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CONFERENZA STAMPA AL SENATO: MUSIC FOR PEACE MOSTRA LE MAIL UFFICIALI CHE CONFERMANO CHE ISRAELE VIETA CIBO ENERGETICO PER DONNE E BAMBINI A GAZA

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

IMBARAZZO DELLA FARNESINA CHE NON LO AVEVA MAI RIVELATO AGLI ITALIANI… CONFERMATO CHE I TAGLIEGGIATORI DI ISRAELE FANNO PAGARE 2.200 DOLLARI PER OGNI CAMION DI AIUTI

Esistono prove documentali secondo cui le restrizioni imposte da Israele agli aiuti umanitari diretti a Gaza non solo sarebbero reali, ma applicate già in passato ad altri carichi.
È quanto ha dichiarato oggi Stefano Rebora, fondatore e presidente dell’organizzazione Music for Peace, nel corso della conferenza stampa al Senato, sulla consegna degli aiuti umanitari a Gaza.
Le sue parole, accompagnate da alcuni documenti mostrati in aula, mettono in discussione così non solo l’effettiva neutralità dei corridoi umanitari, ma anche il ruolo delle istituzioni italiane che sarebbero, da tempo, pienamente a conoscenza delle linee guida israeliane sugli aiuti umanitari.
Israele impone restrizioni agli aiuti: le prove presentate in Senato
Durante la conferenza stampa, Rebora ha mostrato una comunicazione ricevuta a fine settembre dalla Jordan Hashemite Charity Organization (JHCO), nella quale veniva richiesto di prendere in considerazione la rimozione di alcuni articoli dai pacchi alimentari familiari, in particolare biscotti, miele e marmellata, “per non fornire troppa energia a donne e bambini”, in linea con le “restrizioni imposte dalle autorità israeliane”.
A seguito di questa richiesta, Rebora ha convocato una videochiamata con tutti i soggetti coinvolti, tra cui il responsabile della JHCO in Giordania, il referente locale di Music for Peace a Gaza e, in veste di uditori, rappresentanti della Farnesina.
Durante la videochiamata, è stato confermato che le restrizioni israeliane sulle spedizioni sono effettivamente in vigore e imposte dal COGAT, l’ente israeliano che coordina le attività governative e civili nei territori palestinesi, inclusa la supervisione degli aiuti umanitari; queste restrizioni, pur non formalizzate in legge, limitano la presenza di zuccheri e amidi, “specialmente per prodotti destinati a donne e bambini”. Come riferito dalla JHECO, è “già successo che su 20 prodotti inviati, 5 siano stati bloccati per queste ragioni”.
A completare il quadro, Rebora ha mostrato una ulteriore email datata 5 ottobre e inviata dalla JHCO, che riporta una risposta ufficiale ricevuta tramite la piattaforma UN2720, gestita dall’UNOPS, cioè l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi ai
Progetti, che coordina la gestione tecnica e amministrativa degli aiuti, con l’indicazione esplicita di rimuovere biscotti e miele per ottenere l’approvazione del transito. Quanto emerso suggerisce che queste restrizioni non siano semplici difficoltà burocratiche, ma linee guida operative conosciute da più attori coinvolti nella gestione degli aiuti. La questione non sarebbe quindi solo tecnica o logistica, ma profondamente politica.
La presenza silenziosa della Farnesina
Ci sarebbe di più. Alla stessa videochiamata, come anticipato, avrebbero partecipato anche rappresentanti della Farnesina che, pur senza intervenire, avrebbero assistito alla conversazione, prendendo atto della situazione. Un dettaglio che, se confermato, solleverebbe un interrogativo politico rilevante: se il governo italiano era a conoscenza delle condizioni imposte, perché non è intervenuto pubblicamente?
Gli aiuti umanitari bloccati
Rebora non nasconde l’amarezza per la situazione: Music for Peace è presente a Gaza dal 2009, ed è stata la prima Organizzazione umanitaria ad entrare nella Striscia; in sedici anni di attività, ha inviato 55 container, per un totale di 900 tonnellate di generi alimentari e 250 tonnellate di medicinali, oltre ad ambulanze e altri mezzi sanitari.
I pacchi alimentari distribuiti, mostrati anche fisicamente oggi in Aula, sono sempre stati gli stessi: contenenti prodotti essenziali, selezionati secondo le linee guida internazionali per le crisi
umanitarie. Mai, sottolinea Rebora, era stato contestato il contenuto. Mai si era visto un blocco simile. Eppure oggi, quei pacchi vengono rifiutati. O peggio: vengono aperti, smontati, svuotati di quegli alimenti considerati “non conformi”, e il costo per lo smaltimento dei prodotti eliminati, biscotti, marmellate, miele, ricade sugli stessi donatori. Ogni camion che tenta di entrare a Gaza dal valico di Kissufim, l’unico operativo, deve pagare un pedaggio di 2.200 dollari; una cifra che grava ulteriormente sul fragile sistema degli aiuti umanitari e che rende evidente quanto la gestione del corridoio sia tutt’altro che neutrale.
Operatori umanitari respinti con “false motivazioni”
Le condizioni poste da Israele, secondo quanto denunciato da Music for Peace, non si limitano però solo alla merce trasportata: l’Organizzazione ha presentato domanda anche per l’ingresso dei propri operatori umanitari all’interno della Striscia, ma ha ricevuto tre rifiuti ufficiali: il primo legato alla presunta mancanza di registrazione in Israele, il secondo al contenuto dei pacchi alimentari e il terzo alla non “accreditabilità” del partner locale. Tre motivazioni che Rebora definisce false, ricordando che l’Organizzazione è riconosciuta anche dal World Food Program, che ha operato con continuità per anni, e che, se davvero non fosse accreditata, le autorità israeliane l’avrebbero già fermata molto tempo prima.
Le richieste di corridoi umanitari permanenti e indipendent
A fronte di tutto questo, Music for Peace chiede tre cose molto chiare: che i pacchi non vengano più aperti arbitrariamente; che gli aiuti vengano consegnati direttamente da chi li ha raccolti e preparati e che sia garantita la presenza, all’interno di Gaza, di un proprio referente operativo in grado di documentare il percorso dei materiali fino alla consegna. Sono richieste che, secondo Rebora, non hanno nulla di straordinario, ma “rappresentano la base minima per definire ‘indipendente’ un vero corridoio umanitario”.
Oggi, dice Rebora, non si può più ignorare ciò che sta accadendo: “Un cessate il fuoco, se ci sarà, sarà una buona notizia per i civili, ma non è la fine. Ma è solo l’inizio di un percorso di verità. Gaza non ha iniziato a soffrire il 7 ottobre ma ben prima. Oggi serve umanità. Non protagonismo, non ego, non appartenenze. Le Organizzazioni umanitarie esistono per questo: per lavorare in guerra, per portare aiuti dove altri costruiscono muri. Se togliamo loro la possibilità di agire in autonomia, allora a cosa servono?”. E intanto, mentre in Parlamento si discute, a Gaza si continua a morire di fame. Anche per mancanza di miele e biscotti.
(da Fanpage)

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LA STUPIDA POLEMICA SUI QUATTRO STUDENTI MUSULMANI CHE A CEREA SI SONO TAPPATI LE ORECCHIE AL MOMENTO DELLA BENEDIZIONE SCOLASTICA: SE LA LORO RELIGIONE VIETA DI ASCOLTARE PREGHIERE DI ALTRI CREDO HANNO FATTO BENE, NESSUNA MANCANZA DI RISPETTO MA COERENZA

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

LA PRESIDE, INVECE CHE ANNUNCIARE SANZIONI LA PROSSIMA VOLTA EVITI DI COSTRINGERE STUDENTI DI ALTRE FEDI A PARTECIPARE A CERIMONIE RELIGIOSE, BASTAVA AVVISARLI… LO STATO ITALIANO E’ LAICO, OGNI TANTO SAREBBE OPPORTUNO RICORDARSELO NEL RISPETTO DI TUTTE LE RELIGIONI

Quattro studenti di 13 anni si tappano le orecchie durante la benedizione di un plesso scolastico a Cerea, in provincia di Verona, e scoppia la polemica. Mentre il vicario parla di «bravata», politici e autorità locali condannano il gesto come «irrispettoso», e la scuola annuncia provvedimenti disciplinari. Il fatto è avvenuto a inizio settimana e i ragazzi coinvolti, tutti di religione musulmana, hanno spiegato di aver reagito in questo modo «per rispetto della propria fede», secondo la quale non sarebbe consentito ascoltare preghiere appartenenti ad altri credo. Una motivazione che, pur chiarendo le ragioni del gesto, non ha evitato la dura reazione critica da parte di diverse figure istituzionali e di far storcere il naso alla stessa scuola.
La preside annuncia sanzioni
La preside della scuola, Silvia De Mitri, non ha assistito
direttamente alla scena, ma quanto accaduto le è stato riferito dagli altri presenti. La dirigente ha spiegato di aver subito convocato i ragazzi insieme ai docenti per chiarire l’accaduto. I quattro studenti hanno motivato il loro gesto, sottolineando che, secondo la loro fede musulmana, ascoltare la benedizione impartita dal sacerdote cattolico sarebbe in contrasto con i principi della loro religione. Pur riconoscendo la spiegazione, la dirigente ha annunciato che saranno adottati provvedimenti disciplinari nei loro confronti perché «è stata una mancanza di rispetto verso la religione cattolica». La preside De Mitri ha poi aggiunto: «La nostra scuola ha sempre operato nell’ottica dell’integrazione e della convivenza pacifica tra diverse confessioni religiose e continuerà a farlo, ma non devono mai venire meno il rispetto reciproco e la tolleranza, valori fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana e dalle regole che disciplinano il vivere civile».
Il sindaco di Cerea: «Grave e irrispettoso»
Il caso è uscito dalle mura scolastiche. È intervenuto, infatti, anche il sindaco di Cerea, Marco Franzoni, che, tra l’altro, era presente alla cerimonia. Per il primo cittadino, non ci sono ragioni che tengano: è stato un gesto «grave e irrispettoso» che «offende la nostra fede cattolica». Per questo, fa sapere, «confido che i provvedimenti annunciati dalla dirigente servano da esempio, affinché simili episodi non si ripetano». Sulla vicenda, è intervenuto anche l’eurodeputato per la Lega, Paolo
Borchia: «L’appartenenza ad un credo diverso non giustifica la mancanza di rispetto per un rito religioso. Questo gesto, commesso da giovani probabilmente nati in Italia e comunque qui cresciuti e istruiti, è sintomatico della volontà, intrinseca nella famiglia, di non desiderare una reale integrazione che non può esistere senza il rispetto della cultura del paese ospitante».
La polemica
Il vicario parrocchiale don Nicola Zorzi, invece, smorza quanto accaduto relegandolo a «una bravata». Anche il vice segretario del Pd di Verona, Alessio Albertini, dice la sua: «Se nel caso specifico dovesse esserci stata una mancanza di rispetto verso il parroco, è giusto che sia data una sanzione equilibrata. Mi resta la sensazione che si possa essere trattato più di una bravata adolescenziale che di un episodio di intolleranza religiosa». Chi punta il dito contro la preside è invece l’Unione degli Atei (Uaar) che fa sapere di aver inviato una lettera via pec alla scuola: «Abbiamo scritto alla preside De Mitri – ha dichiarato Roberto Grendene, segretario dell’Uaar – per ricordarle che la scuola è laica e che è illegittimo prevedere atti di culto in orario di lezione. Ci auguriamo che ritratti prontamente la minaccia di provvedimenti disciplinari a carico di studenti che hanno semplicemente provato a non ascoltare preghiere e benedizioni. A ben vedere se c’è qualcuno da sanzionare, si dovrebbe guardare al vertice dell’istituto». Ora spetta alla scuola decidere e comunicare come ha intenzione di procedere nei confronti dei
quattro ragazzi coinvolti.
(da agenzie)

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FLOTILLA, SCOMPARSI DA 32 ORE GLI ITALIANI FERMATI DAI TERRORISTI ISRAELIANI, LE FAMIGLIE DENUNCIANO: “OBBLIGATI A DICHIARARE AMORE PER ISRAELE”

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

I LEGALI: “CALCI E SCHIAFFI AGLI ATTIVISTI, COSTRETTI IN GINOCCHIO PER ORE NEL SILENZIO DELLA FARNESINA”… I PATRIOTI DELLA DOMENICA COMPLICI DI NETANYAHU

Da più di trentadue ore non si avrebbero notizie degli italiani imbarcati sulla Conscience e sulla ThousandMadleens, le due barche della Freedom Flotilla dirette verso Gaza. Dopo l’arrivo ad Ashdod, gli attivisti sarebbero stati trasferiti nel supercarcere di Ketziot, nel deserto del Negev. Da allora, nessun contatto. Secondo quanto riferito ai familiari, i funzionari dell’ambasciata italiana non hanno potuto incontrarli ieri, mercoledì 8 ottobre, in porto. Solo nelle ultime ore sarebbero iniziate le visite consolari nel carcere di massima sicurezza. Ma dai parenti non arriva alcun riscontro. «Non sappiamo nulla», denuncia Azzurra Corradini, sorella di Riccardo, medico a bordo della Conscience, ripresa da Repubblica. «Parliamo di persone che portavano aiuti, non di militanti politici», aggiunge Corradini. «Medici, infermieri, pedagogisti, giornalisti. Solo umanità, non propaganda. Il silenzio delle istituzioni è inaccettabile». Anche la Freedom Flotilla accusa le autorità diplomatiche di inerzia. «Ci aspettavamo che proteggessero i nostri cittadini e fornissero informazioni. Invece, nulla», dichiara il coordinatore Zaher Darwish.
Le violenze al porto di Ashdod
Gli avvocati dell’organizzazione Adalah, arrivati ad Ashdod dopo l’intercettazione, riferiscono di un trattamento «brutale». Circa cento dei 145 attivisti catturati – fermati in acque internazionali davanti all’Egitto – sono riusciti a parlare brevemente con i legali. Le testimonianze parlano di calci,
schiaffi, strattoni e umiliazioni. Molti sarebbero stati costretti a restare inginocchiati per ore, con il volto verso terra, sotto minaccia di percosse. Altri raccontano di pressioni psicologiche e insulti. Alcuni sarebbero stati obbligati a dichiarare «amore per Israele» e «disprezzo per il proprio Paese». Fonti legali riferiscono che il trattamento più duro sarebbe stato riservato ai cittadini di Stati europei che hanno criticato la guerra a Gaza o imposto sanzioni a Israele.
Il trasferimento nel Negev e i parlamentari coinvolti
Nella notte, tutti gli equipaggi sono stati trasferiti nel carcere di Ketziot, ad eccezione di tre parlamentari turchi, già rientrati in patria via Azerbaigian. Rimangono invece detenuti tre attivisti israeliani, che saranno giudicati da tribunali ordinari. Tra i prigionieri ci sono anche deputati europei di diversi Paesi, tra cui Danimarca, Francia e Spagna. Una di loro, l’eurodeputata Gimena Gonzalez Gomez, si trovava su una barca battente bandiera italiana. Il gruppo ambientalista Ultima Generazione, che conta tra i fermati il medico torinese Francesco Prinetti, parla di «rapimento su suolo italiano».
Gli italiani detenuti
Sulla Conscience, definita “ospedale galleggiante”, viaggiavano sei italiani: il chirurgo Riccardo Corradini, chirurgo, ex studente Erasmus a Gaza, Stefano Argenio, infermiere e sindacalista Cgil, Elizabeth Di Luca, pedagogista e ricercatrice, Claudio Torrero, docente di filosofia e monaco buddhista, Vincenzo Fullone,
attivista già colpito da un divieto d’ingresso in Israele e il medico Francesco Prinetti. Sulla ThousandMadleens invece erano imbarcati Beatrice Lio, marittima veneta; Lorenzo Bresciani, neurologo dell’ospedale di Padova; e Lorenzo Mollicone, giornalista del magazine Scomodo.
Le reazioni internazionali
Madrid si è attivata per ottenere il rilascio dei cittadini spagnoli. «Stiamo lavorando perché tornino a casa il prima possibile», ha dichiarato il ministro degli Esteri José Manuel Albares. Anche il Parlamento europeo segue da vicino la vicenda. «Siamo in contatto costante con le autorità israeliane per garantire un trattamento dignitoso», ha assicurato la presidente Roberta Metsola. Le parole arrivano dopo le preoccupazioni espresse dai Verdi per le condizioni dell’eurodeputata Melissa Camara.
(da Open)

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GAZA È UN’ECATOMBE: 64 MILA BAMBINI SONO STATI UCCISI O MUTILATI. ALL’OSPEDALE NASSER, NEL SUD DI GAZA, I NEONATI PREMATURI SONO COSTRETTI A CONDIVIDERE LE MASCHERE DI OSSIGENO PERCHÉ ISRAELE NON AUTORIZZA IL TRASFERIMENTO DI INCUBATRICI

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

LA RIVISTA SCIENTIFICA “LANCET” CERTIFICA CHE A GAZA L’ASPETTATIVA DI VITA SI È QUASI DIMEZZATA, PASSANDO DA 75,5 A 40,5 ANNI

Claire Magone è rimasta una settimana dentro la Striscia, Quando ne è uscita, pochi giorni fa, ha provato a descrivere quello che ha visto, ma le parole non erano sufficienti. «A Gaza, la morte è ovunque». L’organizzazione di cui dirige la sede francese, Medici Senza Frontiere, è una delle poche rimaste operative in questa guerra di assedio ininterrotto in cui il prezzo più alto lo pagano i bambini. I numeri, freddi, dell’Unicef, descrivano l’ecatombe:
64mila minori sono stati uccisi o sono rimasti mutilati nell’enclave, conferma la direttrice generale Catherine Russell. Una realtà «sconcertante», che potrebbe purtroppo essere parziale. «Non sappiamo quanti altri siano morti a causa di malattie curabili o siano sepolti sotto le macerie. La carestia persiste nella città di Gaza e si sta diffondendo verso sud, dove i bambini vivono già in condizioni disastrose. La crisi legata alla malnutrizione, soprattutto tra gli i più piccoli, resta drammatica. Mesi senza cibo adeguato hanno causato danni permanenti alla crescita e allo sviluppo dei bambini».
L’aspettativa di vita nella Striscia si è quasi dimezzata, scrive la rivista scientifica Lancet, passando da una «media prebellica di 75,5 anni a 40,5 anni nel periodo compreso tra ottobre 2023 e settembre 2024».
Il quotidiano britannico Guardian, come aveva già fatto l’americano Washington Post, ha pubblicato i nomi dei 18.457 minori di 18 anni uccisi fino alla fine di luglio, un elenco che
non include le migliaia di persone ancora sepolte sotto le macerie, né le vittime indirette della guerra.
La distruzione del sistema sanitario ha contribuito a moltiplicare le perdite. Ieri James Elder, portavoce dell’Unicef, ha denunciato che all’ospedale Nasser, nel sud di Gaza, i neonati prematuri sono costretti a condividere maschere di ossigeno perché Israele non autorizza il trasferimento di incubatrici dagli ospedali del nord che sono stati evacuati: «Ci sono state negate quattro missioni solo per recuperare quelle incubatrici», ha detto a Reuters.
(da agenzie)

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ANCHE LA CARITAS ATTACCA IL GOVERNO: “ASSICURARE A TUTTI I POVERI UNA VITA DECENTE NON È PIÙ CONSIDERATO COMPITO DELLO STATO, LE POLITICHE CONTRO LA POVERTÀ DIVENTANO UN SOTTOINSIEME DI QUELLE PER LA NATALITÀ”

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

“AUMENTA LA DIFFERENZA TRA ULTIMI E ULTIMISSIMI” … DON MARCO PAGNIELLO, DIRETTORE DI CARITAS ITALIANA: “CHI VIVE IN POVERTÀ DESIDERA ESSERE TRATTATO SENZA STIGMA, NON ELEMOSINA DALL’ALTO, MA GIUSTIZIA SOCIALE”

È il governo che ha riportato il 4 ottobre, ricorrenza di San Francesco, a festività nazionale. Qualche giorno fa la premier Giorgia Meloni era ad Assisi per celebrarlo. Ma per la Caritas il paradosso è evidente: mentre si inneggia al “poverello”, la lotta alla povertà è stata piegata a una logica natalista. E perciò depotenziata.
Nel Rapporto 2025 sulle politiche di contrasto alla povertà,
dedicato a un primo bilancio dell’Assegno di inclusione (Adi) e del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), la Caritas non usa giri di parole: «Assicurare a tutti i poveri una vita decente non è più considerato compito dello Stato. Le politiche contro la povertà diventano un sottoinsieme di quelle per la natalità».
Il criterio ordinatore è la presenza di figli minori. Chi ne ha, riceve l’assegno. Chi non ne ha, resta escluso. Una scelta che, avverte la Caritas, rischia di violare l’articolo 3 della Costituzione e discriminare tra bisognosi.
I numeri confermano l’arretramento. Da 1,4 milioni di nuclei beneficiari del Reddito di cittadinanza si è scesi a 650 mila nel 2024. L’Adi riduce la platea, abbassa gli importi medi e incide meno sulla povertà: mentre il Reddito la portava dall’8,9% al 7,5%, il nuovo sussidio arriva solo all’8,3%. A pagare sono adulti soli, working poor, stranieri (31% dei poveri assoluti ma solo 9% dei beneficiari). Così si accentua la distanza tra «ultimi e ultimissimi».
Anche l’Sfl delude. Nel 2024 lo hanno percepito 181 mila “occupabili” per sei-sette mesi in media. Corsi generici e scollegati dal mercato lo riducono a «un mini-Reddito temporaneo da 500 euro». Nei focus Caritas è stato definito «una scatola vuota, uno stipendificio». Il rischio è «creare un esercito di nuovi poveri inattivi e disillusi».
Mentre l’Italia stringe, l’Europa allarga. La Germania ha introdotto il Bürgergeld, più generoso e meno punitivo. La
Spagna ha rivalutato l’Ingreso Mínimo Vital del 42,8% in cinque anni. In Italia le soglie dell’Adi sono state alzate una sola volta: +8,3% nel 2025, contro un’inflazione del 18% dal 2019. A reggere il peso sono le Caritas diocesane, dove aumentano le richieste di pacchi alimentari e aiuti per affitto e bollette.
«Chi vive in povertà desidera essere trattato con rispetto, senza stigma», ricorda don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana. «Non elemosina dall’alto, ma giustizia sociale: la mano tesa dello Stato che restituisce dignità e inclusione».
(da agenzie)

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I FRATELLI D’ITALIA? FORA DI BALL! IL SEGRETARIO DELLA LEGA LOMBARDA, MASSIMILIANO ROMEO, STOPPA SUBITO LA RESA DI SALVINI, CHE IN CAMBIO DELL’OK AD ALBERTO STEFANI IN VENETO HA PROMESSO DI LASCIARE IL PIRELLONE A FDI: “QUANDO ARRIVERÀ IL 2028, SCEGLIEREMO INSIEME IL CANDIDATO MIGLIORE, MA SARÀ UN CANDIDATO DELLA LEGA”

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

“SE DOVESSIMO PERDERE LA GUIDA DELLA REGIONE, LA LEGA RISCHIEREBBE DI PERDERSI. NON È UNA QUESTIONE DI VOTI, MA DI RADICI. LA LOMBARDIA VALE DI PIÙ DI QUALCHE MINISTERO ROMANO”

“Quando arriverà il 2028 sceglieremo insieme il candidato migliore. Ma lo ripeto, sarà un candidato della Lega”. Lo afferma in un’intervista a Brescia Oggi il segretario della Lega Lombarda, il senatore Massimiliano Romeo, parlando dell’eventualità che la Lombardia passi a un candidato di Fratelli d’Italia.
Uno ‘scambio’, dopo che è stato ufficializzato il candidato leghista per le Regionali in Veneto, che lascia “perplesso” Romeo visto che “Veneto e Lombardia sono due realtà diverse. Non sono due pedine da muovere sullo stesso tavolo. Questo è un ragionamento sbagliato nel metodo e nel merito”.
La Lombardia “è dove è nata la Lega, se dovessimo perdere la guida della Regione, la Lega rischierebbe di perdersi. Non è una questione di voti, ma di radici. La Lombardia per la Lega è simbolo di radicamento profondo” insiste Romeo, sottolineando che la premier Giorgia Meloni “sa bene che la Lega è un alleato fondamentale, se vuole rafforzare la sua maggioranza deve tenerne conto, non può permettersi di indebolire un alleato”
E comunque “la Lombardia vale di più di qualche ministero romano – conclude Romeo bollando come “follia” l’ipotesi di un voto anticipato in Regione -. Chiediamo che venga rispettato ciò che è nostro. Se la Lombardia funziona, va confermata la Lega. Punto”.
(da agenzie)

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CI VORREBBE IL MOSE PER FERMARE LA MAREA DI POLEMICHE CONTRO LA VENEZI: I LAVORATORI DELLA “FENICE” DI VENEZIA ENTRANO IN SCIOPERO E CHIEDONO LA REVOCA DELLA DIRETTRICE MUSICALE BEATRICE VENEZI,MA E’ MURO CONTRO MURO CON IL SOVRINTENDENTE COLANBIANCHI

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL SINDACO BRUGNARO LA DIFENDE MA CONFERMA CHE ‘IL PESO DI ROMA C’È STATO”… E STASERA PER FORTUNA ARRIVA RICCARDO MUTI A DIRIGERE LA CHERUBINI

Ultime sul caso di Venezi a Venezia. Ieri si è svolto l’attesissimo incontro fra il sindaco Luigi Brugnaro, anche presidente della Fondazione Fenice, il sovrintendente Nicola Colabianchi e i sindacati per la famosa «mediazione» del primo cittadino sullo strano caso della direttrice musicale che vogliono a Roma e a Venezia no.
Però tre ore di discussione sulla situazione della Fenice sono servite soltanto a complicarla. Risultato della diplomazia del sindaco: i lavoratori della Fenice sono passati dallo stato di agitazione allo sciopero tout court.
Il 17 ottobre salterà la prima del Wozzeck di Berg, che curiosamente doveva andare in scena in traduzione italiana (non è una scelta nazionalsovranista di Colabianchi ma del suo predecessore, Fortunato Ortombina, che oggi felicemente sovrintende alla Scala).
Per il resto, le parti sono rimaste sulle loro posizioni: Brugnaro & Colabianchi per Venezi, chi dovrebbe suonare con lei no. Il sindaco ha proposto di avviare «un percorso conoscitivo con il nuovo direttore musicale, confermandone però la nomina». Gli è stato risposto che se ne potrà discutere soltanto dopo averla revocata.
Quello fra i due sponsor della direttrice e i lavoratori della Fenice è stato, pare, più uno scontro che un incontro. Al sindaco è stato chiesto su quale giudizio di merito sia stata scelta Venezi. Lui ha risposto che è «basata sulla fiducia», tipo Galbani.
Il che, detto a chi ha avuto il posto dopo aver vinto un concorso internazionale dove suoni dietro una tenda perché non ti possano riconoscere, risulta alquanto curioso. Sempre Brugnaro ha poi sollevato il tema del timore dei professori a «provare» Venezi. Gli è stato replicato che l’Orchestra era appunto irritata, per usare un eufemismo, per l’arrivo di una direttrice che, appunto, nessuno ha potuto provare. Insomma, i suonatori gliele hanno cantate.
Brugnaro ha annunciato di aver detto a Venezi «di non fare passi indietro» e che Colabianchi «ha la mia fiducia». Ma in questo dialogo fra sordi si registrano anche delle divergenze fra sindaco e sovrintendente.
Il primo ha confermato quanto aveva già detto, che «il peso di Roma c’è stato e ci sarà sempre», insomma qualcuno o qualcuna si è fatto vivo per «sollecitare la scelta», come nella Cenerentola (nota per Brugnaro: di Rossini).
Il secondo ha invece negato pressioni ripetendo di aver fatto tutto questo capolavoro da solo. «Lavoriamo per il bene del teatro», auspica Colabianchi, un teatro i cui lavoratori però l’hanno sfiduciato all’unanimità (ma niente paura, nell’Italia di oggi l’istituto delle dimissioni è di fatto abolito). Infine, Brugnaro ha annunciato che gli abbonamenti cancellati sono solo tre. Ma in calce alla lettera degli abbonati che minacciano di
lasciare ci sono già 162 firme.
Insomma, è muro contro muro. I lavoratori della Fenice sembrano decisi a battersi ad oltranza, e di certo pesa la compatta solidarietà di tutto il mondo musicale italiano, direttori di Sanremo esclusi.
A parte minacciare querele via Giulia Bongiorno, Beatrice Venezi invece tace, forse convinta che una soluzione si troverà, anche se francamente il tempo non sembra giocare per lei e più ne passa in queste polemiche e meno possibilità restano di un’uscita dignitosa. Intanto stasera alla Fenice arriva con la sua Cherubini Riccardo Muti, che è solito arringare gli spettatori dopo i concerti. E qui davvero la curiosità è tanta: parlerà? Non parlerà? E farà cenno a questa vicenda?
(da La Stampa)

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LA CRESCITA DI REFORM UK, IL PARTITO DI NIGEL FARAGE, STA SPINGENDO I CONSERVATORI VERSO “L’ESTINZIONE”: NEI SONDAGGI STAZIONANO ATTORNO AL 15% E, SE SI VOTASSE DOMANI, VERREBBERO SPAZZATI VIA DAL PARLAMENTO

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL MOTIVO? PAGANO DIVERSI ERRORI DEL PASSATO, COME LA DERIVA IDEOLOGICA DELLA BREXIT, L’IMPOPOLARITÀ DEI GOVERNI CAMERON, MAY, JOHNSON, TRUSS E SUNAK E LE PORTE APERTE ALL’IMMIGRAZIONE

Salvo improbabili resurrezioni, quello che è stato il partito politico di maggior successo della storia occidentale è sull’orlo della scomparsa: e il meteorite che ha causato l’estinzione dei dinosauri Tory ha la forma di Nigel Farage, il tribuno della destra populista che ha fagocitato la destra tradizionale.
I Conservatori ormai stazionano nei sondaggi attorno al 15% e se si votasse domani, con il sistema uninominale britannico, verrebbero spazzati via dal Parlamento: un destino incredibile fino a poco fa per un partito che ha due secoli alle spalle, che ha governato la Gran Bretagna per 65 degli ultimi 100 anni e che ha espresso leader della statura di Benjamin Disraeli, Winston Churchill e Margaret Thatcher.
Adesso Reform, il partito di Farage, sta sostituendo i Conservatori come opposizione al governo laburista. Non passa giorno che esponenti maggiori o minori dei Tory non abbandonino la nave che affonda e vadano a ingrossare le legioni di Farage (martedì 20 consiglieri locali in un colpo solo). […]
I Conservatori si sono messi da tempo a inseguire Farage sul suo stesso terreno, spostandosi su posizioni sempre più radicali, dall’immigrazione alle guerre culturali: una strategia che finora non sembra dare frutti, perché è Farage a dettare i termini del dibattito.
Al contrario, il successo storico dei Conservatori era stato garantito dal fatto che erano un partito di destra pragmatico, non ideologico, pronto ad adattarsi ai tempi e ad evolversi con essi: e non è un caso se sono stati loro a esprimere il primo capo di governo ebreo (Disraeli) e a portare a Downing Street ben tre donne (Thatcher, Theresa May e Liz Truss), così come sono stati loro, e non la sinistra, a introdurre a Londra i matrimoni gay.
A disfare i Conservatori, in ultima analisi, è stata la Brexit e la deriva ideologica che l’ha accompagnata. La questione europea ha dilaniato il partito, ha portato alle dimissioni prima David Cameron e poi Theresa May e infine ha elevato a leader Boris Johnson, travolto dalla sua cialtroneria non prima di aver epurato i Conservatori trasformandoli in un culto pro-Brexit. Una girandola di primi ministri proseguita con Liz Truss, che in sette settimane ha condotto la Gran Bretagna alla bancarotta,
conclusa col modesto tecnocrate Rishi Sunak. In questo modo, i Conservatori si sono giocati la credibilità storica in tema di competenza e stabilità, il loro asset maggiore.
Oltre a ciò, dopo la Brexit, sotto l’occhio dei governi conservatori, si sono aperte le porte all’immigrazione di massa, con milioni di persone entrate in Gran Bretagna: un fenomeno che ha avuto inevitabili contraccolpi sociali e culturali e ha finito per gonfiare le vele della destra estrema di Farage.
Poi in questo clima, spiace dirlo, un certo elettorato un po’ xenofobo ha magari storto il naso al fatto che gli ultimi due leader Tory siano state persone di colore (anche questa una prima assoluta), l’indiano Sunak e la nigeriana Badenoch: e così quell’elettore si è spostato ancora più a destra

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ILARIA SALIS VUOLE ESSERE PROCESSATA IN ITALIA MA, DOPO IL VOTO CHE HA CONFERMATO LA SUA IMMUNITÀ, NEI PROSSIMI TRE ANNI NON POTRÀ FINIRE NEL MIRINO DELLA GIUSTIZIA ITALIANA

Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL GOVERNO UNGHERESE NON HA TRASMESSO GLI ATTI DELL’INCHIESTA ALLE AUTORITÀ ITALIANE (ESSENDO UNA PATACCA), COMUNQUE NORDIO NON HA INTENZIONE DI FORZARE LE PROCEDURE… LA SPARATA DEL SOTTOSEGRETARIO DELMASTRO: “LA SOTTRAZIONE AL GIUDICE È QUANTO DI PIÙ INCOSTITUZIONALE, VIOLENTO POSSA ESSERE MAI STATO PARTORITO DAL CERVELLO UMANO” (SI RIFERISCE A PIANTEDOSI, NORDIO E MANTOVANO SUL CASO ALMASRI?)

Dopo il voto del Parlamento europeo, che ha confermato martedì l’immunità a Ilaria Salis, ora il caso è nelle mani di Ungheria e Italia. Di Budapest perché il governo ungherese potrebbe ricorrere alla Corte di giustizia Ue, e di Roma perché il ministro della Giustizia Carlo Nordio potrebbe chiedere di fare il processo in Italia.
Ma nulla per ora, si vedrà in seguito. È questa l’attuale posizione del ministro Nordio, sul caso Salis. «Non è arrivato niente. Quando arriverà sarà valutato», spiegano fonti di via Arenula. Che fanno notare come l’immunità ottenuta dall’eurodeputata fa sì che sia sospeso anche il processo per i prossimi tre anni. Fretta dunque non ce n’è.
E, pare di intuire, tantomeno l’intenzione da parte del ministro di bruciare i tempi o forzare le procedure che non prevedono, come spiegano dallo staff, un’iniziativa autonoma del Guardasigilli per i reati di cui è accusata e per un arresto avvenuto non a seguito di mandato di cattura europeo ma dopo un fermo in Ungheria.
Al momento Salis è accusata di lesioni gravi verso neonazisti e di associazione a delinquere, ma poiché di recente Budapest ha dichiarato «organizzazione terroristica» il movimento di estrema sinistra Antifa, il governo ungherese ora parla anche di questo reato.
Nordio, dunque, attenderà che la richiesta di celebrare in Italia il processo per quei fatti gli venga inoltrata. Ma, a ieri, facevano sapere dal ministero, non erano arrivate istanze né dalla difesa dell’europarlamentare, né dalla Corte d’appello di Milano.
Intanto è intervenuto a gamba tesa il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro di Fratelli d’Italia, che ha detto che «la sottrazione al giudice naturale è quanto di più incostituzionale, violento politicamente possa essere mai stato partorito e pensato dal cervello umano». Delmastro ha assicurato che «FdI ha votato contro un’immunità che puzza lontano un miglio di privilegio».
Secondo l’elenco dei deputati che hanno partecipato allo scrutinio segreto, erano presenti in 263 del centrosinistra: socialisti (115), liberali (64), verdi (46) e Sinistra (38). Poiché la conferma all’immunità ha ottenuto 306 voti, assumendo che il centrosinistra sia stato a favore, ci sono stati 43 franchi tiratori nel centrodestra. Poi però ci sono anche i 17 astenuti.
Tuttavia il Ppe in cui siede FI, i Patrioti in cui milita la Lega e l’Ecr di cui fa parte FdI, così come i sovranisti hanno dichiarato di avere votato per la revoca. Tra gli italiani erano assenti Tridico (M5S) e Patriciello (Lega). Per il padre di Ilaria, Roberto Salis, «i franchi tiratori erano da tutte le parti, me ne risultano diversi, due della Lega e uno di FdI»
(da Corriere della Sera)

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