Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
400 CASE VERRANNO ABBATTUTE, ALTRE TEMONO CEDIMENTI STRUTTURALI PER GLI SCAVI… E CHI RITROVERA’ A POCHI METRI UN PILONE ALTRO 370 METRI
Fiorella rischia di perdere la casa comprata insieme al marito cinquanta anni fa, un luogo che le ricorda gli anni più felici della sua vita. E c’è chi si ritroverebbe una parte dei piloni del Ponte nel cortile di casa
«Io qua non mi sento mai sola, sa? Anche ora che mio marito non c’è più. Ho lo stretto di Messina che mi fa compagnia. La luna che sorge sulla Calabria, Reggio tutta illuminata. Lo sa quanto è bella? Capisce cosa può significare per me andarmene da qui?».
Fiorella, 85 anni, vive affacciata sul mare che separa la Sicilia dalla Calabria e la sua abitazione è una delle circa 400 a rischio esproprio se i cantieri per la costruzione del Ponte sullo Stretto dovessero davvero partire.
Mercoledì, 6 agosto, il Cipess ha dato il via libera definitivo al progetto: per il ministro Matteo Salvini «un grande traguardo», per chi vive qui, il ritorno di un vecchio incubo: «Una spada di Damocle», ripetono. Anche se nulla è ancora ufficiale – manca infatti la bollinatura della Corte dei Conti e la Commissione Europea deve ancora pronunciarsi su possibili violazioni di procedure e della direttiva Habitat – la tensione è alta. Sono
attesi ricorsi, ma intanto, ai due estremi dove dovrebbero sorgere i piloni di oltre 400 metri, ci sono vite sospese, in attesa di sapere cosa succederà davvero. «Dove andremo a vivere?», chiedono. Abbiamo parlato con loro.
«Una casa che ricorda i momenti felici della mia vita»
Fiorella, che insieme ad altri cittadini con cui abbiamo parlato fa parte del gruppo No Ponte di Capo Peloro, a Messina, è vedova da dieci anni. «Sono nata a Reggio Calabria, ma vivo qui da 50 anni e ho deciso di restarci anche dopo la morte di mio marito. È venuto a mancare dieci anni fa». Per Fiorella, quella casa affacciata sullo Stretto, con il suo giardino un tempo pieno di piante di limone profumato, «ricorda gli anni più belli della mia vita, quelli trascorsi con mio marito». Ora i suoi figli vivono a Reggio Calabria, e con sconforto ammette che, se i cantieri dovessero partire, sarebbe costretta a tornare lì. «L’idea che qualcuno possa impormi di lasciare la mia casa e il posto che amo non la accetto. Non accetto che altri decidano per me. Io questo posto lo amo e l’ho scelto».
Il faraonico pilastro nel cortile di casa
Fiorella, come anche Cettina, 74 anni, è tra quelle persone che avevano già preso parte alle battaglie No Ponte ai tempi del governo Berlusconi. «Ho comprato questa casa 25 anni fa. Ricordo ancora la gioia del giorno in cui ho firmato il contratto dal notaio – racconta Cettina – ma appena uscita dall’ufficio incontrai un amico di mio figlio che mi disse: “Signora, ma lei ha comprato casa proprio dove vogliono costruire il pilastro del Ponte di Messina?”. Si immagini come mi sono sentita». Cettina vive in zona Margi, un’area dove oggi sorge un residence, ma
che un tempo era un lago, poi bonificato. Secondo le carte, proprio nel cortile della sua casa verrebbe piantato uno dei colossali pilastri del Ponte.
Le gallerie e le case a rischio crollo
«È un tormento continuo – prosegue – Ci parlano di progresso e sviluppo, ma quale progresso è quello che distrugge due città?» Perché non si parla solo di un ponte. Parlando di collegamenti, il progetto prevede 40 km di raccordi viari e ferroviari (l’80% dei quali sviluppati in galleria) che collegheranno il Ponte, dal lato Calabria, all’autostrada del Mediterraneo e alle stazioni ferroviarie di Villa S. Giovanni e Reggio Calabria e, dal lato Sicilia, alle autostrade Messina-Catania e Messina-Palermo nonché alla nuova stazione di Messina.
Secondo gli esperti, sarebbero centinaia le abitazioni a rischio di subsidenza, cioè di cedimento del terreno, proprio a causa della vicinanza a queste gallerie. «Io ho 74 anni. Vivo qui con mio marito, mentre mio figlio abita a Palermo. Dovrei andare a vivere altrove? Ma dove si può comprare una casa? A Messina non si potrà più vivere. Ci stanno rendendo la vita un inferno. E chi ci pagherà i danni morali?»
«Non ci permettono di vivere serenamente»
Ma c’è chi, pur nel dolore e nell’incertezza, non si lascia abbattere dall’idea di dover lasciare la propria casa. «Io non ci credo, non penso che avverrà davvero – dice Mariolina, 75 anni – Ci sono troppi imbrogli e criticità che verranno fuori. Siamo in mano agli avvocati». Con sicurezze dice di «non essere preoccupata, ma arrabbiata» perché «non ci permettono di vivere serenamente. E tra dieci anni ci sarà qualcun altro che riproporrà
lo stesso progetto. E si ripartirà con la solita tarantella».
Far riconoscere lo Stretto come patrimonio Unesco
Mariolina racconta che nel suo condominio vive una famiglia con due persone gravemente disabili: «Come faranno? I disabili, quando devono essere spostati, devono trovare una soluzione simile a quella in cui hanno vissuto. Ma come la trovi? Chi li aiuta? Come si fa? Non ce la facciamo più a vivere con questa spada di Damocle sopra la testa». Ma ora c’è un obiettivo comune che sta unendo i cittadini che vivono nelle due città affacciate sullo Stretto: «Il nostro scopo è farlo riconoscere come Patrimonio dell’Umanità, così non potrà più essere toccato. E ci lasceranno finalmente in pace».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
HA AVUTO UN RUOLO NELLA GESTIONE DEL DOSSIER SULL’ANARCHICO ALFREDO COSPITO E NEL CASO DI ARTEM USS, FIGLIO DI UN OLIGARCA AMICO DI PUTIN, FUGGITO MENTRE ERA AI DOMICILIARI… BARTOLOZZI POTREBBE ESSERE INDAGATA DALLA PROCURA DI ROMA: A INCASTRARLA SAREBBERO DEL RESTO TUTTE QUELLE “DICHIARAZIONI MENDACI” RESE AL TRIBUNALE DEI MINISTRI
L’anarchico al 41-bis e i coinquilini chiacchieroni, il figlio dell’oligarca russo amico di
Vladimir Putin, il torturatore libico sul Falcon 900. Per non parlare dei retroscena sulla riforma della giustizia o sull’abrogazione del reato di abuso di ufficio e di tutti gli altri dossier impilati sulla scrivania del ministro Carlo Nordio.
Sul caso Almasri sarebbe più facile per tutto il governo scaricare la responsabilità politica su Giuseppa “Giusi” Lara Bartolozzi, la capa di gabinetto che di fatto ha gestito la scarcerazione del miliziano che si è macchiato di crimini di guerra e contro l’umanità indicibili. Ma non è poi così possibile o scontato. Costringerla alle dimissioni? Demansionarla? No. La zarina di via Arenula è la custode dei segreti cruciali del paese e di pratiche riservatissime.
Ex magistrata, ex parlamentare di Forza Italia, la tecnica ha conquistato la stima incondizionata del ministro e anche del suo sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, ma soprattutto ha messo il naso in fascicoli che, qualora resi pubblici in tutte le loro sfaccettature, potrebbero scottare l’esecutivo Meloni.
È lei, ufficialmente braccio destro di Nordio dal 24 ottobre 2022, ad aver gestito faccende delicatissime con esiti non troppo felici. Tra queste ce ne sono due in particolare che hanno allarmato la maggioranza per la loro gestione: caso Cospito e caso Uss. Su entrambi, dicono da Palazzo Chigi, Nordio sarebbe stato «mal consigliato da Bartolozzi».
Partiamo dall’anarchico insurrezionalista, autore della gambizzazione del manager di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Il 31 gennaio 2023 nell’aula di Montecitorio il deputato di FdI Giovanni Donzelli aveva letto passaggi di una relazione del gruppo speciale della polizia penitenziaria che opera all’interno del 41-bis, quello del detenuto Cospito.
La relazione, contenente informazioni sensibili sull’anarchico e un gruppo di boss mafiosi, era stata sfruttata da Donzelli per colpire l’opposizione che in quei giorni andò a trovare Cospito in carcere. Chi aveva fornito quelle informazioni al meloniano era stato Delmastro, all’epoca suo coinquilino, con delega alla penitenziaria. Si è discusso in quei giorni sulla natura di quei dati certamente riservati.
Così, dopo l’azzardo di Donzelli, il ministro Nordio ha lanciato il salvagente al suo sottosegretario. Il tentativo, però, si è rivelato maldestro: quegli atti, ha sostenuto il guardasigilli in base a un parere firmato dalla zarina in persona, non erano segreti, ma a “limitata divulgazione”.
Era vero? L’inchiesta della procura di Roma dimostrerà il contrario. E Delmastro, dopo un iter giudiziario complesso, a febbraio scorso verrà condannato a otto mesi proprio per rivelazione di segreto. Un pasticcio, insomma, targato Giusi Bartolozzi. Ancora.
Tra i corridoi di via Arenula è noto un altro episodio rivelatore del metodo usato dalla “ministra” accentratrice. Nei giorni caldi del caso di Artem Uss, il cittadino russo accusato di frode bancaria, riciclaggio e contrabbando di armi, evaso dai domiciliari in Italia, Nordio – sempre suggerito da Bartolozzi – ha infatti scelto lo scontro con la procura di Milano.
A tal punto che l’Associazione nazionale magistrati reagì all’avvio dell’azione disciplinare da parte del ministero nei confronti della corte d’appello di Milano, i cui giudici erano accusati di grave negligenza (i magistrati avevano concesso gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ad Uss, che riuscì appunto a scappare). Ad avviare l’azione disciplinare era stato per l’appunto il ministro della Giustizia.
Un atto durissimo. Una linea che ha scatenato non solo la guerra con la magistratura, ma che è stata criticata perfino dagli avvocati. Alla fine, nel 2024, i giudici del Csm hanno assolto i magistrati della corte d’appello di Milano. Un ulteriore ko, pertanto, per Bartolozzi. Che pure nella gestione del caso Almasri, a suon di «basta! Basta! Segnati su Signal», non ha dato il meglio di sé.
Sembra quindi che i consigli dell’ex magistrata non portino fortuna a chi li riceve. Solo in un caso la zarina, o meglio chi le sta vicino, pare averla fatta franca: Bartolozzi è sposata con
l’avvocato, ex uomo della giunta guidata da Musumeci, Gaetano Armao, di cui a marzo Domani ha passato in rassegna debiti e case all’asta. Anni fa il marito forzista e giurista di “lady Bartolozzi” aveva dovuto affrontare un altro caso ingarbugliato nato da un esposto firmato dall’ex moglie che avrebbe dovuto ricevere gli alimenti dopo la separazione.
Ma intervenne il tribunale di Palermo con il pignoramento dello stipendio del politico a favore della nuova compagna Giusi, con cui aveva firmato una scrittura privata. La decisione del tribunale impedì così alla prima moglie di ottenere quanto le sarebbe spettato. Un suggerimento di Bartolozzi?
Su Bartolozzi, a fronte di quanto emerso dalle carte del Tribunale dei ministri, potrebbero presto accendersi i fari della procura capitolina. A incastrarla sarebbero del resto tutte quelle «dichiarazioni mendaci» che la “ministra ombra” avrebbe reso davanti alle tre giudici del collegio speciale.
Al ministero è di conseguenza allo studio quello che sembrerebbe l’unico appiglio possibile, in punto di diritto, per evitare gli scenari più neri: il comma 3 dell’articolo 9 della legge costituzionale sul Tribunale dei ministri che prevede che, se il reato viene commesso da più soggetti in concorso tra loro, è l’assemblea a indicare a chi «anche se non ministro o parlamentare» si estenda il «diniego». E, vista la portata delle note stampa inviate da Nordio per “proteggere” la «sua ministra», si può dire che il guardasigilli sia disposto a tutto pur di salvarla
(da Domani)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
NORDIO NON HA INOLTRATO IL PROVVEDIMENTO ALLA PROCURA GENERALE PER RENDERLO ESECUTIVO
Per Vladimir Putin l’Italia potrebbe essere un paese sicuro. Nonostante consideri il governo Meloni «troppo amico degli ucraini», se arrivasse sul suolo italiano potrebbe non essere arrestato. Creando un nuovo incidente con la Corte penale internazionale. Sul presidente russo e su altri quattro suoi connazionali, da marzo 2023, pende infatti un mandato di arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi dai russi in Ucraina. Per questo, da allora, il leader della Federazione russa non lascia Mosca.
Come il caso Almasri insegna, in Italia la norma prevede che il ministero della Giustizia invii alla corte di appello il mandato della Cpi perché si possa procedere all’arresto qualora il ricercato arrivasse sul territorio nazionale. Come Repubblica aveva raccontato ad aprile, però, l’Italia non ha mai trasmesso quel documento.
Così come non l’ha fatto per gli altri russi sui quali pende un mandato della Cpi: la commissaria per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova; il tenente generale Sergei Ivanovich Kobylash, già comandante dell’aviazione delle Forze aeree, e l’ammiraglio
della Marina Viktor Sokolov; l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e il viceministro della Difesa nonché capo di stato maggiore delle forze armate Valery Gerasimov, ufficialmente «ricercati» da giugno 2024. Che significa? Che se arrivassero in Italia, non sarebbero arrestati in automatico.
Quando fu sollevato il caso il ministro Nordio minimizzò la questione spiegando che gli atti non erano stati inviati perché Putin «non è mai transitato in territorio italiano né mai si è avuta notizia che fosse in procinto di farvi ingresso. La presenza della persona o il suo imminente ingresso nel territorio dello Stato sono condizioni essenziali per i provvedimenti conseguenti». Sosteneva Nordio, quindi, che informati dell’arrivo le procedure sarebbero state avviate. Un’interpretazione che, però, non coinvolgeva tutti i tecnici di via Arenula. Anzi. In un appunto inviato al gabinetto del ministro, i dirigenti scrivevano che «è necessario procedere alla trasmissione alla procura generale di Roma della documentazione ricevuta dall’Aia».
In diverse lettere i tecnici spiegavano […] che gli atti dall’Aia dovessero essere subito trasmessi alla procura generale per evitare di aprire una procedure di infrazione con il tribunale internazionale, la stessa avviata per la vicenda del criminale libico Almasri, rispedito a casa nonostante l’ordine di cattura all’Aia
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO BORRELLI: “ORA BASTA, CHIEDO INTERVENTO DURISSIMO DELLA GUARDIA DI FINANZA”… MA COSA ASPETTA PIANTEDOSI A METTERE I SIGILLI A UN LIDO CHE E’ LA VERGOGNA DELL’ITALIA?
Una famiglia va al mare a Castel Volturno, ma all’ingresso viene perquisita dallo staff
perché nello stabilimento era vietato portare il cibo da fuori. “Sottratto anche il biberon dei bambini” la denuncia la mamma, che ha contattato il parlamentare Francesco Emilio Borrelli (Alleanza Verdi-Sinistra), per denunciare l’accaduto. Si tratterebbe, secondo il deputato ambientalista, “dello stesso lido che abbiamo già denunciato la settimana scorsa. Chiedo interventi durissimi da Guardia di Finanza, comportamenti intollerabili che ledono diritti e dignità”.
La denuncia della mamma: “Mi hanno tolto anche i biberon”
“Stavo parcheggiando – ha spiegato la donna a Borrelli – mentre
il mio amico è entrato nel lido con le borse. Quando sono arrivata ho trovato lo staff che stava mettendo le mani nei borsoni, controllando il contenuto, e mi hanno sottratto alcuni generi alimentari, compresi i biberon dei bambini, che, secondo loro, non potevo introdurre nel lido, dicendomi che li avrebbero restituiti all’uscita. Un comportamento intollerabile considerato anche che avevo pagato 25€ per due lettini e un ombrellone. Di certo non tornerò mai più”.
Borrelli ha spiegato che si tratta dello stesso lido in cui, la settimana scorsa, un’altra signora – rivolgendosi sempre a Borrelli – aveva denunciato di essere stata costretta a buttare del cibo con la stessa motivazione.
“Siamo davanti a un reato gravissimo – afferma il parlamentare – Non è possibile che per andare in spiaggia i cittadini debbano essere perquisiti, non per evitare che si introducano armi o oggetti pericolosi, ma semplicemente per vietare ai cittadini di portare del cibo. Si è oltrepassato ogni limite. Chiedo controlli serrati e interventi durissimi da parte della Guardia di Finanza contro chi pensa di fare il furbo e lavorare al di sopra della legge. Questi comportamenti sono gravemente lesivi dei diritti e della dignità delle persone. Sono felice della presa di distanze da parte dell’associazione dei balneari e del Comune di Castel Volturno contro questo lido che già si era reso protagonista di un episodio simile la scorsa settimana. Ricordo a questi gestori che loro non sono i proprietari del litorale, ma semplici gestori di un bene pubblico che appartiene a tutti”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
LA SITUAZIONE IN ITALIA E’ FUORI CONTROLLO: LE CLINICHE NON AUTORIZZATE SONO OVUNQUE, E OGNI TANTO CI SCAPPA ANCHE IL MORTO
Avevano creato un box in un centro estetico di Modena, per fare prestazioni di medicina estetica senza avere le necessarie autorizzazioni. Dopo un blitz dei Nas è scattata la sospensione dell’attività estetica. Ad emettere l’ordinanza immediata di sospensione dell’attività di estetica e di qualsiasi prestazione ambulatoriale di medicina estetica a carico del centro estetico è stato il Comune di Modena.
Le criticità sono emerse a seguito di una segnalazione dei Nas di Parma al Comune, dopo un’ispezione igienico-sanitaria dei militari nel centro. Dall’ispezione, infatti, sono emerse criticità strutturali e gestionali.
In particolare, è stato rilevato l’utilizzo di un box nella struttura che veniva utilizzato come ambulatorio per attività di medicina estetica, in assenza delle necessarie autorizzazioni previste dalla normativa vigente. È stato inoltre accertato il mancato rispetto degli obblighi in materia di gestione dei rifiuti sanitari pericolosi,
con specifico riferimento alla conservazione e tenuta del registro, come richiesto dalle disposizioni in tema di sicurezza e tutela della salute pubblica.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL “BOTTEGONE”, PER 45 ANNI SEDE DEL PIÙ GRANDE PARTITO COMUNISTA D’OCCIDENTE, È STATO ACQUISTATO DALLA CATENA DI ALBERGHI “HYATT… DA TOGLIATTI A BERLINGUER FINO ALLA VISITA DI ALMIRANTE “PER RENDERE OMAGGIO A UN UOMO ONESTO”
Il palazzo delle Botteghe Oscure, per 45 anni sede del più grande partito comunista
d’Occidente, sta per riaprire le porte e mostrarsi al mondo con una veste capovolta rispetto al passato: il “Bottegone” diventa un hotel. Un hotel a cinque stelle. Gestito da Hyatt, catena americana per viaggiatori milionari. L’apertura è questione di giorni e a quel punto il contrappasso sarà compiuto.
Venticinque anni fa – allora Massimo D’Alema era palazzo Chigi e Walter Veltroni al partito – gli eredi del Pci assediati dai debiti, dovettero cedere quel palazzo così ricco di storia: allora fu subito evidente a tutti che ogni futuro destino sarebbe stato comunque incoerente con la storia precedente. Ma nessuno poteva immaginare un finale così lontano dal passato. Una paradossale distopia.
Perché il “Bottegone”, come lo battezzò Giampaolo Pansa, era stato qualcosa di unico nella storia del dopoguerra italiano: non soltanto la sede del Pci ma anche, sia pure simbolicamente, la Casa di quasi un terzo degli italiani, la cittadella di un partito-Stato, un luogo severo e autosufficiente nel quale si prendevano decisioni per definizione “giuste”.
Nel primo dopoguerra la prima intuizione era stata di Palmiro Togliatti. Dopo aver trascorso diversi anni all’Hotel Lux, il luogo terribile di Mosca dove tanti dirigenti comunisti erano stati arrestati e torturati, una volta tornato in Italia, il “Migliore” decise che quella frazione di rivoluzionari settari doveva trasformarsi in un “partito nuovo” e dunque non sarebbe bastata una sede qualunque.
A Togliatti non erano piaciute le prime scelte – la Regia azienda Monopolio Banane e neppure la sede in via Nazionale – e disse:
«Serve una vera e propria cittadella, polifunzionale e, moderna e infine prestigiosa». Forse un po’di denaro per costruire il nuovo palazzo del partito venne dall’oro di Dongo ma i veri artefici furono i fratelli Alvaro e Alfio Marchini: i due “palazzinari” comunisti acquistarono il terreno sulle rovine delle demolizioni fasciste, in via Botteghe Oscure, e ci costruirono sopra il primo piano del palazzo
E dunque, 79 anni dopo, eccola l’ironia del destino: la collocazione privilegiata voluta da Togliatti diventerà la delizia dei turisti dell’Hyatt, destinati a soggiornare in quello che sarà il più centrale hotel di Roma. Nel primo dopoguerra il palazzo al numero 4 di via delle Botteghe Oscure diventò subito qualcosa in più della sede funzionale del Pci: era una cittadella nella quale si consumavano amori, morti, vittorie e sconfitte.
Il severissimo Togliatti, quando la sua relazione con Nilde Iotti era ancora clandestina, si ritrovava con lei al sesto piano del palazzo: era stata montata una porta supplementare, nessuno ne sapeva nulla, compresi i compagni della vigilanza, ex partigiani armati, che una notte sentirono rumori sospetti e in assenza di risposte stavano per intervenire con le maniere forti, ma furono dissuasi all’ultimo momento da Massimo Caprara.
Nella città del “Bottegone”, volendo, si viveva l’intero arco di una vita militante: ogni tanto arrivavano per brevi cerimonie i Pionieri, i ragazzini che si sentivano comunisti prima dell’adolescenza, per grandi e meno grandi a pian terreno c’era la libreria Rinascita e per i dirigenti di ogni grado e ogni età c’erano anche un ufficio postale interno, una infermeria, due medici.
Un luogo così attrezzato e un partito così influente erano
setacciati dallo spionaggio nemico: «Nel palazzo davanti alla nostra sede – ha raccontato anni dopo Armano Cossutta – c’era il Centro d’ascolto della Cia: loro ci ascoltavano ma noi lo sapevamo…». Al secondo piano, dal quale si accedeva con un ascensore riservato, vivevano i segretari e fu Enrico Berlinguer a vincere il «complesso del balcone»: dopo la storica vittoria del Pci nel 1976, si affacciò e con la secca sobrietà inimmaginabile oggi, disse: «Compagne e compagni, immagino che voi conosciate già le prime indicazioni: un italiano su tre vota comunista».
E proprio al pianterreno di Botteghe Oscure fu preparata la camera ardente per Enrico Berlinguer: fu lì che arrivò inatteso e circondato da un comprensibile stupore, il capo dei neofascisti italiani, Giorgio Almirante. «Sono venuto per salutare un uomo onesto».
Quando gli eredi del Pci vendettero il palazzo, d’intesa con la Sovrintendenza, furono vincolati e dunque ritenuti inamovibili, le più importanti presenze collocate nell’androne a suo tempo disegnato da Giò Pomodoro: il busto in marmo nero di Antonio Gramsci e la bandiera originaria della Comune di Parigi incastonata in una teca. E così la distopia del “Bottegone” ha un ultimo punto di resistenza: nella hall che presto sarà abitata dai facoltosi clienti dell’Hyatt resterà ancora qualcosa, in ricordo di un partito che ha fatto la storia del Paese.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRIMO MINISTRO DBEIBEH CERCO’ DI ARRESTARE ALMASRI, DURANTE LA CROCIATA PER SMANTELLARE LE MILIZIE CHE CONDIZIONANO IL SUO POTERE IN TRIPOLITANIA. MA LA RADA, LA MILIZIA DEL GENERALE, SI E’ RIVELATA UN OSSO DURO
Formalmente agli arresti domiciliari, ma di fatto libero di fare quasi tutto ciò che vuole nell’area di Tripoli: mai come oggi la sorte di Osama Almasri dipende dagli equilibri interni al farraginoso e litigioso sistema di potere libico.
«Venerdì della settimana scorsa a mezzogiorno l’ex torturatore di migranti detenuti del carcere di Mitiga è stato visto da tanti che pregava, mescolato alla folla dei fedeli, alla consueta cerimonia del giorno santo musulmano, con la famiglia nella moschea poco distante la sua villa nella capitale», ci dicono i giornalisti locali.
Non è chiaro se fosse armato, non pare avesse guardie del corpo al seguito. «Dopo il fermo nella notte tra il 7 e 8 luglio, mentre ancora la città era scossa dalla guerra interna tra milizie, Almasri ha perso tanto del suo potere personale. Anche se ancora rischierebbe forte chiunque cercasse di attaccarlo», aggiungono.
Una vicenda che continua a mantenere aspetti poco chiari ed è in rapporto diretto con la realtà segmentata della Libia e lacerata dalla lotta tra milizie e tra Paesi terzi in cerca di influenza. Il premier Abdul Hamid Dbeibeh aveva cercato di arrestare Amasri dopo i gravissimi fatti di sangue degli inizi di giugno, quando in un colpo solo aveva provato a smantellare le milizie più
importanti che condizionano il suo potere in Tripolitania. Ma la Rada, la milizia del generale, si era rivelata un osso troppo duro da digerire.
«Per una decina di giorni dopo il fermo si era parlato di arresto formale e persino di possibile estradizione di Almasri perché venisse processato dal Tribunale internazionale dell’Aia. Il 17 luglio è stato interrogato dalla magistratura. Sembrava che potesse essere la svolta, ma non è stato poi pubblicato alcun verbale, nulla. E da allora la sua situazione è nettamente migliorata: esce di casa a piacimento, pare siano state tolte tutte le misure restrittive», spiegano ancora da Tripoli.
Sembra che anche Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, sia interessato a impedire qualsiasi estradizione di cittadini libici anche alcuni suoi alti ufficiali sono ricercati dall’Aia.
(da Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
LO STORICO UCRAINO YAROSLAV HRYTSAK: “TRUMP PERSEGUA UNA SUA AGENDA PERSONALE CHE NON TIENE CONTO DEL RESTO DEL MONDO. E POI LA SUA COMPRENSIONE È MOLTO LIMITATA”… “GLI UCRAINI SONO PRONTI A CONCESSIONI TERRITORIALI MA SERVONO GARANZIE, ALTRIMENTI POSSIAMO ANCHE FIRMARE UN CESSATE IL FUOCO MA POI CI SARÀ UNA NUOVA GUERRA. ZELENSKY STA CERCANDO LA MIGLIOR SOLUZIONE POSSIBILE”
«L’incontro di Trump con Putin? Al presidente statunitense interessa solo una cosa:
ricevere il Nobel per la pace. E non lo dico certo da fan di Trump». È ironia amara quella di Yaroslav Hrytsak perché — spiega lo storico più importante d’Ucraina — è difficile essere ottimisti sulla possibilità che la Casa Bianca riesca a convincere il Cremlino a siglare un cessate il fuoco duraturo.
«Penso che Trump persegua una sua agenda personale che non tiene conto del resto del mondo. Trump ha capacità limitate, la sua comprensione di ciò che sta accadendo nel mondo è molto limitata. Non basta il marketing. La pace ha bisogno di basi solide su cui poggiare».
Immagino che il ragionamento sia: una pace che non tenga conto delle posizioni di Kiev non può funzionare?
«Esatto. E il fatto che non partecipi anche Zelensky all’incontro è un pessimo messaggio per noi ucraini. Al tavolo ci deve essere almeno una terza parte, ossia l’Unione Europea o la Cina. Senza questi garanti noi ucraini non ci fidiamo».
Il possibile accordo di pace prevede concessioni territoriali a Mosca. E vediamo alcuni sondaggi indicare un incremento di opinione pubblica ucraina favorevole a una cessione di territori. È cambiato qualcosa rispetto all’anno scorso?
«Che la maggior parte della popolazione sia a favore di cessioni territoriali non è una novità di oggi. Gli ucraini non sono intransigenti. Hanno rinunciato a parti di territorio già nel 1991. Quindi non è che stiamo dicendo “ no” ma vogliamo garanzie. Perché altrimenti possiamo anche firmare un cessate il fuoco ma poi ci sarà una nuova guerra».
Sarà Zelensky a firmare il cessate il fuoco o sarà necessario
prima votare un nuovo presidente?
«Credo che Zelensky sia aperto al compromesso. Poi, certo, è un uomo che lavora 24 ore su 24, 7 giorni su 7, da oltre tre anni. È sicuramente provato sia dal punto di vista fisico che psicologico quindi è plausibile che non corra per un secondo mandato. Ma in Occidente circola l’errata convinzione che gli ucraini siano disposti alla pace e Zelensky invece non lo sia: questa è una sciocchezza. Sta cercando la miglior soluzione possibile. Vuole trovarla ma sa anche di non potersi piegare troppo, altrimenti ne pagherebbe lui stesso il prezzo. Sta provando a trovare un accordo che soddisfi sia le élite che l’opinione pubblica».
E quale potrebbe essere allora un accordo di pace sostenibile per l’Ucraina?
«Un piano che preveda di accettare l’occupazione temporaneamente. Diciamo, 49 o 99 anni. Gli ucraini sono pronti a rinunciare al loro territorio ma a condizione che questo non duri per sempre. Putin non durerà per sempre. Che si tratti della sua vita privata o della sua vita politica a un certo punto a Mosca ci sarà un cambio di governo e allora la situazione potrebbe cambiare » .
(da corriere.it)
argomento: Politica | Commenta »
Agosto 9th, 2025 Riccardo Fucile
PAPA LEONE HA USATO PAROLE DURE NEL DICHIARARSI ALLIBITO PER COME LO STATO D’ISRAELE SCIVOLI SEMPRE PIÙ VERSO UNA
POSIZIONE DI VIOLENZA ILLIMITATA, SUPREMATISTA E RAZZISTA NEI CONFRONTI DELLA POPOLAZIONE PALESTINESE DI OGNI RELIGIONE”
Il 20 luglio papa Leone ha celebrato la Messa nella cattedrale di San Pancrazio ad Albano. Il Vangelo di quella domenica riguardava il noto episodio raccontato nel capitolo 10 di Luca, quando Gesù venne accolto, mentre andava a Gerusalemme per affrontare la sua Passione, nella casa di Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro.
La tradizione cristiana ritiene che la casa fosse nel villaggio ora chiamato Taybeh in Cisgiordania, 30 chilometri a nord di Gerusalemme. I circa 1.300 abitanti sono cristiani di tre confessioni: cattolici latini, cattolici melkiti (bizantini) e ortodossi.
Ultimo villaggio cristiano di Terra Santa, con una popolazione pacifica che cerca di mantenere vive le proprie tradizioni e la propria fede, Taybeh è nota anche per l’ottima birra artigianale che vi si produce, chiamata proprio Taybeh Beer.
Dagli inizi di luglio, i cristiani di Taybeh stanno subendo una crescente ondata di attacchi mirati contro la loro presenza da parte dei coloni israeliani. I Patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di terra Santa hanno protestato e chiesto aiuto, ma le vicende dei cattolici della Cisgiordania non sembra interessino all’opinione pubblica occidentale.
All’Angelus del 20 luglio, papa Leone ha usato parole dure nel dichiararsi allibito per come lo Stato d’Israele scivoli sempre più verso una posizione di violenza illimitata, suprematista e
sostanzialmente razzista nei confronti della popolazione palestinese di ogni religione.
Il bombardamento della parrocchia cattolica di Gaza ad opera di carri armati israeliani è stato considerato dalla Santa Sede un atto di arroganza e violenza anticristiana intollerabile. Ma lo sdegno di papa Leone era solo per Gaza? I cristiani di Taybeh e di tutta la Terra Santa sono un simbolo.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »