Destra di Popolo.net

MA SI PUÒ LASCIARE PER STRADA UN UOMO CHE HA PERSO IL LAVORO PER ASSISTERE LA MOGLIE MALATA? IN ITALIA SÌ ,GRAZIE AI SEDICENTI “CRISTIANI” SOVRANISTI

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

LA TRISTE STORIA DI UN 66ENNE SFRATTATO CON IL FIGLIO 29ENNE DALLA CASA IN CUI HANNO ABITATO PER VENT’ANNI: L’UOMO ERA RIMASTO SENZA OCCUPAZIONE PER ASSISTERE LA COMPAGNA MALATA DI TUMORE, POI MORTA NEL SETTEMBRE DEL 2024 … SENZA STIPENDIO, E CON IL SUSSIDIO DI 490 EURO, NON È RIUSCITO PIÙ A PAGARE L’AFFITTO

Il Sunia Palermo aveva inviato tre giorni fa una lettera alle istituzioni locali e regionali chiedendo di fare di tutto per fermare lo sgombero di oggi, a ridosso di Natale.
E invece stamattina Massimo Corrado Dell’Oglio, 66 anni, e il figlio di 29 anni sono stati sfrattati dalla casa, in via Ferdinando di Giorgi, 4, dove la famiglia risiedeva da vent’anni.
Dell’Oglio è rimasto senza lavoro per assistere la moglie, di 55 anni, malata di tumore e morta nel settembre del 2024. Senza
stipendio, e con il sussidio di 490 euro, non è riuscito più a pagare l’affitto.
“Considerata l’estrema vulnerabilità del nucleo familiare, l’assenza di soluzioni abitative alternative e la documentata condizione di indigenza, avevamo chiesto – affermano il segretario e l’avvocato del Sunia Zaher Darwish e Pietro Brancato – un urgente intervento delle istituzioni per valutare il differimento dell’esecuzione di sfratto e l’attivazione delle misure di assistenza e la sistemazione in un alloggio.
Abbiamo scritto al prefetto, al sindaco, al presidente della Regione, chiedendo di non buttare la famiglia in mezzo alla strada proprio adesso”.
Il drammatico caso sta suscitando reazioni e una gara di solidarietà. Il sindacato degli inquilini della Cgil ha lanciato anche una campagna a sostegno di Massimo Dell’Oglio e del figlio, attraverso il conto corrente del Sunia IT38Y0103004600000002625550 (causale: per Massimo dell’Oglio) aperto a chi volesse contribuire.
“Dell’Oglio stesso – aggiungono Darwish e Brancato – aveva chiesto almeno altri 10 giorni. Avevamo rivolto l’appello anche all’assessore all’Emergenza abitativa.
La soluzione che è stata prospettata per le prossime notti è di rivolgersi a un dormitorio: ma non è una soluzione praticabile, per un uomo che non ha più un centesimo in tasca. Dell’Oglio aveva chiesto aiuto al Comune già a luglio, segnalando la sua difficile situazione. E questa è la risposta che ha ricevuto”.
(da agenzie)

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IL DOSSIER DELLA CIA: “PUTIN VUOLE TUTTA L’UCRAINA E I PAESI BALTICI”

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

GLI ANALISTI AMERICANI SMENTISCONO LE BALLE DI TRUMP E DEI PACIFINTI FILO-PUTINIANI… SEI FONTI HANNO CONFERMATO IL RAPPORTO

Nelle stesse ore due fonti di intelligence indicano: il presidente russo Putin vuole tutta l’Ucraina e aspira a un “ritorno” dei Paesi Baltici nell’area di influenza russa. A metterlo nero su bianco sono stati Kirill Budanov, capo del servizi segreto militare ucraino (Gur), e gli analisti della Cia. Se nel primo caso la frase del funzionario – “Il piano originale prevedeva che la Russia fosse pronta a iniziare le operazioni nel 2030. Ora i piani sono stati rivisti aggiornati al 2027” – potrebbe essere tacciata da alcuno osservatori di opportunismo, il dossier dell’intelligence americana arriva in un momento in cui l’amministrazione Usa cerca il dialogo con il Cremlino, con i due presidenti Trump e Putin che, a parte qualche parentesi, si scambiano sorrisi e concordano su come concludere il conflitto in Ucraina.
La Reuters, che per prima ha rilanciato i temi toccati dal report americano, ha ascoltato sei fonti: tutte concordano sul fatto che la Cia giunge a conclusioni opposte rispetto alla Casa Bianca. Putin – secondo gli analisti – non solo non vuole porre fine al conflitto, ma mira a riprendere tutta l’Ucraina e i Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) riportandoli sotto il controllo del Cremlino.
“L’intelligence ha sempre pensato che Putin volesse di più”, ha dichiarato Mike Quigley, membro democratico della Commissione Intelligence della Camera, in un’intervista alla Reuters. “Gli europei ne sono convinti. I polacchi ne sono assolutamente convinti. I Paesi baltici pensano di essere i primi”. In questo contesto, l’Estonia, anche per ragioni di confine vive da anni con questo timore, ben prima del febbraio 2022, quando le truppe russe sono entrate in Ucraina.
L’1 ottobre 2024 Frank Gardner, corrispondente della Bbc, ha incontrato il primo ministro estone Kaja Kallas a cui ha chiesto se esista un Piano B dell’Estonia nella prospettiva in cui l’invasione russa in Ucraina dovesse avere successo. “Non abbiamo un piano B per una vittoria russa, perché allora smetteremmo di concentrarci sul piano A”, quello di aiutare Kiev a resistere. Vale la pena ricordare l’episodio della Strada Estone 178. Si tratta di un tratto viabile costruito in epoca sovietica che attraversa il territorio russo in due punti separati, come ricorda Defensenews. Un accordo tacito e mai ufficiale tra le guardie di frontiera su entrambi i lati della recinzione consentiva ai residenti di effettuare il percorso senza controlli, a condizione che rimanessero nei loro veicoli e non si fermassero nel chilometro di territorio russo che attraversavano. Il 10 ottobre questo accordo è saltato. “Abbiamo visto un gruppo numeroso di soldati, avevano equipaggiamento militare, non quello delle guardie di frontiera” ha raccontato Renet Merdikes, capitano della Polizia di Frontiera estone.
A Kaunas, in ottobre è stata simulato un attacco russo, con evacuazioni di civili in una palestra della città. Mercoledì scorso, tre guardie di frontiera russe sono entrate nel territorio estone. Le riprese delle telecamere di sorveglianza hanno registrato il terzetto, arrivato in hovercraft vicino al villaggio di Vasknarva intorno alle 10, che attraversava la diga foranea sul fiume Narva, confine naturale tra i due Paesi. Ma non è solo il governo estone che vive nel timore. Nell’aprile scorso le autorità di Vilnius, capitale della Lituania, hanno presentato un piano di evacuazione da mettere in atto in caso di invasione, con istruzioni fornite a 540.000 residenti.
(da Il fatto Quotidiano)

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ELODIE VOLONTARIA A MILANO, SERVE LA CENA DI NATALE AI SENZA TETTO IN PIAZZA SAN BABILA

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

LA CANTANTE IN MODO DISCRETO ERA TRA I TRENTA VOLONTARI DEL “PROGETTO ARCA”

Dopo aver annunciato nelle scorse settimane una pausa dai live, Elodie si è fatta vedere in piazza San Babila, in centro a Milano, per distribuire pasti e aiuti ai senzatetto.
La cantante ha partecipato all’iniziativa della “Fondazione Progetto Arca” in modo discreto, indossando la pettorina dei volontari, senza clamore né selfie.
La tavolata era pronta per cento persone, ma sono arrivate in 150. Tutti, però, sono stati serviti. L’artista ha servito lasagne, antipasti e torte salate, consegnando anche zaini con torce, guanti, maglie termiche e cioccolato, strumenti essenziali per chi vive in strada. Tra i volontari c’erano una trentina di persone, tra cui Franz, del duo Ale e Franz.
La tavolata tra il coro, i senzatetto e il City Angels
I canti natalizi del Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala hanno accompagnato la distribuzione dei pasti. Una volta concluso il servizio, Elodie ha contribuito anche a smontare i tavoli e a raccogliere i materiali, senza sottrarsi al
lavoro fino all’ultimo. Presenti anche i City Angels, che ogni sera portano cibo e bevande calde ai senzatetto della città. Per la cantante è stata la prima esperienza diretta in piazza come volontaria, sebbene sostenga da tempo progetti solidali.
Nelle scorse settimane, l’artista ha annunciato commossa una pausa dai tour durante l’ultimo concerto, annunciando che tornerà sui palchi e tra i suoi fan nel 2027.
(da agenzie)

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NEL MAR CASPIO LE FORZE ARMATE UCRAINE HANNO COLPITO UNA NAVE DA GUERRA RUSSA E UNA PIATTAFORMA PETROLIFERA DI PROPRIETÀ DELLA LUKOIL

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

IERI NEL MEDITERRANEO LO SBU, IL SERVIZIO SEGRETO DI KIEV, HA ATTACCATO UNA PETROLIERA DELLA “FLOTTA OMBRA” CHE CONTRABBANDA IL GREGGIO DI MOSCA. IL RAID COMPIUTO DAI DRONI È AVVENUTO NELLE ACQUE INTERNAZIONALI TRA CRETA E LA SICILIA

Le forze armate ucraine hanno colpito una nave da guerra russa del Progetto 22460 “Okhotnik” nel Mar Caspio. Inoltre, le forze armate ucraine hanno colpito una piattaforma di perforazione nel giacimento di petrolio e gas di Filanovsky nel Mar Caspio, di proprietà della Lukoil. Lo ha riferito lo Stato Maggiore delle Forze Armate dell’Ucraina, come riporta Unian.
“Nella notte del 19 dicembre, le forze di difesa ucraine hanno colpito con successo una nave da guerra russa del progetto 22460 ‘Okhotnik’. La nave stava pattugliando il Mar Caspio vicino a una piattaforma di produzione di petrolio e gas”, si legge nella nota, che precisa che la nave è stata colpita da diversi droni ucraini e che il grado di danneggiamento e il numero di scafo della nave sono attualmente in fase di accertamento.
“La piattaforma fornisce petrolio e gas ed è coinvolta nell’approvvigionamento delle forze armate dell’aggressore russo. Si stanno chiarendo l’ulteriore capacità di funzionamento e l’entità dei danni”, osserva lo Stato Maggiore.
Inoltre, il sistema radar RSP-6M2 è stato colpito nella zona di Krasnoselske, nel territorio occupato della Crimea. Lo Stato Maggiore rileva che il radar è progettato per regolare il movimento degli aerei, in particolare per il loro approccio accurato in condizioni di scarsa visibilità.
Lo Sbu, il servizio segreto interno ucraino, ha attaccato una petroliera della “flotta ombra” che contrabbanda il greggio di Mosca. La Qendil, che aveva le cisterne vuote, è stata colpita con tre ordigni nelle acque internazionali dello Ionio tra Creta e la Sicilia.
Non è la prima volta che gli 007 di Kiev entrano in azione contro le petroliere nel Mediterraneo, ma finora avevano compiuto i raid posizionando cariche esplosive sulle fiancate sommerse delle navi. Ora l’assalto è stato realizzato con uno sciame di droni. Poiché è impossibile che siano decollati dall’Ucraina, ci deve essere un battello di grandi dimensioni che viene utilizzato per trasportare i velivoli teleguidati e pilotarli sul bersaglio.
(da agenzie)

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L’EUROPA È ANCORA VIVA. IL COMPROMESSO RAGGIUNTO AL CONSIGLIO EUROPEO, CHE PREVEDE UN PRESTITO DI 90 MILIARDI DI EURO A KIEV, NON È LA MIGLIORE DELLE SOLUZIONI MA RAPPRESENTA UN MESSAGGIO CHIARO A PUTIN

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

L’AMBASCIATORE STEFANINI: “L’EUROPA ESCE A TESTA ALTA PER QUATTRO MOTIVI: PERMETTE ALL’UCRAINA DI TIRARE IL FIATO; NON SI SPACCA; CONTRASTA MOSCA SENZA PRESTARE IL FIANCO A CONTROFFENSIVE LEGALI SULL’UTILIZZO DEGLI ASSET RUSSI; SI RIAPPROPRIA DI UN RUOLO NEL NEGOZIATO AMERICANO-RUSSO SULL’UCRAINA E SULLA SICUREZZA EUROPEA. IL FINANZIAMENTO UE È ESSENZIALE PER ZELENSKY PER NEGOZIARE SENZA L’ACQUA ALLA GOLA. PUTIN DEVE PRENDERE ATTO CHE I ‘PORCELLINI’ EUROPEI SONO IN GRADO DI COSTRUIRE PER L’UCRAINA UNA CASA DI MATTONI, NON DI PAGLIA”

Con il prestito di 90 miliardi di euro a Kiev, l’Europa esce assonnata ma a testa alta da un cruciale Consiglio europeo. Per quattro motivi: permette all’Ucraina di tirare il fiato; non si spacca; contrasta Mosca senza prestare il fianco a controffensive legali; si riappropria di un ruolo nel negoziato americano-russo sull’Ucraina e sulla sicurezza europea.
Da febbraio Washington cerca di cortocircuitare gli europei. Gli europei sono intervenuti ma con poche leve in mano. Adesso ne hanno una potente: i soldi. Senza l’alea giuridico-finanziaria dell’utilizzo dei fondi russi depositati in Europa.
La decisione è arrivata nel cuor della notte: l’Ucraina riceverà dall’Unione europea un prestito a tasso zero di 90 miliardi di euro per il prossimo biennio 2026-27. I fondi saranno raccolti sui mercati finanziari internazionali con la garanzia del bilancio Ue – stessa operazione effettuata col Next Generation EU (NGEU)
Non è la bonanza dei 210 miliardi di fondi russi depositati nell’Ue ma tiene fuori da una palude di contenzioso giuridico e di potenziali rappresaglie l’Ue e i Paesi che detengono i fondi.
Certo, sarebbe stato un atto di suprema giustizia – e ironia – utilizzarli a riparazione dell’aggressione russa all’Ucraina ma giustizia e diritto non viaggiano sempre di conserva. Anche per Volodymir Zelensky meglio la sicurezza di 90 miliardi di eurobond che le sabbia mobili di 210 di fondi russi.
Il finanziamento Ue è essenziale per l’Ucraina non per continuare la guerra per due anni, ma per negoziarne la fine senza l’acqua alla gola. Era quanto sperava Vladimir Putin.
Adesso deve prendere atto che i “porcellini” europei sono in grado di costruire per l’Ucraina una casa di mattoni, non di paglia o di legno.
Finora, a sangue e sudore, ha conquistato qualche villaggio e qualche postazione ma non ha sfondato la “cintura di fortezze”. I negoziatori americani che cercavano di convincere gli ucraini a cederla alla Russia senza colpo ferire da parte di Mosca devono ripensarci. La distanza fra guerra e pace non si percorre con un contratto di compravendita immobiliare.
Nella notte di Bruxelles i leader europei hanno dimostrato a Donald Trump di essere capaci non solo di riunirsi – l’hanno fatto a lungo, ci sono abituati, ma se non altro il Presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha onorato la promessa di far tutto “in un giorno” – ma anche di agire. Il Presidente americano rimarrà deluso.
La differenza è che nelle decadenti democrazie europee non si agisce per ordini esecutivi – Trump ne ha firmati 221 in meno di un anno più dell’intero primo mandato – ma attraverso un processo decisionale che rispetta gli equilibri istituzionali e, in questo caso, anche nazionali.
Il Consiglio poteva forse decidere a maggioranza “qualificata” di utilizzare i fondi russi. Ma a prezzo di dilaniarsi. Non se lo può permettere nella partita geopolitica che sta giocando – nel su stesso interno, con i tre Paesi (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) che si sono chiamati fuori dal debito comune di 90 miliardi, oltre che sui campi insanguinati del Donbas, a Mosca e a Washington.
La scelta di ieri notte non è perfetta. Lascia qualche muso lungo fra i sostenitori dell’uso dei fondi russi, come il Cancelliere tedesco Friedrich Merz e la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen – doveva preparare meglio il terreno? – ma è la scelta giusta.
Stefano Stefanini
per www.lastampa.it

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LA DIPLOMAZIA DELLE PIROETTE: AL CONSIGLIO EUROPEO LA CAMALEONTE MELONI HA MOSTRATO TUTTE LE SUE AMBIGUITÀ, CHE L’HANNO ORMAI ISOLATA DAI PRINCIPALI LEADER EUROPEI

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

SORGI: “CON UNA PIROETTA, È TORNATA A CASA PIÙ VICINA A TRUMP E PIÙ LONTANA DA MERZ, ALLA CUI POSIZIONE CONSERVATRICE SI ERA PRECEDENTEMENTE AVVICINATA. POI, AVENDO CONDIVISO LA DURA CONTRARIETÀ DEL BELGIO SULL’UTILIZZO DEGLI ASSET DI MOSCA, LA PREMIER S’È TROVATA ACCANTO A MACRON, PIUTTOSTO SUO AVVERSARIO IN TEMPI RECENTI”

E adesso tutti, nel centrodestra, diranno che la sapiente ambiguità di Meloni è stata premiata, e ancora una volta la premier aveva visto lungo. Ma dietro la conclusione del Consiglio d’Europa che alla fine di una lunga notte di negoziati è riuscito a salvare la dignità dell’Unione, non si può dire che la posizione dell’Italia sia rimasta la stessa
Al suo arrivo a Bruxelles la posizione a metà strada tra Germania e Stati Uniti si era rivelata via via più scomoda, specie di fronte alle resistenze del Belgio e sotto sotto della Francia sull’utilizzo degli asset russi per finanziare la resistenza ucraina.
L’approdo del vertice, che ha visto un nuovo – e più limitato di quello di epoca Covid – ricorso al debito comune, ha scontentato il cancelliere Merz e lasciato pienamente soddisfatto Trump, oltre che Putin, che aveva già messo in campo una dura battaglia giudiziari.
Meloni insomma, con una piroetta, è tornata a casa più vicina a Trump e più lontana da Merz, alla cui posizione conservatrice si era precedentemente avvicinata. Poi, avendo condiviso la dura contrarietà del Belgio, titolare della maggior parte di asset di Mosca, 185 su 210 miliardi, all’utilizzo degli stessi, nella cornice europea la premier s’è trovata accanto a Macron, piuttosto suo avversario in tempi recenti.
Chiusa, senza alcun ruolo da protagonista, la difficile parentesi del vertice europeo, Meloni è dovuta correre a Roma per risolvere i problemi della legge di stabilità ancora aperta, a pochi giorni dall’inizio delle vacanze parlamentari e con il Senato ancora in attesa di ricevere il dossier della manovra.
Se Salvini non avrà da lamentarsi per le decisioni prese a Bruxelles, salutate a Mosca come una marcia indietro dell’Europa rispetto ai piani di partenza, il leader leghista e vicepresidente del consiglio è molto più attratto dalla materia delle pensioni.
Sulla quale ha già da due giorni elevato una barricata che ha costretto il ministro dell’Economia, il leghista Giorgetti, a tornare sui suoi passi e i tecnici del ministero a riprendere in mano le carte e le tabelle
(da “La Stampa”)

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LA FINANZIARIA UBRIACA DEL PATRIOTI

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

MAI ASSISTITO A UNA LEGGE DI BILANCIO TANTO INSENSATA E SCONCLUSIONATA

Dagli ultimi governi Andreotti di fine anni ’80, non so più quante volte su Repubblica abbiamo fatto titoli come “caos sulla manovra”. È ormai un genere giornalistico, che riflette tuttavia un vizio politico: con la legge di bilancio governi e coalizioni smerciano promesse e spargono prebende, assaltano diligenze e sfasciano maggioranze. Ma un disordine cognitivo e organizzativo simile a quello dei patrioti oggi al comando non si era visto forse neanche ai tempi dell’armata grillo-leghista del 2018.
Mai avevamo assistito a una Finanziaria tanto insensata e sconclusionata, dove l’unica certezza è la totale incertezza. Delle misure e delle coperture, dei benefici e dei sacrifici. Tutto cambia di ora in ora. Come se i testi li avesse scritti un Trump de’ noantri, burlone e forse pure ubriaco. In meno di due mesi la legge è stata fatta, disfatta, rifatta. E, se possibile, sempre peggiorata. All’origine era una povera cosa. La manovra più modesta e mediocre degli ultimi 11 anni.
Circa 18 miliardi di mancette sparse, tra sconticini Irpef più vantaggiosi per i redditi alti (408 euro ai dirigenti, 23 agli operai) e spiccioli alla sanità (6,4% sul Pil, valori fermi al pre-Covid). Il tutto, naturalmente, condito dal ventiduesimo condono della legislatura. Nel complesso, un pannicello tiepido. Concepito per il puro galleggiamento, in virtù del suo unico pregio: il rispetto dei saldi contabili. Nelle ultime tre settimane, contrordine camerati: quasi un quarto della legge viene rottamata, e al suo posto gli sgangherati think tank delle destre sfornano
emendamenti così demenziali che neanche la nazi-combriccola di Animal House.
Il tutto nel rituale silenzio di Giorgia Meloni, che dopo la comparsata in Consiglio dei ministri e il consueto comiziaccio ad Atreju, ha lasciato all’apposito Giorgetti la sfigatissima carta della pagoda in una mano, il rituale cerino nell’altra. E lui si è voluttuosamente immolato, gettando oltre l’ostacolo non solo il cuore ma pure il cervello. Nella confusione generale, non si sa più chi sia il colpevole: il ministro, l’ignota “manina” sempre presente nelle segrete di Via XX Settembre, o il solito maggiordomo? Nel maxiemendamento da quasi 4 miliardi, messo a punto dal Mef, c’erano i sostegni promessi alle imprese. Ma poi si era aggiunto un clamoroso e sanguinoso grand guignol sui “pensionandi”, tra abbattimento nei riscatti delle lauree, allungamento delle finestre mobili e cambiamento nelle regole della previdenza complementare.
Troppo, per l’eterno Fregoli padano, uso a ogni cortocircuito logico e ideologico, dai porti chiusi al Ponte sullo Stretto: Salvini strilla da quindici anni “cancelliamo la legge Fornero”, inscenando odiosi cortei sotto casa dell’ex ministra o impapocchiando fumosi feticci tipo “quota 100”, e ora non può sottoscrivere un altro giro di vite sulla previdenza. Quindi, previo vertice d’urgenza a palazzo Chigi, ancora una volta è contrordine camerati: salvi gli articoli su Zes e transizione 4.0, il resto del maxiemendamento è stralciato e dirottato in un decreto che ci allieterà il Capodanno. Per molto meno, nella Prima Repubblica, cadevano i penta-partiti.
Non sappiamo se per questo pasticcio il governo abbia rischiato davvero la crisi, come nel ruggente 1994 di Berlusconi e Bossi. Ma sappiamo bene tre cose. La prima: un ministro del Tesoro sconfessato urbi et orbi dal suo partito non se la può cavare fischiettando. La seconda: non si fa cassa sui poveri cristi, infilando l’ennesima stangata pensionistica in una modifica imposta al Parlamento in zona Cesarini. La terza: ha ragione da vendere proprio Elsa Fornero, quando dice a questo giornale che la realtà vince sulla propaganda.
Che “una controriforma della mia riforma non si può fare” per i numeri della demografia e dell’economia. Che con un tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa e i salari reali che non crescono da 25 anni il sistema non può reggere. Che invece dell’allungamento subdolo delle finestre mobili un governo serio dovrebbe avere semmai il coraggio di intervenire alla luce del sole sui requisiti della pensione, assumendosene la responsabilità di fronte ai cittadini-elettori.
Come se non bastasse, la tragicommedia meloniana sulla manovra degenera in farsa col disegno di legge sui condomini. Cercare la “ratio della norma” nella proposta avanzata da uno sparuto drappello di onorevoli scappati di casa da Via della Scrofa non è impossibile: è inutile. Far pagare a tutti i condòmini in regola i conti sospesi di quelli morosi è come premiare chi ruba. Esigere solo pagamenti digitali, mentre con un altro emendamento alla manovra si proponeva di aumentare da 5 a 10 mila euro il tetto all’uso del contante, è un assurdo testacoda.
Pretendere che gli amministratori possiedano una laurea, nel
Belpaese in cui la presidente del Consiglio ha un diploma di istituto tecnico-linguistico, non è un invito alla competenza, ma un inno all’incoerenza. Pare che anche di questo obbrobrio giuridico non si faccia più nulla, vista l’ira funesta che ha suscitato nella Sorella d’Italia. Ma resta la pena per un partito convinto di “fare la Storia”, eppure affollato da cotanti arruffapopolo e dilettanti allo sbaraglio. E poi delle due l’una: o la premier è informata delle mattane che combinano i suoi sprovveduti scherani, e allora è complice, oppure non ne sa niente, e allora è incapace.
Stralciato tutto, al fondo di questa Melonomics alla vaccinara l’ultima cosa che “brilla” davvero è solo un’altra patacca: l’oro alla Patria. È l’unico emendamento che non a caso mette d’accordo Colle Oppio e Carroccio, perché non è solo inutile ma addirittura grottesco. Non si possono sfilare le 2.450 tonnellate di riserve auree a Bankitalia, perché come sanno anche i bambini del bosco è vietato dai trattati europei.
Però i due sovranisti all’acqua pazza Malan e Borghi si spezzano ma non si piegano, come Mussolini all’epoca di “quota 90”: a loro basta che da qualche parte sia scritto “l’oro della Banca d’Italia appartiene al popolo italiano”. Non serve a niente, non cambia niente. Ma “l’onore è salvo”. E poi, com’è noto, per non perdere la dignità basta non averla. Quello che serve all’Italia lo vediamo ogni giorno.
Nel 2026 il Paese sarà in stagnazione, schiacciato tra l’aumento dei dazi e l’esaurimento del Pnrr. Quasi tutto crescerà dello zerovirgola: Pil e consumi, export e investimenti. In compenso,
voleranno tasse e carrello della spesa, mentre caleranno ancora potere d’acquisto e produzione industriale. Meloni fa festa col rating, e noi con lei. Ma come dimostrano i suoi svarioni su spread e pressione fiscale, sa poco o niente di economia. E finge di non sapere che un buon differenziale tra Bund e Btp non basta a sostenere il reddito di 6 milioni di poveri e di 2,5 milioni di lavoratori precari, o a dare una buona sanità a 5 milioni di italiani che non si curano più e aspettano 360 giorni per una Tac al torace, 540 per una risonanza magnetica all’encefalo, 720 per una colonscopia. Servono riforme vere, dal fisco al welfare, dal lavoro alla concorrenza. Ma Giorgia e i suoi Fratelli regalano solo “pacchi”. E maldestri come sono, tassano pure quelli.
(da repubblica.it)

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PIÙ CHE UNA MANOVRA, È UNA RETROMARCIA. IL GOVERNO È ANDATO IN TILT DOPO IL PASTICCIO SULLE PENSIONI, CON L’ESCLUSIONE DELLA STRETTA SULL’USCITA DAL LAVORO E SUL RISCATTO DELLA LAUREA

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

IN CERCA DI NUOVE COPERTURE, LA MAGGIORANZA AVEVA PENSATO A UN DECRETO PER LE IMPRESE, MA DAL QUIRINALE È ARRIVATO LO STOP. COSÌ I FONDI PER SOSTENERE “TRANSIZIONE 4.0” E I CREDITI D’IMPOSTA PER LA ZONA ECONOMICA SPECIALE SARANNO INSERITI IN UN NUOVO MAXI-EMENDAMENTO… LE COPERTURE ARRIVERANNO DAI TAGLI AI MINISTERI, A PARTIRE DALLE INFRASTRUTTURE GUIDATE DA SALVINI

All’ultima curva, il governo sbanda. Smonta e rimonta ancora la manovra. A sera è il vertice di maggioranza convocato d’urgenza da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi a fissare la nuova exit strategy per rimediare all’ennesimo pasticcio.
Stop al decreto per le imprese, l’appendice pensata poche ore prima come soluzione per superare il no della Lega alle misure sulle pensioni. Anche il Quirinale – spiegano fonti dell’esecutivo
non avrebbe apprezzato questa strada.
Tornerà tutto nella Finanziaria, con un nuovo maxi-emendamento atteso in commissione Bilancio al Senato. Dentro i crediti d’imposta per la Zona economica speciale (Zes) e Transizione 4.0, il fondo contro il caro-materiali nei cantieri e l’adesione automatica alla previdenza complementare per i neoassunti.
L’epilogo però è tutt’altro che indolore per la maggioranza. E ha a che fare proprio con le coperture. Lo schema messo a punto inizialmente dal Mef si reggeva anche sulle misure previdenziali: ora che i leghisti hanno imposto la cancellazione della stretta sul riscatto della laurea e le finestre mobili, il puzzle va ricomposto.
L’anticipo fiscale chiesto inizialmente alle assicurazioni, poi congelato e ora resuscitato, vale 1,3 miliardi. Ma non bastano. Per questo arriveranno nuovi tagli ai ministeri, soprattutto al dicastero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. Sarà lui, più di tutti, a pagare il conto dell’altolà imposto a Giancarlo Giorgetti.
È stato lui il regista a distanza dell’arrembaggio leghista andato in scena due notti fa al Senato, quando il capogruppo Massimiliano Romeo ha alzato il telefono per imporre un aut-aut al titolare del Tesoro. Un messaggio dritto: «O togli le norme sulle pensioni dall’emendamento o noi ce andiamo a casa». Non a dormire. Fuori dal governo. È da lì che si è arrivati alla soluzione dello stralcio.
Ma ora è tutto da rifare. Si riparte dalla messa in fila delle nuove risorse che servono a tenere in piedi il reintegro delle misure per
le imprese. Nel conto che dovrà pagare Salvini potrebbe esserci anche il Ponte sullo Stretto: una parte delle coperture dovrebbe arrivare proprio dal definanziamento della maxi-opera. In ogni caso dal Mit. Sarà la Ragioneria a confezionare l’equilibrio finale.
Giorgia Meloni avrebbe chiesto di vedere il testo in anteprima. Determinata, la premier, a evitare un altro incidente in Parlamento. Già così, infatti, la manovra è chiamata a correre per incassare il via libera dell’aula entro Natale. Poi la corsa alla Camera per l’ok definitivo già calendarizzato il 30 dicembre.
«È finita Atreju, ma il Paese reale è ancora lì e se ne dovrebbero occupare», dice la segretaria del Pd Elly Schlein. «Giorgetti si dimetta», tuonano i 5 Stelle. Ecco la manovra attraversata dalle tensioni.
(da Repubblica)

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GIORGETTI, IL SOLITO DON ABBONDIO AL SEMOLINO: DOPO LO SCAZZO CON SALVINI SULLA STRETTA SULLE PENSIONI, IL MINISTRO DELL’ECONOMIA SCHERZA E EVOCA PER L’ENNESIMA VOLTA LE DIMISSIONI

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

“CI PENSO TUTTE LE MATTINE, SAREBBE LA COSA PIÙ BELLA DA FARE, PER ME PERSONALMENTE… MA SICCOME È LA VENTINOVESIMA MANOVRA DI BILANCIO CHE FACCIO SO COME FUNZIONANO LE COSE”

“Alle dimissioni ci penso tutte le mattine, sarebbe la cosa più bella da fare, per me personalmente…ma siccome è la ventinovesima manovra di bilancio che faccio so come funzionano le cose”: lo dice il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti replicando con ironia ai cronisti che gli chiedono se abbia pensato alle dimissioni nel corso di queste giornate di tensione sulla manovra.
“Quella è una cosa introdotta l’anno scorso, dal nostro governo, che pare non interessasse a nessuno. A me dispiace ma evidentemente non è stata ritenuta strategica”: così il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti replica a chi gli chiede della misura contenuta nel nuovo emendamento del governo alla manovra che fa saltare la possibilità di andare in pensione di vecchiaia anticipatamente cumulando gli importi di forme pensionistiche di previdenza complementare.
(da agenzie)

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