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GLI “EPSTEIN FILES” INGUAIANO ANCHE DONALD TRUMP, DAI DOCUMENTI EMERGE ANCHE IL RACCONTO DI UNA 13ENNE CHE RIVELA DI ESSERE STATA PORTATA A MAR-A-LAGO, RESIDENZA ESTIVA DEL PRESIDENTE

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

IN QUELL’OCCASIONE IL FINANZIERE PEDOFILO DIEDE UNA GOMITATA AL TYCOON E COMMENTÒ: “È UNA BELLA RAGAZZA, VERO?”. TRUMP SORRISE E ANNUÌ IN SEGNO DI ASSENSO …VISTO CHE MOLTI DOCUMENTI E PASSAGGI SONO STATI CENSURATI, COSA SI CELA SUL PRESIDENTE AMERICANO SOTTO QUEGLI SBIANCHETTAMENTI?

Migliaia di pagine di documenti. Centinaia di fotovero?». Trump sorrise e annuì in segno di assenso. Nel 2021 la vittima ha testimoniato al processo contro Ghislaine Maxwell. Dichiarando di aver partecipato al concorso di bellezza Miss Teen Usa del 1998, all’epoca gestito dal presidente americano.
Nel 2016 cinque concorrenti dell’edizione del 1997 della competizione hanno raccontato a Buzzfeed News che Trump era entrato nel loro spogliatoio mentre si stavano cambiando. Tra i file c’è anche una denuncia che risale al 1996 per pedopornografia nei confronti di Epstein. L’Fbi non l’ha mai presa in considerazione. A presentarla era stata Maria Farmer, che aveva lavorato per lui. Alcuni degli investigatori che avevano visto la denuncia però la accusarono di aver inventato tutto.
«Ho aspettato 30 anni. Non ci posso credere. Non possono più darmi della bugiarda», ha detto poche ore dopo la divulgazione dei documenti. Sottolineando che l’Fbi «dovrebbe vergognarsi per non aver protetto quelle ragazze».
I documenti resi disponibili occupano uno spazio di 2,8 gigabyte. Sono circa 3965, suddivisi in quattro database. La maggior parte sono Pdf che contengono fotografie. Ma anche video della cella di Epstein il giorno del suo suicidio nel 2019. Gran parte del contenuto dei fileviolenza sessuale da Virginia Giuffre, una delle vittime del finanziere. Anche lui fu trovato morto 25 anni dopo nella sua cella, prima del processo.Un file contenente decine di immagini censurate mostra persone nude o poco vestite. Mentre altre foto mostrano. L’ex presidente democratico Bill Clinton, Kevin Spacey, Michael Jackson, Mick Jagger, Diana Ross e l’ex principe Andrea e la sua ex moglie Sarah Ferguson.
(da agenzie)

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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE: IL SI’ PREVALE, MA IL 57% DEGLI ITALIANI SA POCO O NULLA DEL REFERENDUM

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL SONDAGGIO DELL’OSSERVATORIO DELPHI FOTOGRAFA UN’ITALIA DIVISA

Il sondaggio dell’Osservatorio Delphi fotografa un’Italia divisa sul referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati, poco informata ma consapevole dell’importanza della riforma. Sullo sfondo emergono forti disuguaglianze sociali, generazionali e territoriali che continuano a influenzare la fiducia nella politica.
Il sondaggio realizzato dal nuovo Osservatorio Delphi, progetto nato dalla collaborazione di Piave, agenzia di comunicazione politica, e Sigma Consulting, istituto di ricerca sociale, economica e di mercato, che Fanpage.it pubblica in esclusiva, è dedicato questo mese al tema della Giustizia e al referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati, che si terrà presumibilmente nel mese di marzo. L’indagine, condotta tra il 17 e il 24 novembre 2025 su un campione rappresentativo di 800 cittadini maggiorenni, restituisce una fotografia articolata dell’opinione pubblica italiana, mettendo in luce non solo gli orientamenti di voto sul referendum, ma anche il livello di informazione degli elettori, la percezione dell’importanza della riforma e, più in generale, le grandi fratture sociali e politiche che attraversano il Paese.
Un elettorato poco informato sul referendum
Il primo dato rilevante riguarda il livello di informazione sul referendum. La maggioranza degli italiani ammette di sentirsi poco preparata: il 57% degli intervistati dichiara di essere poco o per niente informato sui contenuti e sulle conseguenze della
riforma della giustizia. Solo il 43% si considera invece abbastanza o molto informato; un dato che segnala una distanza significativa tra il dibattito politico e la reale comprensione dei temi da parte dell’elettorato, e che rischia di incidere sulla qualità della partecipazione democratica
Se si votasse oggi, il “sì” sarebbe in vantaggio
Nonostante questa carenza informativa, quando agli intervistati viene chiesto come voterebbero se il referendum si tenesse oggi, emerge una netta prevalenza del fronte del “sì”. Il 46% voterebbe a favore della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, contro il 27% che si schiererebbe per il “no”; resta però molto ampia la quota degli indecisi, pari al 27%, segno che la campagna referendaria non è ancora entrata davvero nel vivo e che una parte consistente dell’elettorato potrebbe orientarsi solo nelle ultime settimane.
La frattura politica sul tema della giustizia
L’analisi diventa ancora più interessante se si osservano le risposte in base all’orientamento politico: tra gli elettori dei partiti di centrodestra il sostegno al “sì” è molto elevato: tra chi vota Fratelli d’Italia la percentuale favorevole arriva al 79%, con una quota ridotta di contrari e indecisi. Anche Lega e Forza Italia mostrano una maggioranza netta a favore della riforma. All’opposto, l’elettorato di Alleanza Verdi e Sinistra e quello del Partito Democratico si collocano prevalentemente sul fronte del “no”, mentre tra i simpatizzanti del Movimento 5 Stelle emerge una forte divisione interna, con un peso rilevante di indecisi. I partiti centristi presentano invece un quadro più frammentato.
Una riforma considerata importante per il futuro del Paese
Alla domanda sull’importanza della riforma per il futuro dell’Italia, il giudizio complessivo è comunque alto; il 66% degli intervistati considera la separazione delle carriere abbastanza, molto o addirittura fondamentale per l’Italia. Solo il 34% la giudica poco o per niente importante. Un dato che suggerisce che, pur in presenza di scarsa informazione, la giustizia resta un tema percepito come centrale e strategico per il funzionamento dello Stato.
Le grandi disuguaglianze che preoccupano gli italiani
Il sondaggio amplia poi lo sguardo oltre il referendum, affrontando il tema delle grandi disuguaglianze e delle fratture sociali che segnano il presente e il futuro dell’Italia; quando viene chiesto quale sia la sfida più importante per il Paese, al primo posto emerge la mancanza di tutele sociali e di diritti legata al tipo di lavoro, indicata dal 40% degli intervistati. Subito dopo si colloca il divario generazionale, con il 39%, a conferma di una diffusa percezione di squilibrio tra le opportunità offerte ai giovani e quelle garantite alle generazioni precedenti. Seguono le disuguaglianze socio-economiche tra Nord e Sud (35%) e quelle legate alla condizione economica della famiglia d’origine (32%).
Meno centrali, ma comunque rilevanti, risultano le disuguaglianze tra grandi città e province (27%) e quelle di genere (24%). Più in basso, ma non assenti, le discriminazioni legate all’origine etnica, alla religione o alla lingua (14%) e quelle relative ai diritti legati all’orientamento sessuale (12%)
Un quadro che mostra come le disuguaglianze percepite siano molteplici e stratificate.
(da Fanpage)

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COSA SONO GLI ASSET RUSSI CONGELATI, QUANTO VALGONO E PERCHE’ LA UE PER ORA NON LI USA

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

CON IL PRESTITO DI 90 MILIARDI A TASSO ZERO, L’UCRAINA PUO’ RESISTERE PER DUE ANNI

Volodymyr Zelensky sarebbe stato più contento se l’UE avesse deciso di utilizzare i fondi russi per finanziare l’Ucraina in guerra. Se non altro perché ammontano a ben più del doppio dei 90 miliardi del prestito concesso invece da Bruxelles. Ma il suo Paese ha evitato la catastrofe. A tasso zero, garantito dal bilancio
comunitario — e quindi finanziato da debito comune — il prestito è comunque sufficiente per tirare avanti un paio d’anni.
Senza questa iniezione di liquidità, Kyiv rischiava di avere le casse vuote fra tre mesi o poco più. E poi, gli asset russi restano bloccati. In gran parte in Belgio, nei registri informatici del sistema Euroclear. Si può sempre decidere di usarli in futuro. Forse per ricostruire l’Ucraina, a guerra finita. Intanto, si è evitato un ulteriore scontro frontale con Mosca. Non che cambi molto. I rapporti restano di conflitto strategico. Si tratta di non precludere eventuali spiragli di dialogo nel caso fossero utili a prevenire escalation o sostenere eventuali negoziati di pace.
“Un catastrofe evitata”
Il finanziere e attivista Bill Browder, noto per la sua campagna contro Putin dopo la morte dell’avvocato Sergei Magnitsky in una prigione di Mosca, è stato fra i primi e più visibili sostenitori dell’uso degli asset russi congelati per aiutare l’Ucraina. Oggi si sente tutt’altro che sconfitto. “Va bene così, si è scongiurato il peggio”, spiega a Fanpage.it. “Entro marzo o al massimo aprile Kyiv non avrebbe più potuto sostenere la sua resistenza, e i russi avrebbero completato l’invasione”.
Tra le molte conseguenze, “venti milioni di profughi in Europa, molti dei quali in Italia”. Ora, l’erogazione immediata di euro all’Ucraina rende improbabile un simile scenario. Ma anche la precedente decisione di prolungare a tempo indeterminato il congelamento degli asset russi è considerata da Browder “di fondamentale importanza”. Un’ipoteca che può condizionare il comportamento del Cremlino. Soprattutto quando si dovrà
parlare di riparazioni e ricostruzione.
Cosa sono e quanto valgono gli asset congelati
I “fondi” in questione sono riserve e titoli di proprietà dello Stato russo. Sono denominati in euro, dollari o altre valute estere. “Non sono soldi degli oligarchi: sono soldi dei cittadini russi”, ha detto a Fanpage.it un alto funzionario russo. “Tecnicamente è vero, sono fondi sovrani della banca centrale”, concorda Browder. “Ma in pratica i normali cittadini russi non li vedranno mai: sono soldi dello Stato. Ovvero di Putin”.
Europei e alleati di Kyiv li hanno bloccati dopo l’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Non sono confiscati. Restano legittimamente russi. Ma non possono essere spostati. Né gestiti in alcun modo dalla banca centrale russa o da altre istituzioni della Federazione.Il valore complessivo è enorme: circa 300 miliardi di euro. Di questi, 210 sono immobilizzati in Europa, in gran parte sui conti del sistema di compensazione finanziari Euroclear a Bruxelles. Altri miliardi sono fuori dall’UE, negli Stati Uniti, in Giappone e altrove. Non vi immaginate pile di dobloni, è denaro smaterializzato: titoli, obbligazioni, riserve valutarie. Producono rendimenti e interessi.
Dal 2024 l’UE ha autorizzato l’uso dei proventi generati da questi asset per sostenere l’Ucraina nel breve termine. “Circa 5 miliardi sono stati di fatto confiscati”, dice a Fanpage.it Chris Weafer, capo di Macro-Advisory, società di consulenza economico-finanziaria con 20 anni di esperienza in Russia. “Finora il Cremlino ha fatto finta di niente. Adesso ha chiarito che non tollererà oltre la situazione”
Perché ne ha discusso l’UE
I conti russi in Euroclear furono congelati per punire Mosca e isolare l’economia russa. Non se ne prevedeva alcun utilizzo. Era una sanzione e basta. Poi le cose son cambiate. L’Ucraina ha sempre più bisogno di soldi per pagare i salari, comprare armi e munizioni, garantire i servizi pubblici.
Elaborando l’idea promossa da Bill Browder, da altri attivisti e da politici, l’esecutivo UE ha proposto di usare gli asset russi come garanzia per emettere obbligazioni. I soldi raccolti sarebbero andati a Kiev. Che li avrebbe restituiti solo se e quando la Russia avesse pagato le riparazioni alla fine della guerra. Da qui la definizione di “reparations loan”, o “prestito di riparazione”.
L’operazione non prevedeva trasferimenti di proprietà: i fondi sarebbero restati russi. Ma la loro immobilizzazione sarebbe servita a garantire gli investitori, i sottoscrittori delle obbligazioni. Sarebbero stati quello che sui mercati finanziari si chiama “collaterale” del prestito.
Le decisioni di Bruxelles
La decisione di protrarre indefinitamente il congelamento ha reso stabile una situazione che prima richiedeva rinnovi semestrali. I leader europei hanno concordato che i fondi rimarranno immobilizzati fino alla fine della guerra e oltre, “finché la Russia non pagherà per i danni causati”. La questione di un prossimo uso degli asset congelati rimane quindi aperta.
Il motivo per cui, nella notte tra giovedì e venerdì, il Consiglio europeo ha deciso di non usarli per adesso è la mancanza di un
consenso. Non serviva l’unanimità. Ma le preoccupazioni del Belgio — che teme il costo di cause legali contro Euroclear — e di altri Paesi tra cui l’Italia, insieme alla drastica opposizione di Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchi, stavano creando una spaccatura politicamente insostenibile.
Ma c’era il piano B. L’ultima possibilità. Cèchi, ungheresi e slovacchi hanno alla fine detto sì. A patto di non tirar fuori nemmeno un euro. Bontà loro. Da qui, l’approvazione del prestito da 90 miliardi. “È vergognoso che i tre Paesi beneficiari netti dell’Unione e sempre a chieder soldi, impongano agli altri un onere extra per finanziare l’Ucraina”, dice Browder. “Il prestito non fornito andrebbe triplicato e detratto dai fondi UE di cui sono destinatari”.
I rischi di un futuro utilizzo
Dopo che l’immobilizzazione dei fondi è stata protratta a tempo indeterminato, la Banca di Russia ha citato in giudizio Euroclear chiedendo 230 miliardi di danni. L’uso diretto degli asset congelati potrebbe violare regole internazionali sulla proprietà degli Stati. Molti giuristi invitano alla prudenza. Si temono rappresaglie economiche, contenziosi e instabilità finanziari“Se finora Mosca non ha reagito, da ora in poi lo farà”, ritiene Chris Weafer. “Sono a rischio immediato i conti delle aziende dei ‘Paesi ostili’ in Russia: potrebbero essere oggetto di confische di entità proporzionale a quella dei fondi russi congelati in Europa.
Tra gli Stati nel mirino, Belgio, Francia, Austria e Germania. Poi, se le tensioni tra UE e Russia dovessero aumentare oltremodo, “il Cremlino potrebbe arrivare a colpire le aziende
occidentali ancora attive nella Federazione, ma sarebbe solo un ultima istanza — quando non ci fosse più alcuna speranza di restaurare rapporti commerciali, e la Russia vorrebbe restaurarli”. In Russia operano ancora circa circa 600 aziende italiane, tra piccole e grandi, secondo Macro-Advisory. Al Cremlino ritengono anche di poter lanciare — nel caso di utilizzo unilaterale dei fondi in Euroclear — una campagna internazionale di sfiducia nei confronti dell’area euro, ci ha riferito una persona vicina ai centri decisionali moscoviti.
“Sciocchezze”, commenta Browder. “Nessuno perderebbe fiducia nell’euro. Parlando da investitore, posso anzi dire che la fiducia anzi aumenterebbe, perché aumenterebbero i problemi di un nemico dell’Europa: Vladimir Putin”. Resta il fatto che con la Russia prima o poi si dovrà tornare a parlare. La decisione presa a Bruxelles va valutata anche alla luce della dichiarazione di Emmanuel Macron, secondo cui l’Europa “dovrà tornare a parlare direttamente con Putin” per rimanere coinvolta nei negoziati e mantenere rilevanza politica.
(da Fanpage)

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E’ IL BINARIO CHE TRACCIA IL SOLCO

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

DI TUTTO ABBIAMO BISOGNO SALVO CHE DI BOLSA RETORICA

Da utente affezionato, anche se non sempre soddisfatto, di Trenitalia, confesso il mio divertito sgomento per la campagna pubblicitaria che inonda palinsesti e stazioni e si fonda sul concetto “l’emozione di essere italiani”, in un tripudio di tricolore, con l’inevitabile colonna sonora di Bocelli (ideona!) e con questo incipit dello speaker: “Siamo un popolo di ferro”. In attesa di un Frecciarossa in ritardo, viene da commentare: è il binario che traccia il solco, ma è l’orario che lo difende.
L’impressione è che il fervore nazionalista dello spot voglia inserirsi nella lotta per l’egemonia culturale in corso, senza avversari disposti a partecipare, per mano del governo sovranista e del suo pittoresco think tank. Pazienza, ormai ci stiamo abituando. Peccato che la parola “emozione”, tra le più abusate sui social e sui media più andanti – se ci si emozionasse un po’
di meno e si ragionasse un po’ di più staremmo tutti meglio – di fatto impoverisca l’invocato sentimento nazionale, annegandolo nella melassa (che fa arrugginire in pochi secondi il ferro).
Essere italiani non è “un’emozione”, è una condizione complicata. Per qualche verso privilegiata (ho appena visitato, a Palazzo Strozzi, la mostra del Beato Angelico), per qualche verso avvilente (gli stipendi miseri, la fuga all’estero dei giovani). È ragione di orgoglio, per quanto non si abbia alcun merito nell’essere nati qui piuttosto che in Papuasia; ma anche ragione di angoscia per lo stato del Paese, decisamente non brillante nonostante gli squilli di tromba e Bocelli. Di tutto abbiamo bisogno, tranne che di retorica.
(da repubblica.it)

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L’INTERESSE NAZIONALE PUO’ ATTENDERE, PER IL GOVERNO C’E’ SOLO L’INTERESSE DI PARTE

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

LA CULTURA POLITICA DELLA PREMIER NON PREVEDE TOLLERANZA E PLURALISMO, VIVE SOLO DI RANCORE E VITTIMISMO

Per evitare il rischio di incidenti in vista della partita di pallacanestro tra la Virtus Bologna e Maccabi Tel Aviv, il comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico della città felsinea, composto da questore, prefetto, comandanti dei Carabinieri e della Finanza e sindaco, aveva stilato un documento il 5
novembre dove si affermava che era necessario spostare la gara di Eurolega ad altra data e ad altro luogo.
I club interessati e la federazione internazionale erano d’accordo. D’imperio, invece, è intervenuto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi affinché la partita si svolgesse come previsto.
A nulla sono valsi i richiami del sindaco che sottolineava la difficoltà a gestire l’ordine pubblico, tra l’altro in un centro cittadino sottosopra per i lavori del tram. Niente da fare. Forse qualcuno sperava che ci fossero danneggiamenti qua e là da parte dei manifestanti, in parte pro-Pal in altra parte semplicemente desiderosi di rompere tutto a ogni occasione. E così le televisioni sono andate a nozze nel documentare gli scontri e le devastazioni.
Mantenere il potere
Quanto successo è stato ovviamente cavalcato dalla destra per scagliarsi contro chi chiunque protesti, e infangare il governo della città, raccontando un luogo alla mercé dei violenti, senza ordine e legge, dove intervenire con pugno di ferro.
Forse non è un caso. In fondo, “Bologna la rossa” dà ancora fastidio. Rode che abbia resistito a una serie di attentati lunghi dieci anni, e ancor più che la giustizia abbia individuato al di là di ogni ragionale dubbio esecutori e mandanti nel mondo della destra radicale di ascendenza neofascista.
L’episodio bolognese, forse piccolo in sé perché “non c’è scappato il morto” come a Genova nel 2001, dà però la misura della spregiudicatezza con cui la destra al potere muove le sue leve, per fini di parte. È una delle tante dimostrazioni che il
governo Meloni non si cura, se non causalmente, degli interessi nazionali, bensì segue un’altra stella polare ben precisa: il mantenimento del potere attraverso la demonizzazione dell’avversario (oltre al controllo di tutte le risorse, affidandole a famigli e seguaci dalla storia non immacolata ma piuttosto tendente al nero fumo).
Sintonia con Trump
Le parole di odio che tracimano dai fogli più spudoratamente filo-governativi e dagli interventi dei rappresentanti della destra sono l’anticipazione del clima che verrà quando avrà conquistato tutte le casematte. I toni oltraggiosi e lo stile arrembante nei confronti degli avversari diventeranno la norma.
Del resto già oggi, quando mai la presidente del Consiglio ha dialogato in parlamento apprezzando, se non consentendo, quanto diceva l’opposizione? Mai appunto, perché la cultura politica della premier non prevede tolleranza e pluralismo: vibra solo sulle corde dell’attacco, del vittimismo e del rancore.
Questo stile politico, in perfetta, non casuale, sintonia con Donald Trump, crea un clima di tensione e rende volontariamente difficile raggiungere intese super partes. Lo si è visto nella riforma costituzionale sulla giustizia, introdotta a colpi di maggioranza senza nulla concedere al dialogo con l’opposizione.
Lo stesso, probabilmente, avverrà sulla riforma elettorale, dove la maggioranza punta a introdurre un mostriciattolo a suo uso e consumo per mantenere in potere anche con una minoranza dei voti. Il metodo di governo “di parte”, che è riscontrabile in mille
casi, e a volte deborda, come a Bologna, innalza la temperatura politica e favorisce la polarizzazione in una logica di scontro ultimativo. Del tutto congeniale alla destra gladiatoria di origine neofascista, ma nemica di ogni buon governo e, soprattutto, di una democrazia ben funzionante.
(da editorialedomani.it)

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MELONI, GIORGETTI E LA MINA SALVINI

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

QUALCOSA SI E’ INCEPPATO NEL TRANTRAN DELLA MAGGIORANZA

No, non è l’ordinario via vai di ogni fine anno in Commissione Bilancio: il caotico andamento del dibattito sulla manovra porta alla luce il lato oscuro della vantata solidità, stabilità, efficienza del governo di Giorgia Meloni, che è la fatica sempre più improba di tenere insieme la linea della responsabilità imboccata nel 2022 con le ambizioni e la voglia di rivincita di Matteo Salvini.
In pochi giorni due episodi rivelatori, su questioni di massimo livello. Prima la pioggia di dichiarazioni ostili all’Ucraina e favorevoli a un appeasement con i russi, che ha generato addirittura il dubbio di un possibile niet leghista al decreto che consentirà di continuare a rifornire Kiev di armi. E poi, la notte dell’ira al tavolo della legge di bilancio, con il capitolo pensioni cancellato sull’onda delle minacce leghiste – o sparisce o molliamo il governo – e il conseguente falò delle risorse promesse alle aziende.
Magari alla fine una soluzione si troverà, già si parla di un decreto per recuperare fondi e sostegni, e tuttavia la plateale sconfessione del ministro Giancarlo Giorgetti da parte del suo stesso partito racconta che qualcosa si è inceppato nel trantran della maggioranza.
Nel mirino leghista ci sono i principali elementi che hanno segnalato finora un alto livello di continuità tra il governo di Mario Draghi e quello di Giorgia Meloni, e di conseguenza il positivo approccio della gran parte degli interlocutori internazionali alla nuova premiership italiana.
Il rifiuto di ogni neutralismo sulla questione ucraina, innanzitutto, con la famosa foto sul treno per Kiev (Draghi insieme a Olaf Scholz ed Emmanuel Macron in viaggio per incontrare Volodimir Zelensky) che vincolò l’Italia alle scelte dell’asse franco-tedesco. Meloni ha agito in continuità con quella iniziativa, imbrigliando chi tra i suoi aveva nutrito aperte simpatie per Vladimir Putin e azzittendo del tutto Salvini. Adesso il Capitano si scioglie da quel patto, decreta la sconfitta ucraina, incassa i complimenti di Mosca: è la fine del tacito accordo di non ingerenza nelle questioni di politica estera che ha retto per 36 mesi.
Stesso copione per il rigore nella gestione dei conti pubblici che Meloni imboccò fin dalla sua prima e frettolosissima manovra, confermando Giorgetti al Mef e ponendosi come obbiettivo l’uscita dalla procedura di infrazione, anche a costo di deludere il suo elettorato che si aspettava di veder sgorgare vino dalle fontane con l’abolizione delle accise sulla benzina, della Fornero e di ogni odioso limite europeo alla spesa.
Anche qui Salvini è rimasto silente per tre anni e ora rovescia il tavolo: di quella continuità è stufo, non ne vuole più sapere, non vede perché dovrebbe mortificare il suo imprinting anti-rigore, per di più a esclusivo vantaggio del buon nome della presidente
del Consiglio.
In entrambi i casi le impuntature di Salvini hanno sortito effetti: più nascosti nella vicenda ucraina, dove un alto livello di funambolismo ha consentito alla premier di non smentire se stessa, ma del tutto evidenti nel capitolo manovra, dove margini di ambiguità non ce ne sono. Il Capitano si è messo di traverso e il governo è stato costretto a cedere. Il disconoscimento della linea della responsabilità tenuta finora non poteva essere più plateale ed è normale chiedersi cosa produrrà nel 2026, che cosa sta maturando nella maggioranza dietro al racconto della solidità, stabilità, efficienza che i fatti cominciano a smentire.
(da lastampa.it)

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MATTARELLA DIFENDE LE SPESE MILITARI: “POCO POPOLARI MA MAI COSI’ NECESSARIE”

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

“LA DEMOCRAZIA E’ SFIDATA DA INVOLUZIONI AUTORITARIE”

«La spesa per dotarsi di efficaci strumenti che garantiscano la difesa collettiva è sempre stata comprensibilmente poco popolare, ma poche volte come ora, è necessario». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel corso della cerimonia per gli auguri di fine anno alle alte cariche dello Stato, tenutasi al Quirinale, sottolineando l’importanza del contributo del nostro Paese alla difesa comune europea come «strumento di deterrenza contro le guerre e, insieme, salvaguardia dello spazio condiviso di libertà e di benessere». Perché, ha aggiunto, «oggi sicurezza nazionale e sicurezza europea sono indivisibili, qualunque sia la prospettiva con la quale affrontiamo il tema della protezione della libertà e dello sviluppo delle nostre società».
La democrazia in pericolo
Nel suo discorso, il capo dello Stato ha sottolineato anche le sfide che i sistemi democratici devono affrontare: «Il modello democratico oggi appare sfidato da Stati sempre più segnati da involuzioni autoritarie che, contro la storia, si propongono come modelli alternativi. Una sfida per i sistemi democratici oggi deriva anche dal tentativo di ignorare e cancellare il confine tra libertà e arbitrio. La pretesa di rimuovere i limiti ai comportamenti individuali, unita alle potenzialità offerte dalle tecnologie, rischia di travolgere ordinamenti democratici e stato di diritto».
L’appello: «Su alcuni temi i politici lavorino insieme»
Rivolgendosi poi alle forze politiche, il presidente ha fatto un appello alla necessità di lavorare insieme sui grandi temi nazionali: «È legittimo e necessario che ogni forza politica abbia la sua agenda, le sue priorità, una sua visione della realtà e delle dinamiche che la muovono. Ma oltre al confronto e alla fisiologica dialettica deve esserci anche la condivisione di alcuni obiettivi fondamentali su cui lavorare insieme per assicurare il bene dell’Italia», ha dichiarato. Mattarella ha ricordato che certe questioni «vanno oltre l’orizzonte delle legislature, e attraversano le eventuali alternanze tra maggioranze di governo. Temi che richiedono programmi a lungo termine, investimenti di risorse ingenti, impegni e sacrifici che riguarderanno le generazioni che verranno. Questioni strategiche che definiscono per il loro contenuto il futuro della nostra Repubblica». E, infine, ha rivolto un ringraziamento a chi svolge il proprio mandato «con lo sguardo rivolto non alle successive elezioni ma all’orizzonte del bene comune dell’Italia».
(da agenzie)

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L’ITALIA È TERZA AL MONDO PER NUMERO DI ATLETI POSITIVI AL DOPING: NEL 2024 SONO STATI 85, CONTRO I 260 DELL’INDIA E I 91 DELLA FRANCIA

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

LO SPORT IN CUI SI FA PIÙ UTILIZZO DI SOSTANZE È IL CICLISMO (48 CASI), SEGUITO DALL’ATLETICA (5), CALCIO (3) E CLAMOROSAMENTE DAL CURLING, BEN 3 POSITIVI SU 17 CONTROLLI TOTALI … NEL NOSTRO PAESE LA SOSTANZA PIÙ “GETTONATA” RESTA L’EPO (11 CASI), SEGUITA DAL CLOSTEBOL (8)

Nel grande mare del doping l’India continua a navigare a vele spiegate. Come accaduto nel 2022 e nel 2023, è l’agenzia nazionale di New Delhi ad avere la casella più capiente, e di conseguenza più imbarazzante, nel report Wada di fine anno.
Su 7.113 campioni analizzati nel 2024, ben 260 sono risultati non conformi: una percentuale altissima (3,6%), se paragonata al dato della seconda agenzia antidoping piazzata in questa classifica del disonore, l’Usada (1,1%).
Nella graduatoria si considerano i paesi che hanno disposto almeno 5.000 controlli. La Cina, il paese che in assoluto ha
controllato di più (oltre 24mila i test), si ferma allo 0,2%, un dato incoraggiante sul quale però grava più di un dubbio. I dati di Nado Italia parlano invece di 9.304 controlli effettuati su tra sangue, urine, dried blood spots e passaporto biologico (quinta agenzia per attivismo a livello mondiale): la percentuale di positivi è dello 0,8%.
Mostruosa è quella del Pakistan (9,3%), ma condizionata dal bassissimo numero di controlli effettuati (140). Nell’anno olimpico, in ambito Wada, sono stati disposti nel mondo 212.394 test, con lo 0,8% di Aaf (adverse analytical finding, le positività).
Lo scorso luglio il Cio ha esortato l’India a rafforzare le sue misure antidoping per poter ospitare i Giochi olimpici. Il paese più popoloso al mondo (1,4 miliardi di persone) è in corsa per l’edizione del 2036 ad Ahmedabad, la maggiore città dello stato del Gujarat, sede nel 2030 dei Giochi del Commonwealth.
Dal canto suo l’Italia è terza al mondo per numero assoluto di positivi: 85, contro i 260 dell’India e i 91 della Francia. Quarto posto per Usa e Russia, assieme a quota 76. Poi Germania (54) e Cina (43). Il dato italiano è sostanzialmente sovrapponibile a quello del 2023 (82).
Nei numeri di Nado Italia svetta come sempre il ciclismo (48 casi, quasi tutti a carico di amatori), seguito a notevole distanza da atletica (5), calcio (3) e clamorosamente dal curling, ben 3 positivi su 17 controlli totali, uno spropositato 17,6%. In casa Italia, la sostanza più “gettonata” resta l’Epo (11 casi), seguita dal clostebol (8). Un caso su 4 è per anabolizzanti.
(da agenzie)

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DAL SIGNORE DEGLI ANELLI AD ATREJU, DALL’AMPOLLA DEL PO A PONTIDA: LA POLITICA ALLA PROVA DEI RITI

Dicembre 20th, 2025 Riccardo Fucile

UN SAGGIO DI ALBERTO FERRARESE VIAGGIA TRA I SIMBOLI CHE SERVONO AI PARTITI PER CEMENTARE LE IDENTITA’ E COSTRUIRE CONSENSO

Non c’è politica senza riti, non c’è potere senza corollario di simboli. La cerimonia di investitura dei re Ndembu, tribù insediate negli odierni Congo e Angola, con un sacerdote che li taglia e li insulta mentre si raccolgono in atteggiamento umile dentro una capanna, non è poi tanto distante dai complicati passaggi che presiedono all’investitura del presidente della Repubblica in Parlamento, tra cabine chiuse, rintocchi di campane, il cannone del Gianicolo che spara 21 colpi a salve, gli onori militari, l’inno nazionale, la scorta dei corazzieri.
In “Politica nuda. Riti e simboli del potere” (AltraVista, 2025) il giornalista Alberto Ferrarese esplora le mille vie attraverso cui il potere costruisce la sua «religiosità laica» per conquistare e rassicurare i suoi fedeli. «La politica – scrive – è probabilmente l’ambito della società in cui più forte resta l’aspetto simbolico e rituale, perché non può farne a meno: senza non è che amministrazione». Lo sanno bene gli italiani, e tra gli italiani i romani, abituati all’intreccio perpetuo tra sacro e profano. Di là dal Tevere la famosa “fumata bianca” per i nuovi Papi attesa in Piazza San Pietro, di qua le celebrazioni per il 2 giugno, la festa della Repubblica.
La Lega dei richiami “padani”
Ma riti e simboli servono anche a battezzare i nuovi movimenti. Il rito dell’ampolla di acqua del Po, inventato da Umberto Bossi a chiusura della “Festa dei popoli padani”, è servito alla Lega per segnare i presunti confini della Padania; il mito fondativo di Pontida, il luogo vicino a Bergamo in cui nel 1167 i comuni si allearono contro Federico Barbarossa, resiste ancora oggi nell’era di Matteo Salvini, omaggiato dal raduno annuale dei militanti del Carroccio.
Meloni, l’era del fantasy al potere
Il partito di Giorgia Meloni affonda le sue radici fisiche nel luogo altrettanto “sacro” di Colle Oppio, una specie di grotta ricavata tra i ruderi delle Antiche Terme di Traiano, e quelle simboliche ne “Il Signore degli anelli”, il capolavoro fantasy di John Ronald Reuel Tolkien, citatissimo dalla premier e dai suoi. Dai “Campi Hobbit” organizzati dalla destra a Montesarchio negli anni Settanta discende un patrimonio condiviso di riferimenti che anima persino le correnti-comunità, come i Gabbiani di Fabio Rampelli. La stessa autodefinizione di “underdog” della presidente del Consiglio nel suo primo discorso alla Camera attinge da una fortunata mitologia che sostiene gli “sfavoriti” in lotta contro le avversità. Atreju, il nome della kermesse dei giovani di Fdi, va nella stessa direzione: è il protagonista della “Storia infinita” che combatte l’avanzare del Nulla.
Il caso di scuola: la discesa in campo di Berlusconi
Si deve, però, a Silvio Berlusconi l’esempio più formidabile di creazione da zero di riti e simboli per la sacralizzazione di un leader. Ferrarese, forte della sua esperienza di cronista nei
palazzi della politica italiana ed europea, ripercorre la discesa in campo del Cavaliere nel 1994, preparata dai migliori manager di Publitalia 80 anche con la costruzione di un potente apparato simbolico. Con l’idea dirompente di puntare sulla «doppia valenza politico-calcistica» del nome “Forza Italia”, l’inno e il discorso “L’Italia è il Paese che amo” registrato su un set montato in un cantiere della villa di Macherio. Tutto anche in seguito pensato come «una professione di fede, sul modello di quello della messa cattolica», fondata sul culto della personalità e l’uso massiccio della televisione e della cartellonistica stradale. Il mondo del marketing aziendale trasferito alla politica, la «religione della libertà» come promessa.
La «tecno-religione» del M5S
Berlusconi avrebbe aperto la strada, involontariamente, alla «tecno-religione» del Movimento 5 Stelle. «Qualcuno li ha chiamati “setta”, altri li hanno paragonati a Scientology», ricorda il saggio. Sicuramente un guru è esistito, anzi due: da una parte «l’Elevato», come amava chiamarsi, ossia Beppe Grillo; dall’altra il “profeta” Gianroberto Casaleggio.In mezzo, «il sacro Blog» e poi l’associazione Rousseau, che avrebbe dato il nome all’omonima piattaforma, per qualche anno simbolo della democrazia diretta agognata dai pentastellati. Un pullulare di riferimenti simbolici si ritrova anche nel V-Day, il “vaffa” cuore della politica antisistema dei grillini della prima ora.
La camicia bianca di Renzi e gli «orari di lavoro» di Draghi
Anche il renzismo è pieno di simboli – la Leopolda, la camicia bianca (né rossa né nera) della terza via – e neanche i governi
tecnici sfuggono ai riti. La consegna della campanella – che testimonia la staffetta tra i presidenti del Consiglio – fu inventata da Lamberto Dini, ma resa celebre dal testimone amaro consegnato da Enrico Letta a Matteo Renzi. Mario Draghi ha portato la consuetudine anglosassone degli orari di lavoro: «Niente riunioni notturne o nei fine settimana per lui: in ufficio dalle 9 alle 19, con pausa pranzo a casa, venerdì corto e fine settimana “sacro”».
I complottismi «rassicuranti»
Sui simboli vive e prospera il complottismo, in tutte le sue manifestazioni: quelle antisemite dei Protocolli dei Savi di Sion, quelle cospirazioniste di QAnon che hanno alimentato il sostegno a Donald Trump, quelle razziste della «sostituzione etnica». «Le teorie del complotto con organizzazioni supersegrete che operano dietro le quinte per dominare il mondo sono comunque presenti da secoli», afferma Ferrarese. Sono rassicuranti e si propagano con una forza incredibile: creando una rete di credenze che si autosostentano, una volta che si accetta una cospirazione si spalancano le porte alle altre, pure quelle in contraddizione tra loro.
La politica denudata
Ma c’è un rito che più di ogni altro qualifica le democrazie e che, come le democrazie, è in crisi: il voto. Il gesto che stabilisce il legame di rappresentanza tra eletto ed elettore ha perso fascino. Anche se il libro non conclude con pessimismo. Anzi. Ci rammenta che forse una politica meno “mitizzata” potrebbe non essere un male. Una politica nuda, senza orpelli o con orpelli
deboli, si rivela per quello che è: potere a tempo, potere umano.
(da ilsole24ore)

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    • COSA C’È DIETRO IL PRESUNTO SCAZZO SULLE TRA GIORGETTI E IL SUO PARTITO? UN GIOCO DELLE PARTI. DAL TESORO ASSICURANO CHE “TUTTI AVEVANO VISTO TUTTO, NON SCHERZIAMO, QUELLO SULLE PENSIONI NON È UN PROVVEDIMENTO ARRIVATO ALL’IMPROVVISO”
    • INCOMPETENTI AL POTERE. PER L’ENNESIMA VOLTA IL QUIRINALE È STATO COSTRETTO A FARSI SENTIRE PER BLOCCARE UN PASTROCCHIO DEL GOVERNO, OVVERO L’IPOTESI DI UN DECRETO AD HOC IN CUI INFILARE I FINANZIAMENTI ALLE IMPRESE, DOPO CHE ERANO SALTATE LE COPERTURE GARANTITE DALLA STRETTA SULLE PENSIONI, BLOCCATE DALLA LEGA
    • DOPO IL CASO “LIMES”, QUALCUNO AVRÀ FINALMENTE IL CORAGGIO DI PRENDERE POSIZIONE CONTRO I TALK SHOW ITALIANI TRASFORMATI IN UNA TRIBUNA PER I PROPAGANDISTI PUTINIANI?
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