Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP ERA STATO AVVISATO DELL’ATTACCO MA, PUR CONTRARIO, TUTTO QUELLO CHE HA POTUTO FARE È STATO DI SPIFFERARLO ALL’EMIRO DEL QATAR, TAMIN AL-THANI … NETANYAHU AVREBBE IN CASSAFORTE UN RICCO DOSSIER RICATTATORIO SUI SOLLAZZI SESSUALI DI TRUMP, FORNITO ALL’EPOCA DA UN AGENTE DEL MOSSAD ”SOTTO COPERTURA” IN USA, TALE JEFFREY EPSTEIN
Perché il premier israeliano Netanyahu può permettersi di farsi beffa in mondovisione
del presidente degli Stati Uniti?
Ieri, durante un breve scambio con la stampa prima di recarsi a cena in un ristorante vicino alla Casa Bianca, un giornalista gli ha chiesto se Israele gli avesse dato preavviso del raid contro alti esponenti di Hamas riuniti a Doha, e il Trumpone ha risposto “No”. “E ha promesso di rilasciare una “dichiarazione completa” mercoledì (oggi)”, aggiunge l’Ansa.
Il castello di menzogne dell’Idiota della Casa Bianca crolla miseramente davanti al fatto che il Qatar ospita la più grande base americana del Medio Oriente, a Al Udeid. È anche il quartier generale di Centcom, il comando centrale delle operazioni Usa nella regione: dal Levante alla penisola arabica. Può ospitare fino a 120 aerei e una forza di spedizione di 10mila uomini.
E allora: come mai le bombe sganciate via droni sui vertici di Hamas riuniti a Doha sono riuscite a penetrare il sistema antimissilistico Iron Dome (‘Cupola di ferro’) di cui è ben dotata la base americana?
Su, non prendiamoci per i fondelli: Trump era stato avvisato dell’attacco ma, pur contrario a un bombardamento in casa di un
alleato, tutto quello che ha potuto fare il Tycoon è stato di spifferarlo all’emiro del Qatar, Tamim al-Thani.
Ed era ben noto che, dall’orribile assalto del 7 ottobre ad oggi, per tutta la durata della guerra di Gaza, l’emirato del Golfo è stato trasformato nel finanziatore di Hamas, con il consenso di Netanyahu che voleva indebolire il presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), Abu Mazen.
L’erede di Arafat, che ha chiamato i capi di Hamas “figli di cani” chiedendo di “liberare gli ostaggi: centinaia di persone muoiono ogni giorno perché non li volete rilasciare”, rappresenta un nemico per il governo di Tel Aviv, in quanto fautore del principio “Due popoli, due stati”.
Meglio allora rafforzare di soldi qatarini i terroristi di Hamas che vogliono far fuori tutti gli israeliani dalla Palestina. E alcuni analisti si sono domandati, a proposito dell’orribile strage del 7 ottobre: ‘’Possibile che i sofisticatissimi strumenti di intelligence israeliani non avessero intercettato i piani di Hamas?”.
Hanno sottolineando anche un’altra strana coincidenza: la strage è avvenuta proprio il giorno prima dell’attesa firma dell’Accordo di Abramo che avrebbe normalizzato le relazioni tra Israele e Arabia Saudita, indirizzando la secolare contesa palestinese verso la soluzione “Due popoli, due stati”, puro veleno per “Bibi”.
A questo punto, la domanda sbuca spontanea: come mai il presidente della più grande potenza planetaria non è nelle condizioni di comandare su Netanyahu? (Stessa domanda bisognerebbe farla anche sul rapporto di Trump con Putin).
Secondo una teoria complottistica, sostenuta anche dal
movimento Maga, Netanyahu avrebbe in cassaforte un bel dossier ricattatorio su Trump per i suoi presunti rapporti sessuali con giovani donne, fornito all’epoca da Jeffrey Epstein.
L’ape regina del porno-finanziere, Ghislaine Maxwell, pur negando che Epstein lavorasse segretamente per il Mossad, la Cia, l’Fbi, al fine di raccogliere prove con cui appunto ricattare ricchi e potenti, ha ammesso agli inquirenti gli incontri mensili con l’ex-primo ministro israeliano Ehud Barak che avrebbe persino soggiornato da lui a partire dal 2013, incluso un volo privato in Florida nel 2014.
A un certo punto dell’interrogatorio, alla domanda se ha mai avuto contatti con agenti del Mossad, lo spionaggio israeliano, Ghislaine risponde, sibillina: “Non deliberatamente…”.
Del resto: il padre di Ghislaine, l’ebrei askenazita Robert Maxwell (all’anagrafe Ján Ludvík Hoch), morto come Epstein in circostanze misteriose, durante la guerra è stato un agente dei servizi segreti britannici e poi del Mossad.
La leggenda vuole che babbo Maxell avrebbe contribuito al contrabbando del materiale nucleare per la bomba israeliana. “Ha fatto più cose per Israele di quante se ne possano dire”, disse di lui il primo ministro israeliano Yitzak Shamir, durante il suo funerale.
Il Daily Mail ha rintracciato John Kiriakou, ex ufficiale della CIA incarcerato nel 2012 per aver rivelato le tecniche d’interrogatorio con il waterboarding usate a Guantanamo Bay, che ha dichiarato che, a suo avviso, la lista non verrà mai resa pubblica perché conterrebbe informazioni di intelligence estremamente preziose che la CIA non divulgherebbe mai.
‘’Il whistleblower, che oggi lavora per Sputnik – un’agenzia di stampa controllata dal governo russo – ha affermato esplicitamente di ritenere che Epstein, morto “suicida” a 66 anni, fosse al servizio dei servizi segreti israeliani, il Mossad – ed è per questo che la lista non verrà divulgata’’.
“Se sei un servizio di intelligence straniero e vuoi ottenere informazioni da… persone importanti, vuoi ottenere segreti da loro, non li recluterai direttamente.
Perché non hanno bisogno di nulla da te. Non hanno vulnerabilità finanziarie. Quindi fai la cosa migliore successiva: recluti qualcuno che abbia accesso a loro e lo finanzi… e questo qualcuno ha un’isola privata.”
Kiriakou non è l’unico a ritenere che Epstein fosse un agente israeliano che ricattava politici statunitensi: anche l’ex mezzobusto di Fox News, Tucker Carlson, ha fatto la stessa affermazione. “La vera domanda è: perché faceva tutto questo, per conto di chi, e da dove venivano tutti quei soldi?” ha chiesto Carlson, parlando del misterioso patrimonio di Epstein, passato da professore di matematica a proprietario di “diversi aerei, un’isola privata, e la residenza più grande di Manhattan.”
(da Dagoreport)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
I PREZZI DELL’ENERGIA VOLANO, LA PRESSIONE FISCALE È CRESCIUTA AL 42,6% (ALTRO CHE TETTO IN COSTITUZIONE AL 40% COME PROMETTEVA LA MELONI QUANDO ERA ALL’OPPOSIZIONE). MA GLI STIPENDI DEGLI ITALIANI RESTANO FERMI AL PALO: SECONDO L’OCSE L’ITALIA È IL PAESE CHE HA SUBITO IL CALO PIÙ SIGNIFICATIVO DEI SALARI REALI
L’ultimo report ISTAT conferma che l’inflazione continua a pesare sul portafoglio delle famiglie italiane. Nel mese di luglio 2025, i prezzi alla produzione dell’industria sono aumentati dello 0,5% rispetto a giugno, registrando un +1,6% su base annua. Sul mercato interno l’incremento è ancora più marcato: +0,6% mensile e +2,4% rispetto allo stesso periodo del 2024.
I settori più colpiti rimangono quelli che incidono direttamente sulla spesa quotidiana: alimentari e bevande registrano rincari vicini al 4% sui mercati esteri, mentre i mezzi di trasporto aumentano del 4,4%. Anche i prodotti farmaceutici subiscono un incremento del 2,6% sul mercato interno.
Qualche segnale di sollievo arriva dai prodotti petroliferi raffinati, che segnano cali superiori al 7%, e dal comparto energetico, dove l’incremento dei prezzi di elettricità e gas rallenta, passando dal +12,9% di giugno al +7,9% di luglio. Per quanto riguarda le costruzioni, i prezzi rimangono più stabili: +1% annuo per gli edifici, mentre strade e ferrovie non registrano variazioni significative.
Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale di Codici, commenta: “La fotografia scattata dall’ISTAT conferma un quadro
preoccupante: i rincari colpiscono soprattutto i settori che incidono quotidianamente sul bilancio delle famiglie. Se da un lato rallenta la crescita dei costi energetici, dall’altro alimentari e trasporti continuano a correre. Serve l’intervento del Governo e delle istituzioni per calmierare i prezzi, garantire trasparenza nelle filiere e sostenere i consumatori più fragili, che non possono essere lasciati soli in questa crisi”.
(da Da we.sud.it)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
L’AMBASCIATORE STEFANINI: “LA SPIEGAZIONE PIÙ ATTENDIBILE È DI UNO SCONFINAMENTO VOLONTARIO PER TESTARE LA RISPOSTA DELLA POLONIA, DELLA NATO E, FRA LE RIGHE, DI TRUMP”
Come spesso fa, Mosca provoca per assaggiare le reazioni altrui. Anche, e soprattutto,
della Nato o di Paesi Nato. Che, quando vedono violato il proprio spazio aereo, non hanno bisogno di invocare l’Articolo 5 a Bruxelles – non ne avrebbero neppure il tempo. Si difendono subito come ha fatto ieri Varsavia.
Quattro droni abbattuti dalle difese antiaeree polacche sono una goccia nell’oceano dei droni che la Russia vomita ogni giorno sull’Ucraina. Centinaia. 415 nell’ultimo attacco notturno.
I polacchi ne hanno contati 19 sui loro cieli. In aria, come in mare, i confini sono sempre difficili da tracciare, ancor di più da provare. La Russia, ovviamente, sosterrà che non erano entrati
nello spazio aereo polacco.
Errore di navigazione?
Ma, si sa, per Vladimir Putin lo spazio aereo ucraino, orientale, centrale (Kiev), occidentale, è tutt’uno e destinato ad essere un’estensione di quello russo, come ai vecchi bei tempi dell’Unione Sovietica.
Ma la spiegazione più attendibile è di sconfinamento volontario per testare la risposta della Polonia, della Nato e, fra le righe, di Donald Trump. Quella polacca è stata elementare – c’è da augurarsi che qualsiasi Paese europeo vedendo nei propri cieli droni, ormai sempre più arma destabilizzante, prima elimini la minaccia poi si domandi come hanno fatto ad arrivarci. Questo richiede difese antiaeree adeguate – Roma avvertita.
Quella della Nato, per bocca, del Segretario Generale Mark Rutte, che ha fatto stato anche della collaborazione nella sorveglianza di altri alleati, fra cui l’Italia, è stata altrettanto netta e decisa nell’avviso a Mosca.
Trump? Dirà di «essere scontento» di Vladimir – così come ha detto di non esserlo di Benjamin dopo l’attacco israeliano alla sede di Hamas a Doha? O farà (finalmente) qualcosa per mettere sotto pressione Mosca, non solo a parole? Forse le tanto decantate ma finora non messe in atto sanzioni alla Russia
Esprimerà solidarietà a Varsavia e alla Nato? Ieri cieli polacchi Vladimir ha messo alla prova Donald. Vedremo presto con che risultati.
Stefano Stefanini
per lastampa.it
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
L’USCITA DEL BANCHIERE ARRIVA DOPO CHE L’ISTITUTO DI STATISTICA USA HA RIVISTO AL RIBASSO I DATI SULL’OCCUPAZIONE, CON UN CALO DI 911 MILA POSTI DI LAVORO NEI 12 MESI FINO A MARZO
Il ceo di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha affermato che un rapporto del Dipartimento del Lavoro pubblicato martedì ha confermato che l’economia statunitense sta rallentando.
“Penso che l’economia si stia indebolendo”, ha detto Dimon. “Non so se sia in recessione o semplicemente in fase di indebolimento”. Il CEO Jamie Dimon ha affermato che un rapporto del Dipartimento del Lavoro pubblicato martedì ha confermato che l’economia statunitense sta rallentando.
Il dipartimento ha rivisto al ribasso i dati sulle buste paga non agricole per l’anno fino a marzo 2025 di 911.000 unità rispetto alle stime iniziali. Questa stima si colloca al di sopra delle aspettative di Wall Street di un calo dell’occupazione e rappresenta la revisione più significativa in oltre due decenni.
La revisione, che mostra che la più grande economia mondiale ha prodotto molti meno posti di lavoro di quanto previsto, fa seguito a un rapporto che indicava che la crescita dell’occupazione aveva rallentato fino a quasi fermarsi a luglio, creando solo 73.000 posti di lavoro. Il presidente Donald Trump ha licenziato il commissario del Bureau of Labor Statistics il mese scorso, poche ore dopo la pubblicazione di quel rapporto.
Anche i dati di agosto hanno mostrato debolezza, poiché le buste paga non agricole sono aumentate solo di 22.000 unità in quel mese
Gli investitori prestano attenzione alle opinioni di Dimon sull’economia, dato il suo lungo mandato alla guida della più grande banca statunitense per asset in periodi di turbolenza. Tuttavia, ha spesso messo in guardia da rischi che non si materializzano immediatamente.
Dimon ha affermato che JPMorgan è a conoscenza di una vasta gamma di dati relativi a consumatori, aziende e commercio globale. La maggior parte dei consumatori ha ancora un lavoro e spende denaro, a seconda del proprio reddito, ma la loro fiducia potrebbe aver appena subito un duro colpo.
“Ci sono molti fattori diversi nell’economia in questo momento”, ha detto Dimon, citando l’indebolimento dei consumi e i profitti aziendali ancora solidi. “Non ci resta che aspettare e vedere”.
La Federal Reserve “probabilmente” ridurrà il suo tasso di interesse di riferimento nella prossima riunione prevista per la fine del mese, anche se ciò potrebbe “non avere conseguenze per l’economia”, ha affermato Dimon.
(da agenzie)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
“EDOARDO AGNELLI MI CONFESSÒ TUTTE LE SUE SOFFERENZE… RIINA CHE DISSE “CIOTTI? POTREMMO PURE AMMAZZARLO” E IL FACCIA A FACCIA A CORLEONE CON LA MOGLIE DEL CAPO DEI CAPI: “RIINA AVREBBE VOLUTO INCONTRARMI. MA NON SI SAREBBE MAI ABBASSATO A FARMELO CHIEDERE” … “GAZA? COME SI FA A NON PARLARE DI GENOCIDIO?”
Pio Luigi Ciotti. Non tutti sanno che ti chiami Pio. 
«Perché da piccolo c’era chi mi chiamava come i pulcini: “Pio, Pio, Pio…”. Sai come sono i bambini: Pio, pio, pio. Allora lo rifiutai. Oggi è diverso. E quel nonno, che morì quando ero ancora piccolo, ce l’ho dentro. Lui e il suo mulino sul Piave».
Forse perché anche tu non ti fermi mai.
«Così era il mulino. E ti abitui tanto alle pale mosse dall’acqua che, se si fermano, ti svegli di soprassalto. Per il silenzio».
Tanti anni fa ne parlasti a proposito del tuo rapporto col grano, il pane, Cristo, Betlemme…
«Beem, t-lehla “casa del pane”. Quando dico messa e arrivo a quel punto lì (“e prese il pane, gli rese grazie, lo spezzò…”) mi viene in mente il mulino. Sono sempre stato orgoglioso di dire che mio nonno era un “moliner”. Quando glielo espropriarono per fare il bacino artificiale del Cadore che lo avrebbe inghiottito, per lui fu l’inizio della fine. Era la sua vita, quel mulino. Ho la sua foto in camera…».
Anche tuo padre, Angelo, era uno che sgobbava.
«Partì da qui quando aveva 14 anni. E scese col fratello più grande, Adone, per fare il manovale in un cantiere delle ferrovie, a Pizzo Calabro. E da lì a Caulonia. Pensa: questa terra era così povera che a metà degli Anni Venti del ’900 andarono in Calabria! Lo racconto sempre, quando vado giù. Ricordando l’affetto con cui lui parlava di queste donne calabresi così povere e generose con lui, il ragazzino costretto a portare “calderelle”, i blocchi incandescenti di calce viva più grandi di lui. Da lì, finì a Napoli».
E quando arrivarono a Torino?
«Prima tornarono al Nord ma ad Alba. Per un cantiere che
faceva le nuove fogne».
E tu ci finisti dentro. Toni Mira nel libro in uscita oggi col titolo «Vi auguro di essere eretici», sostiene ridendo che fu il battesimo giusto per uno destinato a tirar fuori persone infognate nei problemi…
«Ero un bambino irrequieto. Mia mamma fu costretta a portarmi all’ospedale. Avevo un taglio allo zigomo, lei mi fermò l’emorragia (praticità delle donne) piazzandomi sulla guancia una molletta da bucato».
E finalmente, dopo tanto peregrinare, Torino.
«Vivevamo in una baracca dentro il cantiere che costruiva il Politecnico. Non osavo dirlo, a scuola, che vivevamo in una baracca col pavimento in terra battuta. Solo più tardi abbiamo avuto un appartamento. Eppure mio papà era così grato alla città per averlo accolto che quando morì, a 99 anni, volle essere sepolto lì. Vicino alla mamma. Anche lei era venuta via straziata dal Cadore. Per loro Torino era la città dell’ospitalità».
Tu invece…
«Torino mi ha dato tutto. E io le ho dato tutto quello che potevo. Ma per tutta la vita mi sono rimaste dentro le mie montagne. E son venuto su a Pieve di Cadore per chiedere ai cadorini, quando sarà, di essere riportato qui».
E loro?
«Mi vogliono bene. Adesso poi, scherzi del destino, la sindaca è figlia di una emigrazione diversa. Si chiama Sindi Manushi, fa l’avvocato, i suoi arrivarono con le prime navi cariche di disperati dall’Albania. Pensa un po’, la storia…».
Ricordi anche il calamaio che tirasti alla maestra?
«Mia madre mi aveva arrangiato un grembiule senza il fiocco.
La maestra si spazientì, mi chiamò “montanaro”, io reagii nel modo sbagliato. “Hai fatto male, ma ti capisco”, disse la mamma. Fu difficile, per me, inserirmi a Torino. Anche per questo cominciai giovane a occuparmi degli altri ragazzi, che venivano soprattutto dal Veneto o dal Sud».
L’incontro con Dio?
«Frequentavo la parrocchia Beata Vergine delle Grazie, feci la prima comunione lì. Ricordo una lapide col nome di un ragazzo che abitava nei pressi: Pier Giorgio Frassati. Papa Leone XIV l’ha fatto santo domenica».
Cominciò tutto là, in parrocchia?
«La vita, diciamo, curvò le mie strade facendomi incrociare tante persone. Volevo essere utile. Il primo gruppo lo chiamammo “Gioventù Impegnata”. Un nome segno dei tempi. Non entrai in seminario da bambino. Avevo vent’anni e il vecchio cardinale di Torino Maurilio Fossati decise di sperimentare “vocazioni adulte”. Avevo studiato per diventare elettrotecnico. Non entrai in seminario dicendo: “Farò il sacerdote”. Ma “vado a vedere se può essere un percorso da fare”. Sentivo il desiderio di spendere la mia vita per gli altri».
Farti «mangiare dagli altri», dice chi ti vuol bene e ti implora di non esagerare con gli impegni.
«È la mia vita. Il tempo dell’amore non viene stabilito da chi ama, ma da chi ha bisogno di essere amato. E aiutato. Sono gli altri che mi dettano l’agenda. Non posso dire no».
Alla fine hai preso i voti…
«L’ho detto più volte: avevo bisogno di prendere una sana pedata che mi spingesse dentro. Che mi facesse capire se fosse davvero la strada giusta».
E il cardinale Pellegrino disse ai tuoi ragazzi: «Tranquilli, non ve lo porto via, come parrocchia gli affido la strada».
«E lì nacque il Gruppo Abele. Avevo visto un bellissimo servizio di Sergio Zavoli, “I giardini di Abele” su Franco Basaglia e l’apertura dei manicomi. Il nome Abele non ci metteva dalla parte delle vittime rispetto ai carnefici: in fondo i ragazzi che accoglievamo erano entrambe le cose. Il nome era una risposta alla domanda che Caino pone a Dio nella Bibbia: “Sono forse io il custode di mio fratello?”».
Tu rispondi: sì.
«Esatto. Dovevamo farci carico del problema. Essere “custodi” dei nostri fratelli e sorelle meno fortunati. Stare dalla parte dei poveri. Di chi fa più fatica. E quando parlo di poveri non parlo solo di povertà materiale. Ho conosciuto tante persone coi soldi ma in crisi. Povertà esistenziali che chiedono aiuto».
Pensi a persone come Edoardo Agnelli?
«Anche. L’ho conosciuto. Era un ragazzo gentile e fragile. Con dentro una grande sofferenza. Veniva a parlarmi, mi scriveva lettere di duecento pagine… Qualcuno, non so come, venne a sapere che avevamo questo rapporto e avrebbe fatto carte false per avere un memoriale. Non ne parlammo mai. Proprio perché, per noi, era solo un giovane in difficoltà. Che aveva più diritto ad essere protetto».
E l’Avvocato?
«Per lui era un sollievo sapere che il figlio, che viveva in un mondo tutto suo, aveva questo rapporto con noi. Sapere che ogni tanto mi invitava a pranzo lo rassicurava. La solitudine può schiacciare».
Ne ho viste tante, di persone che in silenzio hanno preso coscienza del male fatto ad altri e a se stessi. Conversioni vere». Anche nella ’ndrangheta?
«In questo momento, in questo momento! Anche nella ’ndrangheta, sì. Pensa alla rivolta in questi anni di tante donne che dicono basta».
Non la moglie di Totò Riina Ninetta Bagarella, stando alla testimonianza di quando l’hai incontrata…
«Aveva chiesto di vedermi, la vidi in gran segreto a Corleone. Mi disse: “Parrino, sono cresciuta nell’Azione Cattolica”. Risposi: “Anche io signora ma abbiamo preso strade diverse”. “Sa, preghiamo tanto”. “Forse io un po’ di meno, signora, ma ho sempre pensato che la preghiera è tradurre le parole in fatti…”».
Sapevi che suo marito aveva detto a un compagno di cella «Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzarlo»?
«Quella intercettazione in carcere non era stata ancora pubblicata. Non lo sapevo io, non lo sapeva lei. Era preoccupata per il marito in galera e per i figli. Capii che era stato lui a suggerirle di chiedere l’incontro: “Cerca il parrino”. Avrebbe voluto incontrarmi. Ma non si sarebbe mai abbassato a farmelo chiedere».
Nel libro con Toni Mira c’è la tua delusione per come sta andando con la scomunica dei mafiosi.
«Per papa Francesco la scomunica aveva una funzione medicale: inchiodare le persone alle proprie responsabilità. La Chiesa non ti butta fuori: vuole spingerti a cambiare. Ti offre la possibilità di rimediare al male fatto. L’obiettivo resta la conversione».
Però la scomunica pare arenata…
«Ci sono difficoltà. Speravamo che dopo l’incontro di Francesco a Roma coi familiari delle vittime e l’intervento a Sibari in cui
denunciò “l’adorazione del male” invocando la scomunica si parlasse infine un po’ di mafia nella dottrina sociale della Chiesa, nel catechismo, nel diritto canonico…».
Invece, hai detto, «qualcuno in Vaticano ci ha frenati».
«Ripeto: volevamo incontrare Francesco per sottoporgli le nostre preoccupazioni. Non ci siamo riusciti…».
Ma c’è ancora, la mafia? Non pare più un tema centrale.
«Certo che c’è ancora la mafia. E ci sono i mafiosi. Anche perché l’ultima mafia è sempre la penultima. Nel codice genetico dei mafiosi c’è un imperativo: rigenerarsi. Si rigenerano, loro. Tocca a noi, noi società civili, associazioni, movimenti, rigenerarci».
La corruzione?
«Lo dico anche nel libro: mafia e corruzione vanno a braccetto. Certo, le mafie sono cambiate, non sono più quelle della stagione delle stragi. Ma mai come oggi sono saldate».
Sempre convinto che il ponte di Messina «unirà due cosche»?
«Detta così è una forzatura. Ma insisto: c’è il rischio che invece che unire due coste possa unire due cosche. Ci sono storie, testimonianze, documenti che dimostrano questo rischio. Ridicolizzarlo può essere pericoloso».
Gian Carlo Caselli ha detto che il tuo «capolavoro» è stata la legge sulla confisca dei beni mafiosi: quanti miliardi avete recuperato?
«Noi? È lo Stato che con quella legge votata dalle Camere grazie al milione di firme raccolte, ha recuperato aziende, terreni, credibilità…
Noi con Libera gestiamo solo una parte minore di questi beni».
È per quella legge che sei sotto scorta da decenni?
«Avevo già avuto problemi prima che nascesse Libera. Tutto iniziò quando capii che ogni morto di droga era un morto di mafia. Quello era il nodo: il traffico di droga. Fu allora che la prefettura di Torino mi avvertì che c’erano state delle intercettazioni telefoniche e c’era rischio che qualcuno…».
Sei un eretico, come provoca il titolo del tuo libro?
«È preso da una mia lettera: “Vi auguro di essere eretici. / Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. / Eretico è la persona che sceglie e, / in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità…».
È questo il senso di questi ottant’anni?
«Sì. Io sono una persona cosciente, non è un modo di dire, delle mie fragilità».
E l’Italia? È cosciente delle sue fragilità?
«Non so. Vedo crescere l’individualismo, i personalismi. Io, io, io… Mi preoccupa l’indifferenza, la superficialità. Al centro non c’è più l’ecosistema ma l’“Ego-sistema”. Non solo da noi.
Ci sono cinque persone (cinque!) che in questi momenti di grande conflitto, guerre, genocidi, fragilità, hanno guadagnato negli ultimi tempi il 114% in più dei loro capitali. Cinque in tutto il mondo. Mentre cinque miliardi di persone già povere stanno peggio. Serve una riflessione. Forse non c’è mai stata tanta corruzione nel mondo. Basta vedere come Trump intende la trattativa. Questi si sentono padroni del mondo. Si sentono immortali».
È la tesi di Mattarella: con i potentati del Web sono tornate le Compagnie delle Indie.
«Vedo tre grandi fratture. La prima è il disordine geo-politico e le guerre in atto. La seconda le disuguaglianze e la crisi sociale,
con la forbice che si allarga sempre di più. La terza: in un pianeta ormai ai limiti c’è una tecnologia che non ha un timone. Il cambiamento climatico non è una minaccia futura: è la realtà. Oggi.
Ma c’è anche una crepa tecnologica: i nostri dati sono la nuova materia prima usata per influenzare i nostri comportamenti. C’è una crisi della verità. Non è più l’etica a stabilire i limiti del fare, ma la potenza della tecnica».
Hai citato i genocidi: parli di Gaza? È ustionante il dibattito sull’uso della parola…
«Scusa: come si fa a non parlare di genocidio? Quando vedi bombardare ospedali, scuole, tendopoli? Uccidere decine di giornalisti che raccontavano quello che succede? Se non è un genocidio certo sono stati creati tutti gli strumenti perché questo avvenga».
C’è chi dirà: occhio, rischi l’antisemitismo…
«Sarebbe assurdo. È una vita che mi batto contro ogni razzismo. E non sono equidistante. Sono “equivicino”: ho a cuore sia il diritto di Israele ad esistere sia il diritto dei palestinesi a non essere annientati. Non possiamo tacere. Come non possiamo tacere sulla prigionia in Venezuela, da mesi, di Alberto Trentini. Vedo troppi silenzi. Troppe prudenze, troppi compromessi, troppe mezze parole… E non ne posso più, delle mezze parole…».
(da Corriere della Sera)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
LA “ZARINA DI VIA ARENULA” SOSTIENE DI NON AVERE SOTTOPOSTO AL GUARDASIGILLI LA BOZZA DI PROVVEDIMENTO CHE AVREBBE CONSENTITO DI CONVALIDARE L’ARRESTO DEL GENERALE LIBICO. PER I GIUDICI DEL TRIBUNALE DEI MINISTRI UNA TESI “CONTRADDITTORIA”, VISTO IL FLUSSO CONTINUO DI INFORMAZIONI TRA BORTOLOZZI E NORDIO … NON TORNANO NEANCHE LE DICHIARAZIONI SULLA TEMPISTICA E SULL’USO DELL’AEREO DI STATO PER RIPORTARE A TRIPOLI ALMASRI
Come all’inizio di questa storia, quando il procuratore della Repubblica di Roma Francesco Lo Voi trasmise al Tribunale dei ministri l’esposto contro la premier Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, è ancora un atto dovuto dello stesso magistrato a riaccendere conflitti e polemiche tra l’amministrazione della giustizia e la politica
Perché dopo la denuncia del Tribunale sulla «versione
inattendibile e anzi mendace» da lei fornita sulla vicenda Almasri, difficilmente il procuratore Lo Voi poteva fare altro che iscrivere il nome di Giusi Bartolozzi sul registro degli indagati.
Per un reato commesso il 31 marzo scorso, quando fu sentita come testimone dallo stesso Tribunale. Che non ha contestato alla capo di Gabinetto di Nordio l’omissione di atti d’ufficio e il favoreggiamento di Osama Almasri in concorso con il ministro (ipotesi per cui avrebbe dovuto sottoporre anche la sua posizione al vaglio della Camera) bensì alcune presunte «false dichiarazioni».
Secondo le tre giudici che compongono il collegio, sono almeno quattro le circostanze da cui si evince che Bartolozzi ha mentito durante l’inchiesta. Soprattutto quando ha sostenuto di non avere sottoposto a Nordio la bozza di provvedimento preparata dal Dipartimento affari di giustizia che avrebbe consentito di convalidare l’arresto ed evitare la scarcerazione del generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale.
«Un mero esercizio tecnico», l’ha definito Bartolozzi, di cui non gli avrebbe nemmeno parlato, perché il ministro doveva valutare «un quadro molto più complesso».
Per i giudici questa versione «è intrinsecamente contraddittoria» visto il flusso continuo di informazioni tra la capo di Gabinetto e il Guardasigilli su «ogni cosa che arriva… noi ci sentiamo almeno quaranta volte al giorno, immediatamente», come riferito da lei stessa.
«In secondo luogo — prosegue il Tribunale — è logicamente insostenibile che si sia arrogata il diritto di sottrarre al ministro, che le aveva prospettato la necessità di studiare le carte, un elemento tecnico da valutare e tenere in considerazione ai fini
della decisione da assumere».
Il terzo punto riguarda i tempi della decisione che Nordio doveva prendere sul destino di Almasri, lasciati scadere nonostante la sollecitazione della Procura generale di Roma e provocandone la liberazione.
Secondo la capo di gabinetto «noi stavamo lavorando… Prima che il ministro si determinasse è arrivata la comunicazione della scarcerazione… Le implicazioni erano notevolissime… c’era purtroppo la domenica di mezzo… il tempo era talmente stretto che è stato un battibaleno… L’arresto non aveva termini, date, scadenze… Noi non ci siamo mai posti il problema dei termini , né le colleghe mi hanno mai detto “scade, non scade”… almeno con me no… Pensavamo di avere più tempo, e invece è andata come è andata».
Queste dichiarazioni, denuncia il Tribunale, «risultano smentite da quella della dottoressa Guerra (direttrice generale degli Affari internazionali e cooperazione giudiziaria, ndr ) che ricordava espressamente di aver parlato del problema dei termini da rispettare». E la dottoressa Lucchini «le aveva informate che l’udienza della Corte d’appello era fissata al 21 gennaio».
L’ultima presunta bugia della capo di Gabinetto riguarda le decisioni sul rimpatrio del libico, fatto con un aereo di Stato a disposizione dei servizi segreti. Bartolozzi ha testimoniato che nelle riunioni riservate a cui lei ha partecipato, tenute con Palazzo Chigi e i vertici della sicurezza, «mai si era affrontato il tema del “dopo”, e in particolare del come Almasri sarebbe andato via nel caso l’arresto non fosse stato convalidato».
Tuttavia «gli altri partecipanti» hanno riferito che in quegli incontri si discusse anche di questo, oltre che delle questioni
giuridiche sulla legittimità dell’arresto, «convenendo altresì, in tali riunioni, sulla necessità/opportunità di espellerlo e rimpatriarlo tramite volo Cai» cioè la compagnia aerea dei Servizi.
Queste considerazioni del Tribunale dei ministri hanno portato all’iscrizione di Bartolozzi sul registro degli indagati, a cui secondo il codice il pubblico ministero deve provvedere «immediatamente», purché in presenza di «un fatto determinato e non inverosimile», riconducibile a un’ipotesi di reato.
(da Corriere della Sera)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
COME E’ NATA LA PROTESTA DI OGGI IN FRANCIA
Bloquons tout, Blocchiamo tutto, è la nuova frontiera della protesta senza bandiere.
Debutta oggi in Francia e compie un ulteriore passo avanti verso la smaterializzazione della politica: non ha capi riconoscibili, non ha divise come i vecchi Gilet Gialli, non nasce contro specifici provvedimenti come successe nel 2018 per l’aumento dei carburanti. Persino le sue origini sono avvolte dalla nebbia. Sono mesi che la stampa di Parigi cerca di venirne a capo: chi sono, da dove vengono, come ce l’hanno fatta?
La pista principale porta a un canale della messaggistica Telegram, Les Essentiels, che nel maggio scorso fu il primo pubblicare l’invito a fermare la Francia il 10 settembre. Solo 170 iscritti fino ad agosto, poi l’escalation su Tik Tok e Youtube. Un secondo gruppo, Indignamoci, si è manifestato il 15 luglio, subito dopo le misure di austerity annunciate da François Bayrou: più politicizzato a sinistra, ha dilagato in parallelo all’originale con l’effetto collaterale di tagliar fuori la destra dall’adesione alle manifestazioni.
Il contatore ha cominciato a correre davvero due settimane fa. Oltre venti milioni di visualizzazioni per i contenuti dedicati su Tik Tok, settantamila conversazioni al giorno su X, cinquemila e più pagine a tema su Facebook, bot che generano oltre mille tweet al giorno. È così che il movimento si è fatto bolla, e la bolla ha sottomesso un pezzo della politica francese. La sinistra di Jean-Luc Mélenchon è stata svelta ad accodarsi, con il suo leader che si è offerto come generoso patrigno per un’insurrezione apparentemente senza padri. Il sindacato, pur di non restare indietro, ha aderito al blocco con numerose sigle a cominciare da quella dei ferrovieri: loro sì in grado di bloccare tutto.
Il resto si capirà oggi, e vai a vedere se sarà il colpo di grazia per l’arcinemico Emmanuel Macron, l’atto finale del suo precipitare nel consenso – lo bocciano il 77 per cento degli elettori – e la fine delle sue ambizioni di leadership europea. Oppure, al contrario, una insperata “chance” di proporsi come argine al disordine che rischia di travolgere la Francia, l’incentivo che mancava ai partiti per trovare un accordo di governo che resista almeno fino alle Presidenziali del 2027.
La riuscita della giornata (che prevede altre forme di boicottaggio, compreso il ritiro in massa di contante per mandare
in crash le banche) ci darà anche il responso sulla nuova frontiera aperta da Bloque Tout. Non più partiti, ed era scontato. Ma neppure movimenti, neppure reti associative, neppure capipopolo-influencer alla Coluche o alla Beppe Grillo. Al loro posto, anonime bolle social che si auto-alimentano con estrema rapidità, capaci di condizionare i partiti e persino realtà strutturate come i sindacati tradizionali per condurle verso forme estreme di lotta.
Oggi la bolla si manifesterà in carne e ossa sulle piazze francesi. Li vedremo, finalmente, li conteremo e li ascolteremo. Si capirà che cosa rappresentano: una giornata di ribellione generata da una fase di crisi del sistema, o la prima la manifestazione di un nuovo modello, il debutto di una web-politik senza riferimenti riconoscibili a cui basta un buon titolo – Bloquons tout lo è – per generare tempesta.
(da lastampa.it)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO L’ANNUNCIATA MANOVRA “LACRIME E SANGUE” LE PROTESTE IN PIAZZA
Sono salite a “circa 290” le persone identificate in tutta la Francia per la giornata di proteste. Di queste 34 sono state fermate. Numerosi gli incidenti e i tafferugli in tutto il Paese fra manifestanti e polizia. Sono 171 le persone identificate a Parigi e nel suo hinterland. Nella capitale, interventi della polizia con lancio di lacrimogeni davanti ad alcuni licei, già diventati i punti più caldi della protesta.
Auto incendiate e tafferugli tra agenti e manifestanti anche a Rennes, Nantes, Lione e Tolosa. Per Retailleaul, “la protesta non ha nulla di una protesta civica. È stata snaturata, accaparrata e confiscata dall’estrema e dall’ultra sinistra”.
Strade bloccate, negozianti costretti a barricarsi nelle proprie attività, manifestazioni e scuole chiuse: è la protesta del movimento “Blocchiamo Tutto”, indetta per esprimere la rabbia sociale nel mezzo di una crisi politica in cui da settimane è piombata la Francia con il governo sfiduciato dal Parlamento dopo l’annunciata manovra finanziaria “lacrime e sangue”
Protagonisti della manifestazione anche gli studenti che hanno fatto proprio lo slogan “Tassate i ricchi”. Molti negozianti hanno barricato le proprie attività con pannelli di legno per timore di attacchi vandalici e saccheggi.
Tra gli altri leit motiv dei manifestanti anche slogan pro palestina. Nel mirino delle proteste anche l’azienda Eurolinks, con sede a Marsiglia, oggetto di una denuncia da parte della Lega per i diritti umani per complicità in crimini contro l’umanità nell’ambito del conflitto israelo-palestinese. L’azienda fornisce componenti militari e maglie per mitragliatrici a un’importante azienda di armi israeliana.
Il fallimento del Macronismo
La mobilitazione cittadina “Blocchiamo Tutto” si verifica poche ore dopo la nomina alla carica di primo ministro di Sebastien Lecornu, al posto di Bayrou. Lecornu intende proseguire oggi le ‘consultazioni’ avviate ieri. Lo riferiscono i media francesi. L’ex premier Gabriel Attal sara’ ricevuto all’Hotel de Matignon nel primo pomeriggio, dopo il passaggio di consegne con Francois Bayrou, hanno fatto sapere fonti vicine a Lecornu, sottolineando il “desiderio” del neo-premier di “desiderio di non perdere tempo”.
Tuttavia è alto il malcontento contro il presidente Macron: oltre 80 deputati hanno firmato una mozione per la destituzione del presidente della Repubblica depositata ieri all’Assemblea Nazionale. E tra otto giorni, il 18 settembre, è stata già indetta una mobilitazione sindacale nazionale.
Il Louvre chiude alcune sale, a Marsiglia sventata un’intrusione in un centro commercial
A Parigi il Museo del Louvre ha annunciato che “a causa di un
movimento sociale, alcune sale sono eccezionalmente chiuse”. Il Museo Delacroix invece è chiuso al pubblico. “I rimborsi dei biglietti saranno automatici”, riporta l’ente su X.
A Marsiglia la situazione è ancora più calda. I manifestanti, secondo i sindacati, sarebbero almeno 80mila. Verso mezzogiorno, la polizia ha utilizzato gas lacrimogeni per disperdere un cordone che si era staccato dal corteo. Secondo quanto riporta l’Afp, ci sarebbe stato un “tentativo di intrusione” in un centro commerciale.
Gentiloni: “Ecco il paradosso francese”
Critico contro Macron anche l’ex premier e commissario Ue, Paolo Gentiloni che in un’intervista a La Stampa descrive la crisi francese come la “crisi del modello del premierato. “I problemi sono strutturali – va avanti Gentiloni – e di lungo periodo: la Francia ha la spesa pubblica al 57 per cento, la più alta dei quaranta Paesi Ocse, il limite dell’età pensionabile è a 64 anni, fra i più bassi del mondo, e il debito cresce”.
“La Francia è stata pioniera nella crescita dell’estrema destra nazionalista – argomenta Gentiloni – L’originalità e il paradosso francese è che per un certo periodo Macron ha portato la Francia a riforme e posizioni molto illuminate: penso all’emergenza Covid, alle riforme europee, l’atteggiamento verso la crisi ucraina. Ma con il passare degli anni il sogno macroniano ha prodotto la realtà della cancellazione del bipolarismo storico. Prima c’erano destra e sinistra repubblicane, ora di quegli schieramenti sono rimaste solo le macerie: da una parte l’estrema destra nazionalista, dall’altra Mélenchon. La domanda è: una destra e una sinistra tradizionale saranno in grado di ricostruirsi?”
“Quello che non ha funzionato è l’idea di poter riassumere destra e sinistra moderne nel proprio movimento. Quell’idea è sfumata dopo qualche anno”.
Per Gentiloni, la prospettiva che il partito di Marine Le Pen abbia la meglio alle presidenziali del 2027 “è una minaccia per l’Europa, e i ragionamenti della destra europea incrociano quelli dell’America di Trump”. “Il vero bersaglio della destra populista resta l’Unione, anche se in modo diverso rispetto a dieci o quindici anni fa”, conclude.
(da agenzie)
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Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
NELLE SCORSE SETTIMANE, IN UN PLICO ANONIMO INVIATO AI GIORNALI COCCI, ASTRO NASCENTE DELLA DESTRA PRATESE, VENIVA ACCUSATO FALSAMENTE DI PARTECIPARE A ORGE, FARE USO DI DROGHE E DI APPARTENERE ALLA MASSONERIA
L’ex consigliere comunale di Prato Claudio Belgiorno e Andrea Poggianti, vice presidente
del Consiglio comunale di Empoli (il primo di Fratelli d’Italia, il secondo uscito da FdI nel febbraio dell’anno scorso), sono indagati nell’inchiesta sulle minacce anonime ricevute dall’ex consigliere comunale di Prato Tommaso Cocci e dai vertici regionali e nazionali di Fdi. Lo rende noto oggi, 10 settembre, il procuratore Luca Tescaroli, che ha disposto perquisizioni nei confronti dei due esponenti politici.
La Procura spiega che si procede per i reati di concorso continuato nei delitti di diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite senza il consenso dell’interessato (revenge porn) e diffamazione nei confronti di Tommaso Cocci.
L’ipotesi accusatoria è che Belgiorno e Poggianti, avendo ricevuto o comunque acquisito immagini sessualmente esplicite, tra cui una foto di Cocci senza veli, le abbiano poi inviate agli esponenti del partito e ai giornali insieme ad affermazioni ritenute diffamatorie sulla presunta partecipazione di Cocci a festini hard e sulla sua presunta assunzione di sostanze stupefacenti.
(da il Tirreno)
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