Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNO E’ DISPONIBILE A MANDARNE 250: IL MINISTRO DELLA DIFESA CROSETTO E IL COMANDO DELL’ARMA RICORDANO BENE GLI ATTACCHI ISRAELIANI CONTRO LE BASI UNIFIL IN LIBANO, E PRETENDONO REGOLE DI INGAGGIO LIMPIDE, COPERTURE POLITICHE E UNA TREGUA STABILE PRIMA DI RIMETTERE PIEDE IN UN’AREA RISCHIOSA
L’Italia ci sarà. È questa, ai vertici dell’esecutivo, l’unica certezza. In prima fila, ad applaudire
Donald Trump quando annuncerà la tregua a Gaza. E poi sul campo, quando le fanfare si spegneranno e comincerà il lavoro vero, quello della ricostruzione della Striscia e delle garanzie per l’intera Palestina.
La foto di Sharm el-Sheikh è nella testa di Giorgia Meloni da quando il ministro degli Esteri egiziano ha comunicato ad Antonio Tajani l’invito: tra le 15 e le 18 di lunedì, stretta tra Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer e gli altri 18 invitati, con la consapevolezza – da rivendicare in Italia – di aver scommesso sul piano di pace del tycoon prima degli altri. In Egitto, però, alla sottoscrizione dell’accordo tra Usa, Qatar,
Egitto, Emirati Arabi e Turchia non ci sarà Benjamin Netanyahu: troppo rischioso per lui sfilare accanto ai leader dei Paesi arabi.
Subito dopo, se tutto dovesse andare come deve, potrebbe toccare ai Carabinieri. I militari italiani torneranno dove avevano lasciato il campo il 7 ottobre 2023: al valico di Rafah, nel quadro della missione Eubam, per controllare e ispezionare i seicento tir carichi di aiuti umanitari che attraverseranno il confine tra Gaza ed Egitto
Roma però non si limita a gestire la frontiera, ma prova a recitare un ruolo importante per il futuro della Striscia. Gli Stati Uniti chiedono di mandare cinquecento Carabinieri a Gerico, per riattivare l’addestramento delle forze di sicurezza palestinesi nel quadro della missione Miadit.
L’Italia ragiona e, per ora, si dice disponibile a inviarne circa 250 (magari includendo quelli che saranno a Rafah), consapevole che oggi nei pressi del fiume Giordano ne operano appena venticinque, benché il Parlamento abbia già autorizzato fino a 1.650 unità. Ma non è una questione di numeri
Crosetto e il comando dell’Arma ricordano bene gli attacchi israeliani contro le basi Unifil in Libano, nonostante gli appelli di Roma. E dunque pretendono regole di ingaggio limpide, coperture politiche e una tregua davvero stabile prima di rimettere piede in un’area ancora fumante. Vogliono sapere dove iniziano i limiti e chi risponde se qualcosa va storto.
A Washington – com’è noto – la pazienza è poca. La Casa
Bianca considera Miadit un pilastro del futuro assetto palestinese: il laboratorio in cui costruire la nuova forza di sicurezza che dovrà sostituire, anche simbolicamente, l’ordine imposto da Hamas anche a Gaza. Per questo la pressione cresce [
Nel frattempo la diplomazia italiana tesse la sua tela. Ieri i contatti si sono moltiplicati a tutti i livelli per consolidare il ruolo dell’Italia nel “day after” della guerra. Non solo sul fronte militare
C’è anche la partita umanitaria, quella che la premier considera decisiva per mettere la bandiera italiana sulla pace, e – pro futuro – sulla ricostruzione. Dopo i voli organizzati dalla Farnesina per curare i bambini gazawi in Italia, il governo prepara la seconda fase: curarli là, sul posto. Due ospedali – uno in Giordania, uno in Egitto – saranno ristrutturati e potenziati per assistere i palestinesi nella fase della ricostruzione.
Nella foto di Sharm el-Sheikh dovrebbe trovare posto anche l’Unione europea, che figura nella lista dei 22 invitati stilata dal Cairo. L’Alto Rappresentante Kaja Kallas ha fatto sapere che non potrà esserci per altri impegni, così come Ursula von der Leyen: la presidente della Commissione ha confermato proprio ieri il suo tour nei Balcani Il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, dovrebbe invece riuscire a modificare la sua agenda per essere presente. In questi giorni è tornata a girare tra i diplomatici la battuta «vogliamo essere dei “player” e non soltanto dei “payer”»: l’Ue vuole giocare un ruolo e non soltanto
pagare. Bruxelles rivendica con orgoglio di essere il principale donatore per la Palestina
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA STIMA HORROR DELLA CGIA: NEL 2024 L’ISTITUTO POLIGRAFICO E LA ZECCA DELLO STATO HANNO PUBBLICATO 350 DOCUMENTI, COSTITUITI DA 35.140 PAGINE: CONSIDERANDO UN TEMPO MEDIO DI 5 MINUTI A PAGINA, PER LEGGERLE TUTTE CI VORREBBERO 366 GIORNI LAVORATIVI
Al netto della legislazione europea e di quella regionale, tra Dpcm, leggi, decreti, ordinanze ministeriali, delibere, determine, circolari, comunicati, etc., nel 2024 l’Istituto Poligrafico e la Zecca dello Stato hanno pubblicato 305 Gazzette Ufficiali a cui vanno sommati 45 Supplementi ordinari e straordinari. Complessivamente questi 350 documenti sono costituiti da
35.140 pagine.
Considerando un tempo medio di 5 minuti a pagina, rileva la Cgia, una persona che si dedicasse a leggerle tutte impiegherebbe 366 giorni lavorativi, praticamente un anno (con sabati e domeniche incluse. Nel 2025, il quadro generale non dovrebbe subire grosse variazioni.
Nei primi 9 mesi ci sono state 227 GU e 31 Supplementi ordinari e straordinari, per 25.888 pagine, ‘solo’ 189 facciate in più rispetto al 2024. The European House Ambrosetti ha quantificato in 57,2 miliardi di euro il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la PA.
L’ incidenza percentuale del Pil di ciascuna delle 107 province italiane vede prima Milano con un costo annuo di 6,1 miliardi di euro. Seguono Roma (5,4), Torino (2,2), Napoli (1,9) e Brescia (1,4). Ultime Enna (81 milioni), Vibo Valentia (80) e Isernia (55).
Nei primi 9 mesi di quest’anno, la punta massima di “produttività normativa” è stata registrata il 18 aprile. In quell’occasione, il Supplemento ordinario n.13 contenete il testo, le tabelle e i grafici degli ISA che hanno sostituito gli studi di settore, le imprese, i commercialisti, le associazioni di categoria e gli addetti ai lavori si sono trovati tra le mani un tomo da 5.157 pagine che definisce gli indicatori di tutte le attività economiche con le relative specificità territoriali che sono soggette agli ISA.
Tra la montagna di carte “partorite” quest’anno, sicuramente c’è una pubblicazione sparita con soddisfazione. Composto da 1.616 pagine, il Supplemento ordinario n.14 del 24 aprile 2025 ha abrogato 30.700 atti normativi prerepubblicani del periodo 1861-1946: regi decreti, leggi formali, regi decreti-legge, regi decreti-legislativi, decreti luogotenenziali, decreti legislativi luogotenenziali, decreti-legge luogotenenziali, decreti del capo del governo e decreti del Duce del fascismo, capo del governo.
Uno “choc normativo” che ridurrà del 28% circa lo stock normativo statale vigente. Anche il PNRR prevede una decisa semplificazione del sistema burocratico del Paese. L’eccessiva proliferazione del numero delle leggi in Italia è in larga parte ascrivibile a due fattori: alla mancata soppressione di leggi concorrenti, una volta che una nuova norma viene approvata definitivamente; al sempre più massiccio ricorso ai decreti legge che, per la loro natura, richiedono l’approvazione di ulteriori provvedimenti (decreti attuativi)
Questa sovraproduzione normativa ha ingessato il funzionamento della PA con ricadute pesanti specie sulle Pmi. Oltre a essere tante e in molti casi in contraddizione tra loro, queste leggi sono tendenzialmente scritte male e incomprensibili ai più, per cui applicarle è molto difficile.
Per la Cgia bisogna semplificare il quadro normativo e, ove è possibile, di non sovrapporre più livelli di governo sullo stesso argomento. In particolare è necessario: migliorare la qualità e ridurre il numero delle leggi, analizzando più attentamente il loro
impatto, specie sulle Pmi; monitorare con cadenza periodica gli effetti delle nuove misure per poter introdurre velocemente dei correttivi; consolidare l’ informatizzazione della PA, rendendo i siti più accessibili e i contenuti più fruibili; grazie all’AI, far dialogare tra di loro le banche dati pubbliche per evitare la duplicazione delle richieste all’utenza; permettere alle imprese la compilazione delle istanze solo per via telematica;
procedere e completare la standardizzazione della modulistica; accrescere la professionalità dei dipendenti pubblici con una continua formazione. Con la revisione del PNRR di maggio 2025, la scadenza relativa al giugno 2025 è stata cancellata. Tuttavia, visto che è rimasto invariato l’impegno relativo al totale di 600 procedure da raggiungere entro giugno 2026, questa cancellazione ha comportato solo un rinvio delle relative semplificazioni, non una loro eliminazione.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
ALLE STELLE ANCHE I PREZZI DEGLI INTERVENTI DI MANUTENZIONE DELLE ABITAZIONI, DEI MOBILI E DEGLI ARREDI
I costi di gestione e manutenzione della casa sono letteralmente schizzati negli ultimi 10 anni,
spinti al rialzo dall’impennata delle bollette. A fronte di un’inflazione dal 2015 ad oggi pari a circa il 23%, il prezzo dell’elettricità è aumentato di ben il 74%, quello del gas di oltre il 39% e quello dell’acqua di ben il 47,6%.
C’è una sola voce che ha registrato un andamento negativo dell’indice dei prezzi: quella relativa agli elettrodomestici di grande dimensione, come frigoriferi e lavatrici, nel 2025 più economici dell’1,5% rispetto a 10 anni fa. Ad elaborare i dati è Confedilizia che, in uno studio ad hoc, sottolinea come negli anni, si è registrato un incremento molto più consistente delle spese fisse – dalle bollette agli interventi di manutenzione – rispetto ad altre voci di consumo, come appunto gli elettrodomestici, che incidono solo occasionalmente sul bilancio di una famiglia.
Guardando all’anno in corso, i costi relativi alla fornitura idrica,
evidenzia l’organizzazione dei proprietari nello studio pubblicato online, sono anche quelli che hanno visto la maggiore inflazione: +4,8% tra giugno, luglio e agosto, e +4,7% in settembre, dopo incrementi superiori al 6% all’inizio del 2025. Più moderata è invece la crescita del costo della raccolta dei rifiuti, nel mese di settembre dell’1,8%, dopo un lungo periodo però di aumenti superiori al 3%.
I costi di alcuni servizi essenziali per la vita domestica, come le riparazioni e la manutenzione degli immobili, si sono fatti anch’essi sentire: da aprile, con la sola eccezione di luglio, il ritmo di crescita annuo non è mai sceso sotto il 3%. Per gas e luce invece, dopo una serie di rincari primaverili, settembre è stato un mese di flessione dei prezzi, rispettivamente del 5,6% e del 5,8%.
Incrementi contenuti sono quelli che hanno colpito altri prodotti e servizi, come mobili e arredi, che il mese scorso hanno visto un aumento dello 0,9%, in linea con quello avvenuto nell’ultimo anno, e che in 10 anni sono diventati più costosi del 20,9%, meno dell’inflazione media. Degni di nota gli elettrodomestici, i cui prezzi a settembre sono diminuiti dell’1,5%.
Il calo, spiega Confedilizia, è stato trainato soprattutto da quelli di grandi dimensioni, come frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie, che hanno visto una riduzione dei prezzi del 2,5% su settembre 2024 e addirittura dell’1,5% nei dieci anni dal 2015. Non è esattamente lo stesso per i piccoli elettrodomestici, come
frullatori o ferri da stiro, che, dopo una fase di discesa dei prezzi, hanno visto un aumento, seppur lieve.
Rispetto allo scorso decennio i rincari sono stati minimi, solo dello 0,7%. Limitati sono pure gli aumenti di prodotti come le stoviglie e gli utensili domestici, +0,9% quello annuo in settembre e +11,9% in 10 anni, oppure delle attrezzature per il giardino, rispettivamente +1% e +9,1%.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL TUTTO MENTRE IL BANCHIERE ERA AL CENTRO DEL RISIKO BANCARIO, IMPEGNATO NELL’OFFERTA SU BANCO BPM E IN PARALLELO NELLA SCALATA NEL CAPITALE DELLA TEDESCA COMMERZBANK, DUE OPERAZIONI AVVERSATE DAI RISPETTIVI GOVERNI.. I MANDANTI NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SERVIZI DI SPIONAGGIO SOLO AD AUTORITÀ STATALI
Anche Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, è stato “attenzionato” con il software spia Graphite di Paragon. Il tutto mentre il banchiere era una delle figure centrali del risiko bancario, impegnato nell’offerta su Banco Bpm e in parallelo nella scalata nel capitale della tedesca Commerzbank, due operazioni avversate dai rispettivi governi.
Secondo quanto ha potuto verificare un’inchiesta de La Stampa e IrpiMedia, la scorsa primavera Apple ha notificato la possibile compromissione del dispositivo di Orcel. Il suo nome si aggiunge a quello di Francesco Gaetano Caltagirone, a sua volta attaccato tramite il software spia prodotto dall’azienda di Tel Aviv e nella esclusiva disponibilità delle agenzie di intelligence di diversi Paesi, tra i quali l’Italia.ù
Se finora lo scandalo Paragon è stato prevalentemente legato al mondo del giornalismo e dell’attivismo, con vittime tra i giornalisti di Fanpage e i membri della Ong Mediterranea, il coinvolgimento di Orcel e Caltagirone nell’elenco dei bersagli toglie ogni dubbio sul fatto che lo strumento cibernetico – col quale è possibile ottenere l’accesso da remoto al dispositivo di un bersaglio – sia stato usato anche per controllare la finanza italiana. Per di più in una fase cruciale della sua storia, con un complesso riassetto avvenuto sotto l’egida del governo destinato a cambiare il potere finanziario del Paese.
Non risulta che la Germania abbia un contratto con Paragon.
Alle 14 del 29 aprile 2025, il colosso di Cupertino ha inviato il medesimo messaggio a un numero imprecisato di utenti in tutto il mondo: «Notifica di minaccia. Apple ha rilevato l’attacco di uno spyware mercenario mirato contro il tuo iPhone». Secondo quanto appreso da IrpiMedia è questo il messaggio ricevuto da Orcel e che ha messo in allarme i vertici di Piazza Gae Aulenti
La medesima comunicazione era arrivata anche al giornalista italiano Ciro Pellegrino, che ha subito denunciato l’accaduto sulla propria testata, Fanpage.
A fine novembre 2024, Unicredit ha lanciato un’offerta su Banco Bpm. Una operazione da 10 miliardi di euro, per la quale il governo ha fin da subito manifestato la propria contrarietà.
Nel settembre precedente, la stessa Unicredit aveva acquistato azioni Commerzbank durante un collocamento e annunciato l’intenzione di salire ulteriormente. Causando in questo caso l’ira di Berlino. In gennaio, nel governo si inizia a concretizzare l’ipotesi dell’utilizzo del Golden power che verrà varato il 18 aprile. In parallelo, si sono sviluppate le altre operazioni del risiko.
Ad aprile, la banca guidata da Orcel è arrivata a detenere il 6,7% del capitale di Generali, sostenendo all’assemblea la lista presentata da Caltagirone e marcando un cambio di direzione rispetto alla linea di non intervento, sostenendo di fatto la cordata contraria a Mediobanca.
In estate, un pacchetto di azioni Mediobanca della stessa Unicredit viene conferito all’offerta di Mps. A gennaio, un allarme simile ma questa volta proveniente da Whatsapp, era stato ricevuto da Caltagirone, dal direttore di Fanpage Francesco Cancellato e da altri. L’analisi tecnica svolta sul dispositivo di Pellegrino, eseguita dagli esperti del Citizen Lab di Toronto, permette di rilevare tracce di Graphite
Tra i suoi utilizzatori anche il governo italiano che, a seguito di un’indagine del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, incaricato di monitorare il comportamento dell’intelligence nazionale) aveva dovuto ammettere di aver utilizzato proprio Graphite per tenere sotto controllo alcuni membri della Ong Mediterranea, Beppe Caccia e Luca Casarini. Tuttavia, il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la delega ai servizi, aveva respinto l’accusa di aver spiato anche i giornalisti. Di tale attività non sono effettivamente emerse tracce durante l’indagine del Copasir.
Di tutte le vittime di Graphite si conoscono solo quelle che hanno dichiarato pubblicamente di aver ricevuto la notifica. Caccia, Casarini, Cancellato e Pellegrino in primis, ma anche Roberto D’Agostino e Eva Vlaardingerbroek. I casi di Orcel e Caltagirone segnano un ennesimo salto in avanti nella vicenda di Paragon, dove le domande senza risposta e i punti oscuri restano ancora troppi.
(da Fanpage)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
“NON CRESCERANNO MAI COME AVREBBERO POTUTO”
La fame a Gaza non è una tragica casualità, ma una realtà imposta che colpisce duramente
anche chi rappresenta il futuro: i più piccoli. Uno studio di Lancet dice che tra gennaio 2024 e agosto 2025, sono stati 54mila i bambini sotto i 5 anni che hanno
sofferto di malnutrizione acuta.
Il drammatico fenomeno è aumentato costantemente nel corso di questi anni, con picchi nelle fasi di blocco totale o parziale dei rifornimenti alimentari. Sono state le decisioni di Israele a impattare direttamente sulla salute infantile.
Lo ha spiegato a Fanpage.it la dottoressa di Emergency Raffaela Baiocchi, ginecologa rientrata da una missione nella Striscia di Gaza ad agosto 2025.
“Alcuni bambini non cresceranno mai come avrebbero potuto. Più sono piccoli, più la malnutrizione impatta in maniere difficili o impossibili da recuperare. Sarà leggermente più facile solo o per quelli un po’ più grandi o per quelli che hanno subito forme meno prolungate di malnutrizione”, ha spiegato la Dottoressa. “La categoria più fragile è sicuramente quella dei bambini sotto i 2 anni”.
Anche con il cessate il fuoco, sarà dunque difficile rimettere in sesto la salute di questi bambini. Il loro futuro sarà per sempre segnato dalla mancanza di cibo di questi anni, dovuta principalmente all’assenza degli aiuti. “Senza il cibo che arriva dall’esterno a Gaza non ce n’è altro, o comunque ce n’è pochissimo”.
La Striscia non è mai stata completamente autosufficiente dal punto di vista alimentare già da prima del 7 ottobre. “C’erano delle aree dedicate alla coltivazione e all’allevamento, così come un’attività di pesca, ma comunque c’era già bisogno
dell’importazione”.
Poi, la situazione è solo peggiorata. “I terreni sono stati devastati, ho visto con i miei occhi serre distrutte. Alcune rimaste in piedi sono state adibite a scopi come quello di ospitare i rifugiati dei bombardamenti”.
Così la popolazione si è trovata senza cibo “sia a causa delle interruzioni degli aiuti alimentari sia a causa della perdita delle scorte di cibo dopo la distruzione delle case”.
Durante il blocco totale degli aiuti da marzo a maggio, il cibo veniva solo venduto a prezzi esorbitanti sul mercato nero. Eppure il modo per farlo entrare c’è sempre stato. “Io ero a Gaza durante il primo cessate il fuoco” spiega la ginecologa. “Il giorno prima non si trovava nulla, miracolosamente il giorno dopo sono comparsi degli aiuti. Questo perché sono tornati a funzionare i trasporti di terra, che riescono a portare più cibo e sono più economici, a differenza di quelli aerei”. E questa possibilità era stata interrotta da deliberate scelte politiche di Israele.
Bisogna anche pensare che gli aiuti alimentari non bastano di per sé. “Senza corrente, senza poter cucinare, non c’è modo di trasformare pacchi di farina o riso in pasti commestibili” dice ancora Baiocchi. Poi, “oltre a pensare alla quantità di aiuti, bisogna anche pensare alla loro natura”. Sono tanti i nutrienti che servono a un’alimentazione completa, soprattutto nel contesto della crescita.
“Il programma nella Striscia per i bambini malnutriti dai 6 mesi
ai 5 anni, finanziato da Unicef, prevede la somministrazione di cibo terapeutico. Si tratta di bustine contenenti una pappa di noccioline e arachidi, cui vengono aggiunti altri nutrimenti. Ma non tutti la accettano, perché non si tratta di un sapore palatabile per i bambini. Così, questi ultimi prima di essere inseriti nel programma devono essere sottoposti al test dell’appetito” in modo da capire se mangeranno questo cibo emergenziale.
“Ricordo che quando ero in missione c’era un bambino di poco più di un anno” spiega la dottoressa “che si rifiutava di mangiare queste bustine. Così, per nutrirlo abbiamo dovuto utilizzare i biscotti terapeutici, destinati invece alle donne malnutrite”. Questo è solo un esempio delle difficoltà che i medici nella Striscia hanno incontrato nello gestire i casi di malnutrizione infantile, soprattutto dei bambini sotto i 2 anni, cui è difficile spiegare certe cose.
E nonostante l’accordo di pace, la situazione rimane fragile. Come spiega Emergency, la fase di ricostruzione dovrà tenere conto degli strascichi di tutto quello che è successo negli ultimi due anni, tra cui appunto le drammatiche condizioni di fame.
(da Fanpage)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
IL 55% DI LORO HA PARTECIPATO A MANIFESTAZIONI PER L’UCRAINA… I PARTITI SOVRANISTI HANNO DATO DEL “TERRORISTA” A PARTE DEL PROPRIO ELETTORATO
Ha tra i 18 e i 34 anni, un lavoro stabile e una preparazione scolastica nella media nazionale, dove solo il 15% della popolazione possiede una laurea. Questo è l’identikit dei manifestanti che hanno preso parte alle manifestazioni degli ultimi giorni pro Gaza e pro Global Summud Flotilla, delineato dall’istituto di sondaggi Swg. Un pubblico principalmente giovanile e socio-economicamente stabile, ma che ha visto la partecipazione anche di over 64 e pensionati, oltre a un inatteso afflusso di manifestanti di centrodestra. E le motivazioni che hanno portato gli italiani a scendere in piazza, vanno ben oltre la causa palestinese.
Il 38% dei manifestanti ha tra i 18 e 34 anni
Guardando alla distribuzione per età, il 38% dei manifestanti è tra i 18 e i 34 anni, dato superiore del 17% rispetto alla popolazione nazionale. La fascia 35-44 anni è stabile, con il 12% dei partecipanti, così come la fascia 55-64 anni, che rappresenta il 15% dei manifestanti. Anche gli over 64 sono presenti, seppur con una leggera diminuzione del 7% nella loro partecipazione, fermandosi al 22%. Infine, le persone tra i 45-54 anni costituiscono il 13% dei manifestanti. Per quanto riguarda il genere, la partecipazione è quasi equilibrata: il 51% dei dimostranti è donna, mentre il 49% è uomo.
In aumento il numero dei partecipanti disoccupati
Guardando alla condizione lavorativa dei partecipanti, emerge un quadro variegato. Il 57% dei manifestanti è occupato stabilmente, un dato che indica una base solida di persone con una posizione lavorativa sicura. Circa il 9% dei partecipanti ha un lavoro non stabile. Un dato interessante riguarda l’aumento dei disoccupati, che arrivano a rappresentare l’8% del totale dei manifestanti. Gli studenti rappresentano il 9% dei partecipanti. Alla mobilitazione hanno preso parte anche i pensionati che costituiscono il 14% delle persone scese in piazza.
Il 17% dei partecipanti è di centrodestra
E se il 38% dei manifestanti si colloca tra partiti di centrosinistra, sorprendentemente, le piazze hanno visto anche un’importante partecipazione di centrodestra. Ben il 17% dei dimostranti si identifica con partiti di destra, con una presenza significativa di Fratelli d’Italia, con l’8 percento di partecipazione, seguito da lega al 6% e Forza Italia (3%). Tra i partiti di centrosinistra, la maggior parte dei partecipanti ha dichiarato di votare Partito democratico, (18%) seguito da Avs e M5S, entrambi con una partecipazione del 10%.
Come si sentono i manifestanti
Rabbia e sconforto. Sono queste le due emozioni predominanti che hanno spinto le persone a scendere in piazza, sentimenti legati alla situazione politica e sociale che sta attraversando il paese. Ma i dimostranti si sentono anche amareggiati (9%) e impauriti (10%). Ma il 5% dice di “vedere aspetti positive e
negativi”.
Perché la gente è scesa in piazza?
Le ragioni vanno ben oltre un singolo tema. Il 55% dei manifestanti ha protestato contro le guerre, sia quella a Gaza che quella in Ucraina. Ma non è solo la politica estera a preoccupare: circa il 30% ha indicato come motivazioni principali la stagnazione dell’economia italiana, i salari troppo bassi e l’aumento della disoccupazione (aumento che va di pari passo con la crescita di disoccupati presenti alle proteste). Preoccupazioni forti arrivano anche dal fronte europeo: il 22% lamenta la debolezza dell’Europa nello scenario internazionale, mentre il 21% denuncia l’assenza di una leadership politica credibile.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
FALLITO IL TENTATIVO CON LA DESTRA DEI REPUBBLICANI, L’UNICA OPZIONE SONO I SOCIALISTI DI OLIVIER FAURE, MA CHIEDONO LO STOP ALL’ODIATISSIMA RIFORMA DELLE PENSIONI, NECESSARIA PER SALVARE I DISASTRATI CONTI PUBBLICI DI PARIGI
Lecornu dopo Lecornu: al termine di una settimana di psicodramma politico, la Francia torna
al punto di partenza. Il presidente Emmanuel Macron ha nuovamente nominato Sébastien Lecornu come primo ministro, dandogli ”carta bianca” per formare un nuovo governo.
“Accetto – per dovere – la missione affidatami dal Presidente della Repubblica di fare tutto il possibile per dotare la Francia di un budget entro fine anno e di affrontare i problemi quotidiani dei nostri connazionali”, ha scritto Lecornu su X subito dopo la riconferma a Matignon.
“Farò di tutto per riuscire in questa missione: dobbiamo porre fine a questa crisi politica, che sta esasperando il popolo francese, e a questa instabilità, che è dannosa per l’immagine
della Francia e per i suoi interessi”.
Questo obiettivo, avverte tuttavia il premier dimessosi appena lunedì scorso e nuovamente incaricato cinque giorni dopo, “può essere raggiunto solo a determinate condizioni, traendo le dovute conclusioni dalle ultime settimane.
Tutte le questioni sollevate durante le consultazioni condotte nei giorni scorsi saranno aperte al dibattito parlamentare: deputati e senatori potranno assumersi le proprie responsabilità e i dibattiti dovranno essere portati avanti fino in fondo. Il risanamento delle nostre finanze pubbliche rimane una priorità per il nostro futuro e la nostra sovranità: nessuno potrà sottrarsi a questa necessità.
Tutte le ambizioni sono legittime e utili, ma chi entra a far parte del governo deve impegnarsi a svincolarsi dalle ambizioni presidenziali per il 2027. La nuova squadra di governo deve incarnare il rinnovamento e la diversità delle competenze”.
L’uomo che meno di una settimana fa aveva presentato le dimissioni al presidente torna quindi a Matignon, ma la strada è tutta in salita. “Una vergogna democratica, un’umiliazione”, tuona il presidente del Rassemblement National, Jordan Bardella, annunciando la sfiducia al nuovo governo.
Sfiducia annunciata anche dalla France Insoumise che torna ad invocare le dimissioni di Macron. Il leader Insoumis, Jean-Luc Mélenchon, parla di “ridicola commedia”, mentre il portavoce dei socialisti assicura che non c’è “alcun accordo di non censura” al momento con il neo-premier incaricato.
L’annuncio dell’Eliseo è arrivato al fotofinish, allo scadere delle 48 ore che lo stesso Macron si era dato per trovare una soluzione, e al termine di una giornata di frenetiche consultazioni con i leader dei partiti, fatta eccezione per il Rassemblement National di Marine Le Pen e La France Insoumise di Mélenchon.
Più passavano le ore, più l’opzione della coabitazione con la sinistra sembrava sfumare. Uscendo dall’incontro con Macron la leader ecologista, Marine Tondelier, si era detta “sbalordita” per l’esito dei colloqui: ”Usciamo dalla riunione senza alcuna risposta su niente, se non che il prossimo premier non sarà del nostro campo politico”.
“Finirà malissimo”, ha proseguito, pronosticando una possibile “dissoluzione” dell’emiciclo al Palais Bourbon. Stessa delusione dal segretario socialista, Olivier Faure. Sfumato dunque anche il nome del centrista Jean-Louis Borloo, 74 anni, circolato nelle ultime ore, che sarebbe potuto piacere al presidente dei Républicains, Bruno Retailleau, in quanto “né di sinistra né macroniano”.
Ma, durante le consultazioni, Retailleau avrebbe detto a Macron che il “blocco comune” in sostegno al campo presidenziale “è morto” domenica sera con il deragliamento del primo governo Lecornu.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
”MA QUALI NUOVE FESTIVITA’, BISOGNA LAVORARE DI PIU’ COME I CINESI”
Il presidente di Anfia si schiera contro la decisione di segnare in rosso un’altra casella del calendario. Il settore dell’auto è in crisi e in ritardo rispetto ai competitor asiatici
L’industria italiana non ha santi in paradiso. La recente proclamazione del 4 ottobre come festività di San Francesco ha suscitato la contrarietà del mondo dell’industria, che ha levato un grido di protesta per quello che appare come un giorno di lavoro inutilmente perso. A nome di molti comparti produttivi è il settore della componentistica auto a farsi portavoce dell’allarme. Secondo il presidente dell’Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica) Roberto Vavassori, infatti, il giorno di festività in più non farebbe che aggravare la già sofferente situazione dell’industria italiana.
Il calo dell’industria italiana
I dati dell’Istat sono chiari. Agosto ha fatto registrare per l’industria un calo del 2,4% rispetto a luglio e del 2,7% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Sono numeri che confermano l’andamento calante della nostra economia
industriale da due anni a questa parte, interrotto solo sporadicamente da un mese più fortunato. In questo generale declino, sostiene Vavassori, non c’è assolutamente posto per un altro giorno di stop, specialmente se guardiamo all’Asia: «Sembra che non ci stiamo rendendo conto della situazione», ammonisce il presidente. «Abbiamo appena introdotto una festività in più, quando in Cina i giorni liberi sono infinitamente meno dei nostri. E questo con 247 voti a favore e solo 2 contrari. Evidentemente il Paese non ha chiara la situazione».
Lavori urgenti nel settore dell’auto
Almeno nel settore dell’auto, sostiene Vavassori, c’è molto da lavorare, anche per uscire dalla crisi di lungo periodo che affligge l’automotive. «Tutto è aggravato dall’incertezza generale su quelle che saranno le disposizioni europee», spiega. «Abbiamo un gap da colmare che non riguarda solo gli aspetti tecnologici. I grandi player tedeschi, da Bmw a Mercedes e Volkswagen, hanno presentato veicoli a batterie che non hanno nulla da invidiare alle migliori esperienze cinesi, ma costano il 45% in più. Dobbiamo lavorare su energia, sulla disponibilità delle terre rare, sull’innovazione. Sostenere l’industria dell’auto è un fattore di sicurezza nazionale».
La direttrice del Fmi: «Non pianifichiamo il lavoro in base alle vacanze»
Il presidente di Anfia non è il primo a sollevare questo appello. Già Sergio Marchionne negli anni Duemila si lamentava dei
dipendenti in ferie mentre l’azienda era in perdita, ma non mancano esempi molto più recenti. Pochi giorni fa, la direttrice del Fondo monetario internazionale, l’economista bulgara Kristalina Georgieva, si è spinta a dire che in Europa avrebbe senso ridurre festività e vacanze. «Mi ricordo che arrivando dalla Banca mondiale per diventare commissario europeo, chiedendo ai miei collaboratori di pianificare gli appuntamenti, portarono il calendario. Era pieno di caselle rosse. Ho chiesto cosa fossero e mi hanno risposto “vacanze di Pasqua”, “vacanze estive”, “vacanze di Natale”. E io ho detto: “Guardate, da dove vengo pianifichiamo le vacanze in base al lavoro e non il lavoro in base alle vacanze“».
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA CONFINDUSTRIA PARLA DI 4 MILIARDI
Un giorno di festa in più, ma anche 3,6 miliardi di euro da pagare in stipendi aggiuntivi. È
questo il conto stimato dal Centro Studi di Confindustria per la nuova festività nazionale del 4 ottobre, appena introdotta dal Parlamento per celebrare San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. In base ai calcoli degli industriali, scrive oggi La Stampa, il nuovo giorno di festa — fortemente voluto da Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati — peserà per l’80,5% sulle imprese private (per circa 2,98 miliardi di euro all’anno) e per il 19,5% a carico del settore pubblico
(ossia circa 720 milioni all’anno).
Lo stanziamento per i dipendenti pubblic
Sia le aziende che lo Stato avranno un discreto lasso di tempo per preparare le proprie tasche alla nuova «tassa San Francesco». La nuova festività si comincerà a celebrare dal prossimo anno, quando però il 4 ottobre cadrà di domenica. Il che significa che il vero impatto si comincerà a sentire soprattutto a partire dal 2027. Consapevole dell’impatto economico della misura, la legge approvata dal Parlamento stanzia una piccola somma destinata a retribuire i lavoratori statali che presteranno servizio nella nuova festività. Ma lo stanziamento ammonta a 10,68 milioni di euro, ben lontano dai 720 milioni stimati da Confindustria per il solo settore pubblico.
Le stime di Confindustria e quelle della Camera
In realtà, le stime di Confindustria – che evidenzia come la giornata di stop pesa per circa lo 0,08% del Pil nazionale – vanno prese con le pinze, se non altro perché sono molto diverse dalle conclusioni a cui era giunto il centro studi della Camera dei Deputati. Secondo quest’ultimo, l’effetto reale dell’introduzione della nuova festività potrebbe essere contenuto, con la maggior parte delle aziende che potrà recuperare le ore di produzione perse e ridurre i mancati introiti a una «entità trascurabile».
argomento: Politica | Commenta »