Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
NEL CARROCCIO FESTEGGIA SOLO UNO DEI QUATTRO VANNACCIANI IN LISTA: SI TRATTA DI STEFANO VALDEGAMBERI… TRA LE FILE DI FRATELLI D’ITALIA, FIGURACCIA PER L’EURODEPUTATO PRO-CACCIA SERGIO BERLATO E PER IL CONSIGLIERE USCENTE JOE FORMAGGIO, PASSATO ALLA RIBALTA PER LE SUE POSIZIONI PRO ARMI
C’è chi festeggia avendo ricevuto 665 voti e viene eletto consigliere regionale: si tratta
del Cinque Stelle Fabio Baldan. Paradossi e meraviglie delle preferenze, che anche in questa occasione hanno lasciato una scia di promossi e bocciati dal voto.
Rimanendo in Veneto, nel Carroccio festeggia solo uno dei quattro vannacciani in lista: si tratta di Stefano Valdegamberi (8.268 preferenze).
Tra i leghisti brilla anche l’ex assessore Roberto Marcato, che arriva a 11.500 preferenze precise, anche se a Padova viene superato dal vicesindaco del capoluogo, il dem Andrea Micalizzi (18.051 voti). Si conferma nel Veronese l’eurodeputato forzista ed ex sindaco scaligero Flavio Tosi (10.581 voti per lui). Bocciato, invece, l’ex leader comunista Marco Rizzo, candidato governatore per Democrazia sovrana popolare, che raccoglie in tutta la Regione poco più di 20 mila voti, pari all’1,1%.
Tra le file di Fratelli d’Italia, invece, non passano le forche caudine del voto l’eurodeputato pro caccia Sergio Berlato e il consigliere uscente Joe Formaggio, passato alla ribalta per le sue posizioni pro armi e per alcune iniziative come il risotto anticomunista.
Tra i dem non passa la segretaria dei giovani Pd, Virginia Libero, quarta nel padovano con 4.799 voti.
Promosso al fotofinish l’ex ministro Gennaro Sangiuliano, ma a Napoli nel centrodestra i riflettori sono al femminile: tra i meloniani primeggia Ira Fele, moglie del deputato e coordinatore provinciale Michele Schiano, con 14.788 voti. Nella Lega invece passa l’ex deputata Michela Rostan con trascorsi nei Ds, nel Pd, in Articolo 1, Italia viva e Forza Italia. Per lei 11.041 voti, quasi 4 mila in più del capogruppo uscente Severino Nappi, escluso.
Fuori per poco più di cento voti, invece, il consigliere meloniano uscente Marco Nonno. Tra i figli illustri, Pellegrino Mastella, figlio dell’ex Guardasigilli Clemente, svetta nel Beneventano (dove la lista Noi di centro svetta nel centrosinistra con il 17,7%), con 17.701 preferenze.
Non ce la fa a sorpresa l’ex forzista Armando Cesaro, candidato con Casa riformista: il figlio dell’ex senatore Luigi, campione di preferenze, rimane al palo nonostante i 14.966 voti ricevuti.
Tra le candidate escluse ci sono la palestinese napoletana Souzan Fatayer, in lista con Avs (5.094 preferenze per lei) e Daniela Di Maggio, mamma di Giogiò, vittima della camorra: candidata con la Lega, ha raccolto il sostegno di 964 persone. Solo 89, invece,
hanno scelto Maria Rosaria Boccia, imprenditrice passata alle cronache per l’affaire Sangiuliano e in corsa con la lista del sindaco di Terni Stefano Bandecchi.
Tra i bocciati c’è anche un fedelissimo di Roberto Fico: si tratta di Luigi Gallo, volto per nove anni alla Camera dell’ala ortodossa dei Cinque Stelle, per lui 2.255 preferenze contro le 12.773 di Luca Trapanese, assessore per quattro anni della giunta Manfredi a Napoli. Non rientrerà in Consiglio regionale nemmeno Valeria Ciarambino (3.400 preferenze) per due volte candidata governatrice del M5S e candidata ora con Avanti Campania.
In Puglia la notizia, ovviamente, è l’esclusione dal Consiglio regionale di Nichi Vendola: l’ex governatore, nonostante 9.698 preferenze rimane fuori perché Avs non supera la soglia di sbarramento.
(da agenzie)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
CUOR DI LEONE SCOMMETTIAMO CHE NON SI CANDIDA A SINDACO?
Nella tornata elettorale che con percentuali bulgare ha consegnato la Regione al centrodestra del nuovo presidente Alberto Stefani, gli elettori di Venezia hanno invece premiato Giovanni Manildo e il centrosinistra.
Qui la coalizione di Manildo è prima, con il 48,2% dei voti, mentre quella di Alberto Stefani di ferma al 47,4%.
Nel territorio comunale, il solo Partito democratico ha raccolto il 29,3% delle preferenze, diventando il primo partito in città.
Seguito da Alleanza Verdi Sinistra (7,3%), Movimento 5 Stelle (3,8%), Uniti per Manildo (3,2%).
Determinante del Pd il ruolo di Monica Sambo, capace di raccogliere oltre 6300 preferenze solo a Venezia comune.
Nel centrodestra invece la Lega è prima con il 25%, Fratelli d’Italia si ferma al 16,8%, Forza Italia raccoglie un misero 2,7%.
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
LA PREMIER, CHE HA VISTO IL SUO PARTITO, FRATELLI D’ITALIA, DOPPIATO DALLA LEGA IN VENETO, STA PENSANDO DI LASCIARE LA REGIONE PIÙ RICCA D’ITALIA ALLA LEGA, NEL 2028, IN CAMBIO DEL SÌ DEL CARROCCIO ALLA RIFORMA DEL SISTEMA DI VOTO (CHE PER IL PARTITO DI SALVINI E PER FORZA ITALIA SAREBBE UNA FREGATURA)
La debordante vittoria della Lega in Veneto con il “doppiaggio” rispetto a Fratelli
d’Italiacambia le dinamiche interne alla sua coalizione: rianimato il partito, almeno a nord, il vicepremier Matteo Salvini ha già alzato la testa: una prima avvisaglia è già stata fatta pervenire alla premier dal Senato, dove proprio all’indomani del voto regionale è stata rinviata l’approvazione della legge sul consenso.
Non un testo a caso, ma quello su cui alla Camera si era trovata l’unanimità grazie ad un accordo tra Meloni ed Elly Schlein e che doveva simbolicamente essere approvata nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
«Schermaglie» e «questioni tecniche», hanno minimizzato i meloniani. Tuttavia un campanello d’allarme ha iniziato a suonare e toccherà alla premier riassestare gli equilibri per ottenere il risultato che ormai considera non più rinviabile
Del resto, riformare la legge elettorale è considerato il premio di consolazione dopo il fallimento della riforma costituzionale del presidenzialismo (poi tramutata in premierato e ora ferma in parlamento) e Meloni è decisa a ottenerlo.
Lo ha detto bene Giovanni Donzelli: «Se dovessimo votare oggi, non ci sarebbe stabilità politica per nessuno». O meglio, la vittoria del centrodestra sarebbe decisamente in bilico nei collegi uninominali, se Schlein riuscisse a consolidare il Campo largo come è stato a queste regionali.
Così FdI è decisa a cancellare la ripartizione tra collegi uninominali e listino bloccato del Rosatellum. L’ipotesi a cui i suoi strateghi stanno lavorando è nota: proporzionale, con indicazione del candidato premier sulla scheda. «Il nostro modello sono le leggi elettorali regionali», ha suggerito Donzelli. «Ragioniamo di premio di maggioranza», ha aggiunto Lucio Malan. Tempi: stretti, considerando il voto da anticipare alla primavera del 2027.
Per riuscirci, vanno però superati alcuni scogli. Il primo è politico: FI darebbe un sì di massima, ma la Lega è contraria ha già dimostrato che una piccola vittoria è stata sufficiente a solleticarne l’orgoglio e non ha alcuna intenzione di agevolare i
piani della premier. Tanto più che proprio il Rosatellum e la ripartizione di collegi uninominali ha permesso a Salvini di incassare più parlamentari di quanti avrebbe ottenuto con un proporzionale.
Ecco allora che a palazzo Chigi sta maturando l’ipotesi di uno scambio: a Meloni interessa la legge elettorale, alla parte elettoralmente forte della Lega – il nord – interessa invece mantenere la guida della regione Lombardia nel 2028, che prima del voto in Veneto era considerata ormai ceduta a FdI.
«Troppo presto per dirlo», è stato il commento dei leghisti, ma la compagine lombarda del partito ha già ricominciato a sorridere. L’accordo gioverebbe molto ai governatori (sempre più tentati dal progetto di federazione sul modello Cdu-Csu) e poco a Salvini, ma è ancora tutto da costruire
Va poi trovato un punto di contatto con le opposizioni. In pubblico, Schlein ha detto che non ci sono contatti e che «una nuova legge non ci interessa», in privato invece non esclude del tutto l’idea di ingaggiare una sfida “una contro una” con Meloni.
Il corpaccione del Pd, invece, rimane contrarissimo: con un campo largo unito e la legge attuale, la vittoria sarebbe possibile. Dunque perché farsi ammaliare dalla premier, quando i freddi
calcoli dimostrano che l’attuale assetto giova?
Senza contare che una legge che impone di indicare il candidato premier aprirebbe la contesa con Giuseppe Conte, con il rischio di primarie che farebbero esplodere la coalizione prima ancora di testarla a livello nazionale.
(da Domani)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRIMO PUNTA A FAR EMERGERE LE ABITAZIONI “FANTASMA”, SCOVATE DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE TRAMITE IMMAGINI SATELLITARI O DRONI. IL SECONDO OFFRE SANZIONI RIDOTTE PER SANARE GLI ABUSI PIÙ GRAVI, COME GLI INTERVENTI ESEGUITI SENZA LA CERTIFICAZIONE DI INIZIO ATTIVITÀ … EPPURE IL LEADER LEGHISTA ERA STATO CHIARO CON GLI ALLEATI: “IL MINISTRO COMPETENTE SONO IO E ME NE OCCUPERÒ PERSONALMENTE”
Il sorpasso spunta tra gli emendamenti alla manovra. Sulla corsia d’accelerazione ci sono due proposte di Fratelli d’Italia. Sono le firme dei senatori meloniani a sancire l’avanzamento sulla casa, il “totem” di Matteo Salvini. Ecco le richieste: una spinta all’emersione delle abitazioni “fantasma” e sanzioni light per sanare gli abusi edilizi. Sono tutti temi sensibili per il ministro che ha anche la delega alle politiche abitative.
I testi in questione toccano il decreto “salva-casa”, nato e scritto al Mit, ma anche il Testo unico dell’edilizia che proprio Salvini vuole riscrivere attraverso un disegno di legge delega da portare sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri.
Una strategia a tappe a cui si aggiunge anche il tentativo di finanziare il Piano Casa già l’anno prossimo: un emendamento a prima firma del capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo, chiede infatti di rendere disponibili, già nel 2026, circa 122 degli 877 milioni complessivi, da qui al 2030.
Ma i Fratelli non sono rimasti a guardare. Hanno rilanciato sul condono edilizio, calando un poker di richieste per riaprire vecchie sanatorie e obbligare i Comuni a rilasciare i titoli abilitativi edilizi «in esito a procedimenti» già istruiti. A nulla è valso l’altolà dello stesso Salvini, che di fronte all’arrembaggio
degli alleati aveva rivendicato la paternità della questione. Così: «Il ministro competente sono io e me ne occuperò personalmente».
Appoggiando la lente di ingrandimento sui due emendamenti inseriti nel fascicolo dei 414 “segnalati”, la collisione tra gli alleati è evidente. La richiesta sulle case “fantasma” tira in ballo il catasto.
Ai tempi del governo Draghi, Salvini definì la riforma «una patrimoniale nascosta». Si oppose, con tutta la Lega, alla delega fiscale che poi aprì la strada alla mappatura degli immobili. Ora la misura di FdI punta a dare la caccia a quelli non dichiarati e che sfuggono quindi all’imposizione fiscale. Tra gli obiettivi ci sono «l’aggiornamento della banca dati catastale» e «l’emersione delle basi imponibili».
In pratica, l’Agenzia delle Entrate invierebbe le informazioni in suo possesso agli intestatari delle case scovate tramite immagini satellitari o droni. A quel punto scatterebbe l’obbligo di mettersi in regola entro sette mesi dalla notifica della richiesta di presentazione degli atti di aggiornamento catastali.
Con l’assegnazione della rendita scatterebbe il pagamento retroattivo delle tasse, a partire dalla data di chiusura dei lavori o
da quando si è iniziato a utilizzare l’immobile. In caso di inerzia, le Entrate procederebbero d’ufficio con una rendita presunta, applicando la tariffa più alta.
Il secondo emendamento riduce drasticamente le sanzioni per sanare le irregolarità più gravi, come gli interventi eseguiti senza la certificazione di inizio attività. Non solo. Cancella anche la cosiddetta doppia conformità, rendendo necessaria solo la presentazione dell’istanza di sanatoria. Si capirà oggi se le due proposte andranno avanti in Parlamento.
(da agenzie)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
L’ATTACCO DI “DOMANI”: “TRA UN ANTONIO GRAMSCI E UN PIER PAOLO PASOLINI NON SANNO PIÙ CHI PRENDERE IN PRESTITO PER LA MISSIONE EGEMONICA”… “STRANO, EPPURE LINO BANFI, OSPITE DEL PODCAST DI ATREJU, DOVREBBE BASTARE; ANCHE SE, IN EFFETTI, NONNO LIBERO ERA COMUNISTA”
Comincia il conto alla rovescia per l’evento più atteso dell’anno da giovani meloniani e
pensatori non allineati.
Dopo l’edizione con piste da pattinaggio sul ghiaccio e mercatini di prodotti rigorosamente italici, Atreju lascia il Circo Massimo e trasloca ai giardini di Castel Sant’Angelo.
«E al contrario della Festa dell’Unità, ci possono venire proprio tutti», annuncia entusiasta Galeazzo Bignami (e per fortuna non è Carnevale).
Sostanzialmente, Atreju esiste perché non è la festa de l’Unità, come suggerisce Bignami, ad Atreju non troverai gli amici di
Ilaria Salis, ad Atreju «non troverai i centri sociali che spaccano le vetrine», ad Atreju non troverai le lacrime di Elisa, con riferimento a quando aveva pianto per il blocco alla Flotilla, e ad Atreju, ça va sans dire, non troverai né la Flotilla né la toilette senza gender, nonostante l’immagine usata sia quello di un bagno chimico, notoriamente privo di genere da ben prima dell’ideologia woke.
Il fatto di riempire la campagna promozionale di volti della sinistra, invece, è usanza che si estende a tutte le fasce d’età del partito, che tra un Antonio Gramsci e un Pier Paolo Pasolini non sa più chi prendere in prestito dal pantheon dell’opposizione per la missione egemonica.
Strano, eppure Lino Banfi, ospite del podcast di Atreju, dovrebbe bastare; anche se, in effetti, Nonno Libero era comunista.
(da Domani)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
“LA PREMIER AVEVA PROMESSO UN’AZIONE MOLTO FORTE SUL TEMA ENERGETICO, MA CIÒ NON È ANCORA AVVENUTO. MANCA IL SENSO DI URGENZA. UN INTERVENTO NON È PIÙ RINVIABILE” – SECONDO CONFINDUSTRIA NEL PRIMO SEMESTRE 2025 MEDIAMENTE LE IMPRESE ITALIANE HANNO PAGATO 278 EURO PER MWH CONTRO UNA MEDIA EUROPEA DI 216 EURO
“Siamo preoccupati perché assistiamo a una sorta di degrado del sistema industriale italiano e siamo preoccupati per il calo continuo della produzione connesso alla riduzione dei consumi energetici”.
A parlare è Aurelio Regina, delegato del presidente Confindustria per l’energia, che in un’intervista al quotidiano della stessa organizzazione degli imprenditori, il Sole 24 Ore, lamenta in chiaro l’indifferenza con cui Palazzo Chigi starebbe affrontando il dossier imprese: “Avevamo chiesto un intervento deciso del governo dal punto di vista energetico, ma non vediamo né il senso di urgenza né il coraggio di affrontare una manovra strutturale”.
Nel maggio scorso, proprio di fronte agli imprenditori, “la premier Giorgia Meloni aveva promesso un’azione molto forte sul tema energetico, ma ciò non è ancora avvenuto”, ha attaccato Regina.
“In base alla nostra analisi nel primo semestre 2025 mediamente le imprese italiane hanno pagato un costo di 278 euro per Mwh
contro una media europea di 216 euro per MWh – sottolinea Regina – Si tratta di un differenziale del 30 per cento che non cambia se si guarda all’asticella dei nostri concorrenti diretti: 241 euro per MWh in Germania, 183 euro per MWh in Francia e 171 euro per MWh in Spagna”.
La questione si fa ancora più seria quando si parla di piccole e medie imprese, ovvero la maggioranza del tessuto imprenditoriale nostrano. Come abbiamo sottolineato qui, l’80 per cento delle nostre imprese manifatturiere ha meno di nove dipendenti, e sono proprio queste a pagare di più l’energia elettrica.
“I conti non tornano. Se vogliamo mantenere competitivo il nostro sistema produttivo – diceva in un appello sul Foglio il presidente di Confartigianato Marco Granelli – è necessario ristabilire equilibrio ed equità nel costo dell’energia pagato dalle imprese”.
Il confronto con gli altri paesi parla da sè. “Tra gennaio e ottobre, si è registrato un prezzo medio nel nostro paese di 116 euro per MWh, mentre in Germania ci si è fermati a 87 euro per MWh, in Spagna a 65 euro per MWh e in Francia a 61 euro”, ha evidenziato il numero uno per l’energia di Confindustria,
snocciolando pacchetti di proposte per mitigare questo gap. Si va da un disaccoppiamento energetico di fatto all’accelerazione della produzione di gas nazionale.
(da agenzie)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
LA VERITA’ E’ CHE I MELONIANI TEMONO DI PERDERE LE ELEZIONI 2027 E VOGLIONO CAMBIARE LE CARTE IN TAVOLA
Ogni volta che i risultati elettorali sono insoddisfacenti, la colpa viene data alla legge
elettorale. Non quella con cui s’è appena votato per le regionali, ma quella con cui si dovrebbe tornare a
votare nel 2027, che se non verrà cambiata come vorrebbe Meloni sarà uguale a quella con cui si è votato nel 2022, l’anno della grande vittoria della stessa Meloni e della sconfitta del centrosinistra.
Perché allora la premier vorrebbe cambiare la legge con cui ha trionfato tre anni fa? Semplice, ha spiegato il responsabile dell’organizzazione di FdI Donzelli: la legge va cambiata perché non sarebbe più in condizione di assicurare la stabilità che ha fatto il bene dell’Italia in questi anni. In altre parole: la legge funziona se invece di due coalizioni avversarie, come sarebbe normale, se ne presentano una e mezza.
E la mezza ovviamente viene sbaragliata dall’una. Se invece anche la mezza, in prospettiva del 2027, con il ritorno all’alleanza di Pd e 5 stelle, dà segni di voler ridiventare una, innanzitutto il bis della precedente vincitrice non è più assicurato, ma soprattutto chi vince rischia di non aver maggioranza al Senato ed esprimere un governo condannato all’instabilità.
Con i risultati di lunedì, il centrosinistra tornerebbe a prendersi gran parte dei collegi uninominali di Campania e Puglia, e il centrodestra, ugualmente, del Veneto. Di qui, secondo Donzelli,
in nome della stabilità (del centrodestra), la necessità di cancellare i collegi della legge elettorale voluta a suo tempo da Renzi, l’Italicum, e copiare quella delle regioni (che quando fu esportata in nazionale, dal ministro leghista che se ne occupò, Calderoli, fu definita «una porcata» e ribattezzata “Porcellum”).
(da La Stampa)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO, OGGI SINDACO DI BENEVENTO, INCONTENIBILE: “ABBIAMO SMENTITO TUTTI, ANCHE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE CI DAVA PER SCONFITTI. MASTELLA È UN BRAND CHE FUNZIONA, SONO IRRAGGIUNGIBILE”
Nel nome del padre, Pellegrino Mastella sbarca in Consiglio regionale con una valanga di preferenze (13.841) raccolte nel Sannio, il feudo di papà Clemente, dove “Noi di centro” si conferma saldamente il primo partito (17.701 voti, 17,68%).
Per la verità l’ultimo rappresentante della dinastia di Ceppaloni a Palazzo Santa Lucia era stata lady Mastella, Sandra Lonardo, che aveva ricoperto il ruolo di presidente del Consiglio regionale.
È stata lei a commentare, raggiante, nella sede del comitato i primi risultati elettorali del figlio Pellegrino, mentre Clemente era a casa a seguire lo spoglio in tv.
“È un brand quello dei Mastella che funziona, c’è chi ha contrabbandato i sogni con la realtà ma io sono irraggiungibile”, se la ride l’ex ministro, che in campagna elettorale ha battuto in maniera capillare la provincia sannita come ai vecchi tempi della Dc mentre gli avversari del centro destra coinvolgevano ministri e parlamentari.
“Abbiamo smentito anche l’intelligenza artificiale che ci dava per sconfitti e ci siamo bardati rispetto alle sirene del centro destra”, aggiunge Clemente Mastella, che attacca anche i sondaggisti che avevano bocciato la sua pattuglia. Copione ribaltato dal voto.
Emozionato il figlio Pellegrino per il successo elettorale: “Siamo stati tra la gente e questo ci ha premiato”. E ora “Noi di Centro” porta in Regione due rappresentanti (con Pellegrino Mastella
eletto a Napoli Giuseppe Barra), grazie ai 71260 elettori campani che Clemente Mastella ha voluto ringraziare, anche se il cuore resta nel Sannio:
“Lo sbalorditivo risultato di Benevento e provincia dimostra semplicemente che la gente ci vuole bene ed apprezza il lavoro svolto in questi anni”, dice, riservando una stoccata al Pd locale rimasto all’asciutto. “Bisogna prendere atto che questo Pd che ci fa opposizione non ha i numeri, abbiamo avuto attacchi terribili e scorretti ma non hanno inciso”.
E del figlio Pellegrino dice: “È stato bravo, lo ha caratterizzato l’umiltà, ma in città a Benevento abbiamo raccolto un dato stratosferico 27%, senza di noi il centrosinistra non vince siamo stati determinanti: spero che Schlein lo capisca”.
E il figlio Pellegrino mostra subito di avere le idee chiare: “Ci hanno accusato di clientelismo – osserva il neo consigliere regionale – ma i nostri voti sono frutto di ascolto e vicinanza alle persone
(da agenzie)
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Novembre 26th, 2025 Riccardo Fucile
EMMANUEL MACRON: “NEL MONDO IN CUI VIVIAMO, SE VOGLIAMO ESSERE DAVVERO IN SICUREZZA BISOGNA FARE DISSUASIONE” … INTANTO IN GERMANIA IL CANCELLIERE MERZ PUNTA A RADDOPPIARE IL NUMERO SOLDATI ATTIVI
La Francia va verso l’instaurazione di un nuovo sistema di servizio militare volontario,
un progetto allo studio ormai da diversi mesi ma che il presidente Emmanuel Macron potrebbe annunciare entro un paio di giorni.
“Nel mondo in cui viviamo, fatto di incertezze, di un aumento delle tensioni – ha detto Macron sabato scorso – se vogliamo essere davvero in sicurezza bisogna fare dissuasione. La Francia deve continuare ad essere una nazione forte con un esercito forte
ma anche con una capacità di reazione collettiva”. La Francia ha sospeso il servizio militare nel 1997, sotto la presidenza di Jacques Chirac.
“Numerosi paesi vicini in Europa stanno reintroducendo un servizio nazionale”, ha sottolineato il capo di stato maggiore delle Forze armate, generale Fabien Mandon. Macron aveva annunciato questa iniziativa di servizio volontario il 13 luglio, davanti ad una platea di alti ufficiali, parlando di un’Europa “in pericolo” a causa della “minaccia permanente” della Russia.
Serve, aveva aggiunto, “una nazione capace di resistere, di mobilitarsi” e oltre a “sforzi sulla nostra riserva”, c’è bisogno di “dare ai giovani un nuovo inquadramento per servire, secondo modalità diverse, in seno ai nostri eserciti”.
Aveva promesso “decisioni in autunno”. Si attendono quindi annunci imminenti, con diversi scenari che restano d’attualità: arruolamento volontario per 10.000-50.000 persone all’anno è l’ipotesi più accreditata, per una durata di servizio volontario di 10 mesi remunerata con diverse centinaia di euro al mese.
La mobilitazione sulla base del volontariato di una parte di una classe di età potrebbe servire a rispondere ai bisogni di “acquisire la massa” necessaria per resistere più a lungo in caso
di conflitto, ha fatto notare nei giorni scorsi il generale Pierre Schill, capo di stato maggiore dell’esercito.
(da agenzie)
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