco quanto altri musicisti più o meno famosi legati strettamente al regime”, si schernisce con ironia. I risparmi non sarebbero durati a lungo, dopo la defezione.
Una volta decisa la fuga, la moglie di Voskresensky ha venduto una casa che possedeva a Mosca. Per evitare le restrizioni dovute alle sanzioni contro la Russia ha depositato i soldi nel suo Paese di origine, il Vietnam. Una riserva di liquidità in vista della nuova vita all’estero. Misha intanto contattava istituzioni musicali americane che potessero dargli un lavoro. In teoria, negli Usa non si fanno discriminazioni in base all’età. In teoria. Dopo molti tentativi a vuoto, un’insegnante della scuola di musica Juilliard di New York è riuscita a farlo invitare per alcune master class al Music Festival di Aspen. Problema: il visto. La rappresentanza diplomatica statunitense a Mosca aveva fermato quasi del tutto le sue attività. Senza dire niente a nessuno delle sue intenzioni, Voskresensky andò dove il visto non serve: Turchia. Per una vacanza, ufficialmente. Ad Ankara
riuscì all’ultimo ad avere i visti per l’Unione Europea. E volò a Napoli, dove il consolato americano gli fornì infine i documenti necessari per entrare negli Stati Uniti. Di Napoli, ricorda con piacere le nuotate in mare con il figlioletto. Dopo due mesi dalla fuga, la famiglia Voskresensky arrivò finalmente ad Aspen, Colorado. Ma la vita era troppo cara, da quelle parti. Quindi, trasferimento a New York, nell’appartamentino del Bronx trovato grazie a un connazionale amico.
Le cose non vanno male, per Misha Voskresensky. L’Occidente non l’ha accolto a braccia spalancate. Ma recentemente ha dato concerti in vari Paesi. E le lezioni di pianoforte sono sempre più spesso master class. Con pianoforti veri, acustici. E paghe adeguate. In casa ora ha un favoloso Steinway serie M – il modello “tascabile” dei Grand piano Steinway. Glielo ha regalato il capo della celebre fabbrica di pianoforti. Le dita continuano a funzionare alla grande, per questo ragazzo novantenne. Per non parlar della testa. “Sai, prima ti ho detto che sono un artista e non mi occupo di politica”, dice con tono malizioso. “Mica vero: gli artisti hanno sempre fatto politica. Beethoven dedicò una sinfonia a Napoleone. E quando seppe che Napoleone si era proclamato imperatore, cancellò la dedica e chiamò la sinfonia “Eroica”. Rachmaninoff non poteva suonare in Russia sotto il regime comunista, quindi lasciò la Russia. Ci sono mille esempi. Lo stesso Mozart si ribellò al suo “padrone”, l’arcivescovo di Salisburgo. E se ne andò a Vienna a guadagnarsi da vivere con la sua musica”. Ma la cosa più importante, conclude il grande pianista russo, “è che gli artisti non possono sostenere un regime criminale, non devono nemmeno accettarlo divenendone di fatto complici. Perché la propaganda attraverso la cultura è una realtà. L’attuale regime russo la utilizza di continuo. Ogni volta che un artista russo, senza distanziarsi dal regime, si esibisce in Russia o all’estero, legittima questa maledetta guerra”.
Per essere indipendenti si paga un prezzo. Misha ha pagato il suo. Non se ne lamenta. Ha l’aria di una persona molto felice. Vorrebbe solo che gli altri artisti russi che hanno detto no alla guerra e sono emigrati non dovessero finire per pagare troppo. “Sono davvero tanti, fanno qualcosa di buono e importante per la Russia e per i Paesi in cui si trovano oggi. Andrebbero sempre sostenuti. C’è gente che non capisce quanto sia orribile e controproducente chiuder loro le porte solo perché sono russi”.
(da Fanpage)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
NON C’E’ SPERANZA DI RAVVEDIMENTO: “NON MI RITENGO COLPEVOLE NE’ MORALMENTE NÉ LEGALMENTE. IL PATTEGGIAMENTO NON È UN’AMMISSIONE DI COLPA. ORA SEGUIRÒ LA POLITICA DA TELECRONISTA”… GUARDA CHE POTEVI AFFRONTARE IL PROCESSO SE TI RITENEVI INNOCENTE, COSI’ POTEVI ESSERE ASSOLTO
«Con la politica chiudo, ho deciso di voltare pagina». Giovanni Toti taglia anche l’ultimo legame con l’attività pubblica che ha subito uno stop brusco con l’inchiesta che lo ha costretto un anno fa a lasciare la guida della Regione Liguria. Oggi si riunisce il Consiglio nazionale di Noi Moderati. Toti rassegnerà le dimissioni da presidente.
Perché questa scelta?
«È un ruolo che non ho mai esercitato. È giusto che lo lasci a chi ha voglia, tempo e passione. Io consiglio di affidarlo a Ilaria Cavo, donna capace ed esperta, con la mia stessa visione politica».
Ma è possibile davvero rinunciare ad una passione?
«Diciamo che anziché fare politica in prima persona, farò il telecronista. Ho avviato un’agenzia di comunicazione e sono tornato a scrivere».
Non sembrava questo il suo destino professionale.
«Visto quel che è successo con il terzo mandato, anche la mia esperienza da presidente era agli sgoccioli. Ed escludo che qualcuno mi avrebbe offerto qualcosa di altrettanto gratificante quanto l’esperienza da governatore».
Ha tentato la strada da leader nazionale fondando un partito (Cambiamo). Non è andata bene.
«Ho provato a rafforzare l’area moderata del centrodestra che mostrava forte gracilità. Avendo vissuto l’epopea berlusconiana mi pare che quell’area abbia un ruolo minoritario se non residuale».
Servirebbe un altro Berlusconi.
«Pier Silvio non lo ha escluso. Per uno di famiglia sarei disposto a tornare indietro».
Silvio Berlusconi la scelse come consigliere.
«Successe tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. C’era già una forte affinità politica, allora dirigevo il Tg4. Il Cavaliere in uno dei tanti sforzi di rinnovamento pensò a me».
Un consiglio Berlusconi lo diede anche a lei, quello di dimagrire. Non l’ha ascoltato
«L’ho perseguito con tenacia ma con scadentissimi risultati».
Come vede Forza Italia senza Berlusconi?
«Antonio Tajani ha fatto un lavoro enorme e nessuno ci avrebbe scommesso. Ma la sopravvivenza è una condizione necessaria ma non sufficiente».
Cosa suggerisce?
«Serve una rivoluzione come nel ‘94, non basta abbassare dello 0,1% le tasse».
Lei non ha nulla da rimproverarsi?
«Errori ne ho commessi tantissimi. Ma non mi ritengo colpevole ne moralmente né legalmente. Il patteggiamento non è un’ammissione di colpa. Sicuramente l’essere ingombrante o caustico in qualche occasione non mi ha regalato simpatie. Resto convinto che la magistratura abbia sbagliato l’interpretazione del nostro modo di far politica. Non do la colpa a nessuno, ma rilevo che c’è una zona grigia che è la stessa che oggi viene rimproverata a Beppe Sala».
Lo ha difeso, infatti.
«Non ho capito se la maggioranza che lo sostiene è orgogliosa o no del modello Milano. Se sì, deve difendere sindaco e assessore e non chiedere di cambiare rotta. Se no, devono andare tutti a casa. Ma al fondo di tutto, c’è che se si vuole distribuire la ricchezza ci deve essere chi la produce. E invece, domina una visione manichea. La famosa avidità di cui si parla è il motore che crea ricchezza anche per chi è rimasto indietro. Di sicuro, il giudizio sulle scelte non va lasciato alla magistratura».
(da Corriere della Sera)
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Luglio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“CONOSCO MAMME CHE IMPARANO A MEMORIA I FIUMI DELLA BASILICATA AL POSTO LORO. MA LO CAPITE O NO CHE, SE VI SOSTITUITE A LUI NELLE FATICHE, IL POKEMON NON EVOLVE?” … “IL TELEFONINO? SI DOVREBBE RESISTERE ALMENO FINO ALLA TERZA MEDIA – I FIGLI RIBELLI? OGGI SONO DUE SU DIECI…”
Educatore esigente. Paladino del buonsenso. Istrione formidabile. Osvaldo Poli, 69
anni, psicologo e psicoterapeuta, non corregge i figli: raddrizza i padri e le madri. Usa l’ironia, più spesso il sarcasmo. E riempie le platee. Lo chiamano tutti: Comuni, scuole, associazioni, parrocchie, persino la Confindustria di Reggio Emilia, la Confartigianato di Cuneo e il Cuoa di Altavilla Vicentina, la più vecchia business school
italiana.
I suoi tredici libri hanno per titoli le frasi fatte dei genitori.
«L’ultimo, Mio figlio mi dice tutto, è sulla confidenza ingenua, caratteristica dei bimbi, che va perduta. L’adolescente sa tenere il segreto psicologico, si mette in modalità aereo. Dove vai? “Al solito posto”. Con chi? “Vedremo”. A che ora torni? “Non so”. Temi che l’abbiano arruolato i servizi segreti ed entri in crisi».
Ha pubblicato anche «Aiuto, ho un figlio impossibile»
«Parla dei ragazzi oppositivi, i ribelli. Fascia in notevole espansione: sono due su dieci».
«Non ho paura a dirti no».
«I timori invisibili ostacolano la fermezza educativa».
Per un «no» s’impiccano.
«Padri e madri devono accettare l’eventualità che il ragazzo faccia qualcosa d’inconsulto. In realtà il più delle volte è una minaccia priva di fondamento, un incantesimo. Se il genitore ci casca, si ritrova alla mercé del figlio».
La cronaca nera spaventa.
«Bisogna amare la verità e la giustizia più dei figli stessi. Chi educa non può prescindere da ciò che intimamente ritiene vero e giusto».
Perché un adolescente si tagliuzza braccia e gambe?
«Quelli che ho in cura mi dicono: “Lo faccio per scaricare l’ansia”. Un modo per sfogarsi, non un tentativo di suicidio».
Da quando è un’epidemia?
«Da 15 anni e nessuno sa a che cosa sia riconducibile».
C’entreranno i social
«Consiglio alle famiglie il paracadute. Il telefonino va dato il più tardi possibile».
Una parola…
«Le più eroiche, poche, resistono fino alla terza media. Dopodiché accettano il nemico in casa. La dipendenza dai social è devastante. C’è un disturbo clinico, non ancora entrato nei manuali diagnostici. Si chiama Fomo, acronimo di fear of missing out, paura di essere tagliati fuori. Provoca ansia, insonnia, depressione, stress».
Lo constata di persona?
«Me ne parlano i genitori di figli che cambiano carattere, diventano irritabili, perdono la concentrazione nello studio, vanno a letto vestiti, stanno sullo smartphone fino alle 2 di notte, dormono sui banchi di scuola».
Lei critica le mamme che amano troppo. Mi stupisce.
«Critico la dismisura dell’amore. Ha mai sentito parlare delle virtù cardinali?».
Come no: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
«Sono le quattro qualità morali fondamentali riconosciute dalla filosofia greca, da Platone, prima che dalla Chiesa. La più negletta oggi è la temperanza, cioè la virtù della misura. Il bene deve avere una misura, altrimenti si trasforma in male e le virtù finiscono per avvicinarsi ai vizi, come ammoniva Quintiliano. La posologia nelle medicine è tutto, se non vuoi che uccidano. Stare sempre addosso al figlio, pomparlo di lodi, non c’entra con l’amore»
L’eccesso di affetto rovina?
«Il problema numero uno delle famiglie è la mancata distinzione fra l’aiuto dovuto e il rimpiazzo nei compiti a casa. Incontro madri che studiano a memoria i fiumi della Basilicata. Mi dicono: “Ogni pomeriggio è come dargli un rene”, “di notte mi sveglio e ripasso storia e geografia”, “in pausa pranzo non mangio per preparargli gli schemi”, sono frasi che mi appunto. Ma lo capite o no che, se vi sostituite a lui nelle fatiche, il pokemon non evolve?».
Accusa i genitori di essere dominati dalle paure.
«So di che parlo. La paura che non si senta amato è al primo posto nella hit parade, benché quasi mai abbia visto adolescenti con tale problema, e si traduce in un eccesso di cura, di vicinanza psicologica. La paura di fare “ciò che i miei genitori hanno fatto con me”, e così si commette l’errore opposto. Ma due errori non sfociano in una scelta giusta».
Qual è l’errore degli errori che un genitore commette?
«Il determinismo educativo. Traduco: la convinzione che tutto dipenda dalle nostre capacità pedagogiche, come se il figlio fosse un foglio bianco su cui scriviamo la sua storia. Invece no. Ogni individuo nasce con un software preinstallato. Si chiama temperamento e dobbiamo sapere che contiene dei virus, come quelli che infettano i pc. Posso richiamare dall’esilio una parola?».
Prego.
«Difetti. Ebbene sì, i figli nascono difettati. Non è sempre tutto dovuto allo scarso amore, alla scarsa comprensione, alla scarsa vicinanza emotiva dei genitori».
Suona un po’ assolutorio.
«Controcorrente. Come osserva Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, il buonsenso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune».
Le punizioni servono?
«Rientrano fra le armi convenzionali. Talvolta indispensabili, spesso opportune. La loro efficacia è dubbia».
Ieri l’educazione com’era?
«Tanto esempio, poco dialogo. E qualche sberla, lo strumento più ecologico: fa male solo se non è meritata».
Come mai i genitori spesso non sanno più educare?
«Sono vittime di errate convinzioni. Ora, non c’è niente di più pratico di una buona teoria, diceva lo psicologo Kurt Lewin. Ma a patto che non sia fallace. Invece oggi si pensa che l’adolescenza sia una malattia; che i figli non abbiano doveri; che non si debbano ferire dicendogli la verità; che il massimo bene per loro siano la laurea prestigiosa e l’inglese fluente».
Quindi che si deve fare?
«I figli non compiono azioni riprovevoli per una sofferenza interiore. A volte sì, ma non in tutti i casi. Il fatto è che abbiamo espunto dal nostro orizzonte la categoria del male. Che invece esiste e non necessariamente è causato dal dolore. Il male nasce da un dolore non accettato, non dal dolore in sé. Ci sono in giro tantissimi ragazzi che sono amati eppure si comportano male».
E non soffre con i genitori?
«Certo. Ma esiste una linea rossa che separa la nostra responsabilità da quella dei figli. Il senso di colpa è un dolore
malato, il dispiacere è un dolore sano. Una croce, però di legno. Si può portare».
(da Correre della Sera)
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