Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
“NON C’È AUTODIFESA CHE POSSA GIUSTIFICARE L’UCCISIONE DI DECINE DI MIGLIAIA DI PERSONE. L’ANTISEMITISMO NEL MONDO ESISTE COME ESISTONO L’ISLAMOFOBIA, LA GIUDEOFOBIA, L’OMOFOBIA, LA XENOFOBIA, MA ISRAELE L’HA TRASFORMATO IN UN’ARMA PER IMPEDIRE A CHIUNQUE DI CRITICARE” … “CIÒ A CUI ASSISTIAMO È LA PULIZIA ETNICA DEI PALESTINESI PER REALIZZARE CIÒ CHE NON È STATO FATTO NEL 1948”
Avraham Burg è stato a lungo ai vertici della politica israeliana prima di ritirasi: ex presidente della Knesset, ha diretto l’organizzazione sionista mondiale e l’Agenzia Ebraica per Israele.
Ad agosto lei lanciò l’idea di una denuncia collettiva contro il governo israeliano alla Corte Internazionale di Giustizia per crimini contro l’umanità. Perché?
«Si discute molto sul fatto se a Gaza siano in corso crimini contro l’umanità, atrocità, genocidio. Moralmente parlando, quello che accade è sbagliato, non ho bisogno di un tribunale per dirlo.
Ma sono devoto a, e impegnato per, l’universalità della giustizia e non c’è politica, non c’è autodifesa che possa giustificare l’uccisione di decine di migliaia di persone. Se sei un criminale come Slobodan Milosevic, o un tiranno come Putin, dovi essere
portato in tribunale. E se sei ebreo e israeliano e ti chiami Netanyahu non hai esenzioni, anche tu vai in tribunale».
C’è chi sostiene che questo genere di discorsi alimentino l’antisemitismo
«L’antisemitismo nel mondo esiste come esistono l’islamofobia, la giudeofobia, l’omofobia, la xenofobia, parte di una tendenza più diffusa all’odio alimentata da politici come Trump e Netanyahu. Ma lo Stato di Israele, anche prima di Netanyahu, ha trasformato l’antisemitismo in un’arma per impedire a chiunque di criticare.
Se dico che è sbagliato negare i diritti democratici naturali di milioni di persone perché sono palestinesi, divento Hitler? Che tipo di cinica negazione dell’Olocausto è questa
Qualunque cosa Israele abbia fatto ai palestinesi nei cento anni di conflitto, non giustifica i crimini contro l’umanità che Hamas ha compiuto il 7 ottobre; e qualunque cosa Hamas abbia fatto il 7 ottobre non giustifica ciò che Israele fa a Gaza».
Perché Netanyahu non si ferma e va avanti con la guerra?
«Ciò a cui assistiamo oggi è l’attuazione calcolata della politica dell’estrema destra che vorrebbe realizzare ciò che non è stato fatto nel ‘48, la pulizia etnica dei palestinesi, e sfruttare l’opportunità per attuare una politica religiosa, messianica ed escatologica, che significa conquistare la Terra Santa».
Sentiamo parlare di migrazione volontaria, riviere di Gaza: qual è il progetto?
Vogliono impedire la creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania. E Gaza è la prima linea della Cisgiordania. La chiave per il futuro della regione è nelle mani degli elettori
israeliani che devono rimuovere Netanyahu alle urne, il peggior leader che il popolo ebraico abbia mai avuto».
Tempo fa disse di capire i ragazzi palestinesi che vivono sotto occupazione e decidono di attaccare l’occupante. Ne è ancora convinto?
«Se si accetta il concetto di Woodrow Wilson sul diritto all’autodeterminazione si ha anche il diritto di opporsi a qualsiasi tipo di occupazione. Ma nella ribellione per la propria indipendenza ci sono limiti. Israele per autodifesa non può oltrepassare certi limiti, ad esempio la pulizia etnica. E i palestinesi o Hamas non possono oltrepassare il limite dei crimini contro l’umanità».
La strada per arrivarci è il riconoscimento dello stato palestinese, come dice il presidente francese Emmanuel Macron?
«Lo Stato è sempre stata la carota che tutti agitavano davanti al naso del coniglio palestinese per continuare a farlo correre, senza nessuna intenzione di realizzarlo. Macron dice: invece di mettere lo Stato palestinese alla fine del processo, facciamo che sia il punto di partenza. Da oggi in poi israeliani e palestinesi si parleranno da pari, non come un soggetto e una massa. È una mossa brillante».
(da La Repubblica)
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
DIETRO IL GESTO C’È LA GRATITUDINE PER LE INTERVISTE SDRAIATE CHE LA 58ENNE DI ORIGINI ITALIANE HA FATTO ALLA SORA GIORGIA? – IL MESSAGGIO AI CONSERVATORI A STELLE E STRISCE: L’ITALIA SOSTIENE CHI SI SCHIERA CON TRUMP. UN RICONOSCIMENTO CHE SA DI POLITICA, DI SPETTACOLO E DI STRATEGIA
Un regalo spedito Oltreoceano, senza dazi né dogane. Non per Donald Trump, ma
quasi. Sul biglietto – per l’occasione inserito nel comunicato di Palazzo Chigi che ne dà annuncio – c’è infatti il nome di una delle sue cantrici più fedeli: Maria Bartiromo.
Il governo italiano ha proposto al Presidente della Repubblica di riconoscere la cittadinanza «per meriti speciali» alla giornalista di Fox News, paladina dei repubblicani più oltranzisti e fedele sponda del tycoon anche nelle ore folli del 6 gennaio a Capitol Hill.
Nipote di immigrati di Agrigento e Nocera Inferiore, Bartiromo è cresciuta a Brooklyn tra tavoli e fornelli del ristorante di famiglia, il “Rex Manor”, prima di scalare le vette della notorietà televisiva. Da CNN a CNBC, fino alla consacrazione a Fox News, dove la 58enne è ora volto di punta e intervistatrice dei più importanti politici che sbarcano negli Usa.
Giorgia Meloni, ad esempio, l’ha incontrata due volte negli ultimi anni. Dietro il gesto dell’esecutivo, certo, c’è l’omaggio alle radici italiane e il «contributo significativo» ai rapporti
Roma-Washington offerto da Bartiromo. Ma – tra le righe – pare esserci anche un messaggio sottile ai conservatori a stelle e strisce: l’Italia sostiene chi si schiera accanto al tycoon. Un riconoscimento che sa di politica, di spettacolo e di strategia.
(da La Stampa)
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
LA GIORNALIERA FIGURA DI MERDA, I VERTICI DEL COMITATO OLIMPICO METTENO PER ISCRITTO IL LORO DISAPPUNTO ALLA MELONI
La presidente del Cio Kirsty Coventry: «Non ho conosciuto personalmente nessun membro del governo italiano o del ministero dello sport ma ci saranno degli incontri»
Una lettera in cui si esprime «disappunto» per non aver incontrato in questi giorni esponenti del governo italiano è stata inviata – secondo quanto riporta l’ANSA in ambienti olimpici – dai vertici del Cio al ministero dello Sport. A Milano si è appena svolta la conferenza stampa di chiusura del Comitato Esecutivo del Cio con la presidente Kirsty Coventry, nella quale ha affermato di «non vedere l’ora di conoscere i risultati degli
incontri» in programma «la prossima settimana».Ieri la presidente del Cio Kirsty Coventry ha visitato il Villaggio Olimpico di Milano. Ad accompagnarla in delegazione, tra gli altri, la star del nuoto Federica Pellegrini, Valentina Marchei, ex pattinatrice artistica su ghiaccio, Giovanni Malagò e Andrea Varnier, ovvero presidente e ceo di Fondazione Milano Cortina 2026 e Christophe Dubi, direttore esecutivo del Cio. Ma ad accogliere il gruppo sembra, secondo la missiva, non ci sia stato nessun esponente da Palazzo Chigi. Uno sgarbo che ha irritato ambienti olimpici.
Coventry: «Non ho conosciuto nessuno del governo o del ministero dello sport»
«Non ho conosciuto personalmente nessun membro del governo italiano o del ministero dello sport. I membri del Comitato Esecutivo avranno incontri con loro nella settimana prossima. Non vedo l’ora di conoscere i risultati. Ma abbiamo avuto ottime comunicazioni nella scorsa settimana», ha poi dichiarato il presidente del Cio, Kirsty Coventry, durante la conferenza stampa dopo la riunione del Comitato Esecutivo svolto a Milano. «Ho invece incontrato il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana: mi ha colpito il loro entusiasmo».
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
“FERITE, SFIDUCIA, RANCORE E ODIO RESTERANNO A LUNGO” E DESCRIVE LA SOCIETÀ ISRAELIANA COME IN “UNA BOLLA”: “OGGI LA MAGGIORANZA DELLA POPOLAZIONE È STANCA DI QUESTA GUERRA, MA QUESTO NON SIGNIFICA CHE CHI VUOLE LA FINE DELLA GUERRA VOGLIA LA PACE DEI PALESTINESI E LA FINE DEL CONFLITTO”
«Il desiderio della fine della guerra c’è. Credo che oggi la maggioranza della
popolazione sia stanca di questa guerra, ma questo non significa che chi vuole la fine della guerra voglia la pace dei palestinesi e la fine del conflitto».
A parlare è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, che è intervenuto ospite al Festival di Open, che si è inaugurato oggi a Parma. Un ragionamento lucido e amaro, insieme all’editore del giornale Enrico Mentana e al direttore Franco Bechis: «Sono due cose abbastanza diverse. Gli israeliani vogliono la fine della guerra perché ci sono troppi morti, perché c’è grande stanchezza. Ma questo non significa che ci sia un desiderio di soluzione del conflitto».
Per Pizzaballa, il conflitto israelo-palestinese non si esaurirà con la fine delle ostilità: «Anche se finisse oggi, non sarebbe comunque la fine. Le conseguenze le pagheremo ancora per moltissimo tempo: ferite, sfiducia, rancore e odio resteranno a lungo».
Il cardinale ha raccontato le difficoltà quotidiane della sua comunità a Gerusalemme, nel cuore della città vecchia, dove i combattimenti si avvicinano sempre di più: «L’ultima volta che siamo riusciti a portare aiuti è stato quasi un mese fa: 10.000 pacchi alimentari e, per la prima volta da febbraio, frutta e verdura, 200 tonnellate. Abbiamo raggiunto 10.000 famiglie». La mancanza non è solo quantitativa ma anche qualitativa: «Senza proteine, frutta e vitamine, la malnutrizione diventa un problema gravissimo».
Secondo Pizzaballa, gli eventi recenti sono l’esito di un processo lungo decenni: «Il 7 ottobre è frutto di anni di polarizzazioni cresciute nel tempo. L’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 era
già segno di un pensiero radicalizzato che poi si è sviluppato, fino a entrare nelle istituzioni. Dall’altra parte è avvenuto lo stesso. L’incapacità di costruire fiducia e di sviluppare un linguaggio inclusivo ci ha portato al disastro di oggi».
Il patriarca ha poi descritto una società israeliana divisa: «A Tel Aviv c’è una coscienza diffusa di quanto sta avvenendo, soprattutto tra il ceto medio e il mondo high tech. Ma Tel Aviv è una bolla, il resto del Paese vive un’altra realtà. Israele oggi si percepisce come unica vittima, e questo impedisce di avere una visione lucida e libera del futuro».
A una domanda sul rischio che i palestinesi diventino “gli zingari del Medio Oriente”, il cardinale ha risposto senza esitazione: «Lo sono già». Un paragone che richiama le tragedie del Novecento e che denuncia l’attuale condizione di esclusione e precarietà.
(da Open)
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
SE RIUSCISSE A ESPUGNARE LA LEGA, MOLLERÀ LA “CAMALEONTE DELLA SGARBATELLA”? I VOTI DELLA LEGA SONO IMPRESCINDIBILI PER VINCERE LE POLITICHE DEL 2027
Nel ricco menù del Belpaese, tra un risottino alla milanese e una cacio e pepe alla romana, tanto per non farci mancare niente, fece capolino sulle tavole del potere un nuovo piatto: le pennette alla vodka.
La “Prevalenza del Cremlino” in Italia è una lunga e singolare storia che dalle Botteghe Oscure di Togliatti è poi rimbalzata a Villa Certosa, la sontuosa residenza sarda di Silvio Berlusconi, dove Vladimir Putin è stato riverito ospite in diverse occasioni, per approdare in Padania.
E’ qui necessario un riepilogo dell’attrazione fatale tra l’Orso russo e i pulcinella de’ noantri. Caduto l’ideologo del Bunga Bunga, la “Prevalenza del Cremlino” riciccia in maniera oscura e inquietante con il governo Conte-2.
Nella lotta contro l’infezione da coronavirus, nel marzo del 2020 Palazzo Chigi autorizza l’ingresso nel nostro paese di 230 i militari russi guidati dal generale Sergey Kikot per la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette. Ufficialmente si trattava di una missione umanitaria, ma poi si viene a sapere, passando ai raggi x la composizione del contingente, che erano stati mandati quasi tutti soldati e solo alcuni ufficiali medici… Tutte spie col camice bianco?
La liason pericolosa tra Putin e il leader della Lega ieri ha scatenato su “Repubblica” la penna del massimo “archivista” del bordello tricolore. Così Filippo Ceccarelli si cucina allo spiedo “Salvinovskij”, fin dal suo primo viaggio a Mosca nel 2014 (“Città pulita, non c’è un rom, non c’è un clandestino, alle 2 di notte le ragazze prendono la metro e tornano a casa tranquillamente”).
Sempre accompagnato dal suo portavoce, Gianluca Savoini, profeta dell’”Eurasia dei popoli” e globetrotter dell’Associazione Lombardia-Russia, Salvini spunta sui divani dell’hotel Metropol, dove qualche barbafinta “captò i colloqui tra mercanti russi di carburante e compratori italiani che sembravano un po’ Totò e Peppino, ma dai resoconti stenografici mettevano a disposizione di Mosca pezzi di politica estera nazionale’’.
Il governo Salvini-Conte naufragò anziché sulla spiaggia del Papeete, dove il “Capitone” in preda al mojito chiese elezioni
anticipate e “pieni poteri”, bensì, ipotizza Ceccarelli, “forse è saltato anche per via di quegli impiccetti petroliferi”. “Il Capitano è stato il primo politico italiano a riconoscere la legittimità del referendum con cui Putin si è ripresa la Crimea e anche il primo a chiedere la fine delle sanzioni”, aggiunge la firma di “Repubblica”.
L’amour fou di “Salvinovskij” per “Mad Vlad” era già arrivato a un punto di non ritorno In un post del 2015 (poi rimosso) in cui scriveva: “Cedo due Mattarella per mezzo Putin”. Partito l’embolo, nel 2017, “ormai in accentuata transizione sovranista, incontra il ministro Lavrov e firma un accordo di collaborazione tra la Lega e il partito di Putin, Russia Unita”.
La nemesi scocca l’8 marzo 2022 quando l’immarcescibile padano decide di avventurarsi in “missione umanitaria” visitando una cittadina polacca vicino al confine con l’Ucraina. A Przemysl, ad accoglierlo, si ritrova davanti un sindaco incazzatissimo che lo sputtana donandogli una maglietta con l’effige di Putin, suo classico outfit in trasferta a Mosca, e rievocando la passata vicinanza del segretario leghista al leader russo, e invitandolo ad andare al confine ucraino, per condannare lo Zar del Cremlino.
Correva sempre l’anno di disgrazia 2022 quando Mario Draghi, giunto al capolinea del suo governo, mette il dito nella piaga e affonda il colpo. Riporta Tommaso Ciriaco su “la Repubblica” del 17 settembre 2022: “Manca solo il nome, ma non serve un esperto in crittologia per decifrare il messaggio di Mario Draghi: “Lo sappiamo, c’è quello che ama i russi alla follia, vuole togliere le sanzioni e parla tutti i giorni di nascosto con loro…
Ma la maggioranza degli italiani non lo fa e non vuole farlo”.
“Pochi minuti prima, il premier aveva detto: “Non sono d’accordo con Salvini quando attacca le sanzioni”. Tutto molto chiaro, insomma. Una mossa esplicita dell’ex banchiere nel cuore della campagna elettorale, un invito a scegliere: di qua gli amici di Putin e Orban, di là gli euroatlantisti”.
Sfanculati i toni diplomatici, l’ira funesta di Draghi, nella sua ultima conferenza stampa da premier, tocca il suo climax quando ringhia su non identificati “Pupazzi prezzolati”: “La democrazia italiana è forte, non si fa battere dai nemici esterni e dai loro pupazzi prezzolati. È chiaro che negli ultimi anni la Russia ha effettuato un’opera sistematica di corruzione in tanti settori, dalla politica alla stampa, in Europa e negli Stati Uniti”.
Allo sfogo di Draghi, si aggiunge poi il presidente ucraino Zelensky ricordando che ci sono ancora “troppi propagandisti pro-Putin in Italia’’ e anche per questo Kiev ha intenzione di preparare e condividere una lista di “propagandisti russi e affaristi che hanno delle connessioni profonde con la Russia e aggirano le sanzioni”.
I guai del nostro “Salvinovskij”, alla guida di un partito spiaggiato all’8,5%, con i tre governatori leghisti in aperto conflitto alla sua linea sovranista-populista che ha imbarcato alla vice-segreteria del Carroccio l’ex parà della Folgore, Roberto Vannacci, deflagrano davanti al 30% dei consensi di cui, da tre anni, gode la diabolica Giorgia Meloni, protagonista di un trasformismo senza limitismo
La Pasionaria della Fiamma, che il giorno della conquista di Palazzo Chigi ringhiava che “è finita la pacchia” a Bruxelles e
faceva votare all’Europarlamento Fratelli d’Italia a favore dell’Ungheria del filo-putiniano e anti-UE, Viktor Orban, è passata senza un plissé a un totale filo-atlantismo: eccola scambiarsi smorfie e occhioni svenuti prima con Biden e poi con Trump, viaggi a Lampedusa e in Tunisia con la democristiana Ursula von der Leyen, baci e abbracci con Zelensky, elogiando gli ucraini per la loro “resistenza eroica”.
A “Salvinovskij” non resta che il compito di intralciare l’azione della Camaleonte della Sgarbatella continuando a spargere l’idea di una guerra ormai inutile, il cui esito in favore di Mosca non è più in discussione. E quindi sarebbero inutili gli aiuti militari, quelli economici, il sostegno politico. Le spese militari chieste dal ministro della Difesa? Crosetto se le può mettere in quel posto…
Ma nel suo compito di disinformazione e destabilizzazione, il “Capitone” passato dal mojito alla vodka viene sorpassato dal Generalissimo Vannacci, un nostalgico della Decima Mas che vanta un clamoroso bottino di 532 mila voti alle Europee del 2022 come “indipendente” della Lega, senza i quali il partito fondato da Bossi avrebbe potuto scendere al 6,7 per cento. E con tutta probabilità oggi Matteo Salvini avrebbe dovuto lasciare la guida del partito.
Aggiungere che in casa nostra l’ambiziosissimo europarlamentare Roberto Vannacci è stato preso sotto gamba da tutti, sbertucciato come un soggettone da commedia all’italiana, del tipo “Arrivano i Generali”. Invece, il personaggio l’aveva capito subito Guido Crosetto, che lo denunciò sospendendolo dalla carica militare. Infatti, oggi è lampante che il vannaccismo
alla vodka non ha il minimo timore di voler far fuori l’inetto Salvini e mandare a quel paese l’atlantista filo-ucraina Meloni. Anzi, non vede l’ora, visti i suoi trascorsi moscoviti.
“Arrivato all’ombra del Cremlino già a Natale 2020 (l’incarico ufficialmente partiva a febbraio 2021), Vannacci sarebbe riuscito a stabilire con sorprendente rapidità ottimi contatti con i militari russi’. Secondo quanto racconta ‘’La Stampa’’, che cita “fonti di altro livello politico e militare a conoscenza del dossier Vannacci” i problemi partirebbero dai suoi rapporti con “alcuni consessi e think tank russi” considerati “borderline”, tra quelli che frequentava a Mosca’’.
L’articolo del giornale diretto da Malaguti continua, precisando: ‘’Quando l’esercito russo a settembre tiene una massiccia esercitazione, che preoccupa le intelligence anglosassoni (e secondo alcuni sarà poi decisiva per preparare l’invasione dell’Ucraina) i resoconti di Vannacci sono molto rassicuranti’’.
‘’Nell’ambito militare si notano le sue strette relazioni con il tenente colonnello incursionista Fabio Filomeni autore di un libro intitolato “Morire per la Nato?” e infine, si sottolineano le lodi per Mosca contenute nel libro ‘’Il Mondo al contrario’’’’.
L’ultimo show col colbacco di Vannacci è recente. Quando si fa intervistare da Maria Rosaria Boccia, grande esperta non solo di Sangiuliano ma anche di geopolitica, si lancia in un elogio di quel Figlio di Putin: “Negli ultimi vent’anni, ha fatto rifiorire la Russia. Tra Putin e Zelensky preferisco il presidente russo. Ha vent’anni di esperienza e ha dato prova delle sue capacità, il suo paese ora è considerato dai grandi della terra”. Gran finale, l’attacco a Zelensky: “Era un comico, il suo paese ha perso la
sovranità”.
Nel caso, e nel caos, in cui riuscirà a espugnare la Lega, il Generalissimo che farà? Magari colui che elogia Putin (‘’Negli ultimi vent’anni, ha fatto rifiorire la Russia”) mollerà una Meloni che abbraccia Zelensky, elogiando gli ucraini per la loro “resistenza eroica”, deciso a sfidare i fratellini smidollati d’Italia che hanno messo in soffitta il busto del Duce e i siluri della Decima Mas? I voti della Lega sono imprescindibili per vincere le politiche del 2027, dove l’Armata Branca-Meloni si troverà a duellare con un inedito centro-sinistra unito nella lotta…
(da Dagoreport)
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
“MELONI E’ POLITICAMENTE CORRESPONSABILE DELL’OLOCAUSTO PALESTINESE E DA’ COPERTURA MEDIATICA AI TERRORISTI ISRAELIANI”… POI FA IL CONTO DI QUANTO HA GUADAGNATO GIORGIA GRAZIE ALLA POLITICA…”DONNA, MADRE E CRISTIANA? MA COME FA A DORMIRE LA NOTTE?”
Giorgia Meloni sa di essere politicamente corresponsabile dell’olocausto palestinese.
Tutto è tranne che fessa del resto. Dunque sa perfettamente di aver dato copertura politica, mediatica e militare ai terroristi israeliani. E dato che su questo è in totale difficoltà prova a delegittimare chi le ricorda ogni giorno la sua complicità con Neyanyahu. Qual è la strategia che ha deciso (e che non a caso oggi portano avanti i giornali governativi)? Attaccare chi parla da mesi (o da anni) dei crimini di Israele e del martirio del popolo palestinese dicendo che chi lo fa lo fa solo per tornaconto personale, per promuovere libri e spettacoli, per guadagnarci insomma. La butta sui soldi.
Per me è un terreno volgare. Ma se ha scelto queso terreno andiamo su questo terreno e parliamo di soldi:
Giorgia Meloni è parlamentare della Repubblica dal 28 aprile del 2006, quando iniziò la XV legislatura. Dunque la Meloni riceve da noi contribuenti, ogni mese, circa 12.000 euro (netti) da 19 anni e 8 mesi. Ho calcolato 12.000 euro al mese sommando l’indennità da parlamentare (10.000 euro lordi), le spese di esercizio del mandato (quasi 4000 euro al mese) delle quali va rendicontato solo il 50% (quantomeno così è avvenuto fino a pochi mesi fa), la diaria (tra i 3600 e i 4000 euro al mese), i contributi per i trasporti da e per l’aeroporto.
Ho escluso tutti gli altri benefit però, dall’ufficio pagato alle utenze pagate, dal Telepass gratis al contributo occhiali, dal contributo PC (2500 euro a legislatura per computer o tablet) ai viaggi gratis. Sì perché i parlamentari possono viaggiare gratis su tutto il territorio nazionale – sempre, anche quando non si spostano per questioni legate al loro mandato – su tutte le navi, gli aerei e i treni italiani anche in business.
E’ sufficiente chiamare l’agenzia viaggi della Camera, comunicare il treno o l’aereo scelto, la classe scelta e attendere il biglietto sul telefono.
Ma torniamo ai soldi. 12.000 euro al mese fanno 144.000 euro all’anno, 720.000 euro a legislatura. Dato che alcune legislature che hanno visto la Meloni deputata non sono durate sempre 5 anni dobbiamo fare i conti solo su mesi e anni. Ebbene nei 19 anni e 8 mesi da deputata alla Meloni sono stati bonificati (netti) 2.832.000 euro. Quasi 3 milioni di euro. Non solo.
La Meloni, ad oggi, ha maturato come TFR (la liquidazione dei parlamentari, il famigerato assegno di fine mandato) circa 190.000 euro.
Queste sono le cifre, tuttavia la Meloni mi attacca sui soldi, sul mio lavoro. Io sono uscito per mia volontà dal Parlamento e ho lasciato la forza politica alla quale appartenevo perché non ho accettato alcune scelte e compromessi al ribasso. Lei per proseguire la carriera politica (la Meloni sogna il Quirinale, credetemi è così) si è schierata dalla parte degli USA e di Israele, cioè dalla parte di chi arma e finanzia il genocidio dei palestinesi e di chi lo realizza direttamente.
Ma torniamo a parlare di soldi (l’ha voluto lei). Io ho fatto una sola legislatura. Anche a me, ogni mese, entravano sul conto 12.000 euro netti. Tuttavia, come la Meloni sa benissimo, mi sono tagliato lo stipendio e ho restituito alle piccole e media imprese italiane (quelle che la Meloni dice di voler sostenere) 304.000 euro del mio stipendio da parlamentare.
Più o meno il costo di un appartamento a Roma. Soldi che mi spettavano per legge ma che ho restituito perché era una promessa elettorale. Non solo.
Avendo fatto una sola legislatura ho maturato un TFR da 43.000 euro (gli assegni di fine mandato non sono tassati). Ma anche la restituzione della liquidazione da deputato era una promessa e una promessa è una promessa. Dunque ho restituito il 100% del mio TFR (il 50% alla Caritas Rieti per sostenere la popolazione vittima del terremoto ad Amatrice e l’altro 50% ad AMKA onlus per progetti di cooperazione in Congo).
Però per la Meloni se adesso scrivo libri (che chiunque può decidere o meno di comprare) o scrivo e realizzo un monologo teatrale sulle balle che ci hanno raccontato dalla guerra in Ucraina al massacro di Gaza, io starei speculando sui palestinesi. E lo dice lei, proprio lei, colei che guida un governo che non ha mai voluto imporre una sanzione che sia una allo Stato terrorista di Israele. Che schifo! Ma come riesce a dormire la notte la
sedicente donna, madre e cristiana? Ad ogni modo se la Meloni si comporta così è perché sa di avere la coscienza politicamente sporca e prova a lavarsela in questo modo così patetico.
Alessandro Di Battista
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
SULLA PALESTINA IL GOVERNO ITALIANO È PRONTO ALLA PARACULATA GRAZIE A UNA CLAUSOLA PREVISTA NEL DOCUMENTO CHE SARÀ VOTATO A NEW YORK: ANCHE SE SI VOTA SÌ AL RICONOSCIMENTO FORMALE, QUELLO SOSTANZIALE NON SARÀ AUTOMATICO
Le sanzioni che la Commissione europea ha adottato contro Israele vengono giudicate da tutti, compresi i vertici della burocrazia di Bruxelles, come misure all’acqua di rose.
Dopo mesi di incertezza, la notizia non è il merito, ma il passo in avanti, che però resta tutto politico, visto che probabilmente le due misure più incisive, sul piano commerciale e della collaborazione in materia di ricerca scientifica, potrebbero non vedere mai la luce.
Uno dei tasselli che depotenzia al momento un set di misure che sono già blande porta da Bruxelles sino a Palazzo Chigi. Da quello che sembra di capire da fonti di governo, la prima indicazione che è arrivata in materia di sanzioni da parte dell’esecutivo di Giorgia Meloni è quella di non essere determinanti.
Sia che lo sforzo della commissiona fallisca, sia che abbia successo, l’Italia non vuole stare sotto i riflettori.
Se le sanzioni contro i ministri dell’ultra-destra israeliana prevedono l’adozione all’unanimità (che resta quasi impossibile), quelle commerciali e in materia di ricerca scientifica, che introducono di fatto dei dazi sull’export di Israele, hanno bisogno di una maggioranza qualificata per passare e possono essere stoppate da una minoranza di blocco.
A discapito del desiderio di non avere pubblicità al momento attuale, questa minoranza di blocco esiste e l’Italia ne è il perno fondamentale: per bloccare tutto bastano infatti due Paesi grandi, e uno è la Germania, e due piccoli (al momento sono anche di più: Austria, Ungheria, Bulgaria e Repubblica Ceca).
Insomma, l’Italia finora ha fatto sapere di non essere disposta a cambiare approccio, di essere nettamente contraria alle sanzioni commerciali e sulla ricerca e di voler restare allineata con Berlino. A meno che la Germania del Cancelliere Merz non cambi idea.
In ogni caso l’Italia rischia di essere determinante come un ago della bilancia, costituendo un elemento necessario di quella minoranza di blocco che può mandare tutto in fumo. E viste le regole dell’Unione, in questo caso, dei tre moduli di sanzioni adottate dalla Commissione (blocco dei pagamenti, sanzioni personali contro ministri del governo israeliano, interruzioni di progetti commerciali e di ricerca scientifica) solo il primo diverrebbe operativo
Due giorni fa il commissario europeo per la politica regionale, l’italiano Raffaele Fitto, non ha partecipato al voto sulla stretta contro Israele. Era presente alla riunione ma è uscito quando la discussione è arrivata a toccare il tema delle sanzioni. Se fosse rimasto al tavolo, avrebbe dovuto esprimere il suo dissenso perché non condivide in pieno le proposte. Uscendo, però, ha
consentito che le proposte passassero perché il Collegio dei commissari decide per consenso. Anche altri commissari erano assenti, ma da prima.
Intanto, ieri, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha fatto sapere che la prossima settimana, a margine dell’assemblea delle Nazioni Unite, alla quale parteciperà anche Giorgia Meloni, l’Italia aderirà a una dichiarazione dell’Onu con l’obiettivo «di costruire uno Stato Palestinese e far cessare le ostilità». Tutto questo mentre le opposizioni fanno notare che le dichiarazioni dell’Onu sul tema sono iniziate nel 1948. E Matteo Salvini dice che «Israele ha tutto il diritto di garantirsi un futuro sereno».
L’appuntamento è per lunedì. Emmanuel Macron arriverà all’Assemblea generale dell’Onu a New York e ufficializzerà insieme ad altri paesi il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Quando il leader francese aveva annunciato la decisione a giugno, sembrava un gesto isolato. Poi si sono aggiunti Canada, Australia, qualche giorno fa il Lussemburgo. Altri paesi, come Regno Unito e Belgio, hanno condizionato il riconoscimento ma ora sarebbero pronti a compiere il passo
Se è ormai certo che Germania e Italia non seguiranno, a Parigi ripetono che potrebbero esserci «sorprese» nelle prossime ore. E che alla fine ci saranno una decina di Stati insieme alla Francia. Una nuova coalizione di volenterosi che Macron ha costruito con un lavoro discreto ma intenso in tandem con l’Arabia Saudita.
La Francia prevede un riconoscimento “a tappe”, legato all’evoluzione della situazione sul terreno. L’apertura di un’ambasciata francese a Ramallah fa parte delle misure previste, ma più avanti. Una delle condizioni centrali poste è una riforma profonda dell’Autorità nazionale palestinese, che dovrà dimostrare la capacità di esercitare un potere legittimo e un impegno visibile sul rinnovamento democratico delle istituzioni. Questo punto, viene fatto notare, è anche ciò che i governi
ancora esitanti pongono come condizione per unirsi all’iniziativa.
L’altra grande sfida, per Parigi, riguarda la battaglia dell’opinione pubblica, in particolare in Israele. I diplomatici francesi spiegano che la campagna ostile lanciata dal governo Netanyahu e seguita in parte dagli Usa, ha distorto il senso dell’iniziativa, facendola passare come un gesto unilaterale pro-palestinese o peggio ancora come un “regalo a Hamas”. «Uno Stato palestinese credibile, sostenuto e riconosciuto rappresenta la morte politica di Hamas», martella il ministro degli Esteri, Jean-Noel Barrot. Non a caso Macron ha scelto di fare un’intervista con una tv israeliana alla vigilia dell’assemblea dell’Onu.
Il documento approvato alla conferenza di New York – co-presieduta da Francia e Arabia Saudita – chiede esplicitamente ad Hamas di consegnare le armi e cedere la governance di Gaza all’Autorità palestinese.
L’Anp non dispone dei mezzi per gestire da sola un’operazione di disarmo di Hamas. La soluzione prefigurata dalla Francia è la creazione di una missione internazionale di stabilizzazione, ispirata a un piano arabo già delineato nei mesi scorsi e inserita nella dichiarazione di New York. Un primo incontro tra partner europei e mediorientali si è già svolto a Parigi per discutere la fattibilità della missione.
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
IL “NEW YORK TIMES” TUONA: “DIFFICILE DISTINGUERE DOVE FINISCONO GLI INTERESSI DEL GOVERNO E DOVE INIZIANO QUELLI DELLA FAMIGLIA TRUMP”
Tiffany Trump, una delle figlie del presidente Usa, in crociera sullo yacht di un magnate
del petrolio libico mentre il suocero Massad Boulos, consigliere senior per l’Africa del Dipartimento di Stato, parla con dirigenti del settore energetico e leader governativi. Lo scrive il New York Times sottolineando “quanto sia difficile distinguere dove finiscono gli interessi del governo e dove iniziano quelli della famiglia Trump”.
La connessione familiare era così significativa, scrive il Nyt, che alcuni funzionari libici avevano iniziato privatamente a chiamare il dirigente Usa “Abu Tiffany”, in arabo “il padre di Tiffany”.
Mentre Boulos posava per fotografie e annunciava accordi per incrementare la produzione di petrolio e gas libici, Tiffany Trump e suo marito, Michael Boulos, si godevano una crociera sulla Costa Azzurra a bordo di uno dei più grandi superyacht del mondo, di proprietà di un importante intermediario del petrolio libico. Lo yacht, il Phoenix 2, è un palazzo galleggiante con due eliporti, una piscina e una figura in bronzo alta 5 metri raffigurante una fenice infuocata che si innalza dalla prua.
Non è disponibile a noleggio. Ma quando lo era, costava oltre 1,4 milioni di dollari a settimana, con un annuncio che ne metteva in risalto l’interno in stile Art Déco e un pianoforte Steinway personalizzato.
L’imbarcazione appartiene al miliardario commerciante di petrolio Ercument Bayegan e a sua moglie, Ruya Bayegan. La compagnia energetica della signora Bayegan, la Bgn International, trarrebbe vantaggio da qualsiasi aumento della produzione petrolifera libica, scrive il Nyt. E’ stata la stessa Tiffany a postare foto della sua crociera su Instagram.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO QUANTO RIPORTATO DALLO STATO MAGGIORE DELLE FORZE ARMATE DI KIEV, PUTIN HA PERSO ANCHE 11.191 CARRI ARMATI, 23.278 VEICOLI CORAZZATI DA COMBATTIMENTO, 62.044 VEICOLI E SERBATOI DI CARBURANTE, 32.896 SISTEMI DI ARTIGLIERIA, 1.492 SISTEMI DI LANCIO MULTIPLO DI RAZZI, 1.218 SISTEMI DI DIFESA AEREA, 422 AEREI, 341 ELICOTTERI, 60.680 DRONI, 28 TRA NAVI E IMBARCAZIONI E UN SOTTOMARINO
La Russia ha perso 1.099.530 soldati in Ucraina dall’inizio della sua invasione su vasta scala, il 24 febbraio 2022, secondo quanto riportato dallo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine oggi. Lo scrivono diversi media ucraini.
Stando all’ultimo aggiornamento sulle presunte perdite russe diffuso dallo Stato Maggiore ucraino, il numero include le 1.150 vittime subite dalle forze russe ieri. Secondo il rapporto, la Russia ha perso anche 11.191 carri armati, 23.278 veicoli corazzati da combattimento, 62.044 veicoli e serbatoi di carburante, 32.896 sistemi di artiglieria, 1.492 sistemi di lancio multiplo di razzi, 1.218 sistemi di difesa aerea, 422 aerei, 341 elicotteri, 60.680 droni, 28 tra navi e imbarcazioni e un sottomarino.
I militari russi al fronte nell’operazione militare speciale in Ucraina sono oltre 700 mila. Lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin durante un incontro con i leader dei gruppi parlamentari alla Duma di Stato (camera bassa del Parlamento russo). «Sulla linea di contatto si trovano oltre 700 mila» militari, ha affermato il leader russo.
«Siamo molto vicini a una guerra mondiale. Ho parlato con il presidente Putin molte volte, ma lui non ha mai mai fatto ciò che mi aveva detto, non ha mai neanche rispettato la leadership degli Stati Uniti». Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in conferenza stampa con il premier inglese, Keir Starmer, dopo i colloqui a Chequers, tappa della visita ufficiale nel Regno Unito.
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