Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO NEL 1968 PREZZOLINI SI TRASFERI’ DA VIETRI A LUGANO
Quando nel 1968 Giuseppe Prezzolini, ottantaseienne, si trasferì da Vietri sul Mare a Lugano ci si chiese la ragione di questo singolare trasferimento, singolare perché Vietri ha il mare, che Prezzolini amava molto, Lugano solo un lago. Prezzolini rispose: “Dovete capire che per un uomo della mia età i sì devono essere sì e i no no. Non si può vivere in un perenne ni”.
Prezzolini era stato anche scottato dal fatto che avrebbe donato volentieri la sua biblioteca e il suo immenso archivio (in tanti anni di vita aveva conosciuto tutti, a cominciare da Mussolini) alla Biblioteca nazionale di Firenze cosa a cui avrebbe tenuto molto perché, sebbene nato a Perugia, Firenze era una delle sue città di adozione, la più amata. Ma la biblioteca gliela rifiutò, così l’archivio Prezzolini è finito a Lugano perché gli svizzeri sono un po’ meno sciatti degli italiani (Maurizio Costanzo, che ha rappresentato benissimo l’italiano medio, di cui faceva parte e il cui orizzonte non andava al di là della Garbatella, cadeva in deliquio appena sentiva nominare la Svizzera).
C’è, nella storia della biblioteca, una sciatteria tipica dell’Italia di oggi che ho cercato di documentare anche con la mia melodrammatica storia della ricerca di un segretario (sei appuntamenti, concordati, fissati, destinati in cui l’aspirante segretario non si è presentato, un’agonia) una specie di reportage non voluto fatto sulla mia pelle.
Quella di oggi è un’Italia sconciata nel suo paesaggio, naturale e urbano, cosa che ha una certa influenza non solo sul gusto, ma anche sul carattere e l’umore dei suoi abitanti, devastata dalle televisioni e dai social che sembrano aver concentrato in sé l’intera vita nazionale dettando, insieme alla sua gemella Pubblicità, che è il motore di tutto il sistema, i consumi, i costumi, la way of life, le categorie, i protagonisti e che hanno finito per distruggere ogni cultura che non si presenti nella forma della sua subcultura.
È un’Italia che ha perso ogni freschezza, la sua antica grazia,
senza sorriso, cupa, volgare, ossessionata dal denaro, dal benessere, dal corpo, dagli status symbol, dagli oggetti. Un’Italia ipocrita, pronta a commuoversi su tutto, solo per potersi compiacere della propria commozione, ma sostanzialmente indifferente all’altro, al vicino, al prossimo (“il bel Paese sorridente dove si specula allegramente sulle disgrazie della gente”, La strana famiglia, Giorgio Gaber, 1984).
Un’Italia senza misericordia. Un’Italia ormai inguaribilmente corrotta, nelle classi dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come sempre anarchica ma senza essere più divertente, priva di regole condivise, di principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un’Italia senz’anima.
(da Repubblica)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
SUL SITO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO NON RISULTANO AGGIORNATI DA OLTRE UN ANNO I DOCUMENTI SULLA COMPOSIZIONE DEGLI UFFICI
Voli di stato top secret per tutelare le alte cariche dello stato. Ma anche per cancellare,
pezzo dopo pezzo, la trasparenza. Il caso dell’aereo della presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, costretto a un atterraggio di emergenza in Bulgaria per un presunto attacco cibernetico da parte dei russi, è diventato il pretesto per limitare l’accesso alle informazioni.
L’idea è stata fatta circolare dal ministero della Difesa, soprattutto per i viaggi del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e della premier, Giorgia Meloni, evitando la possibilità di tracciare i voli sui siti specializzati. La preoccupazione è che si voglia allargare la platea del divieto di pubblicazione. Al di là di tutto, nemmeno il database che riporta l’uso dei voli di stato da parte dei ministri è proprio impeccabile
È stato aggiornato a singhiozzo negli ultimi mesi: il file di maggio risulta non raggiungibile, quello di giugno non è stato pubblicato (verosimilmente perché non ci sono stati voli, ma non c’è alcuna specifica che sarebbe alla base dalle trasparenza). Come risposta a queste lacune, arriva il progetto di apporre ancora di più il bollino del top secret.
Staff non aggiornati
Ed è chiaro che per il governo la trasparenza sia un optional. Il sito di palazzo Chigi non comunica i cambiamenti negli staff da ormai un anno. Un piccolo record. Per quanto riguarda la composizione degli uffici di diretta collaborazione della presidente del Consiglio e dei suoi vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini, l’ultimo aggiornamento risale all’8 agosto 2024, mentre per i consiglieri dei ministri senza portafoglio e dei sottosegretari, di stanza a palazzo Chigi, la pubblicazione più recente (si fa per dire) è quella del 13 settembre dello scorso anno.
Eppure, non è che non ci siano stati cambiamenti importanti nella compagine governativa. A dicembre si è insediato Tommaso Foti come ministro del Pnrr e delle politiche di Coesione, al posto di Raffaele Fitto, passato a Bruxelles con i galloni di vicepresidente della commissione europea. A giugno, invece, è stato nominato un sottosegretario al Sud, Luigi Sbarra.
È poi notizia di qualche settimana fa, la decisione della sottosegretaria ai Rapporti con il parlamento, Matilde Siracusano, che ha annunciato la fine del rapporto di collaborazione con il suo segretario, Paolo Posteraro, coinvolto nell’inchiesta che ha portato alle dimissioni del presidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto (compagno di Siracusano). Insomma, la sezione relativa agli incarichi presso gli uffici di diretta collaborazione della presidenza del Consiglio necessitava di un corposo aggiornamento.
Ci sarebbe peraltro una norma di legge che regola la trasparenza,
imponendo la pubblicazione dei nuovi dati, ma di fatto non sono prescrizioni perentorie. E quindi ci si affida al buon cuore degli uffici preposti.
Una certa allergia della destra alla trasparenza si è palesata sul caso-Almasri. Sono stati tenuti sotto chiave i documenti più scottanti sul contenuto degli interrogatori, ignorando la richiesta avanzata dal presidente della giunta per le autorizzazioni, Devis Dori, di desecretare il materiale e metterlo a disposizione di tutti i parlamentari, incluso il gruppo di Italia viva che non è rappresentato nella giunta. Anzi è trapelato il fastidio di Fratelli d’Italia di nominare un deputato del Pd, Federico Gianassi, come relatore. Proprio per il timore che potessero circolare troppe informazioni.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL 64,5% DEGLI ISRAELIANI VUOLE UN ACCORDO CON HAMAS E IL RITIRO DELLE TRUPPE
Il fumo nero s’alza in Azza Street, davanti alla residenza di Bibi Netanyahu.
Bruciano i copertoni, carbonizzano un’auto, incendiano i cassonetti. Come accade nelle Giornate della Rabbia contro l’occupazione di Gerusalemme, proclamate di venerdì dai palestinesi. E com’è in queste quattro Giornate del Disordine contro l’occupazione di Gaza, proclamate da qui a sabato dai familiari degli ostaggi.
«Fascisti», è la risposta furibonda del premier: «Ogni giorno minacciate d’uccidere me e la mia famiglia. Ora si sta superando ogni limite. Circondate la mia casa con un anello di fuoco, proprio come le milizie fasciste».
Un suo deputato firma una proposta di legge-lampo — d’ora in poi, altro che i soliti 64 euro di multa, chi blocca le strade sarà punito fino a 7.500 euro —, ma non è un iban che ferma l’ira: arrivano gl’impiegati dell’hi-tech, una giornata di permesso concessa dalle aziende, e poi s’uniscono gli studenti in maglia gialla, le madri in nero, i militari in licenza…
Urla e spintoni, la polizia che ci mette cinque ore a calmare le strade, 13 arresti. E oggi, domani, dopodomani si ricomincia: dice un sondaggio che ormai è il 64,5% degli israeliani, molti anche di destra, a volere un accordo con Hamas e il ritiro delle truppe.
Non se ne parla. Da Gaza City, 80 mila palestinesi stanno già sfollando per sfuggire al loro destino di scudi umani e di carne da macello. Quelli che possono camminare, almeno: dopo due anni di guerra, dice l’Onu, 40 mila bambini portano ancora i segni delle ferite gravi e 21 mila sono diventati disabili gravi.
Eyal Zamir si rassegna ad arringare e ad allertare i nuovi riservisti: «È uno dei momenti più difficili della nostra storia. Stiamo entrando in luoghi in cui non siamo mai entrati prima». La consegna sarà d’evitare i palazzi minati e di trovare almeno otto capi islamisti che vi si nascondono: Musbah Dayyah, il capo dei Mujaheddin che fiancheggia Hamas, l’uomo che ha ucciso con le sue mani i tre fratellini «pel di carota» Bibas e la loro mamma, lui è già stato ammazzato.
Il momento più temuto dal generale Zamir è anche il più atteso dalla destra estrema. Che oggi si prepara a una rovente riunione di governo: il ministro ultrà Bezalel Smotrich riproporrà l’annessione dell’82% della Cisgiordania, incurante del monito
degli Emirati arabi a «non oltrepassare quella linea rossa che cancellerebbe gli Accordi di Abramo», firmati coi Paesi del Golfo proprio da Netanyahu e da Donald Trump.
Nessun proclama: da Washington avrebbero chiesto di fare con discrezione, spiega una fonte di governo, e di non esagerare. «Una sovranità sarà comunque proclamata — è l’anticipazione —, ma la questione è dove.
Probabilmente in qualche angolo dell’Area C, come la città di Ariel». Una decisione storica, promette Smotrich: «La quantità massima di terra e la quantità minima di palestinesi, perché non vogliamo essere sovrani di chi ci vuole distruggere». E se l’Autorità palestinese si ribella?
«Sarà distrutta, come Hamas». Il mantra è: cogliere l’attimo. «Ci sono un governo di destra e una Casa Bianca favorevole — commenta la fonte —. Con una comunità internazionale che riconoscerà la Palestina e giustificherà la nostra reazione. Quando ci ricapita?».
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
LA MONARCHIA ASSOLUTA CHE DIVENTA ETERNA
Di che cosa mai parleranno Xi Jiping, vestito da Mao, e Putin, vestito da Putin? Di
missili, di soldi, di come continuare a prendersi gioco di Trump? A
nche, probabilmente, ma intanto l’audio rubato in piazza Tienanmen ci ha rivelato che, al pari di Elon Musk, hanno il chiodo fisso dell’immortalità.
La loro, si presume, perché un mondo con otto miliardi di immortali sarebbe costretto a chiudere per esaurimento posti.
È Putin a introdurre l’argomento, dicendo che col trapianto d’organi «più si vive e più si diventa giovani». Ma Xi Jinping gli dà spago e sposta il traguardo esistenziale a 150 anni, osservando che «oggi a 70 sei ancora un bambino» (Infatti, lui si diverte con le sfilate di soldatini).
È dunque questo il desiderio supremo dei due settantenni
atomici: non la dittatura del proletariato o la Grande Madre Russia, ma le 150 candeline da festeggiare al potere con cuori sempre di ghiaccio, ma nuovi di zecca.
La monarchia assoluta che diventa eterna, mentre l’ex presidente della potenza data per declinante, gli Stati Uniti, si è dovuto dimettere per manifesta senilità e quello attuale non riesce a mascherare i lividi sulle mani.
L’utopia sogna un mondo migliore per tutti, ma quella di Xi e Putin è un’utopia egoista: ne sogna uno soltanto per loro, e senza quel corredo di acciacchi che finora aveva reso la vecchiaia un’età non completamente augurabile.
«Se i giovani sapessero e gli anziani potessero» recita un vecchio adagio. Putin e Xi sanno e possono. O forse si illudono.
(da corriere.it)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL VIAGGIO DELLA FLOTILLA VERSO GAZA RIMANDA ALLE PAGINE IMPORTATI DELLA STORIA UMANA
Nel composito equipaggio della Sumud Flotilla in rotta verso Gaza ci sono anche quattro parlamentari italiani (due eurodeputate). Sono del Pd, Avs, Cinquestelle. Faranno la stessa vita e correranno gli stessi rischi degli altri imbarcati.
È vero che la spedizione non è stata convocata “dall’alto”, nessun governo o istituzione ne avrebbe avuto la forza o il coraggio, o più semplicemente le buone idee non fioriscono più dentro la politica “ufficiale”.
Ma in questo caso vale la pena sospendere le lagnanze e i rimbrotti: c’è una sintonia verificabile e attiva tra questi cittadini e alcuni dei loro eletti.
Faranno, in questa occasione, la stessa politica, con gli stessi convincimenti e lo stesso obiettivo: sfondare almeno simbolicamente, e se possibile anche fisicamente, usando i loro corpi disarmati, il muro di segregazione eretto da Israele attorno a Gaza.
L’altra sera sulla Sette c’erano, in collegamento, Greta Thunberg e Elly Schlein e hanno parlato la stessa lingua, cosa tutt’altro che frequente quando a prendere la parola sono una attivista “di base”, per quanto celebre, e una leader di partito.
Era piuttosto emozionante riscoprire (dopo quanto tempo?) che la politica può anche essere coinvolgente, potente e soprattutto facile da capire. Riconoscibile da chiunque sappia ancora farlo: il viaggio di quella gente verso Gaza rimanda alle pagine importanti della storia umana.
(da repubblica.it)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA SI ERA DICHIARATO CONTRO TUTTE LE OCCUPAZIONI, IN RISPOSTA GLI STRISCIONI: “VANNACCI TACI”… CE NE HANNO MESSO DI TEMPO PER CAPIRE, MA ALLA FINE FORSE CI SONO ARRIVATI
È uno scontro tutto a destra quello che si sta consumando tra Roberto Vannacci e
CasaPound. Dopo che il generale prestato alla politica, da qualche mese vicesegretario della Lega, si è scagliato contro “tutte le occupazioni abusive, che non hanno un tenore diverso a seconda di chi le effettua” — e quindi anche quella del palazzo di via Napoleone III a Roma; sgombero caldeggiato sull’onda dello sfratto del Leoncavallo —, ora il movimento neofascista lo attacca con decine di striscioni comparsi in tutta Italia. Due semplici parole: “Vannacci taci”.
“Rammarica constatare che Vannacci abbia scelto di rispondere come una qualsiasi Boldrini, senza avere il coraggio di evidenziare le differenze sostanziali tra CasaPound e i centri sociali, né di denunciare le connivenze che questi ultimi intrattengono da sempre con le istituzioni — si legge in una nota diffusa da CasaPound, a corredo degli striscioni affissi in giro per l’Italia —. Sarebbe bastato ricordare il bluff dello sgombero del Leoncavallo, che verrà presto ‘regolarizzato’ con un bando fittizio e un affitto irrisorio per l’affidamento di una nuova sede addirittura per novant’anni. Esiste una differenza netta tra legalità e giustizia e noi saremo sempre dalla parte della seconda”.
Vannacci ha più volte sfoderato simbologie che fanno parte del panorama neofascista. La X della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, per esempio, o il ciondolo che sembrerebbe richiamare Ordine Nuovo. E anche su questo punto, CasaPound attacca il generale: “Vannacci, come chiunque altro, è libero di pensarla come vuole: ma smetta di strizzare l’occhio a un certo mondo, smetta di appropriarsi di slogan che non gli appartengono, smetta soprattutto di richiamarsi con leggerezza alla X della Decima Mas. Perché quegli uomini non sono caduti per l’ordine evocato dall’europarlamentare, bensì per il suo esatto contrario”, conclude la nota.
(da L’Espresso)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
I CINESI HANNO BUTTATO IL LIBRETTO E TENUTO LA COPERTINA DI PLASTICA BUONA COME PORTAFOGLIO
Qui da noi in occidente non si fa che sbagliare e non si riesce nemmeno, come voleva Samuel Beckett, a sbagliare meglio, fallire meglio. Abbiamo visto la crisi delle democrazie nelle ondate elettorali e culturali populiste, nella piaga indecente dell’immigrazione e del contrasto all’immigrazione illegale e fuori controllo, nella crisi dei partiti, delle istituzioni e della divisione dei poteri, con il populismo penale all’arrembaggio dovunque (se ne accorgono anche Pedro e Begoña Sánchez), nel declino demografico, nelle dipendenze digitali, nel cattivo uso delle tecnologie, nella welfarista dissoluzione di famiglia scuola e costumi, nella caduta verticale del linguaggio, nella prostrazione di molti settori dell’economia non finanziaria eccetera.
Ci piaceva pensare che la questione fosse parte degli interna corporis dell’occidente. Ora si constata come il mondo appartiene in gran parte alle autocrazie extraoccidentali, ai loro eserciti, alla loro iattanza e sfacciataggine, alla loro alleanza con il cosiddetto Grande sud. Si vede che il vecchio e inservibile concetto propagandistico di “pericolo giallo”, la sinofobia
d’antan, quella dei cinegiornali fine anni Cinquanta primi Sessanta, assume in parata la veste del nuovo Mao, vestito come lui davanti al suo ritratto. Si vede che siamo di fronte alla pretesa di un nuovo ordine mondiale riscritto da regimi a partito unico, un ordine potenzialmente fondato su un sistema di alleanze e cooperazione costruito pezzo a pezzo da un fatale e banale istrione, un loser, insediato nell’età dell’oro alla Casa Bianca, colluso con il winner del Cremlino, il Mago: un oriente rosso imperiale e ipercapitalistico con la K di Kommunismus, un subcontinente eurosiberiano neoimperiale e rétro come si addice agli europei (la Russia di Putin) e il terzo un buffo ma minaccioso rimescolio dei due (Kim). Lo so, gli esperti di geopolitica ora diranno che non è tutto giallo né pericoloso quel che luccica. Sono più divisi di quanto appaia, India e Turchia sono state spinte tra le loro braccia, ma nessuna alleanza mondiale è destinata a reggere senza Stati Uniti e Europa, anche se si fanno avanti di brutto i nemici giurati del nostro modo di vita, capaci di imitarlo nei suoi aspetti viziosi o utilitaristici a patto di non cedere al suo senso più profondo, la democrazia liberale appunto. Si può sbagliare meglio, ma anche peggio.
Si può sottovalutare il mostriciattolo multiforme dei rinascimenti, e del rinascimento dei rinascimenti che è quello cinese, si possono dosare e attutire risentimento e paura. Cospirano contro di noi, come dice il narciso arancione, ma devono mangiarne di biada prima di terminare la loro corsa. Noi abbiamo il tech, l’individualismo, il sogno libertario, un mercato gigantesco e la tendenza globalizzante con cui chiunque deve fare i conti, siamo corrotti e corruttori, il nostro veleno è forte e disintegrante di cellule troppo chiuse, troppo rigide. Alla fine non è detto che non si ripresenti la tragedia del Grande balzo in avanti, della Rivoluzione culturale, con tutte quelle maiuscole rivelatesi minuscole fino alla svolta di Deng Xiaoping. Ma alla fine la svolta ci fu, la crescita bestiale pure, la crescita politico
militare è squadernata sotto i nostri occhi, e il partito unico o le autocrazie neozariste sono lì, blindate a ogni sussulto del falso maoismo libertario dell’intelligenza eurodemente degli anni Settanta: ribellarsi è giusto, si diceva con il Libretto rosso, la Cina non ce la farà a mantenere il sistema politico nel cambiamento del sistema economico e sociale, e invece. Aveva ragione Goffredo Parise: i cinesi hanno buttato il Libretto e tenuto la copertina di plastica, buona come portafogli e utile a molto altro.
(da ilfoglio.it)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
VUOLE AVERE VOCE NELLA COMPILAZIONE DELLE LISTE PER IL DOPO-ZAIA, TERREMOTANDO GLI EQUILIBRI VENETI DEL CARROCCIO … IL CONSIGLIERE REGIONALE DELLA LIGA VENETA, MARCO FAVERO: “IL PROBLEMA È CAPIRE SE LE POSIZIONI DI VANNACCI SIANO QUELLE DELLA LEGA. IO CREDO DI NO”
Bradisismo vannacciano nella Lega. In Toscana l’ex generale detta legge e mette
all’angolo i leghisti doc che capitanati da Susanna Ceccardi si stanno ribellando, tanto che Matteo Salvini non sa che pesci prendere, pur se cerca di difenderlo, anche perché pure in Veneto sta montando la contestazione poiché l’europarlamentare è attivissimo nell’inaugurare circoli del suo «Mondo al contrario», di cui non si comprende il ruolo all’interno della Lega tanto che il rapporto coi militanti del Carroccio, in massima parte qui di estrazione zaiana, non è dei più tranquilli.
Il fatto è che in Veneto sono già 12 i circoli made in Vannacci, 150 in Italia. Ogni sezione deve avere almeno 10 iscritti, che pagano 20 euro. Una sorta di partito nel partito, tanto che con questo retroterra Roberto Vannacci vuole avere voce nella compilazione delle liste per il dopo-Zaia, terremotando gli equilibri veneti della Lega.
«Ma la nostra casa politica è la Lega- afferma il padovano Guido Giacometti, che per il suo successo nel fare proliferare le sezioni in Veneto è stato nominato membro della segreteria nazionale del Mac (Movimento Mondo al Contrario) e responsabile del
Nord Italia – certo, una Lega da vannaccizzare come ama dire il generale».
Sarà Giocometti, domani, a introdurre Vannacci alla Festa della Lega di Verona, tenendo a debita distanza i non pochi diffidenti che sottolineano l’incompatibilità dell’ex generale con Luca Zaia.
Come Giuseppe Pan, capogruppo regionale della Lega: «I team Vannacci in Veneto? Non mi pare siano iscritti alla Lega. E visto che l’ex generale è vice segretario federale spero che almeno si allineino ai nostri programmi e che Vannacci faccia campagna elettorale per la Lega e per il candidato presidente della Lega.
E dico “spero” ma dovrebbe essere normale».
Ancora più esplicito è Marco Favero, consigliere regionale della Liga Veneta: «La democrazia non è un sistema perfetto, ricordiamoci che Hitler e Mussolini sono saliti al potere con il voto popolare. Io non credo che sia possibile il ritorno del fascismo in Italia, ma possono tornare stili e comportamentali che appartenevano alla mentalità fascista.
E, sia chiaro, io non ce l’ho con Vannacci, il problema è capire se le posizioni di Vannacci siano quelle della Lega. Io credo di no. Lui tra l’altro continua a giocare sugli equivoci: Mussolini è uno statista? Era un criminale che ha trascinato l’Italia in una guerra disastrosa e Vannacci lo sa benissimo». Se in Veneto il pre-campagna elettorale in casa Lega è piuttosto problematico e ancora c’è da risolvere anche l’ufficialità della candidatura del leghista Alberto Stefaniquale successore di Zaia, in Toscana la discesa in campo di Vannacci ha di fatto bloccato le avances di Fi verso Carlo Calenda, dopo che quest’ultimo ha rotto con l’alleanza Pd-M5s capeggiata da Eugenio Giani (e Antonio Tajani sperava di prendere Calenda per la giacchetta).
Ovvero Vannacci, che ha appunto avuto carta bianca da Salvini di comporre le liste per le regionali toscane, ha deciso per una lista bloccata con dentro i suoi fedelissimi spazzando via la
possibilità delle sezioni della Lega di scegliere i candidati e facendo tabula rasa attorno alla Ceccardi e ai leghisti tradizionalisti.
Inoltre quando Ceccardi lanciò il nome di Elena Meini, capogruppo Lega in consiglio regionale, quale candidata del centrodestra alla presidenza, Vannacci la bloccò: «Non è la mia candidata e non lavoro per questa squadra». Aggiungendo: «Ceccardi dimentica di sedere a Bruxelles grazie al sottoscritto che le ha liberato il seggio».
Il che, tradotto, significa: la Toscana è mia e guai a chi me la tocca. Tanto che, alla fine, dal cappello del centrodestra non è uscita la Meini ma Alessandro Tomasi, FdI, sindaco di Pistoia. Un boccone amaro per i leghisti locali e per la Ceccardi e un clima da O.K. Corral all’interno del Carroccio toscano.
Intanto Vannacci tesse la sua tela e accoglie transfughi di FdI come Antonio Falzarano, passato da segretario del partito della Meloni a Lignano Sabbiadoro (Udine) a Vannacci (con lui hanno restituito la tessera in 80).
Dice: «Restituire le tessere non è un atto di vendetta, ma la triste constatazione della fine di un percorso con un partito che non ha saputo ascoltare. La speranza è che i vertici, a tutti i livelli, capiscano la gravità di una situazione che, a lungo andare, ha solo danneggiato l’interesse della comunità». Adesso inalbera il vessillo Vannacci for president.
Mentre Sabino Morano, dirigente Unicoop (Unione italiana cooperative) di Avellino sta cercando di promozionare il radicamento al Sud: «Ho deciso di lasciare la Lega quando si è fatta sostenitrice convinta del governo Draghi, una posizione per me incomprensibile politicamente. Oggi con Vannacci il partito dà spazio alle istanze sovraniste e quindi sono tornato».
(da “Italia Oggi”)
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Settembre 4th, 2025 Riccardo Fucile
“IL NOSTRO DEBITO È AL 137% DEL PIL, LA SPESA PENSIONISTICA AL 16,3% DEL PIL, LA PRESSIONE FISCALE AL 43,5%, LA SPESA PUBBLICA SOPRA IL 48%. L’ECONOMIA CRESCE POCO O NULLA. L’ITALIA NON SI RIFORMA, NON CRESCE, MA CONVIVE CON IL DEBITO. LA MISERIA DIFFUSA, EVIDENTEMENTE, NON ALLARMA, ANZI RALLEGRA” … “LA BORGHESIA PRODUTTIVA FRANCESE NON HA ANCORA METABOLIZZATO L’IDEA DEL DECLINO. SI OPPONE, PROTESTA. IN ITALIA, INVECE, IL CETO PRODUTTIVO HA IMPARATO A SOPRAVVIVERE: ESPORTA QUANDO PUÒ, EVADE O ELUDE QUANDO NECESSARIO, RACCOGLIE BONUS QUANDO SPUNTA L’OCCASIONE…”. QUANTO DURERÀ ANCORA?
La crisi politica francese non si spiega soltanto con le dinamiche partitiche o con la personalità di Emmanuel Macron. È il risultato di fattori strutturali, ignorati o sottovalutati per decenni, che oggi esplodono in forma di instabilità istituzionale.
Non scomparirà di certo con le dimissioni di Bayrou e nemmeno se Macron venisse sostituito da Le Pen o da un altro esponente della destra francese alle prossime elezioni presidenziali.
Il dato di partenza è semplice: il debito pubblico francese ha superato il 110% del PIL (114,2% nel 2024 secondo Eurostat), con una spesa primaria che da anni eccede stabilmente il 55% del PIL.
Tra le principali voci di rigidità figurano la spesa pensionistica (circa il 14% del PIL, seconda solo all’Italia nella UE) e l’ampio comparto assistenziale e sanitario. In parallelo, la pressione fiscale ha raggiunto il 44% del PIL, seguita da Italia, Danimarca e Belgio.
Come in questi altri paesi non sembrano esistere margini per aumentarla ulteriormente senza effetti depressivi
In questo contesto, il “realismo tecnocratico” di Macron e del
suo governo ha tentato di introdurre correttivi minimi: la riforma delle pensioni, innalzando l’età legale da 62 a 64 anni; il contenimento di alcune voci di spesa; un’insistenza costante sulla necessità di avviare riforme per preservare la sostenibilità finanziaria.
Tuttavia, queste scelte si scontrano con gli interessi di gruppi sociali largamente maggioritari. In Francia il 28% della popolazione ha più di 60 anni (dati INSEE 2023) e i beneficiari netti della spesa pubblica superano ampiamente i contribuenti netti.
Non sorprende che ogni ipotesi di riforma mobiliti vaste proteste, che vengono strumentalizzate sia dalla sinistra – difesa integrale dello Stato sociale – sia dalla destra – difesa corporativa delle categorie protette. Se vi ricorda un altro paese che conoscete vuol dire che siete abbastanza fisionomisti.
L’analogia con l’Italia è infatti immediata. Nel 1992 la crisi valutaria e di bilancio mise fine alla Prima Repubblica: i mercati imposero una correzione drastica, la lira fu svalutata, si introdusse una patrimoniale (il famoso prelievo forzoso del 6 per mille) e si avviarono privatizzazioni.
Nel 2011, sotto la pressione dello spread oltre i 500 punti base e di un debito al 120% del PIL, il governo Berlusconi cadde lasciando spazio all’esperimento tecnocratico di Mario Monti. In entrambi i casi, la politica tradizionale fu incapace di gestire il vincolo esterno e si rifugiò in soluzioni d’emergenza.
Ma quelle soluzioni, come dimostra la traiettoria successiva, non hanno risolto i problemi strutturali.
I problemi strutturali si risolvono solo quando sono riconosciuti tali dalla maggioranza dell’elettorato[…]. Una tale forza in Italia non esiste e il tentativo di Macron di costruirne una in Francia sembra destinato a esaurirsi presto.
Vale la pena notare che oggi l’Italia non è in condizioni molto diverse dalla Francia. Il nostro debito è al 137% del PIL, la spesa
pensionistica al 16,3% del PIL (dati Eurostat 2023), la pressione fiscale al 43,5%, la spesa pubblica sopra il 48%. L’economia cresce poco o nulla: dal 2000 al 2023 il PIL pro capite italiano è aumentato di appena il 2,7%, contro il 15% della Francia e il 25% della Germania. A differenza della Francia, tuttavia, l’Italia ha già da tempo accettato questa condizione di stagnazione.
Non si riforma, non cresce, ma convive con il debito attraverso continue ricomposizioni politiche e compromessi sociali. I salari stagnano, a volte persino flettono, ma gli aumenti nel numero di occupati – accompagnati da un ulteriore calo della produttività – sembrano compensare questi dati negativi agli occhi dell’opinione pubblica. La miseria diffusa, evidentemente, non allarma, anzi rallegra: mal comune, mezzo gaudio.
La borghesia produttiva francese, soprattutto quella legata all’industria e all’export, non ha ancora metabolizzato l’idea del declino. Si oppone, protesta, chiede che il paese resti competitivo. [
In Italia, invece, il ceto produttivo ha imparato a sopravvivere nella bassa crescita: esporta quando può, evade o elude quando necessario, si adatta alla contraddizione fra alta pressione fiscale e spesa pubblica inefficiente, raccoglie bonus quando spunta l’occasione. La borghesia produttiva italiana sembra aver accettato l’assenza di crescita, ma la temporanea pace sociale così ottenuta non è detto possa continuare ancora a lungo.
La crisi politica francese è dunque uno specchio che ci rimanda la nostra immagine di dieci o quindici anni fa.
La differenza è che l’Italia ha scelto la rassegnazione, mentre in Francia lo scontro è ancora aperto. Resta da vedere se la reazione francese produrrà un aggiustamento vero o se, come accaduto a noi, si risolverà in un lento accomodamento al declino.
(da “il Sole 24 Ore”)
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