Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
CROLLO LEGA E M5S, BENE PD , STABILI FDI E AVS, SORPRESA ANTONELLA BUNDU
Con 200 sezioni su 3.922 ancora da scrutinare il quadro delle elezioni regionali in Toscana
vede vincitori Eugenio Giani ed Elly Schlein che insiste “testardamente” sul campo largo.
Giani che partiva con un 8% di vantaggio sul competitor Alessandro Tomasi ha aumentato il distacco al 13% (54% contro il 40,8%.).
Coalizione di centrosinistra
Il Pd si conferma primo partito con il 34,7% (contro il 31,9% di 5 anni fa e il 34,7% delle Europee di un anno fa)., senza contare che la lista civica Giani Presidente – Casa Riformista arriva all’8,8% (contro il 2,9% della Civica del 2020). In Casa Riformista c’erano esponenti renziani.
Avs prende il 6,9%, e regge bene considerando la concorrenza a sinistra della lista Toscana rossa con il 4,5%
Male il M5S che arriva solo al 4,3% (7% cinque anni fa, 8,2% alle Europee un anno fa)
Coalizione di centrodestra
Regge complessivamente con il 40,8% contro il 40,5% di 5 anni fa, ma con differenze interne.
Fdi prende il 26,7% contro il 27,4% di un anno fa alle Europee.
Forza Italia un anno fa era al 6,3% e regge al 6,2%
Crolla la Lega di Vannacci dal 6,2% di un anno fa al 4,4% (cinque anni fa era al 21,8%). In un anno Vannacci ha fatto perdere il 25% di consensi nella “sua” Toscana. A dimostrazione della tesi da noi senpre sostenuta che il generale è un bluff, fa solo perdere consensi. I famosi 500.000 voti presi erano voti leghisti che lo hanno premiato, non voti esterni da lui portati alla Lega. Ma vallo a farlo capire ai pirla che lo incensano sui media.
Antonella Bundu e Toscana rossa
Rappresenta la sorpresa di queste elezioni (5,2% per lei, 4,5% a Toscana rossa). Ha unito Potere al popolo, Rifondazione e Possibile, ma in realtà è una attivista sempre pronta a rappresentare le istanze dei vari comitati locali su istanze sociali e ambientaliste. Non a caso l’ha premiata il voto disgiunto (ha preso lo 0,7% in più rispetto alla lista). Candidata con qualità, ne sentiremo ancora parlare. Se sommiamo i voti di Toscana rossa a quelli di Avs si arriva all 11,4% di sinistra radicale.
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
CHI E’ EUGENIO GIANI, IL PRESIDENTE CONFERMATO GOVERNATORE DELLA TOSCANA… DAL 48% DEL 2020
Da tutti i toscani è considerato il presenzialista per eccellenza: c’è sempre. «Se c’è un incidente su una tangenziale alle tre di notte, o cade un albero su una statale, stai sicuro che Giani andrà a vedere com’è la situazione, di persona».
Il presidente uscente della Toscana, Eugenio Giani, è stato riconfermato per un secondo mandato. Un esito atteso, che conferma le previsioni dei sondaggi diffusi nelle settimane precedenti al voto, dove il suo vantaggio appariva già solido. Ma chi è questo uomo, questo democratico riformista, impegnato sul territorio, che è così apprezzato da giovani e adulti, tanto da essersi assicurato il quarto posto tra i governatori più graditi d’Italia?
Dalla legge alla politica, passando per la cultura
Classe ’59, sessantasei anni. Nato a Empoli, ma con le radici ben piantate nella vicina San Miniato, in provincia di Pisa. Laureato
in Giurisprudenza all’Università di Firenze, dopo la laurea inizia il praticantato legale, ma presto sarà la politica a rapirlo completamente. Si butta a capofitto in questa avventura nel 1990, proprio come ogni Capodanno si tuffa nel fiume Arno, in quella che ormai è diventata una sua personale tradizione. Sempre raccontata attraverso i social. Oltre alla politica, Giani coltiva la passione per la letteratura, la storia e l’arte.
I saggi e gli incarichi nel mondo dell’Arte
Ha scritto diversi libri dedicati a Firenze e alla sua memoria storica. Tra questi: Firenze giorno per giorno, in cui racconta un evento storico per ogni giorno dell’anno; Festività fiorentine, scritto con Luciano Artusi e Anita Valentini; Il corteo della Repubblica Fiorentina, con Luca Giannelli; e Il centocinquantesimo anniversario del plebiscito in Toscana per l’unità d’Italia, sempre con Anita Valentini. Giani è stato anche protagonista della cultura toscana, come presidente della Società dantesca italiana, dell’ente Casa Buonarroti (2008-2016) e, dal 2015, è presidente del Museo Casa di Dante.
Il suo slancio in politica
Il presidente confermato ha iniziato la sua carriera politica a 31 anni, candidandosi al Consiglio comunale di Firenze nelle liste del Partito Socialista Italiano (Psi) nel 1990, risultando eletto. Viene poi riconfermato nelle tornate elettorali del 1995, 1999 e 2004. Inizia militando nel Psi per poi passare ai socialisti italiani quando il Psi si scioglie, e successivamente ai Socialisti democratici italiani. Nel 2007 approda infine al Partito Democratico. All’interno del Pd, Giani si colloca nell’area riformista, più vicina a Stefano Bonaccini e più distante da Elly Schlein, con la quale attraverserà diversi momenti di freddezza.
Dal Comune di Firenze alla Regione
Nel 2009 viene eletto per la quinta volta consigliere comunale a Firenze, ottenendo il maggior numero di preferenze, e poco dopo diventa presidente del Consiglio comunale. Nel 2015 si candida alle elezioni regionali in Toscana con il Partito democratico e viene eletto in Consiglio regionale con oltre 10mila preferenze, venendo nominato poi presidente del Consiglio regionale.
Le elezioni nel 2020
Poi, la sua candidatura nel 2020: Giani è il candidato di centrosinistra in corsa per la Regione, forte di sostegno del Pd, Iv +Europa, Europa verde progressista civica, Orgoglio Toscana per Giani presidente, Sinistra civica ecologista, Svolta. Alla fine, vince le elezioni. Viene eletto presidente della Regione Toscana con il 48,62% dei voti, superando l’avversaria del centrodestra Susanna Ceccardi, ferma al 40,46%, e la candidata del M5S Irene Galletti, che si ferma al 6,4%.
Alcune iniziative del suo primo mandato
Tra le iniziative più significative del suo primo mandato spiccano misure come “nidi gratis”, “libri gratis”, il sostegno al salario minimo e la legge sul fine vita. Proprio quest’ultima legge, ha acceso un’aspra divergenza con il governo Meloni: l’Esecutivo l’ha impugnata nei mesi scorsi, perchè scavalcherebbe le competenze statali, mentre al Senato si
continua a lavorare a un testo unico nazionale sul tema. Porta la sua firma anche un altro provvedimento simbolico: la legge sulla “Toscana diffusa”, approvata nel 2025, pensata per rilanciare le aree interne e contrastare lo spopolamento.
Attivissimo sui social
Sui social è attivissimo. Pubblica l’apertura di cantieri, celebrazioni, immagini del tricolore. E poi sagre di paese, racconta il suo amore per la Toscana. La sua bio recita: “Presidente della Regione più bella del mondo, #Toscana”, con cuore e razzo abbinato. È scherzoso, iperattivo, sicuramente vuole piacere a tutti, e, a giudicare dai numeri, ci riesce: il suo esercito social lo segue con affetto. «Eugenio c’è sempre, te lo trovi anche al matrimonio di tua cugina senza sapere il perché – ha scherzato Elly Schlein dal palco del Teatro Cartiere Carrara di Firenze – è sempre in mezzo alla gente ed è innamorato della sua terra».
Vita privata
Giani ha una moglie, Angela Guasti, e due figli: Gabriele, nato nel 1999, e Lorenzo, nato nel 2008. Una famiglia riservata, lontana dai riflettori.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
“OCCORRE CONTINUARE LA MOBILITAZIONE, E’ PROPRIO QUANDO CESSANO LE BOMBE CHE CALA L’ATTENZIONE”
La relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca
Albanese, è finita al centro di diversi attacchi nelle ultime settimane. Attacchi mediatici, ma anche da parte dei politici dell’area di governo e dei leader dei partiti di centro destra. Un’offensiva che però segue la popolarità mondiale che Albanese ha ormai raggiunto.
La giurista italiana è diventata un punto di riferimento di un movimento che in tutto il mondo è sceso nelle piazze in solidarietà con il popolo palestinese, i contenuti dei suoi rapporti sulle politiche di occupazione israeliane e sugli interessi economici che hanno accompagnato il genocidio a Gaza, viaggiano sulle gambe di milioni di persone che nel mondo hanno riempito le piazze.
La sua analisi critica del piano di pace di Trump e Netanyahu e alcuni scontri televisivi e mediatici sono diventati il pretesto per una campagna di accuse nei suoi confronti che ha trovato ampio spazio negli ambienti della destra italiana e degli esponenti di governo, che proprio sulla Palestina stanno vivendo un momento di crisi di consenso molto forte e senza precedenti nell’esperienza del governo di Giorgia Meloni.
Francesca Albanese a Fanpage.it ha voluto precisare alcune delle sue posizioni e spiegare il suo punto di vista sull’offensiva mediatica nei suoi confronti.
Partiamo dal tuo punto di vista sulla prima fase dell’accord raggiunto sul piano di pace a Gaza, e sulla proposta della seconda fase, su cui ancora non c’è accordo e che prevederebbe la creazione di un protettorato a guida statunitense nella Striscia di Gaza
La cosa positiva è che si sono fermate le bombe, che la gente di Gaza sia tornata a respirare, perché sono stati, soprattutto gli ultimi sei mesi, di una violenza incredibile. Provo grande sollievo a pensare che ci sarà il ritorno degli ostaggi israeliani e la liberazione dei prigionieri palestinesi, tra cui so che c’è tanta gente innocente che marciva nelle prigioni israeliane senza accusa e senza processo. Tutto questo è senza prezzo. Il resto mi lascia molto scettica, non c’è pace senza diritti, cento anni di storia palestinese ci insegnano questo. Dall’epoca della colonizzazione britannica in Palestina, che i palestinesi non hanno più diritti, soprattutto oggi nel 2025, questa dovrebbe essere la preoccupazione principale. Non si parla di smantellare l’occupazione, non si parla della Cisgiordania, si parla della ricostruzione di Gaza in modo molto pericoloso, i palestinesi non ci sono, nemmeno in questo ipotetico intervento di massiccia ricostruzione, al più vengono cooptati. Soprattutto in questo piano non c’è giustizia, chi pagherà per tutto quello che è stato distrutto, non solo alla parte fisica, ma all’anima del popolo palestinese? Bisogna portare davanti alla giustizia, ai tribunali internazionali, coloro che questo genocidio lo hanno ordito e lo hanno portato a termine. Io temo che questo cosiddetto piano di pace possa portare al compimento di quello che il genocidio non
è riuscito a fare, cioè l’oppressione definitiva del popolo palestinese, almeno a Gaza, scacciando quanta più gente è possibile che non sarà in grado di vivere, mentre si intraprende la cosiddetta ricostruzione.
Ci sono ministri italiani che dicono che ora c’è la pace e non bisogna più manifestare, tu cosa rispondi?
Purtroppo è un fraintendimento fatto da chi non conosce i processi di negoziato per risolvere i conflitti, perché insomma non basta vergare la parola “pace” su un documento perché la pace immediatamente si realizzi. Soprattutto se non sono stati presi in considerazione i diritti violati e i motivi stessi per cui continua ad esserci violenza. Queste cose può dirle solo chi ha poca conoscenza della Palestina, perché lì si parla di processo di pace da trenta anni e spesso ci si è messi d’accordo su tregue che non hanno mai retto. Chi conosce quella terra si rende conto che è un commento carico di superficialità. Bisogna invece continuare a mobilitarsi, questo è quello che ci stanno chiedendo i palestinesi e gli israeliani, che insieme ai palestinesi, vogliono la fine del genocidio e la fine dell’occupazione e dell’apartheid. Ci dicono di non distogliere lo sguardo adesso, perché è proprio quando si fermano le bombe che c’è il rischio maggiore di far calare l’attenzione.
Bisogna continuare a mobilitarsi quindi?
La persone devono continuare a mobilitarsi, e capire anche quali sono le modalità di pressione. Le manifestazioni sono importanti come momento di aggregazione e di ricognizione, però servono
azioni concrete e mobilitazioni per bloccare le armi che ancora viaggiano verso Israele attraverso i nostri porti, in violazione della legge internazionale e della Costituzione. Poi serve un boicottaggio serio, è tempo di una mobilitazione strategica e mirata, bisogna fare pressione sulle aziende affinché disinvestano e sui governi affinché taglino le relazioni con Israele. Questo è proprio necessario, è quello che si fa contro uno Stato che pratica l’apartheid.
Hai ricevuto in queste settimane molti attacchi, il primo è stato su un tuo presunto attacco alla senatrice Liliana Segre durante un dibattito televisivo in cui hai deciso di lasciare lo studio, ti chiedo di precisare il tuo punto di vista
Il mio moto di sdegno non è dovuto alla pronuncia del nome della senatrice Segre, ci mancherebbe, lei non c’entra niente, è la strumentalizzazione della storia e del vissuto di questa donna che viene utilizzata per zittire il dibattito sul genocidio, che invece deve essere definito e chiarito all’interno di una cornice giuridica che lo disciplina. È quello che dovrebbe guidare il dibattito, le norme e l’analisi legale, invece si zittisce, è questo quello che succede. Poi c’è anche la stanchezza di stare a discettare di cose così serie con gente che non ne sa niente, io rappresento una istituzione, a un certo punto mi stanco. Io avrei dovuto non accettare l’invito, ma siccome ero stata invitata da sola sono stata troppo educata, quando ho visto i partecipanti avrei dovuto dire che non mi sarei seduta con loro. Forse ho sbagliato, avrei dovuto parlare prima di andarmene, ma subentra anche la
stanchezza.
Poi c’è l’esempio dei milanesi che protestano di sera, pur dovendosi svegliare la mattina per andare a lavorare prima dei napoletani. È una battuta che avevi fatto anche al Festival di Fanpage.it eppure nessuno aveva equivocato le tue parole. Cosa ti senti di dire su questa polemica?
Al massimo dovevano essere i milanesi a sentirsi presi in giro. Mi dispiace per la polemica, e mi dispiace di aver scoperto questo tratto così permaloso e incapace di cogliere la serietà del momento, che è venuta da parecchi napoletani. Anche alla marcia Perugia – Assisi però ho trovato tanti napoletani che mi hanno rinnovato il loro supporto. Ma sai cos’è, io non trovo importante che io sia simpatica o antipatica, io non voglio essere celebre, io voglio semplicemente essere ascoltata. C’è un genocidio e avviene anche con i nostri soldi e con le nostre armi, lo vogliamo fermare oppure no? Questa è la cosa importante, è su questo che bisogna concentrarsi, non su quanto io sia simpatica, antipatica o modaiola, queste cose lasciano il tempo che trovano. E sono convinta che con il popolo napoletano ci sarà modo di recuperare l’abbraccio.
È un caso secondo te che questi attacchi arrivano da un pezzo del mondo dei media che per due anni ha fatto fatica anche solo a pronunciare la parola genocidio?
C’è un sistema mediatico, fatto di questa stampa qui che ancora nega il genocidio, ma sapendo che la negazione del genocidio fa parte del genocidio stesso, è una di quelle componenti che
permette di creare quel terreno fertile affinché si continui nella disumanizzazione delle vittime. Ma non è solo questo, si sono espressi in tanti che sono considerati moderati, io credo che ci sia qualcosa di più, credo che ci sia una misoginia di fondo che si esprime nei miei confronti in modo fortissimo perché bisogna delegittimare chi viene visto da gran parte degli italiani, soprattutto i giovani, come un punto di riferimento.
Un po’ come è successo con Greta Thunberg?
Esatto. Questo tipo di donna che parla con autorevolezza, Greta nell’ambito delle lotte ambientali, io nell’ambito del diritto e spiegando che la politica non è svincolata dal diritto. Ecco questa cosa fa tremare, fa tremare i benpensanti e fa tremare chi vede in tutto questo una irriverenza, ma anche chi ha timore che dietro tutto questo ci sia una forza politica. Loro sbagliano, le forze di destra in questo momento sbagliano a pensare che la mia finalità sia quella di fare politica, perché non è questo. Ma quello che non vedono è che questo messaggio, ovvero che il diritto deve vincolare la politica, è esso stesso politico, e sta svegliando le coscienze.
Si finisce per misurare il fare politica come finalizzato esclusivamente a una candidatura, sembra essere quello il problema: se ti vuoi candidare o meno
Ma figurati. Io ho la mia vita, amo fare le mie cose, ho i miei progetti e certe cose le lascio a loro. La politica non la lascio a loro, cerco di convincere gente seria e preparata, e soprattutto i più giovani ad impegnarsi nella politica, perché veramente il
futuro dipende da come loro si muovono in questo presente.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
I DUE SONO STATI ESPULSI DALL’AULA
Durante il discorso del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, alla Knesset, due parlamentari israeliani, Ayman Odeh e Ofer Cassif, hanno protestato mostrando un cartello con la scritta «Riconoscere la Palestina», suscitando urla e proteste tra i presenti. Il presidente del Parlamento Amir Ohana ha ordinato
l’immediato allontanamento dei due parlamentari di sinistra dall’Aula. Riprendendo il suo intervento, poco dopo. Trump ha commentato con ironia: «Devo dire che siete efficienti».
Chi sono i due deputati «dissidenti»
In seguito, su X, è stato lo stesso Cassif a rivendicare e spiegare il suo gesto: «Sono stato espulso dalla sessione plenaria semplicemente perché ho avanzato la richiesta più elementare, condivisa dall’intera comunità internazionale: riconoscere lo Stato palestinese».
Nel post è visibile anche l’immagine del cartello mostrato in Aula. Odeh, deputato del partito di sinistra Hadash-Taal e della Lista Comune, è uno dei principali leader della minoranza araba in Israele. Cassif appartiene alla stessa lista di sinistra Hadash ed è l’unico deputato comunista della Knesset. Era stato sempre lui ad agosto a provocare un pandemonio nell’Aula denunciando dal podio il «genocidio» in corso a Gaza.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
“FALANGISTI” HANNO SVENTOLATO BANDIERE SPAGNOLE SENZA LO STEMMA COSTITUZIONAE E CON SIMBOLI FASCISTI E INTONATO L’INNO FRANCHISTA “CARA EL SOL”, POI SI SONO SCONTRATI CON CENTINAIA DI MILITANTI ANTIFASCISTI
Ieri, in concomitanza con il 12 ottobre, festa nazionale spagnola, la Falange Española ha
indetto una manifestazione in una piazza a Vitoria, nel País Vasco, con cassonetti bruciati e incidenti violenti.
La Falange Española, partito fascista ancora legale in Spagna, è anche il solo partito spagnolo che era attivo già durante la dittatura franchista, e la presenza dei militanti in piazza ha scatenato scontri con centinaia di militanti antifascisti.I «falangisti», con bandiere spagnole senza lo stemma
costituzionale, bandiere nere e simboli fascisti, hanno cantato «Vasconia es España», cioè «i Paesi Baschi sono Spagna», e l’inno franchista «Cara al Sol». L’Ertzaintza, la polizia basca, ha mobilitato un’ingente forza di sicurezza e eseguito almeno 19 arresti. Alcune fonti riportano due feriti tra i manifestanti, e una ventina tra i poliziotti.
L’evento si è svolto accanto al Consiglio provinciale, che fu il primo ministero della Giustizia durante la dittatura e da cui vennero organizzate la repressione nelle carceri e i lavori forzati, nonché l’abrogazione dei diritti civili conquistati durante la Seconda Repubblica. Proprio dietro la scena degli eventi si trova un monumento che commemora le vittime del regime franchista.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
“ABBIAMO BISOGNO DI AVERE UN PIANO INDUSTRIALE PER IL PAESE” (LA RICHIESTA È QUELLA DI SOSTENERE GLI INVESTIMENTI DELLE IMPRESE CON UN PIANO DA 8 MILIARDI L’ANNO IN TRE ANNI) … “APPREZZO IL LAVORO DI GIORGETTI PER IL CONTENIMENTO DEI CONTI PUBBLICI MA LA CRESCITA SI FA CON INVESTIMENTI”
«Che senso ha sostenere il governo e averlo amico se poi non ascolta le tue imprese?» esordisce così al telefono il direttore di una importante territoriale di Confindustria del Nord Ovest. Si tratta di un sentire diffuso. Ma attenzione: il pressing degli industriali sul governo in vista della legge di Bilancio non va, almeno per ora, scambiato per una rottura con palazzo Chigi. Si tratta più che altro di un appello al confronto. Ma vediamo i fatti.
Confindustria ha presentato un prospetto dei suoi desiderata attraverso un documento già a settembre. La richiesta è quella di sostenere gli investimenti delle imprese con un piano da 8 miliardi l’anno in tre anni.
I dossier principali sono: credito d’imposta in ottica pluriennale per finanziare una nuova Transizione 5.0 con i fondi inutilizzati del Pnrr (4,1 miliardi); mobilitare risorse su contratti di sviluppo e accordi di innovazione; rifinanziare la Zes unica per il Sud che
in realtà riguarda una zona allargata del Mezzogiorno (comprese per intenderci le Marche e l’Umbria); rendere strutturale e allargare l’Ires premiale. Poi ci sarebbe il costo dell’energia da abbassare.
Risposte soddisfacenti agli occhi degli industriali per ora non ci sono. Ovviamente è cruciale il ruolo del ministro dell’Economia sulla gestione delle risorse. Ma Giorgetti all’ultimo ha declinato l’invito all’assemblea di Verona e Vicenza (due sabati fa). Stesso discorso alle assise dei giovani industriali di Carpi l’altro ieri. La doppietta a molti è sembrata troppo.
Soprattutto in una fase in cui l’industria si aspetta attenzioni. Il meno 2,7% tendenziale della produzione industriale di agosto dice molto, con automotive alle strette, l’Ilva in bilico e il settore moda in cerca di direzione. In tutto questo è da capire che cosa pensi la premier Meloni della determinazione con cui Giorgetti tiene stretti i cordoni della borsa nei confronti dell’industria.
Forse qualcosa si chiarirà oggi in occasione dell’incontro del governo con le associazioni datoriali sulla manovra. Ma anche stavolta Giorgetti e Orsini non si incontreranno, con il secondo a Milano per l’assemblea di Assolombarda. Certo è che Confindustria è in una posizione complessa. Misure come la riduzione dello scaglione Irpef dal 35 al 33% per il cento medio sono in linea con quanto serve a Confcommercio in quanto sostengono i consumi, oltre al consenso. Ma l’industria ha bisogno in questa fase di supporto sul fronte dell’offerta, non della domanda.
Ultimo ma non trascurabile: il governo avrebbe intenzione (su spinta della Lega) di introdurre in manovra una misura che obblighi le imprese al riconoscimento degli aumenti dei rinnovi contrattuali dal mese successivo alla scadenza dei contratti
(da Corriere della Sera)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO E’ PRESENTARE LA LEGGE DI BILANCIO ENTRO DOMANI, MA SE LA SINISTRA MODERATA NON OTTERRA’ “LA SOSPENSIONE CHIARA E CERTA DELLA RIFORMA DELLE PENSIONI”, IL SEGRETARIO DEL PD OLIVIER FAURE HA GIÀ GARANTITO CHE ANCHE I SOCIALISTI VOTERANNO CONTRO LECORNU, FACENDO CROLLARE IL QUARTO GOVERNO FRANCESE IN UN ANNO E MEZZO
Il governo Lecornu bis ha una lista di ministri, è questo è già un successo insperato visto come
si erano messe le cose ieri pomeriggio, quando la seconda avventura sembrava destinata a finire prima di cominciare.
Molta società civile, molti volti nuovi, pochi baroni dei partiti, e i quattro membri dei Républicains che hanno accettato di fare parte della squadra (tra loro Rachida Dati alla Cultura) sono stati subito messi fuori dalla direzione del partito gollista. È il governo più tecnico che la Francia, refrattaria anche solo all’espressione, possa concedersi.
Prendendo di petto il trauma di otto giorni fa (governo nato e morto in 13 ore), Sébastien Lecornu ieri sera è andato all’Eliseo, è rimasto a parlare a lungo con il presidente Emmanuel Macron ed è riuscito a comporre l’esecutivo prima che il capo dello Stato
partisse per l’Egitto. Anche il primo governo Lecornu era nato una domenica sera, il 5 ottobre, e il lunedì mattina il premier era stato costretto a dimettersi.
Stavolta l’esecutivo dovrebbe durare di più, almeno una settimana. Non molto per la seconda economia — in crisi — dell’Unione europea, ma in questo modo l’obiettivo minimo di varare il progetto di bilancio sembra più vicino.
La Costituzione francese impone che il Parlamento abbia 70 giorni a disposizione per esaminare il piano prima del 31 dicembre: se verrà presentato entro domani, magari dopo il vaglio del Consiglio dei ministri convocato per lo stesso giorno, i termini sarebbero rispettati.
E a quel punto Lecornu potrebbe anche sperare di resistere qualche mese.
Non sarà facile, perché nei prossimi giorni, forse già prima di venerdì, potrebbero essere votate le mozioni di censura già annunciate dalle ali estreme, il Rassemblement national di Marine Le Pen (destra) e la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon (sinistra).
E se la sinistra moderata non avrà ottenuto ciò che pretende —«una sospensione chiara e certa della riforma delle pensioni» —, il segretario Olivier Faure ha già garantito che anche i socialisti voteranno contro Lecornu, facendo crollare il quarto governo francese in un anno e mezzo (Barnier, Bayrou, Lecornu e Lecornu bis), e accompagnando così il Paese al voto anticipato per l’Assemblea nazionale che, sempre secondo Faure, «resta
l’ipotesi più probabile».
Per adesso comunque si respira, anche perché l’uomo che con i suoi capricci (spontanei o messi in scena) aveva fatto deragliare tutto la volta scorsa, il potente Bruno Retailleau dei Républicains, lascia il ministero dell’Interno e il governo, sostituito da Laurent Nuñez, dal 2022 a oggi prefetto di Parigi.
L’altro «tecnico» più importante, soprattutto in questa fase, è Jean-Pierre Farandou, quarant’anni alla Sncf (le ferrovie di Stato francesi) fino a diventarne il presidente.
Sessantotto anni, ormai obbligato a lasciare il posto per limiti di età, Farandou è stato protagonista di lunghe trattative con i sindacati dei ferrovieri che hanno portato allo svuotamento almeno per loro, di fatto, della contestata riforma delle pensioni.
Un aspetto che potrebbe rivelarsi un segnale di peso rivolto ai socialisti, dai quali ormai dipende la sopravvivenza del neonato governo. Altro segnale di cambiamento e di attenzione alla società civile l’arrivo alla Transizione ecologica di Monique Barbut, presidente del Wwf France.
Il premier Lecornu si è rivolto ai francesi con uno stringato messaggio notturno su X: «È stato nominato un governo di missione con il compito di dare un bilancio alla Francia entro la fine dell’anno. Ringrazio le donne e gli uomini che si impegnano in questo governo in piena libertà, al di là degli interessi personali e di parte. Conta solo l’interesse del Paese».
/da agenzie)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA NON SI ACCONTENTERÀ DI UN SOLO INCARICO E PRETENDE LA SANITÀ PER FLAVIO TOSI, CANDIDATO COME CAPOLISTA IN TUTTE LE PROVINCE VENETE – PECCATO CHE FDI PUNTI AL 30% PER RIVENDICARE UNA LARGA PRESENZA IN GIUNTA (A PARTIRE DA VICEPRESIDENZA E ASSESSORATO ALLA SANITÀ)
Se Luca Zaia promette battaglia per dimostrare di non essere un problema, Antonio Tajani mette le mani avanti e detta le sue
condizioni: non c’è alcun accordo preventivo sugli assessorati, Forza Italia di sicuro non si accontenterà di un solo incarico e, comunque, dovrà avere almeno quello alla Sanità per Flavio Tosi, già sindaco leghista di Verona (poi espulso), ora deputato europeo, candidato come capolista in tutte le province venete.
Insomma, quella del centrodestra in Veneto si preannuncia come una campagna elettorale caldissima. E paradossalmente, più che contro il centrosinistra unito che ha affidato a Giovanni Manildo l’impresa assai complicata di espugnare la roccaforte, dentro la coalizione.
La competizione tra FdI, Lega e FI è già agguerrita ancor prima di aver depositato le liste per la sfida del 23 e 24 novembre[…] è un tutti contro tutti […] Il partito di Giorgia Meloni, avendo dovuto accettare di lasciare alla Lega il candidato presidente, punta a ripetere l’exploit delle Europee 2024 (quando sfiorò il 29%) per rivendicare una larga e decisiva presenza in giunta (a partire dal vicepresidente ma anche dall’assessore alla Sanità).
La Lega conta sulla discesa in campo di Zaia per accorciare le distanze da FdI e poter così mantenere una solida rappresentanza nell’esecutivo regionale. E Forza Italia non fa mistero di ambire ad un risultato in doppia cifra da mettere sul piatto per una più equa ripartizione a tre (senza dimenticare Noi moderati) delle deleghe.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2025 Riccardo Fucile
CON LA TREGUA TORNA IL CIBO NELLA STRISCIA: STANNO ENTRANDO AIUTI UMANITARI CON ALIMENTI, MEDICINE E CARBURANTE. A REGIME L’ACCORDO PREVEDE 600 CAMION AL GIORNO – SPARITA LA CONTROVERSA GAZA HUMANITARIAN FOUNDATION: I SITI DI DISTRIBUZIONE DEL CIBO SONO SPARITI IN POCHE ORE
Con la tregua il cibo aumenta. A Kerem Shalom e agli altri valichi della Striscia di Gaza ieri
mattina c’era più traffico del solito, a conferma che — come previsto dalla fase 1 dell’accordo tra Hamas e Israele — stanno entrando più aiuti umanitari
rispetto alle ultime settimane.
Anche dal lato egiziano si segnala movimento: sono partiti 90 convogli con alimenti, medicine, carburante. «È la consegna più grande organizzata finora», riferiscono i media del Cairo.
Altra prima volta: sono stati visti a Gaza due tir con gas per cucine, un rifornimento che mancava da mesi.
Stabilire quale consistenza abbia l’aumento, e quali effetti avrà sulla popolazione, non è immediato, perché il Cogat non ha ancora fornito cifre ufficiali, quindi manca il paragone con i giorni scorsi.
L’accordo prevede, a regime, 600 camion al giorno, e anche qui il dato nudo può essere fuorviante per capire se copre il fabbisogno di 2 milioni di gazawi: prima della guerra, infatti, entravano tir con carichi da 45 tonnellate, ultimamente la capacità è intorno alle 20 tonnellate a veicolo.
«La cifra però include solo quelli delle agenzie delle Nazioni Unite, come il World food programme (Wfp) e l’Unicef», spiega a Repubblica Amjad Alshawa, il direttore della rete delle ong palestinesi che lavorano all’interno della Strisca. «Se si aggiungono tutti gli altri, provenienti dal Qatar e dall’Egitto, più i commerciali, stimo che siano circa 800».
I video che circolano mostrano scene che, a Gaza, sono diventate familiari: gente affamata che sale sui camion, li circonda, li ferma, prende i sacchi di farina e il resto del carico.
Per avere un miglioramento che sia per tutti i gazawi, però, non basta un numero maggiore di tir: deve diminuire anche la percentuale degli assalti.
A settembre, i dati Onu erano drammatici. Un esempio: tra l’8 e il 9, i 142 camion dell’Wfp e di altri servizi logistici in ingresso nella Striscia sono stati tutti assaltati, sia a nord che a sud.
Lentamente stanno riaprendo le panetterie e i mercati, e questo è un segnale positivo. Altro indicatore da monitorare: l’attività delle 105 cucine collettive in funzione, che si trovano soprattutto nella parte sud della Striscia. Se riprendono a regime, vuol dire che farina, lenticchie, pasta, olio e il resto degli aiuti umanitari sta arrivando dove deve arrivare e non finisce sul mercato nero.
Con la tregua, è sparita la Gaza humanitarian foundation. Il sito di distribuzione che era vicino al corridoio Netzarim è stato smantellato dalla sera alla mattina, sono rimaste solo le reti esterne che incanalavano le file. «A terra ci sono molti bossoli di proiettile», raccontano i giornalisti palestinesi accorsi sul posto. Gli altri siti Ghf, nella periferia di Rafah, sono chiusi
«Temporaneamente», fa sapere, in via informale, la controversa fondazione americana. Il motivo è legato al riposizionamento dell’esercito israeliano dietro la cosiddetta Linea Gialla, prevista dall’accordo: ai soldati era affidata la sicurezza esterna dei centri Ghf. Senza di essi, la fondazione non opera.
Con la tregua, infine, si cercano i dispersi. Ce ne sono almeno 9.600, secondo le autorità locali. Un dato approssimativo. Sullo sfondo dei camion che passano, si vedono famiglie che scavano a mani nude nei cumuli di macerie, una volta case. In cerca di fratelli, sorelle, figli, padri.
(da agenzie)
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