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DALLE BANCHE ALL’UCRAINA, LA MAGGIORANZA È DIVISA SU TUTTO: AL TERMINE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ANTONIO TAJANI VIENE SPEDITO DA SOLO DAVANTI AI GIORNALISTI (MENTRE MELONI SNOBBA DI NUOVO LA STAMPA)

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

IL LEADER DI FORZA ITALIA BOCCIA L’IPOTESI DI LEGA E FDI DI INSERIRE IN MANOVRA UNA NUOVA TASSAZIONE SULLE OPERAZIONI DI BUYBACK DEGLI ISTITUTI DI CREDITO… SUL PROGETTO DI SMINAMENTO DEL TERRITORIO UCRAINO BALBETTA: “NON È STATA PRESA NESSUNA DECISIONE, SONO SEMPRE DISCORSI TEORICI”…E’ L’ITALIETTA DEI DON ABBONDIO

“Tutti devono pagare le tasse, compresa le banche, ma siamo contrari a studiare un modo per fare la persecuzione delle banche. È un errore gravissimo”. Lo ha detto il vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani, rispondendo a una domanda sull’ipotesi di inserire in manovra una nuova tassazione sulle operazioni di buyback delle banche.
“Noi siamo contrari a mettere tasse a chiunque. Le banche devono pagare le tasse come tutti gli altri. Le banche devono dare un contributo. Io sono sempre stato per la linea del dialogo, non per la linea delle imposizioni”, ha spiegato: “Se si deve chiedere alle banche un contributo”, deve essere “come è stato fatto l’anno scorso e non come è stato fatto due anni fa, quando infatti noi abbiamo fatto saltare il blitz sugli extraprofitti”.
“Sulla manovra noi puntiamo soprattutto alla riduzione della pressione fiscale per aiutare il ceto medio. Significa riduzione dell’Irpef dal 35 al 33% e allargamento della base fino a 60.000 euro.
Sullo sminamento dell’Ucraina “non c’è mai stata nessuna decisione” a livello di governo. “Io ho sempre detto che l’Italia poteva dare disponibilità, ma l’abbiamo detto dall’inizio, di sminare il territorio e il mare, ma non è stata presa nessuna decisione, sono sempre discorsi teorici
Per quanto riguarda lo sminamento dell’Ucraina “noi abbiamo imprese private e abbiamo militari” in grado di realizzarlo “però è una questione di tipo umanitario. Noi abbiamo un saper fare di altissimo livello, sia privato che pubblico, cioè militari e civili.
Se ci sarà una richiesta, se avverrà, non è una presenza militare sul terreno, intesa come ben alcuni pensano dei volenterosi e sarebbe soltanto un’opera umanitaria, quindi che possono fare anche i militari, ma non è un’operazione militare, si va a sminare” e “ci sono tante società civili in grado di farlo, anche quelle marittime. Vediamo come evolve la situazione ma non ha nulla a che vedere solo con la presenza militare sul terreno ucraino, non manderemo soldati italiani sul terreno in Ucraina”.

(da agenzie)

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ORO NERO, SORCI VERDI PER PUTIN, LA STRATEGIA DI ZELENSKY PER COSTRINGERE “MAD VLAD” A SEDERSI AL TAVOLO DEI NEGOZIATI: COLPIRE GLI IMPIANTI PETROLIFERI RUSSI E FAR IMPLODERE L’ECONOMIA DI MOSCA

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

NELL’ULTIMO MESE L’ESERCITO UCRAINO HA PRESO DI MIRA DIECI RAFFINERIA. IL RISULTATO? IN RUSSIA IL PREZZO DEL CARBURANTE HA RAGGIUNTO I MASSIMI STORICI E ALCUNE POMPE DI BENZINA SONO RIMASTE A SECCO … DISTRUTTO ANCHE L’OLEODOTTO CHE COLLEGA RYAZAN ALLA CAPITALE: SI TRATTA DEL FLUSSO PRINCIPALE DI PETROLIO CHE ARRIVA A MOSCA, CHE ORA È BLOCCATO

Bruciare il tesoro di Putin per obbligarlo ad accettare la tregua. L’offensiva dei droni ucraini rivela un disegno strategico: gli attacchi scagliati sugli impianti petroliferi russi mirano a compensare le difficoltà dell’esercito di Kiev, che ora inizia a cedere terreno pure nella regione di Dnipropetrovsk, e convincere il Cremlino a sospendere i combattimenti. Perché è Mosca che presto potrebbe avere l’interesse maggiore a – letteralmente – cessare il fuoco.
Dall’inizio di agosto sono andate in fiamme dieci raffinerie, le più grandi del Paese, e gli effetti cominciano a farsi sentire. Il prezzo del carburante sul mercato nazionale ha raggiunto i massimi storici e diverse stazioni di servizio sono già rimaste a secco, soprattutto in Crimea e in Siberia, dove vengono segnalate code di automobilisti alle pompe.
Giovedì notte, poi, un altro poi botto ha messo fuori uso l’oleodotto che collega Ryazan alla capitale: sui social sono apparse le immagini della colonna di fumo, senza conferme ufficiali né rivendicazioni ucraine, e si parla di blocco del flusso principale diretto a Mosca.
Gli analisti di Reuters ritengono che i bombardamenti abbiano ridotto del 17 per cento capacità di trasformare il greggio inbenzina e diesel, in un momento di altissima richiesta: l’ultima vacanza estiva spinge i russi a viaggiare, sommandosi alle necessità dei mezzi agricoli per la raccolta dei cereali e alla domanda per le scorte del riscaldamento invernale.
C’è un elemento che pesa sui timori russi: le incursioni si stanno dimostrando più precise e devastanti. I tecnici di Kiev hanno perfezionato i sistemi di guida dei droni, che grazie a motori potenziati trasportano più esplosivo. Nei filmati si vedono gli ordigni che dopo voli di settecento-mille chilometri centrano le strutture più delicate e le demoliscono.
Un anno fa bastavano sette-dieci giorni per rimetterle in funzione dopo i raid: ora si stima che le riparazioni richiederanno almeno un mese. Le foto satellitari evidenziano danni pesanti agli impianti di Ryazan, Novokuibyshevsk e Saratov che da soli forniscono il 14 per cento del carburante.
Il Cremlino ha poche misure per lenire la crisi. A fine luglio è stato imposto il divieto di esportare benzina e gasolio, una misura che dovrebbe venire prorogata per tutto settembre: secondo la testata online Bell però il provvedimento blocca la partenza di 50-60 mila tonnellate a settimana, insufficienti per compensare le perdite causate dai droni. Non viene escluso di bandire pure le forniture privilegiate ai Paesi amici o di aumentare le importazioni dalla Bielorussia.
Gli ucraini non si limitano a bersagliare le raffinerie, ma stanno prendendo di mira pure le infrastrutture che alimentano le vendite petrolifere all’estero. L’incursione più seria è avvenuta domenica sul Baltico contro l’impianto di liquefazione di Ust-Luga, che consegna venti milioni di tonnellate l’anno.
È stata distrutta la torre di frazionamento criogenico, il cuore dell’infrastruttura, e non è chiaro quando l’attività potrà
riprendere. Altri raid invece si accaniscono sui depositi più vicini al fronte – come martedì in Crimea – per cercare di ostacolare i movimenti delle truppe.
Il Cremlino sta facendo di tutto per contrastare le azioni dei droni: nelle città industriali le antenne dei cellulari vengono spente per dodici ore al giorno, cercando di “accecare” gli apparati di guida dei robot volanti che trovano la rotta grazie ai ripetitori della telefonia mobile. Molti dei velivoli ucraini però dispongono già di navigatori basati sull’intelligenza artificiale, che identificano il profilo del terreno e non temono contromisure. [
Dozzine di missili terra-aria di nuova generazione vengono installati sui semoventi Pantsir. Kiev però negli ultimi giorni ha esibito due modelli di missili cruise, il Flamingo e il Super-Neptune: non sono ancora entrati in azione e possono infliggere danni ancora più gravi, perché muniti di testate esplosive tre volte superiori a quelle dei droni. Come il resto dell’arsenale scagliato contro la Russia, vengono costruiti in patria e permettono al governo Zelensky di ignorare il veto del Pentagono all’uso di armamenti americani

(da agenzie)

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UN “LEGHISTA” A MOSCA, SE NE SENTIVA LA MANCANZA: STEFANO BELTRAME SARÀ IL NUOVO AMBASCIATORE ITALIANO IN RUSSIA

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

GIÀ CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI SALVINI AI TEMPI DEL VIMINALE, BELTRAME È ATTUALMENTE CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI GIORGETTI AL MEF. E IN PASSATO È STATO CONSIGLIERE IN VENETO CON LUCA ZAIA

Piccolo valzer di fine estate in casa Farnesina. Ma la pista da ballo è di quelle che contano. Riguarda infatti l’ambasciata a Mosca. Ed ecco la notizia. Cecilia Piccioni, che da luglio dello scorso anno guida l’ambasciata italiana all’ombra del Cremlino, tornerà a Roma.
Dalla Piazza Rossa ai vertici del ministero di Antonio Tajani: guiderà la potentissima Direzione generale per gli affari politici (Dgap), sarà la prima donna a farlo, e con la nuova riforma della Farnesina al via oggi in Cdm ricoprirà anche la carica di vicesegretario generale.
E a Mosca? Qui c’è la seconda notizia, riferita al Messaggero da fonti di governo. Per gestire i rapporti con Putin, ora che Tajani ha voluto al suo fianco a Roma Piccioni, c’è Stefano Beltrame. Ovvero l’ex consigliere diplomatico di Matteo Salvini, ai tempi ruggenti del Viminale e del governo gialloverde, quando i viaggi e i rapporti moscoviti del leader leghista sono finiti nell’occhio del ciclone politico e mediatico.
Insomma l’ambasciatore “di Salvini” va a Mosca? Non proprio.
Beltrame è stato molto altro. Diplomatico rodato anche se promosso di grado recentemente, grande esperto di Asia dove ha trascorso un pezzo di carriera (è stato console a Shanghai), ha ricoperto fino ad oggi la carica di consigliere diplomatico di Giancarlo Giorgetti al Mef. Un fidatissimo del titolare dei conti. E nel suo palmarès conta anni di collaborazione con un terzo “pezzo da 90” del Carroccio: Luca Zaia, il “Doge” Veneto di cui Beltrame, veronese doc, è stato consigliere in regione.
Piccioni è un nome notissimo per chi mastica la diplomazia. Romana doc, carriera snodata fra la capitale, Washington e New York ma anche istituzioni internazionali come la Banca Mondiale e aziende come Fincantieri, era stata inviata a Mosca da Tajani nel luglio del 2024. Risale a novembre dello stesso anno il video dell’ambasciatrice che incontra al Cremlino Vladimir Putin, prima italiana a stringere la mano allo “zar” dopo tre anni di guerra.
Missione fisicamente azzoppata, se è vero che le reciproche rappresaglie diplomatiche fra Italia e Russia seguite all’invasione hanno decimato lo staff diplomatico (e non solo) dell’ambasciata italiana.
Tajani ha infine deciso di promuovere Piccioni richiamandola a Roma a capo della Dgap, direzione già guidata da Pasquale Ferrara che d’ora in poi, con la riforma in fasce, avrà un perimetro di azione assai più ampio, esteso a importanti affari economici. E non è poco, ai tempi dei dazi di Trump.
Beltrame. Nome già balzato agli onori delle cronache nei mesi scorsi, durante l’ultimo “valzer” di ambasciatori in Cdm a inizio estate. Ricordate? Giorgetti chiese un posto all’altezza per il suo fidato consigliere e quel posto nella lista in mano a Tajani ancora non c’era. Ne era nato uno stallo, con annesse tensioni,
poi risolte nelle settimane a venire.
Ora la sede di peso c’è, eccome. A Mosca va un diplomatico esperto, già ambasciatore a Vienna, che spesso ha lavorato al fianco di prime file della Lega ed è facile che questo accenda qualche riflettore sulla nomina.
Si ricorda la sua presenza discreta, ma assai influente, ai tempi di Salvini al Viminale. Sì, anche nella preparazione delle missioni russe finite poi al centro di una bufera politica e una serie di inchieste mediatiche ma senza alcun risvolto giudiziario, il “Russiagate” in salsa italiana.
Ma anche nelle missioni americane, studiate da Beltrame per compensare e smorzare l’immagine di un leader tutto spostato verso Est. Riuscì perfino a far ottenere a Salvini una stretta di mano a Washington, e incontro a seguire, con l’allora influentissimo vicepresidente di Trump, Mike Pence, poi assurto a nemico giurato del movimento MAGA dopo l’assalto a Capitol Hill.

(da agenzie)

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IL SOGNO AMERICANO È DIVENTATO UN INCUBO, NUOVA STRETTA DI DONALD TRUMP CONTRO STUDENTI E GIORNALISTI STRANIERI: I VISTI PER MOTIVI DI STUDIO SARANNO RIDOTTI E NON POTRANNO AVERE UN’ESTENSIONE SUPERIORE AI QUATTRO ANNI

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

REPORTER E CRONISTI, INVECE, NON POTRANNO RIMANERE PIÙ DI 240 GIORNI SUL SUOLO AMERICANO, ANCHE SE AVREBBERO DIRITTO A CHIEDERE IL RINNOVO DEL PERMESSO PER UN PERIODO ANALOGO

L’Amministrazione Trump propone l’introduzione di misure per ridurre la durata del soggiorno negli Stati Uniti di giornalisti e studenti stranieri, nel contesto dell’inasprimento delle norme che regolano l’immigrazione. I visti per motivi di studio non potrebbero avere una estensione superiore ai quattro anni.
I giornalisti non potrebbero rimanere oltre i 240 giorni, anche se avrebbero diritto di chiedere il rinnovo del permesso per un periodo analogo. I giornalisti cinesi non potrebbero rimanere più di 90 giorni. Fino a ora il visto per studenti copriva l’intero periodo del programma seguito e 5 anni per i giornalisti.
“Troppo a lungo le precedenti amministrazioni hanno autorizzato gli studenti stranieri e altri detentori di visti a rimanere negli Stati Uniti quasi indefinitamente, con rischi per la sicurezza, con costi incalcolabili per i contribuenti e svantaggi per i cittadini americani”, ha scritto il ministero della sicurezza interna in un comunicato. La proposta è stata pubblicata nel ‘Federal Register’: dopo un breve periodo aperto ai commenti, la misura entrerà in vigore.

(da agenzie)

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MARIO MONTI TIRA UNA FRECCIATONA A DRAGHI, CHE AL MEETING DI RIMINI HA DETTO CHE L’UE È CONDANNATA ALL’IRRILEVANZA: “AUSPICO CHE LE FIGURE PIÙ AUTOREVOLI NON SPARINO CONTRO L’EUROPA, COME SE PER ANNI VI FOSSERO PASSATE ATTRAVERSO SENZA ALCUNA RESPONSABILITÀ”

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

“SIAMO CERTI CHE L’ITALIA ABBIA DAVVERO TITOLO PER LAMENTARSI, DATO CHE SI OPPONE TENACEMENTE AL SUPERAMENTO DEL POTERE DI VETO E PREME SULLA COMMISSIONE PERCHÉ SIA DOCILE VERSO DONALD TRUMP?”

Senatore Mario Monti, a Rimini Mario Draghi e Giorgia Meloni hanno denunciato il rischio che l’Unione europea sia condannata all’irrilevanza. Lo pensa anche lei?
È già caduta nell’irrilevanza, ma non è condannata a restarci. Per uscirne, dobbiamo fare leva su due risorse: la nostra dignità tanti potenziali alleati.
Auspico che le figure più autorevoli non sparino contro l’Europa, come se per anni vi fossero passate attraverso senza alcuna responsabilità per il suo stato attuale. Come Mario Draghi, sostengo da tempo la necessità di maggiori investimenti pubblici, finanziati anche a debito, incluso debito comune.
Ma nella drammatica condizione di oggi, non è ripetendo pur utili ricette economiche che usciremo dalla tenaglia Putin-Trump. E come Giorgia Meloni, mi dispera l’irrilevanza dell’Europa nella politica estera.
Ma siamo certi che l’Italia abbia davvero titolo per lamentarsene, dato che si oppone tenacemente al superamento del potere di veto e preme sulla Commissione europea perché sia docile verso Donald Trump, anche quando il presidente degli Stati Uniti vuole espropriare l’Europa di propri legittimi poteri?».
Lei scrive su Politico che Trump e Vladimir Putin stanno unendo gli sforzi per umiliare l’Europa. C’è un coordinamento fra i due?
«Credo ci siano una reciproca attrazione e una profonda asimmetria. In Trump c’è il desiderio di esibire il potere e minacciare, perché questo nella sua testa e forse nei fatti genera nuovo potere. A Putin interessano i risultati.
L’ego di Putin ha già avuto 25 anni per esercitarsi e lui lo sa gestire con grande attenzione agli obiettivi, non all’autocelebrazione. Non così nel caso di Trump. Il modo di rapportarsi fra i due sull’Ucraina e sull’Europa mostra proprio questo. La trovo una miscela estremamente pericolosa, perché l’elemento che li unisce è non solo l’antagonismo verso l’Europa stessa, ma il disprezzo per essa e la chiara volontà di lottare contro l’integrazione europea.
Lei sul Corriere ha parlato del nazismo e fascismo che – scrive – «stanno tornando». Stanno tornando?
«Ho una preoccupazione generale per l’Europa e una specifica per l’Italia. Vediamo il ritorno di forme di governo autoritarie e il compiacimento per tale ritorno in parti della popolazione.
Mi preoccupa l’accettazione, quando non il desiderio, di superare lo stato di diritto e l’accettazione di una nuova forma di liceità, se non addirittura di dovere, in chi è stato eletto di superare limiti che gli ordinamenti hanno sempre posto al potere esecutivo, come agli altri poteri. Mi sembra che ci sia in giro un interesse e un’ammirazione e un chiedersi se non andrebbe meglio anche da noi in Europa e in Italia, se si togliessero ulteriormente inciampi a chi governa».
È un pericolo così concreto?
«Fino a qualche tempo fa la vedevo come una preoccupazione astratta sul destino delle democrazie liberali. Adesso la vedo avvicinarsi a grandi passi: l’abuso di potere, l’arbitrio, forse la privazione della libertà».
L’America è stata un modello per le democrazie in Italia e in Europa. Teme che sotto Trump diventi un modello autoritario?
«Sì, certo. Il che non significa che la democrazia liberale sia da mitizzare. Ma mi sembra che ci stiamo avvicinando a considerare normale, se non auspicabile, il superamento dello stato di diritto».
È una preoccupazione che riguarda anche l’Italia?
«In Italia teniamo appassionati dibattiti sul quantum di ricusazione del passato, sulle ascendenze fasciste o relative vicinanze. Interessante, doveroso. Ma fuori passo, oggi.
Per la prima volta abbiamo in un grande Paese occidentale, nostro fortissimo e desiderato riferimento, una personalità e comportamenti che si distinguono, tra l’altro, per l’uso della
mascella e la mancanza di senso del ridicolo. C’è un lato positivo: vediamo dal vero cos’è una personalità autoritaria, il suo comportamento reale, il comportamento di chi gli fa schiera intorno. Possiamo, potremmo, prenderne le misure e immunizzarci, quando ancora è possibile».
Vorrebbe che i leader europei, Meloni inclusa, chiarissero che il trumpismo non è il nostro modello?
«Non dobbiamo neanche temere troppo a dire questo. Si tratta di mettere in campo una dignità degli europei e una resistenza contro l’affermarsi della convinzione – in alcuni con soddisfazione, in altri con sgomento – che si vada sicuramente in quella direzione; e che quindi chi sale prima su quel tram starà meglio».
Pensa a un’Europa che tessa una rete con Paesi come il Canada, il Giappone, l’Australia?
«È un lavoro di leadership che spetterebbe all’Unione europea con altri. Da questo punto di vista il Regno Unito, in un certo senso, è già rientrato nell’Unione europea. C’è una fiammella di valori che non abbiamo ancora completamente dismesso. Sparsi per il mondo, nessuno dei Paesi che lei cita è forte come gli Stati Uniti. Ma per quanto tempo gli Stati Uniti procederanno uniti dietro a Trump? ».

(da Corriere della Sera)

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ELLY SCHLEIN ATTACCA: “A RIMINI MELONI SI AUTOCELEBRA MA DIMENTICA IL PAESE REALE”

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

“NON HA MAI CITATO LA SANITA’ PUBBLICA, I DAZI, LA SCUOLA PUBBLICA, I SALARI E LA PRECARIETA’, TUTTO RIMOSSO NEL SUO MONOLOGO SENZA CONTRADDITTORIO”

“Sono stupita. Da tempo la premier comunica con monologhi senza contraddittorio. Discorsi autocelebrativi che negano la realtà. Non ha mai citato la sanità pubblica, i dazi, ha dimenticato la scuola pubblica. Non ha detto una parola su salari e precarietà, quando questa estate un gran numero di italiani non è riuscito nemmeno a partire per le vacanze. Niente, tutto rimosso”. Lo afferma in un’intervista a La Repubblica la segretaria dem, Elly Schlein, commentando l’intervento della premier al Meeting di Rimini.
Meloni, spiega Schlein, quando parla dell’aumento dei posti di lavoro, “dimentica che ciò è dovuto agli investimenti del Pnrr e su cui rivendica primati inesistenti. Perché usa i numeri assoluti
ovviamente siamo i maggiori beneficiari in Ue. Dentro quei dati sull’occupazione c’è troppo lavoro povero e precario. Poi se uno va a vedere nel dettaglio scopre che l’occupazione è aumentata tra gli over 50, mentre i giovani fanno fatica come prima, il 31,5 per cento delle donne occupate lavora in part time contro l’8 degli uomini, e la metà con meno di ottomila lordi l’anno. Part time forzato, perché non trovano di meglio”.
Lavoro più che povero, continua la segretaria del Pd, “Spesso da fame proprio, al punto che si fatica ad arrivare a fine mese”. Insomma, “Meloni sceglie i dati che le convengono e nega gli altri”, ma “l’economia frena, i dazi peggioreranno le cose e ancora non ci ha detto come intende aiutare imprese e lavoro. L’occupazione cresce più del Pil, e non aumentano le ore lavorate: sono dati eloquenti”.
Quanto al piano casa: “Anche qui. Noi sono tre anni che diciamo che c’è un’emergenza abitativa e facciamo proposte, Salvini ha annunciato almeno trenta volte un suo piano casa, ma l’unica cosa che hanno fatto è stato togliere il fondo per l’affitto, 330 milioni per chi rischiava lo sfratto. Il fondo – continua la segretaria – va ripristinato e triplicato e occorre recuperate le case popolari sfitte. Quando ero vicepresidente in Emilia Romagna con un investimento di dieci milioni abbiamo recuperato 730 alloggi in sette mesi. Pensate agli studenti fuori sede: con gli affitti alle stelle si mina il diritto allo studio. E’ un tema enorme. Ma fin qui la destra ha fatto solo condoni”.
Per quanto attiene alla giustizia, e al rapporto con la magistratura, “La strategia – afferma Schlein – prevede un nemico al giorno: giudici, opposizione, l’Europa, la cultura, tutto va bene pure di mascherare le magagne. Vogliono sottoporre la magistratura al controllo dell’esecutivo, come sogna Trump,
perché non sopportano di essere sottoposti alla legge, si credeva al di sopra”.
Quali sarebbero le sue priorità, se fosse al governo? “Due cose, per cominciare. Introdurre il salario minimo, che c’è in ventidue paesi. Com’è noto la nostra proposta la destra l’ha messa sul binario morto, ma la riproporremo. E in secondo luogo intervenire sul costo dell’energia. Disallinearlo da quello del gas, ed impedire così di avere le bollette piu’ care d’Europa. E’ una delle principali ragioni di perdita di competitivita’ delle imprese”.
Meloni fa notare che la stampa internazionale riconosce la stabilità italiana: “Ma è – osserva Schlein – una stabilità fittizia, che si regge su un patto di potere sulle riforme: il premierato a Fratelli d’Italia, l’autonomia differenziata alla Lega, la giustizia a Forza Italia. In realtà litigano su tutto. E hanno umiliato il ministro della Sanità sui vaccini“.
E anche “Su Gaza finora solo parole tardive, niente atti concreti. Non interrompono la collaborazione militare con Israele, sostenendo un governo criminale. A frenare una posizione più netta sono rimasti solo il governo tedesco e italiano. Il nostro governo è ideologicamente subalterno a Netanyahu e Trump”.
Che autunno sarà? “Di lotta. In Europa bisognerebbe subito pensare a mettere in cantiere gli investimenti comuni, altrimenti dopo il Pnrr rischiamo una brusca frenata dell’economia”.

(da agenzie)

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GIORGIA, LA SOLITA CAMALEONTE. AL MEETING DI RIMINI SI È SFORZATA DI SEMBRARE UNA CONSERVATRICE PRAGMATICA MA NON ESTREMISTA, FINCHÉ NON LE È PARTITA LA VENA CON L’ATTACCO SGUAIATO CONTRO I MAGISTRATI

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

VORREBBE CONSOLIDARE UN’IMMAGINE CREDIBILE E DI LEADER CONSERVATRICE”. MA LA SORA GIORGIA, CRESCIUTA A PANE E RISENTIMENTO TRA I SEDICENTI CAMERATI DI COLLE OPPIO, NON CE LA FA

Il tradizionale Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini non è destinato a cambiare il mondo, ma è un indicatore quasi infallibile per capire come si muovono di volta in volta le onde del consenso politico. L’ambiente non è mai ostile, come è logico, ma anche qui c’è una scala del gradimento, misurata con il metro degli applausi e delle ovazioni.
Giorgia Meloni ha ricambiato scegliendo le note giuste per rivolgersi a un pubblico di cattolici moderati, anzi considerati a lungo “di destra” nel dibattito pubblico. Il che spiega qualcosa, ma non tutto del calore con cui la premier è stata accolta.
Lei sapeva chi aveva di fronte e non ha avuto difficoltà a mostrare il suo volto più pragmatico.
Prendiamo ad esempio il tema dell’immigrazione clandestina, cavallo di battaglia del melonismo. Abbiamo ascoltato la solita condanna intransigente degli irregolari, ma anche l’insistenza sull’importanza di canali d’ingresso legali e ben coordinati.
Cl ha di sicuro poco da spartire con la sinistra cattolica delle ong e gli argomenti della premier hanno trovato orecchie attente. Secondo punto: le critiche di Mario Draghi all’irrilevanza dell’Unione europea sono state condivise dalla presidente del Consiglio (“ha ragione”).
Qualcuno si è stupito e invece non c’è troppo da meravigliarsi. Per due ragioni. Primo, perché c’è una differenza. Draghi vorrebbe una maggiore integrazione, purché efficace; Giorgia Meloni viceversa sarebbe favorevole a un rapporto più maturo fra alleati, quindi tra Stati nazionali uniti da vincoli di partnership. Secondo, perché lo spirito di Rimini, quest’anno, andava nel senso di riunire le esperienze delle due figure più significative degli ultimi quattro-cinque anni.
Draghi e Meloni hanno dato la loro impronta a questa stagione: in forme diverse, ma non sempre divergenti. La ricerca di un’intesa euro-americana, una Nato più forte, il sostegno all’Ucraina, il rifiuto di una politica mediorientale che sia ostile a Israele, pur non lesinando critiche a Netanyahu per come conduce le operazioni a Gaza.
Può sembrare strano, dal momento che ormai le responsabilità dell’una e dell’altro non sono paragonabili. Tuttavia a Rimini pare essersi abbozzata un’idea che taglia fuori una sinistra poco affidabile e soprattutto senza voti sufficienti. Ne consegue che s’intravede un ruolo di medio-lungo periodo per una Meloni capace di tenersi il consenso dopo quasi tre anni di governo.
A lei si chiede di rinunciare agli estremismi — anche nel rapporto con Salvini — in vista di consolidare un’immagine credibile e definitiva di leader conservatrice. E a Draghi, che peraltro evita di solito attacchi diretti alla presidente del Consiglio, si propone di ritornare sulla scena italiana o più esattamente europea con il suo riconosciuto prestigio.
È una strada disseminata di ostacoli, naturalmente. Bisogna capire in primo luogo come si assesteranno gli equilibri continentali. Per il momento vediamo il tedesco Merz che si rafforza, anche sul piano militare, e il francese Macron — a lungo il partner preferito di Draghi — che s’indebolisce. Peraltro l’autunno dovrebbe fornire molte risposte a questi e altri interrogativi. Come dice Renzi, che sa essere caustico, Giorgia Meloni “merita dieci in retorica e zero in riforme”. Frase efficace, ma la stabilità italiana è un valore in un’Europa impaurita dalla guerra e resa fragile dalle questioni irrisolte.

(da La repubblica)

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AVANTI UN ALTRO! DONALD TRUMP HA LICENZIATO ANCHE SUSAN MONAREZ, LA DIRETTRICE DEL CENTRO PER LA PREVENZIONE E IL CONTROLLO DELLE MALATTIE, L’ORGANO DI CONTROLLO DELLA SALUTE PUBBLICA USA

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

SI ERA SCONTRATA CON IL SEGRETARIO ALLA SALUTE, IL NO-VAX ROBERT KENNEDY JR … MONAREZ SI È RIFIUTATA DI DIMETTERSI E DOPO LA CACCIATA DIVERSI FUNZIONARI HANNO LASCIATO

Via dai Cdc Susan Monarez. Il licenziamento della direttrice dei Centers for Disease Control and Prevention è stato annunciato dalla Casa Bianca. E diversi funzionari si sono dimessi.
Monarez era arrivata all’incarico meno di un mese fa, ma – ricostruisce il Wall Street Journal che parla di “caos” al vertice dei Cdc – si era scontrata il segretario alla Salute degli Stati Uniti, Robert F. Kennedy Jr, e componenti del suo staff.
“Dal momento che Susan Monarez si è rifiutata di dimettersi nonostante avesse informato i vertici del Department of Health and Human Services delle sue intenzione in tal senso, la Casa Bianca ha licenziato Monarez dal suo incarico nei Cdc”, ha fatto sapere il portavoce della Casa Bianca, Kush Desai.
I legali di Monarez hanno confermato che la loro assistita è stata informata nella notte del licenziamento da un dipendente dell’ufficio del personale della Casa Bianca, ma hanno precisato
che si tratta di una prerogativa del presidente e che per questo motivo non ritengono legalmente valida la notifica.
In una precedente dichiarazione i legali della Monarez affermavano che “quando la direttrice dei Cdc, Susan Monarez, si è rifiutata di approvare direttive poco scientifiche, sconsiderate e di licenziare esperti di sanità, ha scelto di proteggere le persone invece di seguire un’agenda politica”. E “per questa ragione è stata presa di mira”. Al centro dello scontro, la politica vaccinale. Secondo email consultate dal Wsj, tre dirigenti dei Cdc (divisione del Department of Health and Human Services), compresa Debra Houry, hanno rassegnato le dimissioni. “Susan Monarez non è allineata con l’agenda del presidente ‘Making America Healthy Again'”, ha detto il portavoce della Casa Bianca, Kush Desai, in una dichiarazione riportata anche da altri media americani.

(da agenzie)

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L’UNICA DISCESA IN CAMPO CHE È RIUSCITA A PIER SILVIO BERLUSCONI È QUELLA IN GERMANIA, MEDIASET HA VINTO LA BATTAGLIA PER PROSIEBENSAT

Agosto 28th, 2025 Riccardo Fucile

MFE SALE AL 60% DELLA PRIMA TV PRIVATA TEDESCA. LA FINANZIARIA CECA PPF HA GETTATO LA SPUGNA,,, MA NON È ANCORA FINITA: “PIER DUDI” DOVRÀ OTTENERE IL VIA LIBERA “POLITICO” DEL GOVERNO TEDESCO, CHE TEME ESUBERI

La finanziaria ceca Ppf getta definitivamente la spugna e consente così alla famiglia Berlusconi di mettere le mani, con la holding Mfe-Mediaset, su una preda molto ambita: ProsiebenSat.1, prima tv privata in Germania.
In una nota diffusa ieri, nel tardo pomeriggio, il gruppo d’investimento della famiglia Kellner ha fatto sapere che apporterà le proprie 36.539.628 azioni, pari a circa il 15,68% del capitale sociale in circolazione dell’emittente televisiva bavarese all’offerta del Biscione.
«Sebbene l’offerta di Mfe abbia ricevuto solo un’accettazione limitata, Ppf non è riuscita ad attrarre un numero sufficiente di azionisti a sostegno dei propri obiettivi – commentano i cechi spiegando l’operazione -. Con oltre il 43% dei diritti di voto di ProSiebenSat.1, la partecipazione azionaria di Mfe è molto probabilmente sufficiente per garantire la maggioranza semplice in ogni assemblea degli azionisti di ProSiebenSat.1».
La resa dei cechi permette al gruppo, guidato dall’amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi, già in possesso del 43,6% di Prosieben, di salire al 60% della televisione tedesca. Dal punto di vista industriale, Berlusconi corona il sogno di creare di un polo televisivo paneuropeo, con possibili sinergie su tecnologia e produzioni.
Dal canto suo, Ppf diventerà azionista di Mfe con circa il 7% dei diritti economici e il 3% dei diritti di voto e porterà a casa dividendi sostanziosi: nel 2024 la holding di Mediaset ha staccato una cedola di 0,27 euro per azione. Con Cologno monzese al 60% di Prosieben è probabile che Mfe consolidi il bilancio di Prosieben già nel quarto trimestre di quest’anno
Nonostante la ristrutturazione in corso, l’emittente tv tedesca ha però un debito elevato: circa 1,5 miliardi di euro. Nel caso in cui i creditori chiedano il rientro, il gruppo di Berlusconi non si troverebbe in difficoltà visto che può contare su un’abbondante liquidità, grazie al maxi-finanziamento di 3,7 miliardi offerto da un pool di banche italiane ed estere.
L’ultima prova che Pier Silvio Berlusconi deve superare, per chiudere la partita su Prosieben, è l’incontro previsto a inizio settembre con il ministro tedesco dei Media, Wolfram Weimer. Una riunione istituzionale nella sede della cancelleria tedesca, in cui Berlusconi dovrà fugare i timori di Weimer sul fatto che la nuova proprietà possa mettere a repentaglio l’indipendenza dei giornalisti della tv tedesca o i loro posti di lavoro.
Il Biscione ha intanto ottenuto il via libera all’acquisizione di Prosieben dal Land della Baviera che ha una competenza specifica sull’operazione. Tornando ai numeri dell’offerta, l’Ops totalitaria, lanciata a maggio da Mfe, si chiuderà domenica primo settembre, ma i risultati ufficiali saranno comunicati da Bafin, la Consob tedesca, il 4 settembre.
Per quanto riguarda le autorizzazioni è già arrivato il via libera dell’Antitrust Ue e di Baviera, Austria e Svizzera, mentre è atteso per il 3 settembre l’ok anche dell’Antitrust americano perché Prosieben possiede anche una società attiva nel dating online, ParshipMeet, che opera negli Stati Uniti.
In merito alla fusione di Mfe-Mediaset con Prosieben il tema non è al momento in ancora discussione, ma verrà affrontato a partire dal prossimo anno.

(da “La Stampa”)

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