Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
COME E’ POSSIBILE DICHIARARE UNA SPESA DI 650.000 EURO PER IL CONCERTO DI RICCARDO MUTI, QUANDO LO SCORSO ANNO PER LA STESSA ESIBIZIONE A LAMPEDUSA LA CIFRA FU DI 100.000 EURO?… MA CI SONO ALTRE CIFRE ESORBITANTI
Dopo l’oscenità di vedere il dorico Tempio della Concordia sfregiato da due alberi addobbati con palle e stelle filanti per il
concerto di Natale 2024 del trio Il Volo ma registrato ad agosto 2024 con spettatori obbligati a presentarsi col cappotto e colbacco perché sembrasse il 25 dicembre per il pubblico di Canale5 – evento pagato profumatamente dalla Regione siciliana (circa 1,2 milioni di euro) -, ad Agrigento è arrivata la cuccagna quando è stata promossa “Capitale italiana della cultura”.
Troppo occupati a riempire le tasche delle clientele politiche, non hanno badato minimamente a salvare la faccia.
Prima la crisi idrica che ha messo in ginocchio le strutture alberghiere, poi le polemiche per gli strafalcioni sui cartelli stradali (da “Valle “di” Templi” a “Casa Pirandello “contrata” Caos”), poi a pochi giorni dalla cerimonia di inaugurazione, presente Mattarella, che incoronerà la città dei templi capitale della cultura arriva la pioggia e si allaga il Teatro Pirandello, dove dovrà avvenire l’evento.
Ma le sciagure non vengono mai sole. All’inaugurazione prende la parola il novello ministro della Cultura, Alessandro Giuli-vo, e davanti al volto atterrito del capo dello Stato, inanellando perle-pirla come “civiltà fiorite, sfiorite e rifiorite” o “lotta contro la rarefazione del senso dello stato che affligge i nostri tempi presenti e passati’’, concludendo che “Agrigento può finalmente interpretare il senso di una memoria continentale euro-africana condivisa e farne il fermento di un ritrovato benessere individuale di crescita collettiva…”.
Il criptico proponimento del ministro del “Pensiero Solare” su ‘’Agrigento, Capitale della Cultura’’, ben dotata di un budget lavori e appalti per 150 milioni, di “farne il fermento di un ritrovato benessere individuale di crescita collettiva”, deve essere stato preso alla lettera.
E pochi giorni fa, ‘nella regione più povera d’Europa (secondo Eurostat nel 2024 la Sicilia ha indossato la maglia nera per il
numero di persone a rischio povertà: il 38% della popolazione)’, è esplosa l’ultima delle disavventure (eufemismo) che vede protagonista la città fondata dai greci col nome di Akragas (cioè, granchio), celebrata da Platone (“costruiscono come se volessero vivere per sempre, eppure mangiano come se fosse il loro ultimo giorno”) e da Goethe in “Viaggio in Italia” (“Mai visto in tutta la mia vita uno splendore di primavera come stamattina al levar del sole”), che dopo aver dato i natali al premio Nobel Luigi Pirandello ed oggi si onora di aver eletto sindaco Francesco Miccichè (in quota centrodestra).
A scoperchiare il bubbone è il sito AgrigentoNotizie.it che, su denuncia del circolo cittadino del Partito Democratico, ha affondato la lama in uno scandalo che ha dell’incredibile: “Dopo una serie di spese manifestamente esagerate per eventi culturali legati al titolo di Capitale italiana della cultura (si pensi a convegni deserti o al banalissimo video mapping costato 150.000 euro per pochi giorni di proiezione) è venuto in risalto il costo vistosamente gonfiato del concerto del maestro Muti nella Valle dei Templi”, scrive il sito in data 19 luglio –
E continua: “Sulla vicenda è intervento per primo il Pasquale Seddio (professore di economia aziendale), denunciando “l’enormità del contributo all’evento pari a 650.000 euro, quando lo stesso evento organizzato lo scorso anno dal Comune di Lampedusa era costato appena 100.000 euro. Come spiegare questo incremento di costo di 550.000 euro?”
Su Facebook, il prof. Seddio aggiunge il seguente post: “Oggi il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi ha reso nota la somma complessiva inerente agli incassi di biglietteria del concerto dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini diretta dal Maestro Riccardo Muti, svolto il 07 luglio 2025 al Tempio della Concordia.
L’incasso del concerto ammonta a 41.000,00 euro, a fronte di un investimento con soli fondi pubblici di oltre 650.000,00 euro. Dai pochissimi dati in chiaro disponibili, non risulta ancora possibile “perimetrare con ragionevole certezza” l’esito finanziario definitivo dell’evento più atteso di Agrigento Capitale italiana della cultura 2025…”
E il sindaco dell’ex Girgenti, nel 1927 Mussolini la ribattezzò Agrigento, come risponde alle accuse di Seddio e del circolo cittadino del Pd per la cifra astronomica di soldi pubblici messi a disposizione dalla Regione siciliana per scodellare un singolo concerto di Muti nella Valle dei Templi?
“Costi troppo elevati? “Basta dileggio sterile. Se vince Agrigento vince la Sicilia”, è il bla-bla di risposta di Miccichè riportato da AgrigentoNotizie.it.
Presa la rincorsa, il sindaco non si ferma più: “Il concerto del maestro Muti è un’occasione preziosa da non sciupare e sarà da volano per rilanciare in ambito internazionale Agrigento, troppo spesso dileggiata in modo sterile e pretestuoso proprio in un anno cruciale per il suo futuro. Auspico pertanto che, al netto delle polemiche, tutto ciò sia compreso, sostenuto e non osteggiato con pregiudizi o fini politici”.
Al pippone del sindaco, il sito aggiunge: “Ma il circolo del Pd non ci sta ed incalza: “Su questa vicenda, così macroscopica (ma tante altre situazioni che riguardano la gestione di eventi culturali e spettacoli vari nella nostra città, anche se di minore
impatto economico, meriterebbero la stessa attenzione) la magistratura non ritiene opportuno una verifica approfondita?”.
Infatti, basta dare una sbirciatina al decreto del 7 luglio dell’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, firmato dal dirigente Mario La Rocca, per saltare sulla sedia: i 650 mila euro per un singolo concerto di Muti e orchestra Cherubini brillano accanto ai 461mila euro per la “Promozione e pubblicita del Parco Archeologico”!
Lasciamo perdere il ‘’Moviti Fest”. Per 473.360 mila euro, ecco un “Progetto che mira a coinvolgere ed animare i luoghi del centro storico di Agrigento che rivestono una particolare valenza storico- culturale, trasformandoli in un laboratorio/festival diffuso per tutti i weekend fino a dicembre 2025. Una sezione coinvolgerà anche altri comuni della Provincia”.
Non si salva nemmeno l’isola preferita dagli scafisti: centomila euro per il “Tributo alla vocazione ospitale di Lampedusa, non solo come simbolo di solidarieta ma anche come destinazione per viaggiatori in cerca di bellezze naturali e autentiche…”.
A questo punto, per sistemare la città del filosofo Empedocle, un redivivo Andrea Camilleri ne dovrebbe sfornare cento di Commissari Montalbano…
(da Dagoreport)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
“L’ACCORDO TRA STATI UNITI ED EUROPA SUI DAZI NON È UN ACCORDO: È LA RESA INCONDIZIONATA DELL’EUROPA AL SOVRANISMO DI TRUMP. E I FRATELLI D’ITALIA SONO ORMAI TOTALMENTE ALLINEATI AL TRUMPISMO”
“L’accordo tra Stati Uniti ed Europa sui dazi non è un accordo: è la resa incondizionata
dell’Europa al sovranismo di Trump. La verità è che i sovranisti fanno male al mondo.
E se oggi il governo americano festeggia, accordi coloniali di questo genere porteranno sul medio periodo gli Stati Uniti a perdere la propria forza morale ed economica.
Con il piano Marshall l’America ha guidato il mondo per decenni, con le tariffe l’America fa del male innanzitutto ai propri alleati europei”.
Così Matteo Renzi su la E-News. “Il sovranismo fa male all’Italia, fa male all’economia, fa male alla libertà. E sul medio periodo persino agli americani. Per uno come me, cresciuto con il mito degli Stati Uniti democratici di Kennedy e Clinton, è arrivato il momento di rimpiangere persino la destra di Ronald Reagan, i cui discorsi contro i dazi, non a caso, sono tornati di moda in queste settimane.
La destra liberale e liberista non avrebbe mai potuto partorire un obbrobrio economico e giuridico come quello di queste ore. E la destra europea di Kohl, Chirac, Berlusconi, Aznar e ovviamente della Thatcher non avrebbe mai accettato un accordo del genere”, prosegue.
“Ho provato a spiegarlo giovedì al question time intervenendo in Aula con il Ministro Lollobrigida, ma niente: i Fratelli d’Italia sono ormai totalmente allineati al trumpismo. Giorgia Meloni del resto pubblica i libri in America con la prefazione di Trump jr, non disturba il manovratore, si era presentata come il ponte tra Stati Uniti ed Europa.
Oggi il ponte di Giorgia è crollato. Dove sono i 25 miliardi che Meloni aveva promesso per il sistema produttivo in caso di dazi al 10%? – sollecita Renzi – I dazi sono al 15% eppure Palazzo Chigi studia la partecipazione di Meloni a Sanremo e addirittura un film a Hollywood come si vede in questo articolo uscito ieri del bravo Giacomo Salvini.
L’economia italiana è in crisi e la Meloni si rimangia i 25 miliardi promessi, ma studia la partecipazione a Sanremo”.
“Voi direte: eh, ma toccava all’Europa trattare. Certo. Erano stati i sovranisti italiani a dire che Giorgia Meloni avrebbe risolto il problema, visto il rapporto con Trump. Nessuno di noi ci aveva creduto, ma loro lo avevano detto.
E adesso è chiaro che questa era solo una fake news, un’arma di distrazione di massa, era una delle tante veline dell’influencer, ripetuta all’ossesso dai Tg Rai, dalla Mediaset di Pier Silvio Berlusconi, rilanciata dai quotidiani della destra tutti zitti.
Tutti a dire: facciamoci andare bene questo 15%. È una follia – rimarca il leader Iv – come è una follia obbligarci a comprare gas per tre anni a quei prezzi, come è una follia pagare le armi americane. Se l’Europa accetta di essere strutturalmente dipendente su armi (a pagamento) e su gas (mai stato in passato), siamo al colonialismo. Punto. Il resto sono chiacchiere. L’alleanza strategica Stati Uniti Europa è diventata colonialismo”.
“Colpa di Trump? Certo. Ma colpa anche dell’Europa. Mai vista
una leadership così insulsa e dannosa come quella di Ursula von der Leyen. Mandare Ursula von der Leyen a trattare con Trump è come mandare Cappuccetto Rosso a dialogare con il lupo. E la responsabilità è innanzitutto del Partito Popolare Europeo che ha scelto per due mandati quest’algida burocrate già responsabile di aver distrutto la manifattura con il Green Deal e ora impegnata a dare il colpo di grazia all’economia europea.
Dite che sono troppo pessimista? Purtroppo sono realista. Che fossero dazi amari lo sapevamo, ma non pensavamo fossero così amari. Credo che questo sia un momento difficile per l’Italia: un Paese che vive di globalizzazione costretto a essere guidato da sovranisti incapaci di dire no a Washington.
Ma credo anche – conclude – che sia uno dei momenti culturalmente più bassi per l’Europa, che firma un accordo capestro negoziato da dirigenti incapaci con una leadership burocratica priva della minima visione politica”.
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
L’UE DOVRÀ SGANCIARE 750 MILIARDI PER L’ENERGIA AMERICANA, E ALTRI 600 DI INVESTIMENTI “EXTRA”. E IN CAMBIO COSA AVREMO? … È FALSO CHE L’EUROPA NON AVEVA ARMI PER CONTROBATTERE: BASTAVA COLPIRE I SERVIZI, DOVE GLI USA SONO IN FORTE SURPLUS, E REAGIRE CON POLITICHE INDUSTRIALI SERIE
Bisognava andare in Gran Bretagna, in Scozia esattamente, per fare un accordo alla giapponese?
Bisognava andarci perché così ha voluto Donald Trump che si è rinfrancato nel suo golf resort dedicato alla mamma di origine scozzese? E bisognava anche sentirsi dire che è stata firmata “la più grande intesa mai raggiunta”?
Alla fine Ursula von der Leyen a nome dell’Unione europea (o meglio della maggioranza dei suoi paesi membri) ha accettato una tariffa del 15 per cento che non riguarda in realtà tutte le merci, perché Trump ha subito detto che per l’acciaio e l’alluminio non cambia nulla (dunque resta il 50 per cento) […]
I termini di scambio mutano ancor più a favore degli Stati Uniti se consideriamo che il dollaro è svalutato rispetto all’euro del 15 per cento. Lo svantaggio, insomma, è pari al 30 per cento.
D’accordo il biglietto verde è più forte rispetto alle monete di tutti gli altri paesi, ma è del 4 per cento rispetto alla sterlina, l’8 per cento sulla corona danese l’11,5 per cento su quella svedese. Per l’area euro, insomma, è peggio.
Da domani si cominceranno a fare i conti, secondo molte stime un balzello del 15 per cento sull’Italia pesa per circa 23 miliardi di euro, mentre non va sottovalutata la mazzata siderurgica per un paese che ha la più grande acciaieria d’Europa e uno dei
comparti più avanzati.
Si può essere contenti perché sia finita? Non esattamente, perché non è ancora finita. Bisognerà calcolare quanto incide l’esborso per acquistare gas liquefatto e armi (150 miliardi di euro?) e che cosa sono i 600 miliardi di extra investimenti negli Stati Uniti per una Unione europea che deve spendere 800 miliardi di euro nella Difesa e non riesce a trovare un accordo sul suo bilancio da duemila miliardi.
Ursula von der Leyen ha accettato il punto di partenza di Trump, cioè che ci sia uno squilibro commerciale con gli Usa e vada riequilibrato, come ha dichiarato oggi, a senso unico e con il protezionismo che più danneggia l’Europa molto più aperta al commercio internazionale (esporta circa un quarto del proprio prodotto lordo rispetto all’8 per cento appena degli Usa).
Non solo, il deficit negli ultimi tre anni è stato in gran parte colmato dalla voce servizi e dalle royalties pagate sulla proprietà intellettuale. Da Google a Meta, da Microsoft a Netflix, la supremazia high tech ha compensato lo svantaggio nell’industria manifatturiera, conseguenza di un mutamento di lungo periodo, cominciato fin dagli anni 80, che ha trasformato gli Usa in una superpotenza finanziaria e tecnologica. Potremmo dire che è stata la Reaganomics non l’Organizzazione mondiale del commercio pur con tutti i suoi errori e pasticci.
La prova del nove non è nell’economia, dove lo svantaggio europeo è chiaro, ma nella politica di sicurezza, cioè vedremo se il presidente americano terrà una linea ferma contro Putin sull’Ucraina e se lascerà cadere la sua minaccia di mollare la Nato a sé stessa.
Sul Financial Times Martin Sandbu ha scritto che cedere “al bullismo” americano è un grave errore per molte ragioni. Intanto l’accordo non sarà definitivo, lo si è visto con Canada e Messico,
mentre ci sono già segnali allarmanti anche nei confronti del Giappone. “Non ci sarà nessuna soluzione, ci sarà un caos strumentale collegato a ogni tipo di richiesta in stile mafioso (basta chiedere al Brasile)”.
La Ue aveva alternative? Secondo il quotidiano della City “il compito della Commissione non era raggiungere un’intesa comunque, ma trovare il modo di garantire le proprie economie, le proprie imprese e i propri lavoratori”.
Secondo Sandbu gli Usa sono più vulnerabili di quel che si pensa e la Ue più forte di quanto sembra, non solo perché può usare strumenti come l’Aci (Anti coercion instruments) che dà ampi poteri di intervento, ma anche perché gli europei in realtà comprano poche merci prodotte dalla manifattura americana che Trump vuole potenziare, mentre spendono, come la bilancia dei pagamenti mostra, per il digitale e l’intrattenimento made in Usa. Invece di fasciarsi la testa e cedere, insomma, l’Unione europea dovrebbe reagire con proprie politiche industriali, non solo fiscali. Quali siano si sa già, sono scritte nei rapporti Draghi e Letta. E’ ora di farli uscire dai cassetti.
(da Dagoreport)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
“CI SONO MOMENTI IN CUI BISOGNA SFIDARE L’IPOCRISIA E MANCANZA DI PRESA DI COSCIENZA. CI SONO REGOLE DI PROPORZIONALITÀ E MISURA DA OSSERVARE. SE IL DISEGNO CUI PUNTA NETANYAHU È L’ANNESSIONE DI GAZA E DEI TERRITORI, ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE NON RESTA CHE RICONOSCERE LO STATO PALESTINESE”
Ecco perché firmo. Perché la condotta israeliana della guerra a Gaza è diventata
umanitariamente e politicamente inaccettabile. E quindi il non far niente per porvi fine è altrettanto inaccettabile.
La parte più importante della lettera sta in quello che chiede di fare al governo italiano: alcune misure concrete – sospensione della collaborazione in campo militare e della difesa, sanzioni individuali contro i due ministri che sono, esplicitamente, le anime nere del governo di Gerusalemme, appoggiare la sospensione dell’Accordo di associazione fra Israele e Unione europea – e una simbolica, il riconoscimento dello Stato palestinese. Sono gli unici strumenti di pressione che un Paese come l’Italia ha su Israele. Quindi è ora di adottarli.
Non ho firmato la lettera a cuor leggero. Le misure concrete che chiede vanno contro la mia visione dei rapporti fra Israele e l’Italia, fra Israele e l’Europa.
Ma questa visione è incompatibile con le operazioni militari dell’Idf a Gaza e la catastrofe umanitaria di questi ultimi mesi. La Gaza Humanitarian Foundation si è rivelata un dilettantesco scempio umanitario, tagliando fuori il professionismo delle Nazioni Unite e delle Ong.
Le azioni belliche provocano sempre vittime civili, in tragico gergo tecnico “danni collaterali”. Ma ci sono regole di proporzionalità e misura da osservare; nel diritto internazionale
esiste anche un “diritto di guerra”. Quando invece ospedali e chiese diventano diretto obiettivo di bombardamenti, le perdite inflitte ai resti di Hamas che, vigliaccamente, vi si nascondano diventano “danni collaterali” rispetto a vittime civili, medici, personale sanitario, che subiscono l’ondata offensiva.
Ogni tanto l’Idf riconosce che è stato un errore. Sarà umano, ma perseverare è diabolico. Nella prima lunga fase della guerra, quando Hamas era una forza ben più temibile, le operazioni militari israeliani erano condotte con ben maggiore ritegno.
Non sono cambiati i militari, ma le direttive che ricevono dal governo. La responsabilità è politica. Richiede una risposta politica.
Questo vale anche per il riconoscimento dello Stato palestinese. È un gesto simbolico che però risponde esattamente a quanto Gerusalemme sta facendo nella Striscia, perseguendone l’annessione e l’espulsione forzata dei palestinesi – tutti? In parte? – e in Cisgiordania. Ci sono ministri di governo che lo dicono esplicitamente.
Benjamin Netanyahu scantona ma non sta facendo nulla di quello che ci si attendeva, cioè un piano post-guerra per l’amministrazione palestinese di Gaza senza Hamas.
Intanto, continuano gli atti di violenza dei coloni nei territori se il disegno cui punta è quello del “Grande Israele”, cioè dell’annessione, di fatto, di Gaza e dei territori, alla comunità internazionale non resta che riconoscere lo Stato palestinese. Che è quanto annunciato da Emmanuel Macron. Non subito, fra un mese e mezzo all’Assemblea Generale dell’Onu. La lettera chiede
al governo italiano di compiere lo stesso passo.
Di qui a settembre Gerusalemme ha tempo per correggere la rotta. Checchè ne dica non è impermeabile alle pressioni internazionali, a meno che non sia in gioco la sopravvivenza di Israele.
Non lo è nella più che semidistrutta Striscia. E infatti, di fronte al loro moltiplicarsi da tutti i fronti – il New York TimesMagazine ha appena pubblicato un lungo servizio che sostiene, e documenta, che la continuazione della guerra a Gaza serviva solo alla sopravvivenza… politica di Netanyahu – Israele ha concesso una pausa umanitaria a Gaza, la prima da marzo.
Ecco perché ho firmato la lettera. Ci sono momenti in cui «bisogna sfidare l’ipocrisia e mancanza di presa di coscienza».
(da La Stampa)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
NEL FILMATO SI VEDE UN CADDIE, L’ASSISTENTE CHE PORTA LE MAZZE, CHE LASCIA CADERE DALLA SUA TASCA UNA PALLINA, PIAZZANDOLA IN UNA POSIZIONE FAVOREVOLE PER IL TIRO. SUBITO DOPO ARRIVA IL TYCOON, CHE SI PREPARA A COLPIRE
Donald Trump bara a golf? Il presidente degli Stati Uniti negli ultimi giorni ha soggiornato nel suo resort di Turnberry, in Scozia. Prima di concludere l’accordo sui dazi con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, Trump si è cimentato sui green del percorso
Un video in particolare rimbalza sui social per documentare le prestazioni del presidente golfista. E nel mirino finisce la condotta di uno dei caddie di Trump. Il presidente, al volante di una golf car, arriva nei pressi di un bunker per prepararsi a sferrare il prossimo colpo. La sua pallina, a quanto pare, è finita nell’erba alta o nella sabbia: diventerebbe complicato rispettare il par e continuare a giocare senza dover ricorrere a colpi supplementari.
Le immagini mostrano l”aiutino’ del caddie che agevola la partita presidenziale. Uno dei collaboratori con pettorina rossa precede
Trump e, con gesto disinvolto, lascia cadere una pallina in una posizione più agevole: la palla non è sul fairway, dove dovrebbe essere, ma non è nemmeno intrappolata nell’erba alta. Trump scende dal veicolo e si prepara a giocare senza battere ciglio…
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
UN DATO CHE DOVREBBE PREOCCUPARE MELONI IN VISTA DEL REFERENDUM CHE, NEL 2026, DOVRÀ CONFERMARE LA RIFORMA COSTITUZIONALE
La riforma della giustizia è al centro di un dibattito politico acceso. Come avviene da molto
tempo. Oggi la discussione riguarda, in particolare, la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, definiti rispettivamente “magistratura giudicante e requirente”. La questione appare aperta anche tra i cittadini, come mostrano i risultati di un sondaggio recente condotto da Demos per Repubblica.
Si tratta di un disegno di revisione costituzionale particolarmente “critico”, in quanto, tra l’altro, impedisce di passare dal ruolo di pubblico ministero a quello di giudice. E viceversa. La riforma, comunque, ha di fronte un percorso lungo e complicato, prima di entrare in vigore.
Dovrà essere esaminata e votata nuovamente da entrambe le Camere. Inoltre, potrebbe essere sottoposta al giudizio dei cittadini, attraverso un referendum. Infine, richiederà altre leggi per venire attuata.
Nonostante si tratti di una materia complessa e non totalmente de-finita costituisce un tema indubbiamente importante, non solo in ambito politico. E suscita attenzione e inquietudine. Non da oggi, ma da oltre 30 anni. Dai tempi di Tangentopoli, quando i magistrati denunciarono i legami di interesse fra la politica e i centri di potere economico del Paese.
Determinando la crisi del sistema politico. E dei principali partiti che avevano governato il Paese nel Dopoguerra. Gli artefici più importanti della “rottura” furono, allora, i magistrati, in primo luogo Antonio Di Pietro.
Tuttavia, l’atteggiamento degli italiani verso i magistrati, nel corso del tempo, è cambiato profondamente. Tanto che il grado di fiducia nei loro confronti oggi si è fermato al 40%. Molto al di sotto rispetto alle principiali autorità dello Stato, come il
presidente della Repubblica. E a istituzioni importanti, come le forze dell’ordine.
Comunque, attualmente, tra gli italiani non emerge un orientamento preciso e deciso, in merito a questa riforma. Non solo perché si tratta di una materia complessa e non particolarmente chiara. Ma, anzitutto, perché l’atteggiamento verso i magistrati è divenuto incerto. E, quindi, nelle posizioni dei cittadini prevale un forte equilibrio. Che riflette non solo una divergenza di vedute nel merito, ma un clima diffuso di in-comprensione.
Negli ultimi mesi, tuttavia, il consenso verso la riforma è calato e oggi prevale, di poco, il dissenso. Il distacco. Va sottolineato, però, come tra le principali riforme istituzionali promosse e sostenute dalla maggioranza di governo il tema della giustizia rimanga quello che gode del maggiore sostegno dei cittadini. Superiore, di molto, rispetto all’autonomia differenziata.
E alla stessa elezione diretta del presidente del Consiglio. Un grado di consenso che rispecchia ampiamente le posizioni politiche e dei partiti. E riflette, in particolare, la distanza e le differenze espresse nel merito fra maggioranza e opposizione.
Il favore più ampio, oltre l’80% e prossimo al 90%, si rileva, infatti, tra gli elettori che si dichiarano vicini alla Lega, a Fratelli d’Italia e a Forza Italia. Ma è molto elevato – superiore al 70% – anche tra le forze politiche del Terzo polo. Italia Viva e Azione.
Nella base di +Europa, invece, scende al 54% e più sotto fra i sostenitori ed elettori degli altri partiti. Il M5s, Avs e il Pd. Che conferma il profondo dissenso verso questa riforma, ritenuta, da questa parte politica, lontana dagli interessi dei cittadini.
E vicina a quanti vorrebbero e vogliono de-limitare gli spazi di azione dei soggetti che possono frenare l’azione e gli attori di governo. Una riforma ritenuta in-giusta, perché, in questo modo,
“limiterebbe” ulteriormente i poteri di chi intende “limitare” e contrastare il potere.
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
LA STRATEGIA DA ALLOCCA: PUNTA AD ACCOLLARSI ORA I DAZI PER POI RIDISCUTERLI CON IL PROSSIMO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITi MA FINO AD ALLORA MOLTE AZIENDE EUROPEE FINIRANNO GAMBE ALL’ARIA (E TOCCHERA’ SUSSIDIARLE)… DURISSIMO IL PREMIER FRANCESE, FRANCOIS BAYROU: “È UN GIORNO TRISTE QUANDO UN’ALLEANZA DI POPOLI LIBERI DECIDE DI SOTTOMETTERSI”
“È un giorno triste quando un’alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”. Così il primo ministro francese François Bayrou ha criticato l’accordo commerciale tra Ue e Usa firmato ieri in Scozia con cui Bruxelles accetta dazi del 15% sui prodotti europei importanti negli Usa e si impegna ad acquistare 750 miliardi di dollari di energia Usa, destinati in particolare a sostituire il gas russo, e realizzare 600 miliardi di dollari di investimenti aggiuntivi negli Stati Uniti.
«Lei è uno che sa concludere gli affari, un negoziatore duro».
«Ma anche equo».
«Ma anche equo!».
Il momento «è un bel direttore, un santo, un apostolo» di Ursula von der Leyen si è consumato in una stanza del resort di Donald Trump di Turnberry, in Scozia. Con i campi da golf dove il presidente americano aveva appena terminato di giocare sullo sfondo, la presidente della Commissione si è esibita in un’imbarazzante genuflessione politica pur di compiacere il padrone di casa.
C’era da portare a casa “il più grande accordo commerciale di sempre” e von der Leyen, che in questi mesi non è mai riuscita a ottenere un invito nello Studio Ovale, l’altro giorno ha chiamato Trump e si è fatta invitare nel suo golf resort scozzese.
Da buona ospite, si è presentata bussando con i piedi: in mano aveva la promessa di contratti da centinaia di miliardi di euro per comprare gas e petrolio – alla faccia del Green Deal – altrettanti per comprare armi americane – alla faccia dell’autonomia strategica – e una quota simile in investimenti da parte delle imprese europee – alla faccia del rilancio della competitività dell’industria Ue.
Nei pochissimi istanti in cui le è stato permesso di parlare davanti alle telecamere, con Trump che ha come sempre monopolizzato la scena, la presidente della Commissione ha esibito l’intero campionario di recriminazioni trumpiane nei confronti dell’Unione europea.
«Dobbiamo riequilibrare le nostre relazioni». «Serve equità». «Noi abbiamo un surplus commerciale, gli Stati Uniti un deficit e dobbiamo ribilanciare». «Abbiamo una relazione commerciale eccellente e la renderemo più sostenibile». Ci mancava solo che ammettesse «sì, noi europei vi abbiamo derubato per anni» come sostiene Trump. Però, nei fatti, ha ammesso che questo è il tempo di restituire.
Alla fine von der Leyen ha ottenuto ciò che voleva ottenere: un accordo. Non importa se buono o pessimo […]: bisognava chiudere con un’intesa entro la fine del mese per evitare lo scoppio del conflitto commerciale. Per arrivare al suo obiettivo, la presidente della Commissione ha adottato la machiavellica strategia di Mark Rutte: il fine giustifica i “Daddy”, vedasi l’atteggiamento accondiscendente al vertice dell’Aia, quando il segretario generale della Nato ha deciso di gettare la lingua oltre l’ostacolo pur di convincere “paparino” a non far saltare il summit e con esso il futuro dell’Alleanza atlantica.
Von der Leyen ha fatto lo stesso.
Ha aperto bocca soltanto quando interpellata, ha detto ciò che Trump voleva sentirsi dire e poi l’ha richiusa non appena lui l’ha interrotta. Ha lasciato che fosse lui ad annunciare per primo l’accordo, poi però l’ha messo in valigia e se l’è portato a Bruxelles. E tutto questo senza nemmeno doversi sottoporre all’umiliazione di una sconfitta sul campo da golf. Come è umano, lei.
(da Dagoreport)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
MA NON SONO UN CASO ISOLATO, ANZI: SI STIMA CHE IN ITALIA SIANO TRA I TRE E I QUATTRO MILIONI LE PERSONE IMPIEGATE “IN NERO”… UN FENOMENO CHE RIGUARDA PIÙ GLI ITALIANI RISPETTO AGLI STRANIERI, ANCHE PERCHÉ CHI HA UN PERMESSO DI SOGGIORNO DEVE AVERE UN CONTRATTO PER MANTENERLO
I tre operai morti a Napoli per il ribaltamento di un montacarichi purtroppo non sono un
caso isolato. Due di loro, vittime del lavoro sommerso, non erano regolarmente assunti dalla ditta per cui lavoravano.
Sebbene siano difficili da monitorare, in Italia si stima che siano tra i tre e i quattro milioni i lavoratori impiegati in nero. Un dato enorme se paragonato ai quasi 18 milioni di lavoratori subordinati: il numero di irregolari vale poco più di un quinto dei lavoratori dichiarati.
Tra i settori in cui il lavoro in nero è più diffuso c’è quello delle costruzioni, che nei primi cinque mesi del 2025 risulta il più colpito da decessi in occasione di lavoro. Ma a essere coinvolti sono anche agricoltura, commercio, turismo e il lavoro domestico.
«Spesso, facendo riferimento a categorie ormai sfumate, si pensa che il lavoro sommerso riguardi soprattutto i cittadini stranieri. Invece sono di gran lunga più gli italiani a essere coinvolti nel nero, perché chi ha un permesso di soggiorno deve essere occupato regolarmente per mantenerlo», spiega il professor Vincenzo Ferrante, avvocato nello studio Daverio&Florio, docente universitario e direttore dell’Osservatorio sul lavoro sommerso e avvocato nello studio Daverio&Florio.
Secondo l’esperto, il fenomeno del lavoro in nero in Italia in passato era giustificato con le troppe lentezze burocratiche. Oggi non è più così: «A pesare è la perdita di competitività del Paese
nei settori di punta, che a cascata si avverte in tutta la filiera. Il lavoro qui è spesso poco produttivo.
Ma conta anche la precarizzazione dei rapporti: se il rapporto di lavoro è troppo breve non vale la pena formare un nuovo assunto. E la mancanza di un adeguato addestramento porta ai tanti incidenti che si verificano i primissimi giorni di lavoro».
Per Ferrante, però, non si può dire che la questione sia stata trascurata dalle istituzioni: «C’è stato un importante rafforzamento dell’ispettorato del lavoro, che negli ultimi tre anni è stato dotato di nuovo personale con 5 mila assunzioni. Ed era necessario: questo ente, articolazione del Ministero del Lavoro, era ridotto a pochissimi ispettori all’inizio del 2000».
Eppure le novità introdotte non sembrano avere riscontro nei numeri. È vero che la media complessiva del numero di infortuni in Italia risulta più bassa di quella europea, ma gli incidenti mortali rimangono decisamente più elevati. È però probabile che molti infortuni non fatali non vengano dichiarati, alterando quindi il primo dato.
«I dati spaventosi hanno portato a una forte mobilitazione, anche in termini di investimenti. Veniamo da decenni di trascuratezza: ci sono carenze che non possono essere colmate in poco tempo», aggiunge Ferrante.
Che conclude: «Dovremo ancora aspettare per vedere gli effetti positivi dell’attuale quadro normativo. Ma non possiamo fermarci: è chiaro che bisogna continuare a sviluppare le funzioni di vigilanza e controllo».
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2025 Riccardo Fucile
PANICO AL CREMLINO: “QUESTA CYBER-MINACCIA RISCHIA DI COLPIRE TUTTE LE GRANDI AZIENDE CHE FORNISCONO SERVIZI ALLA POPOLAZIONE”
La compagnia aerea russa Aeroflot è stata costretta a cancellare decine di voli lunedì dopo che un misterioso gruppo di hacker filo-ucraino ha rivendicato la responsabilità di quello che ha definito un pesante attacco informatico.
La compagnia aerea nazionale russa non ha fornito ulteriori dettagli sulla causa del problema o sui tempi necessari per risolverlo, ma i tabelloni delle partenze dell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca sono diventati rossi a causa della cancellazione dei voli in un periodo in cui molti russi vanno in vacanza.
Il Cremlino ha dichiarato che la situazione è preoccupante e la procura ha confermato che i problemi della compagnia aerea sono stati causati da un attacco hacker e ha aperto un’indagine penale.
Una dichiarazione, apparentemente proveniente da un gruppo di hacker chiamato Silent Crow, ha affermato di aver condotto l’operazione insieme a un gruppo bielorusso chiamato Cyberpartisans BY, collegandola alla guerra in Ucraina. «Gloria all’Ucraina! Lunga vita alla Bielorussia!» recitava la dichiarazione, di cui non è stato possibile identificare l’autenticità.
Silent Crow ha precedentemente rivendicato la responsabilità degli attacchi di quest’anno a un database immobiliare russo, a una compagnia di telecomunicazioni statale, a una grande compagnia assicurativa, al dipartimento It del governo di Mosca e alla filiale russa del marchio automobilistico sudcoreano Kia. Alcuni di questi attacchi hanno causato ingenti perdite di dati
«Le informazioni che stiamo leggendo sono piuttosto allarmanti. La minaccia degli hacker rischia di colpire tutte le grandi aziende che forniscono servizi alla popolazione», ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov
Aeroflot ha dichiarato di aver cancellato più di 50 voli, principalmente all’interno della Russia, ma anche rotte verso la capitale bielorussa Minsk e la capitale armena Yerevan, dopo aver segnalato un guasto ai suoi sistemi informatici. Almeno altri 10 voli hanno subito ritardi. «Gli specialisti stanno attualmente lavorando per ridurre al minimo l’impatto sul programma di volo e ripristinare la normale operatività del servizio», ha affermato un loro portavoce.
(da agenzie)
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