Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
PESA LA DEINDUSTRIALIZZAZIONE MENTRE UNA FASCIA CRESCENTE DELLA POPOLAZIONE SI IMPOVERISCE
Quest’anno il Censis ha dedicato la consueta metafora con cui sintetizza l’immagine di una società e un’epoca non all’Italia, ma al mondo: una «età selvaggia», «del ferro e del fuoco», preda di «pulsioni antropologiche profonde» che poco o nulla hanno di razionale.
Una lettura di sicuro effetto comunicativo, ma che temo segua troppo la strada facile dell’imputazione di irrazionalità a processi che indubbiamente stanno squassando equilibri, rapporti di potere, procedure, istituzioni che sembravano consolidati. Ne deriva un’immagine di “barbari alle porte” e di imminente Apocalisse di cui gli italiani, non è chiaro se perché inguaribilmente sventati o testardamente resilienti, tuttavia sembrano non essere particolarmente spaventati secondo la lettura del Censis. E sì che, oltre alle guerre non più solo in Paesi lontani, ma anche vicinissimi, l’Italia ha problemi suoi non piccoli: una de-industrializzazione strisciante, un invecchiamento demografico inarrestabile, un impoverimento di una fascia crescente della popolazione, un debito pubblico di proporzioni mostruose che riduce lo spazio per gli investimenti per la crescita e il welfare.
In realtà, a leggere i dati, più che non spaventati gli italiani sembrerebbero sfiduciati nella capacità delle istituzioni di risolvere i loro problemi e rassegnati a dover contare solo sulle proprie risorse.
Se il 53% ritiene che l’Ue ormai abbia un ruolo marginale nello scacchiere mondiale, oltre il 70% condivide la sfiducia nei confronti dei partiti e dei loro leader, cosa che può spiegare i tassi di assenteismo elettorale ed anche la diffusione dell’idea che la democrazia abbia fatto il suo corso: non (solo) per voglia
di autoritarismo, credo, ma per sconforto rispetto a chi dovrebbe concretamente farla vivere e funzionare con un’idea del bene comune e azioni coerenti. Un bene comune che invece si sperimenta sempre più evanescente quando riguarda bisogni primari.
Il 78,5% esprime sfiducia nei confronti di servizi sanitari e assistenziali, ritenendo che, se si trovasse in condizione di non autosufficienza, non potrebbe contare su adeguati sostegni. Una sfiducia drammatica, ancorché purtroppo fondata, in una società in cui gli anziani e i grandi anziani, i più vulnerabili al rischio di non autosufficienza, sono un numero sempre più consistente. Lo stesso vale per i rischi ambientali: il 72,3% crede che, in caso di eventi atmosferici estremi o catastrofi naturali, gli aiuti finanziari dello Stato sarebbero insufficienti. Anche in questo caso, le esperienze anche recenti di disastri ambientali, il ritardo degli aiuti il rimpallo delle responsabilità ha contribuito a minare la fiducia in uno Stato sempre pronto ai condoni, ma troppo spesso inadempiente rispetto ai diritti e ai bisogni.
È a motivo di questa sfiducia che oltre la metà del campione intervistato ritiene che sarebbe necessario assicurarsi privatamente contro queste evenienze, anche se la maggior parte non lo fa, per scarsità di risorse o per fatalismo. Ma intanto si erode anche la fiducia nel welfare, indebolendo ulteriormente la legittimità del prelievo fiscale. Un rischio che dovrebbe preoccupare i governanti, che invece troppo spesso, tra un condono e una regalia a questo o a quel particolare gruppo sociale si dedicano loro stessi a delegittimarlo, anche se non ne
diminuiscono il peso.
Gli italiani avranno anche una vita sessuale attiva e soddisfacente, come segnala il Rapporto, quasi fosse un segno della loro non volontà di prendere sul serio i molti segnali negativi da cui sono circondati. Ma ciò non toglie la fatica del vivere e la difficoltà a programmare il futuro, specie per i giovani. La sfiducia nelle istituzioni e la percezione di marginalità dell’Italia e dell’Unione Europea non sembra offrire alternative al limitarsi a vivere giorno per giorno.
(da lastampa.it)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
UN CRIMINALE CHE SI INCHINA DI FRONTE ALLA TOMBA DEL PROFETA DELLA NON-VIOLENZA
L’atto scenico può sembrare scabroso, al limite dello sberleffo profano. Ma è
tutt’altro che equivoco. L’autocrate i cui metodi stanno tra Politburo e Kgb, tessitore di deprecabili terapie sanguinose, indossa una figura mite, suadente, pensosa. Gli occhi quasi socchiusi sono quelli dei tête-à-tête con i suoi “amici” Trump, Xi e ora Modi. E che, meglio ricordarlo per non farsi troppe illusioni su noi stessi, prima della Grande Paura, prima del 2014 e anche oltre, ispiravano tenerezze interessate anche nella assai duttile coscienza dei mediocri “decideur” d’Occidente.
Sono agli archivi gli anni dopo il 2022 in cui Putin sfanalava gli occhi globosi per far festa al massimo a piccoli tiranni-clienti, bielorussi azeri turcomanni siriani ayatollah un po’ sbilenchi. Questo gli restava in anticamera. Il signore della guerra appigionato da 25 anni al Cremlino ora va a far visita al tempio del sacerdote, del protomartire della non violenza, della mitezza e della pace, l’omino seminudo che sfidava a mani nude l’Impero britannico: Ghandi. E lo arruola il mahatma, allegramente, spudoratamente, al modico prezzo di una manciata di petali rossi e gialli, nell’arsenale ideologico del nuovo blocco antioccidentale, nel multilateralismo dove contano le bombe,
atomiche e non, e l’impiego della forza alla maniera assirobabilonese.
Un attimo. Tutto questo rito si svolge davvero in India, nella fabbrica degli asceti, nella casa madre dell’assoluto, un deposito di sogni dove vivono ancora gli dei? Come osa questo profanatore? Poi si rammenta che l’India ha anch’essa la Bomba, i suoi forsennati jihadisti hindu, che ha appena sfiorato l’Apocalisse con i vicini pachistani… e tutto il fatto di ieri si fa più ambiguo e relativo.
Ghandi lo hanno abusato molti, a proposito e a sproposito, la citazione ghandiana, implacabile, la trovi in grossolane retoriche che meriterebbero arcigne diffide. Insomma: perfino Mussolini pensò di utilizzarlo contro la perfida Albione… Da ieri l’Incolpevole è diventato apostolo, con Tolstoj anche lui impossibilitato a resistere, del nuovo mondo «in cui tutti sono eguali e liberi da diktat ed egemonie, fondato su principi di eguaglianza rispetto reciproco e cooperazione tra le nazioni…». Così parlò Putin ieri intendendo che sarebbe la descrizione di quello che, a cannonate, ha disegnato lui .
“He ram!”, Oh dio! sta scritto sulla lastra deposta dove il padre dell’India (e del pacifismo occidentale) fu cremato dopo l’assassinio. Non ci potrebbe esser miglior e più stringato commento all’asserto temerario. Nella vita di uomini grandissimi e “buoni” l’avvenimento caratteristico non è la nascita, è la morte. Perché, ahimè! non possono più difendersi.
Per percorrere il sentiero di pietra che porta alla grande piattaforma di marmo nero dietro cui brucia una fiamma perenne
Putin ha dismesso le punte torve, il ghigno con cui solo l’altro ieri aveva azzannato gli ucraini, e gli europei ultimi affiochiti alleati di Kiev: il Donbass lo voglio e lo prendo, tutto. Rassegnatevi, è meglio per voi!
Tutto sembra marciare a puntino per lo zaretto. I satelliti gli segnalano che le truppe avanzano nella loro metodica e millimetrica marcia sgretolatrice. Lui non ha fretta. L’amico americano dà segni evidenti di squagliamento tra appetiti e furori parolai da week end a Mar-a-Lago e soprattutto compromissioni affaristiche.
Ieri a Rajghat il cabalista dei violenti- invadenti del nuovo ordine del mondo e delle faide neo imperialistiche è venuto a cantare la vittoria del suo cinismo pragmatico e spietato. Ricordate quando giuristi un po’ grossolani, nella patria del diritto romano, garantivano, pandette in mano, che il criminale internazionale non sarebbe sopravvissuto penalmente neppure a un viaggetto fuoriporta, tra le jurte mongole? Il diritto internazionale non perdona…! Credemmo loro sulla parola. Lui colleziona placidamente un altro miliardo di uomini a cui non importa nulla dei rinvii a giudizio di una Corte impotente all’Aja. Dove è l’Aja? Putin va a zonzo nella più grande democrazia del mondo… Tra picchetti d’onore pranzi di gala accordi economici per lustrar gli occhi ai suoi oligarco-capitalisti. E fa la foto ricordo gandhiana. A gridare alla profanazione penalistica delle sue tournée son rimasti solo gli europei, e neppur tutti. Per onor di firma.
L’inchino alla tomba del profeta disarmato merita però un posto a parte. Modi, il molto teorico erede che con Ghandi ha più o meno le stesse discendenze di Putin, non emette nemmeno un lieve squittio deprecativo e isterico allo spettacolo. Anzi. Liscia approva firma applaude. Ma non doveva essere il premier indiano una sponda fondamentale dell’implacabile isolamento che doveva togliere i sentimenti al grande carnivoro russo? Una visita a Dheli di Von der leyen non era stata presentata come l’epifania della nuova frizzante diplomazia “tout azimout’’ europea?
L’India di Putin non è certo quella di coloro che hanno letto Siddartha di Hesse (lo avrà in biblioteca il tiranno del Nord ? Domanda intrigante) ovvero il viaggio ipnotico struggente nostalgico naufragante. Dicono che Dioniso avesse casa e baccanti da queste parti. Putin non fa una visita al mite rivoluzionario che sconfisse l’impero britannico, (non quello sovietico!) per avere levitazioni, visioni inciampi nei mandala, incontri con una sàkti, per inoltrarsi nel grande flusso dell’esistenza. A lui basta inoltrarsi nel Donbass. È lì per dire: guardate ho vinto!
Domenico Quirico
(da lastampa.it)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
LA GROTTESCA SCENA DI PUTIN CHE VERSA PETALI DI ROSA SUL MONUMENTO A GANDHI
Ci vorrebbe la penna di Gogol, maestro russo del grottesco, per descrivere la scena di Putin che versa petali di rosa sul monumento che commemora Gandhi, eleggendo l’apostolo della non violenza a suo modello politico. Escludo che recitasse, o che possa avere colto l’aspetto surreale della faccenda: paragonarsi lui, il «macho» domatore di tigri, all’uomo che incarnava la quintessenza della mitezza.
Chi esercita il potere in modo assoluto, circondato dal tremebondo ossequio dei sottoposti, finisce per credere davvero a quello che dice. Tanto più che di ogni biografia si può saccheggiare la parte che più ci fa comodo. Gandhi, per ovvie ragioni storiche, non era esattamente un fan dell’imperialismo anglosassone. Ma era contrario anche a quello degli altri, e oggi sarebbe difficile immaginarlo accanto a Putin in Ucraina, in Africa e in tutti gli scenari dove l’autocrate russo persegue obiettivi di dominio, pardon, di «pacifica cooperazione tra le nazioni», come ha scritto sul libro riservato ai messaggi dei visitatori.
Immaginate se oggi qualcuno in Russia dicesse, a proposito della guerra: «Occhio per occhio, alla fine si diventa tutti ciechi», a proposito dei rapporti con Trump: «L’uomo si distrugge facendo affari senza morale» e a proposito di Putin stesso: «L’unico tiranno che accetto è la voce silenziosa dentro di me».
Ascoltando queste parole di Gandhi, Putin lo inviterebbe di sicuro al Cremlino per complimentarsi e sullo slancio gli offrirebbe una squisita tazza di tè.
(da Corriere della Sera)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
L’INTERNAZIONALE EVERSIVA SOVRANISTA DOVE CONTANO SOLO LE NAZIONI PIU’ FORTI E RICCHE
Nel documento dell’amministrazione Trump denominato “Strategia nazionale”, in
realtà un vero e proprio rapporto sullo stato del mondo, l’Unione Europea viene tirata in ballo, oltre che per decretarne la rottamazione, come «uno degli organismi transnazionali che minano la libertà e la sovranità politica». Di conseguenza si annovera, tra le piaghe del vecchio continente, la «perdita delle identità nazionali».
Nel caso non si fosse ancora capito, per Trump (esattamente come per Putin) non sono i singoli Stati europei, è l’Unione il nemico da combattere. Nella visione sovranista tutto ciò che sottomette il concetto di Nazione a vincoli più ampi è opera del Maligno. Il solo modo legittimo di trascendere i propri confini è allargarli invadendo altre Nazioni, o rovesciare, in altre parti del mondo, i governi sgraditi.
Ma sopra la Nazione, concettualmente, nessuna entità, nessun ordine, nessuna legge può darsi. Non deve esiste arbitro, nel match tra le Nazioni, non l’Onu, non il Tribunale dell’Aia, non
l’appellarsi a diritti universali che puzzano di cosmopolitismo (mondialismo, dicono i fascisti). L’identità nazionale è racchiusa nel triangolo Dio Patria Famiglia, e peggio per chi non ci si ritrova. E la guerra — che altro? — rimane la sola forma percepibile di regolamento dei conti.
A questo punto è interessante chiedersi se e quando la Chiesa di Roma, rimasta forse la sola istituzione sovranazionale del Pianeta funzionante e influente, entrerà in conflitto con la nuova egemonia sovranista. Chissà se il Papa americano si fa domande e si dà risposte, su questo passaggio così antievangelico della storia umana: nel quale non è più l’umanità intera, la fonte e l’oggetto del diritto. Sono le Nazioni più forti e più ricche. Il resto non esiste, e se esiste va cancellato.
(da Repubblica)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
RAPPORTO CNEL: ESODO CRESCENTE DI GIOVANI LAUREATI, DIFFICOLTA’ A TRATTENERLI
L’Italia si trova di fronte a una sfida epocale: il fenomeno dell’emigrazione giovanile, che ha assunto proporzioni preoccupanti negli ultimi anni, sta esaurendo il capitale umano del Paese. Il Rapporto CNEL 2025 offre una radiografia precisa di questa tendenza, svelando numeri e dinamiche che raccontano la crescente fuga di giovani qualificati, pronti a cercare altrove le opportunità che in patria sembrano sfuggire loro. La perdita di queste risorse intellettuali non si traduce solo in una minaccia per la crescita economica, ma si fa eco di un malessere più profondo, che affonda le radici in disuguaglianze sociali e territoriali sempre più evidenti, e in una disillusione che cresce, silenziosa ma inesorabile, nei confronti delle possibilità che l’Italia oggi è in grado di offrire.
Questo esodo, insomma, non è solo un dato statistico, ma un segnale forte, un campanello d’allarme che chiama in causa il presente e il futuro del nostro Paese
La fuga dei giovani qualificati: un esodo preoccupante
Dal 2011 al 2024, ben 630mila giovani italiani, compresi tra i 18 e i 34 anni, hanno deciso di abbandonare il Paese, cercando nuove opportunità all’estero. Questo esodo non è un fenomeno episodico, ma un processo strutturale che, secondo il rapporto, sta diventando sempre più evidente. Solo nel 2024, ben 78mila giovani hanno lasciato l’Italia, con un saldo migratorio negativo di circa 61mila unità. Il dato è ancora più preoccupante se si considera che il numero dei giovani espatriati nel 2024 corrisponde al 24% delle nascite registrate nello stesso anno.a
A emergere non è solo la quantità, ma anche la qualità di coloro
che scelgono di emigrare: il 42,1% dei giovani che ha lasciato il Paese negli ultimi tre anni era infatti laureato, un dato in continua crescita rispetto alla media del periodo 2011-2024 (33,8%). Questo segnala un crescente esodo di giovani altamente qualificati, un fenomeno che rischia di compromettere il futuro competitivo dell’Italia, privata di una parte fondamentale delle sue risorse intellettuali e professionali.
Le disuguaglianze territoriali e la fuga dal Sud
Il Rapporto CNEL evidenzia poi che il 42,1% dei giovani emigrati nel triennio 2022-2024 è laureato, con percentuali più alte soprattutto in alcune regioni del Nord — come Trentino (50,7%), Lombardia (50,2%), Friuli-Venezia Giulia (49,8%) ed Emilia-Romagna (48,5%). Dati che indicano che gran parte dei giovani qualificati proviene da territori dove l’offerta formativa è più ampia e dove è più alta anche la mobilità internazionale.
D’altro canto, il Mezzogiorno soffre una doppia difficoltà: non solo perde i giovani più qualificati, ma fatica anche a trattenere i meno istruiti, con un tasso di emigrazione che coinvolge anche i diplomati. I dati, insomma, parlano chiaro: Sicilia, Calabria e Campania sono le regioni che subiscono i maggiori flussi migratori verso altre aree italiane e verso l’estero. In particolare, la Campania ha visto partire ben 196mila giovani, seguita dalla Sicilia(163mila) e dalla Puglia (130mila), segnando una tendenza che aumenta le disuguaglianze interne al Paese.
Il valore del capitale umano perso
Oltre all’aspetto demografico, il Rapporto CNEL stima poi che la perdita di capitale umano dovuta all’esodo dei giovani italiani abbia un impatto economico significativo. Il valore complessivo di questo capitale, calcolato sul saldo migratorio e sulle risorse investite in istruzione e formazione, è pari a ben 159,5 miliardi di euro tra il 2011 e il 2024; questo importo include i costi sostenuti dalle famiglie e dallo Stato per formare questi giovani, che ora contribuiranno alla crescita di altri Paesi. Questa cifra non è solo una statistica astratta, ma rappresenta una perdita concreta per l’economia italiana, equivalente a circa il 7,5% del PIL
Il Rapporto mostra che la perdita di capitale umano riguarda tutto il Paese, ma è il Mezzogiorno a subire l’impatto maggiore: perde giovani qualificati sia verso l’estero sia verso il Centro-Nord, senza un adeguato ricambio in entrata. Le regioni settentrionali, pur registrando espatri significativi, compensano ampiamente grazie ai flussi interni, soprattutto di giovani laureati provenienti dal Sud.
Un paese poco attrattivo per i giovani: l’Italia non raccoglie il confronto con gli altri Paesi
Il Rapporto evidenzia anche un dato che fotografa in modo inequivocabile la bassa attrattività dell’Italia rispetto ad altri Paesi avanzati. Questa tendenza è resa ancora più drammatica dal fatto che, per ogni giovane straniero che arriva in Italia, ben 9 giovani italiani partono. In altre parole, l’Italia ha un saldo migratorio negativo che non solo esprime l’incapacità di trattenere i suoi talenti, ma anche la difficoltà di competere con altri Paesi per attirare giovani da altre nazioni
Le regioni meridionali registrano i valori più alti dell’Indice Sintetico dei Flussi Migratori (ISFM), segno di bassa attrattività. Le regioni con l’attrattività più alta, e quindi con ISFM più basso, sono Toscana (4,7), Lazio (4,8) e Alto Adige (5,8). Lombardia, Trentino ed Emilia-Romagna mostrano livelli mediamente migliori rispetto al Sud, ma non rientrano tra le tre regioni più attrattive, nonostante il fenomeno sia comunque preoccupante, anche se non in termini così estremi come nel Sud
Le cause: la ricerca di opportunità migliori all’estero
Il Rapporto CNEL non si limita però a registrare la portata di questo fenomeno, ma cerca anche di indagarne le radici. Attraverso i sondaggi condotti tra i giovani, emerge un quadro chiaro delle motivazioni che spingono questi ragazzi a lasciare il Paese. La principale causa della “fuga” è la carenza di opportunità lavorative all’altezza delle aspettative, accompagnata dalla mancanza di meritocrazia e da un sistema che, spesso, premia l’appartenenza a determinati circuiti piuttosto che il valore individuale
Non solo, la qualità della vita in Italia, poi, non soddisfa più le ambizioni di una generazione che cerca un ambiente professionale dinamico, in cui poter crescere e mettere a frutto le proprie competenze. I giovani che lasciano l’Italia vedono infatti in Paesi come la Germania, il Regno Unito e la Svizzera, luoghi dove la mobilità professionale, le condizioni di lavoro e le politiche sociali sono decisamente più favorevoli. L’Italia, al contrario, è percepita come un Paese che offre poche prospettive, costringendo i giovani a guardare oltre i confini nazionali per trovare quello che cercano: una carriera, ma anche una vita migliore.
(daFanpage)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
“VOGLIONO AFFERMARE IL PRIMATO DELLA POLITICA SULLA GIURISDIZIONE, COSA NON PREVISTA DALLA NOSTRA COSTITUZIONE”
La presidente di Magistratura Democratica Silvia Albano, ospite della redazione di
Fanpage.it, spiega la scelta del No al referendum confermativo sulla riforma della separazione delle carriere.
I cittadini saranno chiamati a esprimersi sulla riforma entro fine marzo 2026, e l’intento dichiarato dal governo è quello di fermare “l’invadenza dei giudici”, che devono vigilare sull’azione politica. “Non la chiamerei separazione delle carriere – dice Albano a Fanpage.it – perché il cuore della riforma non è quello. Il cuore della riforma è lo spezzettamento, l’indebolimento, lo svuotamento del Consiglio Superiore della Magistratura, e le finalità sono state dichiarate dai proponenti: si tratta di un disegno di legge costituzionale proposto dal Governo, che ha detto che servirà a a fermare ‘l’invadenza della magistratura’
rispetto alla politica. Vogliono riequilibrare i poteri affermando il primato della politica sulla giurisdizione, cosa che non è prevista dalla nostra Costituzione. La politica, qualsiasi politica di governo, deve essere esercitata nei limiti della legalità e l’indipendenza della magistratura serve proprio a questo, ad affermare il primato della legge anche rispetto al potere” esecutivo.
Secondo la giudice Silvia Albano la riforma “altererà l’equilibrio tra i poteri pensato dai costituenti”. Pochi giorni fa la premier Meloni, orma entrata nel vivo della campagna referendaria, ha inviato i cittadini a domandarsi se la giustizia funzioni bene. Il punto però è che la riforma non tocca quest’aspetto, non renderà la giustizia più efficiente: “Questa riforma non c’entra nulla con il miglioramento della giustizia, lo ha dichiarato anche Nordio, non c’entra nulla con la velocizzazione dei processi e col funzionamento della giustizia. Non può essere nemmeno un referendum sul gradimento della magistratura. La giustizia funziona malissimo, i magistrati fanno del loro meglio, la magistratura italiana è quella con la più alta produttività in Europa, pur avendo l’Italia un numero molto basso di magistrati per numero di abitanti, rispetto ad altri Paesi” ma abbiamo “un grandissimo problema di carenza di organico, sia del personale amministrativo che anche del personale di magistratura. Abbiamo 12.000 precari della giustizia che scadono a giugno 2026 e che hanno permesso di diminuire molto i tempi dei processi, quasi dimezzando i tempi dei processi penali e diminuendo moltissimo la durata dei processi civili. Di questi
12.000, che dovevano essere tutti stabilizzati, non si sa nulla. Per il momento in bilancio ci sono i soldi per stabilizzarne 3000. Senza questi funzionari dell’Ufficio per il processo che hanno dato un supporto fondamentale ai giudici, a giugno chiudiamo baracca e burattini. Sarà molto difficile dare una risposta di giustizia in termini efficienti. È molto difficile rendere giustizia in queste condizioni”.
Albano è stata anche protagonista di uno scontro con il governo Meloni, dopo che da giudice della sezione Immigrazione del tribunale di Roma, nel 2024, non ha convalidato il trattenimento dei migranti nel centro di Gjader, smontando di fatto l’impianto del protocollo firmato tra Italia e Albania. Da allora diverse pronunce hanno confermato la stessa interpretazione, fino ad arrivare alla sentenza della scorsa estate della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha stabilito che “uno Stato membro non può includere nell’elenco dei Paesi di origine sicuri” un Paese che “non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione”.
La giudice ricorda di non aver agito da sola, ma si essere stata il “bersaglio più facile, per la mia esposizione associativa perché presidente di Magistratura democratica, le cosiddette ‘toghe rosse’. Ho proposto un’interpretazione, non solo io, ma tutta la mia sezione, poi tutti i tribunali italiani hanno seguito quell’interpretazione. Poi la Corte di giustizia dell’Unione europea ci ha dato ragione”.
Secondo il ragionamento di Albano, se prima di far partire i centri in Albania – per i quali è stato recentemente presentato un
esposto alla Corte dei conti nei confronti del governo per danno erariale – l’esecutivo avesse avviato un dialogo con i tecnici, sarebbe stato possibile evitare uno spreco ingente di risorse. “Io non ho sfidato nessuno. faccio questo lavoro, mi pagano per garantire l’applicazione della legge e garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Non è che siccome si tratta dei diritti dei migranti, questa vicenda non riguarda tutti noi. Perché l’universalismo dei diritti riguarda la persona in quanto tale, non in quanto cittadino italiano o straniero. E se il giudice non è più in grado di garantire i diritti fondamentali di tutti, oggi sono i migranti, domani sarà un’altra minoranza, dopodomani potrà essere ciascuno di noi”.
“Se si supera quel confine, per cui si legittima la violazione dei diritti di qualcuno, un domani si potrà legittimare la violazione dei diritti di tutti. Per questo è importante che ci sia una magistratura indipendente in grado di garantire la legalità”.
(da Fanpage)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
LA PROTESTA DEI LAVORATORI EX ILVA DI GENOVA HA COSTRETTO IL GOVERNO A RIATTIVARE LA LINEA DI ZINCATO E AD APRIRE, PER LA PRIMA VOLTA, ALL’IPOTESI DI UN INTERVENTO PUBBLICO… MA SENZA UN PIANO CHIARO SU TARANTO IL FUTURO RESTA APPESO A UN FILO
Per giorni Genova è stata il cuore pulsante di una protesta unitaria che ha attraversato tutta la città: i lavoratori dell’ex Ilva si sono ritrovati davanti ai cancelli dello stabilimento, organizzando presidi, cortei improvvisati, blocchi stradali che hanno paralizzato il ponente.
La mobilitazione è cresciuta di ora in ora, alimentata da una paura concreta e condivisa: lo stabilimento sembrava avviarsi verso un progressivo spegnimento, e con esso la prospettiva di un futuro già fragile per centinaia di famiglie.
Ma quella paura non riguardava solo la produzione in sé. Era qualcosa di più profondo: un interrogativo aperto sulla politica industriale del Paese. Da settimane gli operai chiedevano infatti invano un tavolo nazionale, una discussione seria sul destino di Cornigliano. Ma le risposte arrivate dal governo sono state fin da subito parziali, frammentate, incapaci di dare un perimetro temporale o un impegno preciso.
La tensione è poi velocemente esplosa quando si è diffusa la notizia che la linea di zincato, fondamentale per lo stabilimento, rischiava di non ripartire; e una fabbrica con una sola linea attiva non è un impianto ridimensionato: è un impianto che sta entrando in apnea.
Il tavolo al Mimit
L’incontro a Roma di questa mattina, convocato dopo giorni di protesta, ha prodotto il primo impegno scritto. Nella sede del Mimit il governo, insieme alla Regione Liguria e alla sindaca Silvia Salis, ha annunciato infatti la riattivazione della linea di zincato, da affiancare alla banda stagnata; una decisione arrivata al termine di un confronto teso, ma che ha finalmente dato una direzione.
Sul piano pratico, questo significa che lo stabilimento potrà ripartire con 585 lavoratori in servizio, 70 in formazione a rotazione e due linee operative anziché una; un alleggerimento reale rispetto allo scenario temuto fino a pochi giorni fa.
Ma resta il dato politico: questa non è ancora una soluzione, quanto una tregua; garantisce cioè continuità nel breve, ma non ancora un futuro nel lungo.
Il nodo Taranto
Tutta la vicenda resta infatti appesa a un punto decisivo: Cornigliano non può vivere senza Taranto. I coils di acciaio, prodotto chiave, arrivano da lì, e senza la ripresa a pieno regime del sito pugliese qualsiasi impegno su Genova resta scritto a matita. Il ministro Adolfo Urso ha assicurato che non c’è alcun piano di chiusura e che l’obiettivo è quello di riportare Taranto a
una produzione di 4 milioni di tonnellate l’anno. Ma mancano ancora tempi certi, investimenti definiti, risorse stanziate. È questa indefinizione a preoccupare i sindacati: senza un cronoprogramma chiaro, ogni rassicurazione rischia di essere solo un annuncio.
L’apertura al ruolo pubblico
Una novità, però, c’è ed è significativa. Per la prima volta il governo ha aperto esplicitamente alla possibilità di un intervento diretto dello Stato qualora le offerte private non fossero solide. Finora si era infatti parlato solo di partner industriali. Ora entra in campo, almeno come opzione, una partecipazione pubblica; un passaggio politico importante che ridisegna la cornice della discussione, pur restando ancora indeterminato nelle modalità e nei tempi.
Una vertenza che continua
La riattivazione dello zincato è un risultato concreto, ma ancora molto fragile. L’ipotesi di un intervento pubblico è certamente un’apertura significativa, ma ancora tutta da costruire. E il nodo Taranto resta irrisolto, con tutte le ricadute che ciò comporta per Genova.
Da domani si torna in fabbrica, ma non si torna alla normalità ma alla vigilanza. Perché una cosa oggi è certa, ed è forse l’unica certezza di queste settimane: senza la mobilitazione dei lavoratori, questo tavolo non si sarebbe aperto. Ed è proprio da quella forza collettiva che, ancora una volta, dovrà ripartire il futuro di Cornigliano.
(da Fanpage)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
SENZA PUDORE: RIVESTONO UN RUOLO ISTITUZIONALE MA VANNO A RIUNIONI DI PARTITO SU MATERIE DI LORO COMPETENZA
Il Consiglio superiore della magistratura è il più alto organo di autogoverno di pm e
giudici, e ha anche la funzione di tutelare e garantire l’indipendenza delle toghe dalla politica, dal governo, dai partiti. Perché allora Isabella Bertolini, membro laico del Csm, consigliera eletta nel 2023 in quota Fratelli d’Italia, martedì 2 dicembre si trovava nella sede di FdI a Roma per un vero e proprio incontro di partito?
La riunione, a cui partecipavano anche esponenti delle altre forze del centrodestra e del governo, aveva l’obiettivo di decidere una strategia per il Sì alla campagna referendaria sulla giustizia. Per questo sembra ancora più inopportuno che una consigliera del Csm fosse presente. Bertolini, però, si è difesa dicendo che non è “una cosa scandalosa”. Il caso ha ricordato il caso del Garante della privacy, dove un altro esponente istituzionale in quota FdI era andato nella sede di partito prima di una decisione importate.
La riunione della destra per decidere una strategia al referendu
Bertolini avrebbe preso parte a un incontro in cui c’erano la capo della segreteria politica di FdI Arianna Meloni, il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli, il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami; insomma, i vertici nazionali del partito. Ma anche il sottosegretario Alfredo Mantovano, e quindi un esponente del governo Meloni. Insieme a loro, parlamentari di Forza Italia (Enrico Costa, Pier Antonio Zanettin), della Lega (Simonetta Matone) e il responsabile giustizia di Noi moderati Gaetano Scalise. A riportare l’avvenuto è stato il Fatto quotidiano.
Non era, questo va chiarito, un evento pubblico o istituzionale. Si trattava di una riunione strategica di coalizione. Tra i temi trattati, per esempio, ci sarebbero stati la possibilità di costituire un comitato unico di centrodestra per il Sì al referendum, di organizzare eventi congiunti, come gestire la comunicazione social. Tutti aspetti strettamente partitici. Difficile, quindi, giustificare la presenza di una consigliera del Csm
Chi è Isabella Bertolini
Bertolini è stata eletta nel Consiglio superiore della magistratura nel 2023. È un membro laico, ovvero non una magistrata: è avvocata dal 1991, ma per anni ha fatto politica. È stata in Parlamento per dodici anni con Forza Italia e il Popolo della libertà, dal 2001 al 2013; nel 2019 ha abbandonato i forzisti per candidarsi, l’anno successivo, alle elezioni regionali in Emilia-Romagna con la Lega, dove non è stata eletta. Due anni fa, il Parlamento l’ha eletta nel Csm in quota Fratelli d’Italia.
Dalla sua elezione, Bertolini è stata tra i membri laici che hanno perseguito con più decisione la linea del centrodestra. Ha proposto, ad esempio, più di un’iniziativa nei confronti di magistrati ritenuti ‘ostili’ alla maggioranza, come il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, responsabile dell’indagine sul caso Almasri che ha visto tra gli indagati anche la presidente del Consiglio Meloni.
Parlando della sua presenza all’incontro di Fratelli d’Italia, invece, il tono è stato ben diverso: “Io non c’entro niente col partito, sono andata a sentire cosa stavano organizzando, non mi sembra una cosa scandalosa”, ha detto al Fatto. Poi ha confermato che parteciperà “attivamente per il Sì al referendum”, dicendo che è la stessa situazione di “tutti i consiglieri del Csm che vanno a 100mila convegni”, che però sono ben diversi da riunioni private di partito.
Bonelli (Avs): “Grave per la salute democratica”
La notizia ha attirato la condanna dell’opposizione. “È l’antipasto di quello che attende l’Italia se passa la riforma, è l’ennesima dimostrazione di quale sia l’intento del governo Meloni: aumentare in modo esponenziale l’influenza ed il controllo della politica sulla magistratura e in particolare all’interno dei suoi organi di autogoverno”, hanno dichiarato i parlamentari del M5s nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato. “Con il governo Meloni stanno crollando tutti i capisaldi della separazione dei poteri, della correttezza istituzionale e anche del bon ton che si richiede a chiunque ricopra cariche pubbliche”.
Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra ha commentato: “Fratelli d’Italia utilizza gli organismi indipendenti e di garanzia dello Stato per i suoi fini politici”. Il Csm è l’organo che “deve tutelare l’indipendenza della magistratura. La sua terzietà non può essere messa in discussione neppure per un istante. È un fatto estremamente grave” e “un tema di salute democratica”.
“Quella era una riunione politica, non istituzionale o un convegno”, ha insistito Peppe De Cristofaro, capogruppo di Avs in Senato: “Se sei componente dell’organo che dovrebbe tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non puoi partecipare ad una riunione politica sulle strategie per il prossimo referendum sulla giustizia, sulla magistratura”.
È intervenuto anche il comitato per il No, tramite il suo presidente Enrico Grosso, che ha denunciato: “Il caso Bertolini è un campanello d’allarme”, perché con la riforma su cui si voterà “i laici scelti dalla maggioranza parlamentare diventerebbero ancora più influenti, mentre i magistrati, scelti per sorteggio, sarebbero più deboli e privi di una legittimazione interna. Il risultato sarebbe un Csm inevitabilmente più esposto alla maggioranza di governo”.
(da Fanpage)
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Dicembre 6th, 2025 Riccardo Fucile
GLI USA ABBANDONERANNO IL LORO RUOLO GLOBALE PER CONCENTRARSI SU MIGRANTI E AMERICA LATINA: “RIADATTAREMEO LA NOSTRA PRESENZA MILITARE GLOBALE PER AFFRONTARE LE MINACCE URGENTI NEL NOSTRO EMISFERO, E RIPRISTINEREMO LA SUPREMAZIA AMERICANA”
In Europa c’è il rischio di “cancellazione della civiltà” e, “se le tendenze attuali continueranno, il continente sarà irriconoscibile tra 20 anni o meno”. E’ quanto afferma la Casa Bianca in un documento pubblicato oggi che delinea la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
L’amministrazione del presidente Donald Trump, in una nuova strategia attesa da tempo, ha affermato che gli Stati Uniti abbandoneranno il loro ruolo globale per concentrarsi maggiormente sull’America Latina e sulla lotta all’immigrazione. La strategia, pubblicata stamattina, promette un “riadattamento della nostra presenza militare globale per affrontare le minacce urgenti nel nostro emisfero, e allontanandola da teatri la cui
importanza relativa per la sicurezza nazionale americana è diminuita negli ultimi decenni o anni”.
La strategia di Trump mira a “ripristinare la supremazia americana” in America Latina, fa sapere la Casa Bianca.
Gli Usa di Trump vogliono porre fine alle migrazioni di massa in tutto il mondo e fare del controllo delle frontiere “l’elemento primario della sicurezza americana”, secondo il documento della Casa Bianca pubblicato oggi.
“L’era delle migrazioni di massa deve finire. La sicurezza delle frontiere è l’elemento primario della sicurezza nazionale”, afferma il documento, intitolato ‘Strategia per la sicurezza nazionale’. “Dobbiamo proteggere il nostro Paese dalle invasioni, non solo dalle migrazioni incontrollate, ma anche dalle minacce transfrontaliere come terrorismo, droga, spionaggio e traffico Di esseri umani”.
(da agenzie)
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