48 ORE DI TEMPO AL PD PER DECIDERE, MATTARELLA CAMBIA SCHEMA
IL PRESIDENTE IRRITATO PER DOPPIEZZE E TATTICISMI… IPOTESI GOVERNO DI TRANSIZIONE
C’è uno schema, che cambia radicalmente. E che si vede. Il capo dello Stato, certificato il fallimento del confronto tra centrodestra e Cinque Stelle, inchioda il presidente della Camera alla verifica di un perimetro preciso, simmetrico rispetto al mandato esplorativo conferito la scorsa settimana alla Casellati, quello tra Pd e Cinque Stelle.
Perimetro stretto, mirato, tempi brevi: solo 48 ore, per scongelare il Pd nei confronti dei Cinque Stelle e i Cinque Stelle nei confronti del Pd.
Non un mandato totale, che in parecchi si aspettavano perchè, dopo che la Casellati ha certificato il fallimento del tentativo, non sono arrivati segnali di ravvedimento, anzi l’intero fine settimana è stato segnato dalle stesse doppiezze che hanno avvolto le settimane precedenti.
Il “rompo o non rompo” di Salvini, i forni accesi di Di Maio, eterni giochi che hanno trasformato la richiesta di tempo in una perdita di tempo: “Ho atteso altri tre giorni — ha lasciato trapelare il capo dello Stato – per registrare eventuali novità pubbliche, esplicite e significative nel confronto tra i partiti. Queste novità non sono emerse”.
Ora si cambia. È chiaro, nel nuovo tentativo c’è la consapevolezza che, difficilmente, giovedì Roberto Fico possa portare al Colle l’armistizio tra nemici.
Sarebbe già un successo se riuscisse a riferire di un “innesco” di trattativa.
Basterebbe cioè che i due nemici mostrassero la volontà di sedersi a un tavolo per ragionare di programmi e il capo dello Stato, a quel punto, non mostrerebbe tutta questa fretta, accordando anche un altro po’ di tempo, purchè l’innesco sia serio e concreto.
Ma c’è, dentro questo tentativo che nasce nello scetticismo di tutti, un non detto, che rappresenta il punto di caduta. E non è un caso che, per la prima volta, Sergio Mattarella ha lasciato trapelare che il tempo sta per scadere perchè “a distanza di quasi due mesi dalle elezioni del 4 marzo va sottolineato il dovere di dare al più presto un governo all’Italia”.
Ecco, un dovere finora poco sentito, in un’orgia di tatticismi, mentre l’opinione pubblica, secondo le antenne del Colle, inizia a nutrire una certa insofferenza e un certo sconcerto.
E se, dopo oltre due mesi di consultazioni, esplorazioni, tentativi falliti, se cioè dopo averle provate tutte, ma proprio tutte, i partiti non avranno dimostrato questo senso del dovere, sarà inevitabile una scelta, diciamo così, solitaria di un governo che nasce su iniziativa del capo dello Stato.
Qui sta il non detto. Perchè l’operazione è tutt’altro che scontata, in questo contesto, e in questo clima.
Al momento non c’è un Parlamento pronto ad accogliere un nome del presidente, in un rigurgito, si sarebbe detto una volta, di “responsabilità nazionale”.
Anzi, al momento un governo del genere, proposto a freddo, rischierebbe di essere figlio di nessuno. Non si registrano, in Parlamento, forze politiche pronte a sostenerlo. Forse il Pd. Chissà Forza Italia. Con Salvini che già si è posto all’opposizione di un governo “imposto da Bruxelles”.
Altro discorso è se, nel nuovo perimetro da esplorare in questi giorni, matura qualcosa in questa direzione. Se cioè questo perimetro può diventare la base di un governo di transizione sostenuto da Pd, Cinque Stelle, Leu.
Anche i renziani più barricaderi dicono no a un “accordo politico” con i 5Stelle, ma tra un accordo politico e il ritorno alle urne non escludono un governo — si chiami istituzionale, del presidente, balneare — votato da entrambi e benedetto dal Colle. Anche perchè c’è il rischio che, andando avanti così, il ritorno al voto, certo non a giugno, sia una possibilità concreta.
E non si capisce quale vantaggio possa avere il Pd da una eventualità del genere.
Scongelamento che, contestualmente, dovrebbe avvenire tra i Cinque Stelle.
Finora, l’eventualità di un governo del presidente, e comunque di un governo che nasca sulla rinuncia di Di Maio a palazzo Chigi è stata sempre esclusa.
Anzi, è stata la condizione che ha fatto saltare ogni trattativa. Ma tra i frequentatori del Colle è stato notata una certa responsabilità del leader penstastellato che ha compiuto passi impensabili fino a poco tempo fa, compiuti in perfetta sintonia con gli auspici del Quirinale, a partire dalla scelta netta della collocazione atlantica, dall’atteggiamento molto più istituzionale rispetto a quello di Salvini, dagli sforzi compiuti per evitare il ritorno alle urne.
Ed è stata apprezzata la dichiarazione che ha certificato la chiusura del forno leghista, che dà un alone di serietà al tentativo in atto.
Questi almeno gli auspici, che saranno verificati nei prossimi giorni. Palazzo Chigi resta un tabù. E un macigno sul detto e sul non detto.
Tra il non detto però c’è anche una certa inquietudine, da parte dei Cinque Stelle, a creare una linea di frattura col Colle che, al momento della scelta solitaria, stilerà l’elenco dei responsabili e degli irresponsabili.
(da “Huffingtonpost”)
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