Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
PAESE CHE VAI, TRADITORE SOVRANISTA CHE TROVI
Nathan Gill, ex dirigente del partito populista di destra Reform UK, quello fondato da
Nigel Farage, è stato condannato a 10 anni e mezzo di carcere da un tribunale britannico per aver accettato tangenti in cambio di dichiarazioni pubbliche in favore
della Russia quando era eurodeputato.
Gill, che a settembre aveva scelto di patteggiare, ricevette almeno 40mila sterline (45 mila euro) da Oleg Voloshyn, un uomo russo anche lui indagato (i procuratori ritengono sia scappato in Russia).
Accettò quei soldi quando era eurodeputato per lo UKIP, un altro partito populista di destra da cui provengono molti politici di Reform UK, fondato sempre da Nigel Farage.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
C’E’ UN’IMPENNATA DI REATI COMUNI, CRIMINALITA’ SPICCIOLA E DELINQUENZA GIOVANILE, MA I SOVRANISTI FANNO FINTA DI NULLA…SUL MARKETING DELLA PAURA HANNO COSTRUITO LE LORO FORTUNE
Non serve il mago Otelma per svelare il duplice obiettivo del “caso Garofani”, impapocchiato dai patriottici Dan Brown de’ noantri di palazzo Chigi con il contributo operoso di zelanti gazzettieri del regime. Montato alla carlona intorno a una chiacchiera conviviale tra tifosi romanisti più o meno eccellenti, manipolato a capocchia intorno a un virgolettato-fantasma funzionale all’ipotesi farlocca del “golpe istituzionale”, lo scandalo sollevato intorno a un inesistente «provvidenziale scossone» invocato dal consigliere di Sergio Mattarella per far cadere la Sorella d’Italia è solo un «complotto alla vaccinara», come l’ha giustamente derubricato Filippo Ceccarelli.
Una “intentona” da Strapaese, perfettamente coerente con i deliri cospirazionisti delle destre al comando: in termini psico-politici, la paranoia come patologia dell’identità, specchio di un “io” blindato e diviso che per definire se stesso ha sempre bisogno di crearsi intorno un universo ostile e un nemico necessario.
Dietro al pastrocchio non ci sono “menti raffinate”, ma solo intenzioni dissimulate. Il primo obiettivo, più subdolo, è supportare l’opa sul Colle avviata da Giorgia Meloni: la foga con cui i suoi Fratelli hanno cavalcato la vicenda, trasformando due frasi di un consigliere nel “piano del Quirinale”, e il comunicato ambiguo con il quale la stessa premier ha finto di chiuderla, confermano che l’Underdog è pronta per l’assalto al cielo, cui sono propedeutiche la delegittimazione strisciante del Capo dello Stato in carica e la rappresentazione distorta della “vecchia” presidenza della Repubblica (quella di Scalfaro, di Napolitano e implicitamente di Mattarella) come “motore immobile” delle trame segrete e dei giochi di palazzo. Il secondo obiettivo, più smaccato, è far calare l’ennesima cortina fumogena sulle vere condizioni materiali del Paese.
Qui, davvero, si combatte la sfida del consenso. Non c’è da nascondere solo l’inquietante accelerazione della crisi economica (crollo di consumi e salari reali, boom di prezzi e
carrello della spesa, crescita zero certificata da Istat, Bankitalia e ora anche Eurostat) cui fa da contraltare l’insostenibile leggerezza della legge di bilancio. Ora c’è anche da mettere la sordina a un’altra emergenza che sta scoppiando nelle mani del governo, ed è l’allarmante impennata dei reati comuni, della criminalità spicciola, della delinquenza giovanile.
Ogni giorno, per le strade delle nostre città grandi e piccole, si consumano storie di “ordinaria” violenza, al crocevia tra marginalità e malavita, teppismo e bullismo. Un problema drammatico, ma anche il grande “rimosso” della fase. E sono d’accordo con chi, come Walter Veltroni, sostiene che ha sbagliato la sinistra a sottovalutare o persino ignorare il tema della sicurezza: come scriveva Franco Cassano nel magnifico L’umiltà del male, troppe volte i progressisti si sono trincerati dietro una presunta superiorità morale, lasciando la debolezza degli uomini nelle mani degli avversari e guardando con supponenza al diffuso bisogno di protezione che emerge dalla società italiana.
Elly Schlein sembra averlo capito, come dimostra la riunione con i sindaci a Bologna, servita a ribadire che un partito la cui “ragion politica” è la giustizia sociale non può non mettere al primo posto la sicurezza delle persone, diritto essenziale che va garantito perché si possano esercitare tutti gli altri.
Chi oggi fa finta di nulla mi sembra invece la destra. Proprio quella che sul marketing della paura, sulla strategia della tensione e sul bisogno di sicurezza ha costruito in passato le sue
fortune elettorali. Non si può dimenticare cosa fecero le tv del duopolio berlusconiano Rai-Set ai tempi dell’Ulivo e dell’Unione, quando ogni tg versava sangue nelle case degli italiani: il Belpaese era il Bronx, le metropoli erano terra di conquista per immigrati e “zingari”, ladri e tagliagole, spacciatori e scippatori.
Non si può dimenticare la gioia feroce con la quale Forza Italia, An e Lega speculavano sui più truci delitti romani come la morte della giovane Vanessa Russo uccisa con un ombrello in un occhio da una sinti in una stazione della metro, lo stupro e l’uccisione della povera Giovanna Reggiani da parte di un rom assassino o della piccola Desiree Mariottini drogata e violentata fino alla morte da pusher africani in un covo di San Lorenzo.
Da Fini a Salvini, allora i leader li trovavi sempre sui luoghi del delitto, a denunciare l’ignavia delle sinistre al governo e a gridare forca e vendetta, ruspe e pugni di ferro, pene esemplari e leggi speciali. Ora non ce li vedi mai, in quei posti del disagio e del dolore. Eppure di delitti ne succedono più di prima, in un’escalation di crudeltà e di gratuità.
La “bamba” scorre, tra cocaina e droghe sintetiche, responsabili di investimenti di pedoni sulle strisce e incidenti mortali come quello di San Nicandro Garganico, dove un neopatentato di 22 anni positivo alla cannabis ha appena patteggiato dopo aver investito e ucciso un quattordicenne in motorino. Le baby-gang imperversano, vedi lo studente di 22 anni appena aggredito dal branco in Corso Como a Milano. I femminicidi dilagano, da Sara
Campanella massacrata a coltellate dal suo stalker a Messina a Cleria Mancini uccisa a colpi di pistola dell’ex compagno a Pescara.
L’insicurezza, reale e percepita, sta aumentando. Lo dicono i numeri del Viminale. I delitti denunciati all’autorità giudiziaria sono 2,38 milioni, con un’impennata del 3,4% rispetto al pre-Covid. Crescono soprattutto micro-criminalità e reati di strada. I furti in abitazione salgono del 4,9%, i reati connessi all’uso di stupefacenti del 3,9, le lesioni dolose del 5,8, le violenze sessuali del 7,5.
L’aspetto più preoccupante, rispetto al pre-pandemia, è il picco dei reati commessi da minori: più 30%, contro una crescita dell’8,1 di quelli compiuti da stranieri. La fotografia di questa Italia brutta e insicura la presidente del Consiglio la tiene chiusa nel cassetto.
I notiziari di tele-Meloni la ignorano, e così i parlamentari della maggioranza, sempre pronti a celebrare il governo e i suoi misteriosi “primati storici” a colpi di veline recitate a pappagallo davanti a telecamere rigorosamente mute. In compenso, spacciano per risolutivi i decreti-Caivano, i piani Albania e i pacchetti-sicurezza. Ma quest’anno siamo già a oltre 60mila sbarchi, in assenza sia di integrazione che di respingimento.
E poi, crimini e misfatti quotidiani alla mano, non pare stiano dando frutti il pan-penalismo punitivo e ossessivo, l’introduzione di 14 nuovi reati compreso il Daspo urbano, le poche assunzioni di nuovi agenti che non coprono il buco da 10mila unità tra forze
di polizia e carabinieri.
Per fortuna ci sono i mitici ministri Nordio e Roccella che dopo il coming out sulla separazione delle carriere e la scoperta delle “gite ad Auschwitz” ci regalano altre perle di saggezza: è inutile cercare di prevenire i femminicidi con l’educazione sessuale e affettiva a scuola, il maschio è cacciatore per natura e non imparerà mai la parità di genere.
Ma abbiate fede, cittadini insicuri. Domani, magari, qualche “giornale d’area” ci racconterà che quelle frasi del Guardasigilli erano solo chiacchiere da bar, dal sen fuggite tra un cocktail e l’altro. E se lo facesse, stavolta, avrebbe assolutamente ragione.
(da Repubblica)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
LA MANIPOLAZIONE SOVRANISTA DEI MEDIA
La cosa più preoccupante non è che un giornale abituato alla manipolazione della realtà
a fini politici abbia definito «complotto del Quirinale» una opinione informale espressa durante una cena privata con amici.
La cosa più preoccupante è che l’intero mondo mediatico, con poche eccezioni, abbia poi adottato quella parola, «complotto», ovvero un oggettivo falso, come se fosse una notizia da confermare oppure da smentire: non essendola.
Dovrebbero esistere degli anticorpi in grado di tutelare da questo tipo di contagio ciò che ci ostiniamo a definire “informazione”: verifica delle fonti, compostezza nella forma, rispetto del lettore. È vero che, in molti casi (quello in questione, per esempio) tra giornale e lettore esiste un patto scellerato: l’unica “notizia” che interessa è quella che sputtana e infanga l’avversario politico.
Ma se la faziosità è un vizio diffuso, è anche vero che c’è un limite non detto ma ben percepibile, una specie di fairplay di fatto che dovrebbe suggerire di non avvelenare del tutto la materia prima del giornalismo, che è la conoscenza dei fatti e il loro confezionamento corretto, magari perfino in buon italiano.
Ha raccontato bene Filippo Ceccarelli l’habitat romano, molto promiscuo e molto consociativo, nel quale questo genere di gossip politico collettivo alligna e prospera, anche se nel tempo di un paio di giorni poi svanisce per lasciare spazio alla diceria
successiva.
L’obiezione è che questa spensieratezza complice, tra vicini di tavolata, suona ancora più triste, e patetica, nel momento in cui il giornalismo vive la crisi strutturale più profonda e grave della sua storia. Avrebbe bisogno, per salvarsi, di riguadagnare almeno qualche briciola di autorevolezza. Meglio morire composti che sbracati.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
UNA PREMIER CHE SA SOLO PRENDERE TEMPO IN ATTESA DI ORDINI DA WASHINGTON
Sono ore che hanno il sapore di un beffardo dejà vu. Donald Trump decide, impone tempi e modi. Gli europei, spiazzati, che cercano e abbozzano una reazione.E Giorgia Meloni, tra di loro, che invita alla cautela, frena, e prende tempo, restando per quanto può in silenzio, in una posizione più smarcata rispetto a Francia, Germania e Regno Unito.
C’è persino l’ipotesi molto concreta di una missione del gruppo dei Volenterosi a Washington, come avvenne tre giorni dopo il vertice di Ferragosto tra Trump e Vladimir Putin ad Anchorage. La fotografia degli alleati attorno al tycoon che prendono la
parola su suo ordine servì a lui per magnificare se stesso e per dimostrare che a loro restava poco da obiettare.
Ha dato una settimana di tempo. Prendere o lasciare. Vale sia per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sia per l’Europa.
La sequenza della giornata di Meloni racconta la difficoltà del momento. Sta atterrando a Johannesburg mentre il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer si riuniscono in una call con Zelensky.
La premier italiana non partecipa e non è chiaro se sia perché la logistica (o il wi-fi) non facilita la telefonata, o perché come altre volte il formato sin dall’inizio non prevedeva l’Italia.
Sta di fatto che Meloni, arrivata in Sudafrica, per il G20, si chiude in albergo, e chiama Merz. Il summit dei Venti che doveva essere il primo senza gli Stati Uniti finisce ostaggio di Trump.
Il resoconto della telefonata con il cancelliere è affidato a una nota ufficiale di Palazzo Chigi che sottolinea «l’importanza degli sforzi negoziali in corso», non cita il coinvolgimento dell’Ucraina, e si concentra soprattutto sul riferimento «alle solide garanzie di sicurezza, integrali al più ampio quadro della stabilità europea e transatlantica, in linea con quanto da tempo proposto dall’Italia».
Per la premier è quello che lei ha sempre sostenuto, anche se – va detto – non è formalizzato chiaramente così: un meccanismo modulato sull’articolo 5 della Nato, che prevede l’intervento a
supporto dei Paesi membri se attaccati, ma senza contemplare l’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica.
È Guido Crosetto a prendere personalmente la posizione più netta e critica, dentro il governo.
Definisce la bozza «troppo dura nei confronti dell’Ucraina», si augura modifiche sostanziali e il coinvolgimento «della nazione aggredita, quella che dovrebbe fare i sacrifici maggiori sulla base di questo piano, come la cessione di territori che sono stati difesi a costo di centinaia di migliaia di vittime in questi oltre tre anni di guerra».
Meloni segue una sua strategia. Fatta di silenzio, attesa, prudenza. Di equilibrismi tattici per nascondere l’imbarazzo di essere stata tagliata fuori come tutti, e di dover scegliere tra Usa ed Europa, sapendo che il prezzo di una frattura del fronte europeo sarebbe alto. Ma, allo stesso tempo, consiglia ai colleghi di non alienarsi Washington.
Per questo pensa e fa sapere che considera sbagliato annunciare un contro-piano europeo, alternativo a quello della Casa Bianca. Non viene escluso che nelle prossime ore possa sentire il leader americano. La bozza è un primo passo, un punto di partenza. Certo, chiosa la nota di Palazzo Chigi, con «elementi meritevoli di ulteriore approfondimento».
Il fatto che la linea della premier non sia definita e chiara, alla fine lascia il governo in una situazione di incertezza.
Non solo Crosetto, anche il vicepremier, ministro degli Esteri e leader Forza Italia Antonio Tajani, sembra scettico: «Non sia un
resa. Non può essere esclusa l’Ucraina e neanche l’Europa che ha inflitto sanzioni alla Russia».
Esattamente l’opposto di quello che dichiara Matteo Salvini, il più esplicito nel sostegno a Trump e contro gli alleati europei, convinto che vada lasciata fuori ogni iniziativa dell’Unione: «Il presidente americano merita fiducia, anche alla luce del risultato ottenuto in Medio Oriente. Ci auguriamo che nessuno, in particolare a Bruxelles, Parigi e Berlino, intralci i negoziati per assurde pulsioni belliciste»
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“STIAMO PARLANDO DI UN CESSATE IL FUOCO CHE DI FATTO NON LO È, COSÌ COME FITTIZIO È IL PIANO DI PACE”
L’aula negata per l’arrivo di Greta Thunberg a Verona, è un caso nazionale. Ottocento
persone di tutte le età hanno sfidato il divieto imposto dall’università di Verona e «occupato» l’aula T2 del Polo Zanotto per prendere parte all’incontro con l’attivista Greta Thunberg, Simone Zambrin, il veronese che aveva preso parte all’impresa della Global Sumud Flotilla alla volta di Israele, e Maya Issa, del movimento studenti palestinesi.
I tre attivisti hanno presieduto l’incontro organizzato dai collettivi Tamr e Cau per tenere vivo il dibattito sul genocidio compiuto da Israele e per esprimere un aperto dissenso al Governo Meloni.
«C’è ancora un genocidio e un’oppressione soffocante in Palestina, – esordisce Greta prima dell’inizio della manifestazione- stiamo parlando di un cessate il fuoco che di fatto non lo è, così come fittizio è il piano di pace, che non ha assolutamente nulla a che fare con la pace e la giustizia. È una vergogna per tutto il diritto internazionale e viola completamente
il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.
Il genocidio è la continuazione di decenni di soffocanti oppressioni che i palestinesi hanno subito in uno stato di apartheid. È in definitiva il risultato di un sistema globale costruito sul sangue di persone oppresse, costruito su massacri e disuguaglianze che oggi vediamo solo aumentare».
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
ESILARANTE IL “SECOLO D’ITALIA”: “BUONA LA PRIMA: 7 MINUTI DI APPLAUSI PER VENEZI”. PECCATO CHE NON DIRIGESSE AFFATTO LEI, LA “BACCHETTA NERA”, MA IVOR BOLTON, COME C’È SCRITTO PERFINO NEL PEZZO… MA QUANDO SI SCOPRE CHE NE È DIRETTORE EDITORIALE TALE BOCCHINO ITALO. ALLORA TUTTO SI SPIEGA
Di più stupefacente della destra ci sono solo i suoi giornali maldestri. Sulla vicenda Venezi a Venezia il catalogo di falsità,
imprecisioni, sciocchezze, fake news, travisamenti, errori, invenzioni, notizie non verificate e verifiche senza notizie è già più lungo di quello di Leporello (nota per il sottosegretario Mazzi: trattasi di personaggio del “Don Giovanni”, opera pre-elettrica di Mozart). Più bufale che nell’intera Campania.
Ma, sfogliando la rassegna stampa questa mattina, la realtà supera davvero la fantasia. Succede che giovedì si inauguri con “La Clemenza di Tito” (per Mazzi: sempre di Mozart) la stagione del Teatro La Fenice fra le applauditissime proteste di chi ci lavora. Per l’occasione, l’ineffabile sovrintendente del teatro, Nicola Colabianchi, promosso a Venezia dal governo del merito dopo aver fatto danni a Cagliari, dà i numeri: abbonamenti cresciuti del 7%.
E allora, si festeggia. Titolo di “Libero” in prima pagina: “Rosiconi contro Venezi. La Fenice fa più abbonati”. Titolo della “Verità”, nome non omen: “La Fenice rinasce con la Venezi: salgono gli abbonamenti al teatro”. Titolo del “Secolo d’Italia” (ma allora esiste!): “La Fenice, boom di abbonamenti con Venezi”.
Basterebbero i nomi di chi firma i pezzi per non prenderli sul serio. Visto però che esiste anche la verità con la minuscola, forse giova ricordare che Beatrice Venezi sarà, forse, direttrice musicale del teatro, ma dall’ottobre dell’anno prossimo, quindi dalla stagione 2026-27, e che in quella attuale non dirige alcunché.
Quindi non si capisce come la Fenice possa “risorgere” (da cosa, poi? È uno dei teatri italiani che va meglio, anzi andava prima della cura del trust Giuli-Mazzi-Mollicone-Brugnaro-Colabianchi) con una direttrice che non ci dirige.
A completamento dell’informazione, si possono aggiungere un paio di dettagli che il MinCulPop a testate unificate ignora. Il primo è che il merito dell’aumento degli abbonamenti alla stagione appena iniziata è di chi l’ha progettata, quindi di Fortunato Ortombina, predecessore di Colabianchi, che si è ben guardato dal ringraziarlo o anche solo dal citarlo.
Il secondo è che i sindacati dei lavoratori della Fenice, mostrando un buonsenso non sempre frequente nelle vertenze musicali, hanno invitato chi ha l’abbonamento a non disdirlo per non danneggiare l’istituzione.
Fin qui si sorride. La risata (più pernacchio) invece arriva con il titolo del secondo articolo che il “Secolo” dedica alla vicenda, a firma di tal Lucio Meo: “Buona la prima: 7 minuti di applausi per Venezi”. Peccato che, appunto, non dirigesse affatto lei, ma Ivor Bolton, come c’è scritto perfino nel pezzo. Buonanotte e maraMeo. Incredibile ma vero. Però lì sotto c’è la gerenza del giornale, dove si scopre che ne è direttore editoriale Italo Bocchino. E allora tutto si spiega…
(da Dagoreport)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“HO DETTO COSE CHE TUTTI GLI ITALIANI PENSANO”
“La cosa più falsa che potevano scrivere”. Enzo Iacchetti, contattato da Fanpage.it,
rompe il silenzio sulla denuncia per istigazione all’odio razziale presentata dall’Unione delle
Comunità ebraiche italiane. E lo fa con la stessa forza che lo ha reso protagonista, negli ultimi mesi, del dibattito sul conflitto israelo-palestinese. Nessun passo indietro, nessuna ritrattazione. Anzi, il rilancio è durissimo.
“Da un antifascista, un antinazista, da uno che fino a ieri sera ha guardato il processo di Norimberga ai generali nazisti per tutte le porcate che hanno fatto nell’Olocausto, insomma, denunciarmi per odio razziale…non mi sembra che ci sia un giudice adatto per mettermi in carcere, non credo”, ci dice l’attore al telefono, poche ore dopo la notizia della denuncia.
Perché Iacchetti è stato denunciato
L’Ucei accusa Iacchetti di aver pronunciato, durante una puntata di È sempre Cartabianca andata in onda a novembre, frasi dal “chiaro contenuto antisemita”: “Il sionismo controlla tutto il mondo, controlla l’America, controlla le banche… le banche svizzere sono controllate dai sionisti ebrei, il denaro è lì”. Tesi, secondo l’Ucei, “del tutto simili a quelle con cui lo stesso Hitler preparò il terreno e poi consolidò il potere del Terzo Reich in Germania”. Ma Iacchetti risponde citando Dostoevskij: “Dice che arriverà un tempo in cui le persone intelligenti non potranno più fare una riflessione per non offendere gli imbecilli. Questa è una frase che in pratica risponde alle loro diffamazioni. Provassero a querelare o a denunciare Dostoevskij”.
“A questo punto io denuncio Israele”
L’attore si dice convinto che la denuncia fosse “prevedibile”: “Me l’aspettavo che facessero qualcosa perché ce l’hanno con me, non ce l’hanno con tutti i milioni di persone che hanno protestato. Ce l’hanno con me, non ce l’hanno con nessun altro e nonostante in televisione tutte le sere c’è gente che addirittura infierisce ancor più forte di me”. Il riferimento è chiaro: Iacchetti è diventato un simbolo. Lo scontro con Eyal Mizrahi, presidente della Federazione Amici di Israele, quando saltò letteralmente giù dalla sedia urlando “Cos’hai detto stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni”, ha fatto il giro d’Italia. Ma la denuncia, sottolinea l’Ucei, riguarda anche e soprattutto le affermazioni successive, quelle sul “controllo sionista” del mondo.
“Ho sempre detto che il sionismo non c’entra niente con l’ebraismo, quindi questi amici ebraici probabilmente sono anche sionisti, visto che non hanno capito la differenza”, rilancia Iacchetti. “Se si sentono offesi, vuol dire che non hanno chiuso gli occhi su tutto quello che è successo in Palestina e che sta succedendo ancora nonostante la tregua”. E poi arriva la dichiarazione più forte, quella che inevitabilmente farà discutere: “A questo punto io prevedo di denunciare il governo di Israele per terrorismo e per sterminio dei palestinesi. Se devo fare una cosa eclatante farò questo, perché chiunque, qualsiasi cittadino può denunciare chiunque”.
“Nessuna solidarietà dalla politica, solo Bianca mi ha chiamato”
Nessuna solidarietà, per ora, dal mondo dello spettacolo o della politica. “Per ora non m’ha chiamato nessuno, ma non è questo il problema”, dice l’attore. “Sono sempre stato da solo in tutte le cose che ho fatto nella mia vita, per cui non mi aspetto l’aiuto di
nessuno”. C’è stata solo Bianca Berlinguer al suo fianco: “Mi ha chiamato subito”. Enzo Iacchetti assicura: “Continuerò senza paura a fare i miei post perché la paura non c’è. Sono quello che ha detto le cose che tutti gli italiani vorrebbero dire. Quando andrò in tribunale mi difenderò. Non ho nessuna paura, anzi ho provato di peggio”.
(da Fanpage)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
QUALCUNO CREDE ANCORA NEL LEVITICO (PERO’ SI RADE E MANGIA CROSTACEI) E IN MUSSOLINI (“PERO’ IO LA STORIA NON L’HO STUDIATA, HO ALTRI INTERESSI”)
Sono tornato a intervistare gli elettori di Roberto Vannacci. Li avevo conosciuti durante il suo tour nel nord profondo, quando era impegnato a presentare il suo libro “Il mondo al contrario”, quello era il periodo in cui riempiva sale da centinaia di posti, ancora prima che decidesse di candidarsi con la Lega.
Poi quegli elettori li avevo incontrati lo scorso anno a Pontida, dove Vannacci rappresentava la guest star al il ritrovo annuale all’ombra del dio Po, fresco di 500.000 preferenze alle elezioni europee come capolista del partito fondato da Umberto Bossi.
Il Generale, da parte sua, mi ha ringraziato attaccandomi varie volte, in varie situazioni, l’ultima quando sono tornato dalla Global Sumud Flotilla, quando decise di realizzare un meme senza coraggio.
Sono tornato a incontrare i fan di Vannacci qualche giorno fa, perché l’occasione era antropologicamente curiosa: leghisti e “vannacciani” a Napoli, una specie rara ma non troppo. Un caso studio interessante, sia per la sempre strabiliante combo “sud e Lega”, sia per capire come avevano reagito alle parole del Generale pensionato, pubblicate due giorni prima in un post storicamente revisionista, che un po’ celava e un po’ raccontava cose non vere.
Il risultato è stato questo, attenzione spoiler: è colpa dei gay. Cioè in mezzo a “non ho letto le parole del Generale” (e allora gliele leggevo io), e “io però la Storia non l’ho studiata”, l’argomento prediletto sono stati i gay.
E questa è già una notizia, perché di solito quando si parla della Lega le colpe del mondo ricadono sugli immigrati, ma i fan di Vannacci mi hanno stupito ancora una volta, perché al grido di “non voglio più vedere persone a quattro zampe e con il collare”, sono tornati a prendersela con i gay, citando la Bibbia e attaccando il Pride.
E voi penserete: ma cosa c’entrava, questo, con il post storico revisionista del Generale? Ve lo dico io: niente.
Tra l’altro nessuna delle mie domande aveva niente a che vedere con il Pride o con i diritti, se non nella loro negazione durante il fascismo: negazione del diritto di stampa, abolizione dei sindacati, scioglimento dei partiti di opposizione, abolizione di elezioni libere, e poi dieci anni dopo anche le leggi razziali. E però “è colpa dei gay”.
E sul fascismo, cosa hanno detto? Sostanzialmente “non ne possono più di sentirne parlare perché il fascismo è finito 80 anni fa”. Però quando facevo notare loro che era stato Roberto Vannacci a parlarne, il loro idolo, allora qualcuno diceva che sì, in effetti detto da lui andava bene perché serviva a “opporsi a una ossessione dei sinistri”. No, neanche io ho capito cosa intendessero con questa frase.
Ho imparato qualcosa di nuovo, da questo video? No. Loro hanno imparato qualcosa di nuovo? Probabilmente no. E allora a cosa è servita, questa carrellata di interviste? A capire i nostri vicini di casa, di ombrellone o di pizzeria, al bar o a un concerto. Sono loro, ognuno di loro con un’idea, qualche volta vicino alle nostre (qualunque siano le nostre e qualunque cosa significhi “nostre”), e qualche volta no. Antropologicamente queste interviste allargano la prospettiva, e quello che non t’aspetti può accadere in qualsiasi momento e spesso accade. Ad esempio io ho scoperto che qualcuno crede ancora nel Levitico, e un po’ in Mussolini. Terribilmente interessante.
(da Fanpage)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
LA ASP PRESIEDUTA DALL’ESPONENTE DI FRATELLI D’ITALIA GIOVANNI LIBANORI HA CONCESSO CONTRIBUTI AD ASSOCIAZIONI SENZA TRASPARENZA E IN DUE CASI NON C’E’ TRACCIA DEI PROGETTI PER CUI I FONDI SONO STATI ELARGITI
La cassa dell’istituto romano San Michele non è stata usata con disinvoltura solo per
l’affidamento di appalti e consulenze, come raccontato dall’inchiesta di Fanpage. Tra le spese anomale dell’Azienda pubblica di servizi alla persona guidata dall’esponente di Fratelli d’Italia Giovanni Libanori, ci sono anche i contributi concessi a realtà del terzo settore, erogati in maniera del tutto discrezionale, senza che venissero definiti i criteri di assegnazione e rendicontazione del denaro, come previsto dalle normative.
“Soldi dati senza regole, decideva Libanori”
Eppure l’articolo 12 della legge del 7 agosto 1990, sulla materia sembra parlare chiaro: la concessione da parte di amministrazioni pubbliche di contributi economici di qualunque genere a enti privati è subordinata “alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti […] dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi”. Detto in parole semplici, prima si devono stabilire le regole per assicurare la trasparenza nel processo di assegnazione dei fondi e solo dopo si può procedere con le erogazioni.
Per quattro volte nel corso dei primi mesi del 2025, invece, dal San Michele è stata deliberata l’assegnazione di contributi a onlus e associazioni “nelle more dell’approvazione di un regolamento”, cioè senza ancora aver fissato i criteri, necessari per legge. Il regolamento sulla materia è stato approvato dal Cda della Asp solo il 17 settembre, quando le somme in questione – stando alle determine pubblicate sul sito dell’istituto – erano già state liquidate.
A voler imporre le scelte sugli enti a cui destinare i fondi sarebbe stato direttamente il presidente Libanori, secondo quanto raccontato a Fanpage da un ex importante dirigente del San Michele, che finché è rimasto in carica si è opposto a questo sistema, del tutto discrezionale. Una volta uscito lui di scena però, come detto, i contributi sono stati distribuiti, senza nessun bando o avviso pubblico, senza regole che disciplinassero le attività meritevoli di essere finanziate, né le modalità di rendicontazione delle spese.
I progetti fantasma
Questa opacità nella gestione dei fondi dell’istituto ha permesso che il denaro pubblico venisse destinato anche a progetti, di cui non si trova alcuna traccia. È il caso dei soldi dati a di due associazioni: Comitato Italiano Carta della Terra e Scilla International. Alla prima è stato assegnato un contributo da 15mila euro per il progetto “Special Fishing”, che avrebbe dovuto prevedere corsi di pesca sportiva inclusivi, dedicati a persone disabili e anziane. L’iniziativa avrebbe dovuto svolgersi
durante tutte le domeniche del 2025 e coinvolgere oltre 500 partecipanti.
Abbiamo provato a svolgere più ricerche incrociate per avere qualche riscontro dell’effettiva realizzazione del progetto, ma abbiamo trovato soltanto alcuni post sui social, riguardo a eventi omonimi, svolti però negli anni passati. Abbiamo allora interpellato direttamente il presidente dell’associazione di pesca sportiva, che avrebbe dovuto organizzare gli eventi per conto di Carta della Terra. Peccato che, rispondendo alle nostre domande, ha dimostrato di essere all’oscuro di tutto.
“Quest’anno avete realizzato un progetto chiamato Special Fishing, per l’inclusione degli anziani?”, gli abbiamo chiesto, nel corso di una telefonata. “No e non è in programma a breve”, è stata la risposta. Abbiamo insistito: “Avete mai organizzato qualche iniziativa con il Comitato Carta della Terra? Qualche progetto con le persone disabili? O con gli anziani?”. Anche in questo caso nessun riscontro, da parte del responsabile della società di pesca sportiva: “No, non mi dice nulla… A volte abbiamo seguito alcuni programmi con persone disabili, anche con la collaborazione di altre strutture, ma Carta della Terra non mi dice nulla. Per quanto riguarda gli anziani, abbiamo realizzato progetti, ma sempre con gruppi ristretti. Mai con associazioni”.
Una scena simile si ripresenta anche per il secondo caso. Questa volta si tratta di 20mila euro destinati all’associazione Scilla International, per il progetto “Nonni e nipoti: semi di saggezza, fiori di futuro”, un’iniziativa volta alla realizzazione di una serie
di attività intergenerazionali: laboratori di memoria orale e narrazione, orto sociale e giardino condiviso, laboratori creativi e artigianali, giornate di gioco tradizionale, progetti digitali e visite guidate. Attività che, stando alle carte, avrebbero dovuto svolgersi tra l’estate e l’autunno del 2025 in un centro per anziani di Ostia.
Anche stavolta, ci siamo rivolti direttamente al centro anziani che avrebbe dovuto ospitare questi progetti. Ma la sua presidente non ne sapeva nulla. “Voi organizzate attività di dialogo tra generazioni, attività di integrazione?”, abbiamo chiesto. La risposta è stata netta: “No, gli unici ragazzi che vengono da noi sono quelli del servizio civile, che al pomeriggio ci aiutano con la burocrazia. Ma le attività per gli anziani invece si svolgono la mattina, mentre i giovani sono a scuola, per cui non realizziamo cose assieme”. “Può essere che avete organizzato qualcosa con Scilla International?”, abbiamo replicato. “No, questo nome non mi dice niente”, ha concluso la presidente del centro anziani.
L’analista della Nato e dell’Aisi dietro le onlus?
Ma chi c’è dietro le due associazioni promotrici dei progetti “fantasma? Le due realtà sembrano avere più di una cosa in comune. Il Comitato Italiano Carta della Terra risulta presieduto da Corrado Maria Daclon, segretario generale della Fondazione Italia-USA, realtà più volte ospite della Camera dei Deputati. Giornalista e analista geopolitico, Daclon è un uomo dalle mille relazioni, volto noto in parlamento, negli ambienti della politica estera e in quelli dei servizi segreti.
Negli anni ’80, è stato consigliere di diversi ministri democristiani e nel suo curriculum elenca incarichi di ogni tipo, che spaziano dall’Onu alla Nato, fino alla Commissione europea. Daclon è stato anche collaboratore della rivista Gnosis, edita dall’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna. Tra tutte le esperienze collezionate negli anni, però, non ne compare nessuna che c’entri in qualche modo con quelle per cui ha ricevuto fondi dall’Istituto San Michele.
È stato impossibile invece trovare riscontri sull’altra associazione destinataria dei contributi del San Michele, Scilla International. L’ente infatti non risulta iscritto nel registro unico nazionale del terzo settore e in rete non se ne trova alcuna informazione. Abbiamo però trovato traccia di una Srl – oggi cessata – che aveva lo stesso identico nome, con sede principale in Valle d’Aosta e sedi distaccate a Roma e Milano. Tra il 2002 e il 2003, Scilla International Srl è stata oggetto di due interpellanze nel Consiglio Regionale valdostano, nei resoconti stenografici dell’epoca viene specificato il nome dell’amministratore unico della società. Era Corrado Maria Daclon, ovvero lo stessa persona dietro il ComitatoCarta della Terra.
Non è tutto. Stando ai documenti del San Michele, le due associazioni condividono lo stesso indirizzo delle rispettive sedi, in via Sardegna 55 a Roma. Siamo andati a bussare a quella porta, per chiedere chiarimenti. Ma sul campanello non abbiamo trovato i loro nomi. Abbiamo chiesto allora delucidazioni al portiere del palazzo, ma ci ha detto che non gli risultava l
presenza di uffici di Carta della Terra e di Scilla International nell’edificio. Nè aveva mai sentito parlare di Corrado Maria Daclon. Insomma, non solo i soldi pubblici del San Michele per i progetti delle onlus, ma anche le sedi fisiche delle due associazioni sembrano svaniti nel nulla.
(da Fanpage)
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