Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
IL 19% HA SUBITO UN’AGGRESSIONE FISICA E IL 23% UN’AGGRESSIONE SESSUALE… IL 6% VITTIMA DI UNO STUPRO… LA MAGGIOR PARTE DEGLI ABUSI PERPETRATI DAL PARTNER
In Italia una donna su tre ha subito violenza da parte di un uomo nel corso della vita.
Sono in tutto 6,4 milioni, il 32% del totale.
Quasi una su cinque (il 19%) ha subito un’aggressione fisica e una su quattro (il 23%) un’aggressione sessuale. Fra queste il 6% è stata vittima di uno stupro tentato o consumato.
Sono numeri enormi, ma non raccontano nulla di nuovo. Se un’evoluzione c’è stata, nell’indagine sulla violenza contro le donne pubblicata ieri dall’Istat, è stata semmai in peggio. Rispetto all’edizione del 2014 sono aumentati di un terzo i maltrattamenti delle ragazze molto giovani. Nella fascia tra 16 e 24 anni le aggressioni sono balzate dal 28% di undici anni fa al 38% di oggi. Si tratta soprattutto di abusi sessuali, passati dal 18% del 2014 al 31% del 2025.
Il rapporto Istat aveva soprattutto un obiettivo: far emergere i racconti di schiaffi, botte, tentativi di strangolamento, ecc. (classificati come violenze fisiche), rapporti sessuali forzati o degradanti, stupri e tentativi di stupro (le violenze sessuali) che nella maggior parte dei casi non vengono denunciati. Intervistando via telefono 17.500 italiane tra 16 e 75 anni, l’istituto di statistica è entrato nella vita intima e nelle case delle donne. E proprio fra le mura domestiche ha trovato la situazione peggiore. Due casi di stupro su tre (il 64%) sono stati commessi da partner attuali (il 5%) o passati (il 59%). Il 19% ha come autore un conoscente, l’11% un amico e il 7% un estraneo. Nell’1% degli stupri (non c’erano casi registrati nel 2014) la donna era stata drogata o era ubriaca.
Agli abusi fisici dei partner si aggiungono quelli psicologici (li riferisce il 18% del campione) e le minacce di tipo economico
(6,6%). Lo sdegno per i tanti femminicidi, le manifestazioni come quella prevista per sabato a Roma, organizzata da “Non una di meno”, l’istituzione di una giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (fissata il 25 novembre) non hanno minimamente scalfito il dramma.
Le denunce restano una piccola percentuale: solo il 10,5% delle vittime di violenza da parte del partner o ex partner si è rivolto alle forze dell’ordine. La percentuale arriva al 40% quando i maltrattamenti si protraggono per dieci anni. Eppure non si parla di violenze lievi. Il 21% di chi ha subito l’aggressività del partner ha provato «paura che la propria vita fosse in pericolo». Più gravi i maltrattamenti perpetrati dagli ex partner: qui il 47% delle donne abusate ha avuto paura di morire.
Tra le mura domestiche vivono poi i bambini. La loro presenza non ferma gli abusi. Due terzi delle madri che subiscono violenze ripetute (il 62%) raccontano che i figli hanno assistito alle aggressioni. In un caso su cinque (il 20%) sono finiti anche loro sotto ai colpi dei padri. Il 9% delle donne abusate regolarmente ha subito violenze fisiche o sessuali perfino durante la gravidanza.
Nei dati Istat si nota un rapporto diretto fra l’educazione delle donne e l’aggressività degli uomini. Se le italiane che hanno subito abusi sono il 32%, la percentuale cresce al 36% fra le studentesse e al 42% fra le laureate tra 25 e 34 anni. Le ragazze giovani e istruite allo stesso tempo sono la categoria su cui la violenza si accanisce di più: quasi una diplomata su due tra 16 e
24 anni (il 48%) è stata oggetto di aggressività fisica o molestia sessuale negli ultimi cinque anni.
L’indagine di ieri ha riguardato solo le donne italiane. Quelle straniere saranno intervistate di persona. I loro dati saranno pronti nel 2026.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“NEL PAESE SCANDINAVO 0,25 DONNE UCCISE OGNI 100.000, IN ITALIA 0,32 E L’EDUCAZIONE SESSUALE A SCUOLA E’ FONDAMENTALE PER RIDURRE LE VIOLENZE”
“La ministra Roccella dice una cosa inesatta quando afferma che i femminicidi non calano con l’educazione sessuo-affettiva e, in ogni caso, sposta l’attenzione su un altro Paese senza guardare a un’emergenza che riguarda anche l’Italia. Secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili la Svezia ha un tasso di omicidi di donne da parte di partner o familiari più basso rispetto all’Italia. In Svezia sono 0,25 ogni 100mila donne, in Italia 0,32. Inoltre, secondo i dati dell’United nations office on drugs and crime, tra il 2014 e il 2022 nell’Europa del Nord, quindi Svezia inclusa, il tasso di femminicidi è diminuito, mentre in Italia, come dimostrato dai dati Istat, il numero di donne uccise resta sostanzialmente stabile da diversi anni. La ministra quindi tira in ballo dati poco credibili, dimenticando che la piaga dei femminicidi è un problema più nel nostro Paese che in Svezia. E lo fa soltanto per opporsi di principio all’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, che comporterebbe tantissimi benefici in termini di parità di genere, come ribadito più volte anche dall’Oms”.
La politologa Flavia Restivo, 29 anni, fondatrice di “Italy Needs Sex Education”, autrice del saggio “Gli svedesi lo fanno meglio” (Rizzoli) non crede alla fondatezza della tesi della ministra. A ragion veduta: ha studiato con attenzione il Paese che ha incluso l’educazione sessuale a scuola già dal lontano 1955.
La ministra Roccella sostiene che non c’è una correlazione tra educazione sessuale e violenza contro le donne. Ha ragione?
“No. È importante ricordare che i confronti internazionali sui femminicidi utilizzano quasi sempre la metrica di omicidi da partner o familiari, perché il movente di genere, cioè la classificazione diretta del femminicidio, non viene rilevato in maniera uniforme nei diversi Paesi. Proprio per questo la misura Eurostat del 2020 è quella più attendibile e comparabile: in quel dato ufficiale, la Svezia registra un tasso più basso dell’Italia. Mi
sembra davvero sbagliato continuare a dire che non esistono effetti positivi dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. Soprattutto oggi, poco prima della manifestazione contro la violenza di genere e alla vigilia della giornata internazionale. Non siamo solo noi femministe a dirlo: le linee guida dell’Oms promuovono l’educazione alla sessualità come un diritto fondamentale, da integrare nei programmi scolastici fin da piccoli. E anche il parlamento Europeo ha approvato risoluzioni che promuovono la salute sessuale e riproduttiva come diritto”
Ma in Svezia l’educazione sessuale ha funzionato o no?
“Prima di tutto è un Paese che non conosce più il gender gap dal punto di vista lavorativo e familiare. Il divario di genere si è praticamente azzerato. E alla ministra della Pari Opportunità questo dato dovrebbe interessare. Secondo il Global Gender Gap Report 2025 la Svezia ha colmato il divario di genere dell’81,7%, e si trova al sesto posto nel mondo. Il nostro dato nazionale non è affatto incoraggiante: l’Italia, infatti, compare solo all’ottantacinquesimo. Inoltre dal punto dell’educazione sessuale gli effetti positivi sono diversi e palesi: la quasi totale assenza di malattie sessualmente trasmissibili tra i giovanissimi in Svezia, mentre in Italia è stato registrato un nuovo boom. E una diminuzione delle gravidanze indesiderate, grazie a una grande cultura della contraccezione e a una maggiore accessibilità al diritto all’aborto”.
Perché allora non diminuiscono le denunce per violenze di genere?
“È molto semplice. Se aumentano le denunce di violenza non vuol dire che aumenta la violenza. Aumenta semmai la cultura della denuncia e del consenso. Un maggior numero di denunce è un dato da considerare positivo. Non dobbiamo essere felici se le denunce sono poche, è semplicistico. La Svezia è sì un Paese dove le denunce di violenza sono più numerose, ma ciò avviene in un contesto culturale in cui la consapevolezza, il riconoscimento e il reporting della violenza sono molto più sviluppati che altrove”.
Roccella però si sofferma sui femminicidi…
“Lo ripetiamo ormai da anni: l’eliminazione di una donna è solo la punta dell’iceberg. La ministra non riesce a prendere in considerazione gli altri tipi di violenza: violenza economica, manipolazione, il catcalling, le molestie verbali, la vittimizzazione secondaria. In Italia le donne non si sentono libere di occupare lo stesso spazio che occupano gli uomini. Consiglio a Roccella di essere un’osservatrice più attenta in questo senso e di mettersi nei panni delle donne”.
Roccella sembra preoccuparsi della crisi della natalità nel nostro Paese. La Svezia ha anche un’attenzione particolare alle politiche per la famiglia?
“La ministra ama parlare di natalità e invita gli italiani a fare figli ma il suo governo non mette in atto politiche di genere adeguate relative alla famiglia. Anche in questo caso “gli svedesi lo fanno meglio”. Basta l’esempio concreto del congedo parentale: in Svezia un neo papà può prendersi 90 giorni di congedo. In Italia
sono solo dieci”.
Si fa confusione, da quando il dibattito si è acceso, tra educazione sessuale e affettiva. Come rispondere a chi teme che si “insegni a fare sesso ai bambini”?
“Dovrebbe iniziare alla scuola dell’infanzia. Parlare di questi temi da quando si è più piccoli, senza che diventino un tabù, con esperti ed esperte, non con insegnanti di religione o persone poco preparate scelte a caso. Serve una professionalità. Ogni fase di età ha il suo tema e il suo linguaggio. Quando si è molto piccoli si parlerà di consenso, di privacy. E poi crescendo si affrontano argomenti come l’affettività e la sessualità, soprattutto nel senso di prevenzione. È ottuso pensare che l’educazione a scuola spinga i bambini o i ragazzi ad avere relazioni sessuali precoci”.
(da Repubblica)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
SONO 598 I CENTRI SENZA PANIFICI, 576 QUELLI SENZA NEGOZI DI FRUTTA E VERDURA, 650 SENZA MACELLERIA E 232 SENZA PUNTI VENDITA DI LATTE E DERIVATI … PER COMPRARE QUALCOSA DA MANGIARE (A CARO PREZZO) MILIONI DI ITALIANI DEVONO PERCORRERE CHILOMETRI
Circa 4,5 milioni di italiani vivono in comuni dove è scomparso almeno uno dei negozi
alimentari essenziali. Sono 598 i comuni oggi privi di panificio, 576 quelli senza negozi di frutta e verdura, 650 senza macelleria e 232 senza punti vendita di latte e derivati. Un’avanzata della desertificazione che ha un impatto significativo sulla qualità della vita dei residenti nelle aree interne, nei borghi e nei piccoli centri.È quanto evidenzia Alimentare il territorio, lo studio nazionale di Fiesa Confesercenti presentato in occasione dell’Assemblea annuale 2025 dell’associazione che riunisce gli specialisti alimentari Confesercenti
La riduzione delle attività colpisce entrambe le componenti della distribuzione alimentare di prossimità. La distribuzione tradizionale – panifici, ortofrutta, macellerie, pescherie, negozi specializzati – è passata da 123.095 a 115.968 attività tra 2019 e
2024: 7.127 negozi in meno e circa 12.000 addetti persi. Il calo è più marcato nei comuni sotto i 5.000 abitanti (-7,8%) e nelle grandi città (-7,1%).
Nonostante la contrazione numerica, i minimarket e i supermercati indipendenti mostrano una capacità di resistenza superiore a quella della rete tradizionale: i punti vendita diminuiscono, ma l’occupazione tiene. Il personale scende solo del 5%, contro un calo del 13,9% delle superfici.
Inflazione. A pesare anche la corsa dei prezzi. L’Italia ha registrato un’inflazione alimentare più bassa della media europea (+24,7% contro +32,1% nell’UE tra 2019 e 2023), ma l’effetto sulle famiglie è stato comunque pesante: -10% nei volumi acquistati. Si paga di più (il 14%) per comprare meno.
Per invertire il processo, Fiesa Confesercenti individua tre linee di intervento. In primo luogo, garantire l’accesso alimentare nei territori fragili, rafforzando i Distretti del Commercio e riconoscendo i negozi essenziali come infrastruttura territoriale. Serve però anche stabilizzare i margini delle microimprese della prossimità, riducendo i costi fissi – a partire dal costo del lavoro – e attivando strumenti compensativi selettivi.
Necessario poi legare commercio e coesione territoriale, perché dove resta il negozio resta la possibilità stessa di vivere. “I dati mostrano che non è solo un problema del segmento commerciale, ma di accesso quotidiano ai beni alimentari nei territori”, dichiara Daniele Erasmi, presidente nazionale di Fiesa Confesercenti. “Dove un negozio chiude non arretra il mercato: arretra la vita economica di una comunità”.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
I RISULTATI ARRIVANO MENTRE IN SENATO È STATO DEPOSITATO IL DISEGNO DI LEGGE CHE PREVEDE, TRA LE ALTRE COSE, L’AMPLIAMENTO DELLE AREE VENABILI, L’ESTENSIONE DELLA DURATA DELLA STAGIONE DI CACCIA, E LA RIDUZIONE DELLE AREE PROTETTE
L’opinione pubblica è contraria alla caccia. E, soprattutto, all’estensione della stessa.
Lo confermano due sondaggi commissionati dalla Fondazione Capellino, proprietaria del marchio Almo Nature, secondo cui l’85% degli italiani ritiene che comporti rischi per la sicurezza. Non solo: il 78% la considera eticamente inaccettabile, mentre il 94% ritiene a vario titolo che vada abolita, fortemente limitata o regolata strettamente.
Fondazione Capellino, pur a capo di un’azienda che produce pet food e che avrebbe tutto l’interesse nello stare dalla parte dei cacciatori — tutti proprietari di cani —, ha deciso di schierarsi contro il disegno di legge 1552, depositato al Senato con le firme dei capigruppo di maggioranza (Malan, Gasparri, Romeo e Salvitti), che prevede un allargamento delle maglie nella regolamentazione dell’attività venatoria, estendendo i calendari e le aree in cui sarà praticabile e aumentando il numero di specie cacciabili. E ridimensionando il ruolo tecnico dell’Ispra a favore di un comitato faunistico con forte connotazione politica.
I risultati dei due sondaggi sono stati trasmessi a tutti i parlamentari. «Non vogliamo abolire la caccia — precisa Pier Giovanni Capellino, presidente della Fondazione —, ma impedire l’introduzione di nuove disposizioni che amplierebbero i diritti dei cacciatori contro il volere della maggioranza dei cittadini»
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
SPIKE LEE, NEWYORKESE DOC, PARLA DEL NUOVO PRIMO CITTADINO DELLA “GRANDE MELA”: “ SE C’È QUALCOSA DI BUONO CHE LA TECNOLOGIA HA FATTO È DARE LA POSSIBILITÀ AI GIOVANI DI POTER MOSTRARE AL MONDO LE LORO CAPACITÀ. IN PASSATO MADONNA È DOVUTA ANDARE A NEW YORK PER FARSI NOTARE, MA OGGI NON AVREBBE MAI POTUTO PERMETTERSI L’AFFITTO. ORA INVECE…”
«Amo l’Italia! Sto venendo lì proprio adesso: sai, devo incontrare questa persona che
risiede in Vaticano… La conosci? Per vederla devi essere invitato». Spike Lee sta passando una settimana intensa nel nostro Paese: prima l’incontro con Papa XIV, di cui è entusiasta, poi l’appuntamento con il Torino Film Festival, arrivato alla 43esima edizione, dove presenterà il suo ultimo film Highest 2 Lowest e riceverà la Stella della Mole.
Quando gli diciamo che però questo fatto del suo tifo per Alcaraz contro Sinner sta facendo arrabbiare mezzo Paese smette di sorridere e cambia discorso. Torniamo quindi sul cinema e quel sorriso inconfondibile riappare. Il protagonista di Highest 2 Lowest (rivisitazione molto libera di Anatomia di un rapimento di Kurosawa, che si trova su AppleTV) è Denzel Washington: interpreta David King, produttore musicale numero uno a New York, a cui rapiscono il figlio per ottenere un riscatto. Il suo mondo va in crisi: la richiesta di 17 milioni di dollari arriva proprio all’alba di un accordo importante.
Perché ancora Kurosawa?
«È tutta la vita che mi faccio ispirare da lui. Il mio debutto è in parte ispirato a Rashomon, che mi colpì in modo incredibile quando studiavo cinema. In qualche modo devo tutto a Rashomon. Ma ho fatto Highest 2 Lowest grazie a Denzel: è lui
che era legato alla sceneggiatura e me l’ha proposta. E quando l’ha fatto ci siamo resi conto che il nostro ultimo film insieme, Inside Man, è uscito 19 anni fa. È stata una sorpresa: ogni volta che ci vediamo è come se l’ultima fosse stata ieri».
Siete come anime gemelle?
«Mio padre era un musicista jazz. E con Denzel è come se fossimo jazzisti: improvvisiamo, reinterpretiamo. E per reinterpretare Kurosawa abbiamo avuto la benedizione della sua famiglia. L’ho incontrato in passato e sono convinto che avrebbe voluto facessi questo film».
Nel film ci sono tanti nuovi talenti, come le cantautrici Jensen McRae e Aiyana-Lee, che ha scritto il brano che dà il titolo al film. È attento alle nuove generazioni?
«Non direi mai che ho scoperto qualcuno, ma posso invece dire che sono su Instagram e osservo con attenzione. Se c’è qualcosa di buono che questa tecnologia ha fatto è dare la possibilità ai giovani di poter mostrare al mondo le loro capacità. In passato Madonna è dovuta andare a New York per farsi notare, ma oggi non avrebbe mai potuto permettersi l’affitto. Ora invece puoi mettere una canzone sui social e magari finirai in un mio film».
Insegna anche: qual è la prima cosa che dice ai suoi studenti ogni anno?
«Sono professore di ruolo alla NYU, sono 30 anni ormai. E ogni volta, il primo giorno che passo con una nuova classe, dico ai ragazzi: fare, non c’è provare. Sì, si beccano Yoda»
New York è come se avesse vita nei suoi film. E la vera città in
questo momento ha abbracciato un grande cambiamento. Si sente speranzoso?
«Sì, abbiamo appena avuto delle elezioni. Con Mamdani New York ha il suo primo sindaco musulmano. E io sono registrato: ho votato per lui. Molti stanno dicendo che, con un sindaco musulmano, se ne vogliono andare. Allora dico: fate le valigie e andate. Ma non penso che succederà, non credo ci sarà un esodo di massa da New York. Dove andrebbero?».
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
I PAESI SCANDINAVI AMMETTONO SOLO IL RICORSO ALL’EUTANASIA PASSIVA … SE PORTOGALLO E SPAGNA HANNO DATO IL VIA LIBERA, IN FRANCIA IL SUICIDIO ASSISTITO È VIETATO, MA L’ASSEMBLEA NAZIONALE HA APPROVATO UN DDL SUL “DIRITTO ALL’AIUTO A MORIRE”. IN GERMANIA, ANCHE IN ASSENZA DI UNA LEGGE, È AUTORIZZATO. E IN ITALIA? LA LEGGE È FERMA DA SEI ANNI
Non fosse per la situazione incerta di Paesi come il nostro, dove la disciplina del fine vita è ancora appesa ai requisiti stabiliti dalla Consulta sei anni fa e a una proposta di legge ferma al palo, il Vecchio continente sarebbe quasi spaccato in due: nell’Europa centro-occidentale, a grandi linee, gli Stati che permettono il suicidio assistito o l’eutanasia vera e propria, nella parte orientale un muro unanime di Paesi che vietano qualsiasi pratica del genere. Quelli scandinavi poi ammettono solo il ricorso all’eutanasia passiva.
Fra gli Stati che hanno adottato una legislazione favorevole, partendo da Ovest, figurano Portogallo e Spagna. Entrambi prevedono sia il suicidio assistito che l’eutanasia a condizione, per i lusitani (la legge è di due anni fa), che il paziente sia maggiorenne, capace di autodeterminarsi e affetto da malattia grave e incurabile, o da una lesione grave che provochi sofferenze intollerabili.
In Francia attualmente il suicidio assistito è vietato, ma lo scorso maggio l’Assemblea nazionale ha approvato un disegno di legge sul «diritto all’aiuto a morire», il voto finale in Senato è previsto
a gennaio 2026): la proposta consente di «autorizzare e accompagnare» una persona che ha «espresso la richiesta di ricorrere ad una sostanza letale», che dovrà somministrarsi da sola o farsi somministrare «quando non sia in grado di procedere» in autonomia. Cinque i criteri, fra cui una malattia grave e incurabile in fase avanzata o terminale, con una sofferenza fisica o psicologica costante.
Al di là della Manica, l’estate scorsa il Regno Unito si è mosso per disciplinare il ricorso al fine vita con una proposta di legge, approvata dalla Camera dei Comuni e limitata ai cittadini Inghilterra e Galles: permette il suicidio assistito, finora proibito, a persone con diagnosi terminali e aspettativa di vita non oltre i sei mesi, con il consenso espresso da due medici .
Siamo ora al blocco di Paesi che dall’Olanda, la prima
nell’Unione europea a legiferare in materia di fine vita ed eutanasia nel 2002, a Belgio, Lussemburgo, Svizzera (meta come si sa di diversi pazienti che da altri Paesi, Italia compresa, sono costretti a sceglierla per l’ultimo viaggio) e Austria hanno regolamentato il suicidio assistito.
La Germania, anche se tuttora priva di una legge, si è aggiunta all’elenco nel 2020, autorizzando di fatto il ricorso al fine vita Nell’attesa di una norma, la pratica è consentita.
Spostandosi a Est, la musica cambia radicalmente: in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria il suicidio assistito è illegale, così come in Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina e Grecia. Nel Nord Europa, il divieto accomuna
anche Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e Repubbliche baltiche, ma nei Paesi scandinavi l’eutanasia passiva, cioè il rifiuto delle cure, con qualche distinguo è permessa: lo è esplicitamente in Svezia e Finlandia, mentre non è regolamentata in Norvegia e Danimarca.
(da agenzie)
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