LA POLITICA DELL’ASSURDO: LA CRISI SIA DI CHI HA VINTO CHE DI CHI HA PERSO LE AMMINISTRATIVE
NEL PD IL PROBLEMA RENZI, NEL PDL LA POSIZIONE DI ALFANO, NEI CINQUESTELLE L’APOTEOSI DEL TEATRO DELL’ASSURDO
L’ultima tornata amministrativa ha fornito dei risultati piuttosto chiari: la rivincita del Pd, la stasi del Pdl e la netta sconfitta del Movimento 5Stelle.
Eppure quegli stessi dati stanno provocando un vero e proprio sconquasso non solo in chi ha perso, ma anche in chi ha vinto.
Lo scontro che prima si consumava sotto traccia tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, si sta infatti ormai disvelando in pubblico.
Le loro prospettive già distinte alla nascita del nuovo governo, stanno mostrando tutti i segni di una inevitabile divaricazione. «Io non voglio fare niente contro Enrico, mi tengo lontano dallo schema che mi dovrebbe portare a far cadere l’esecutivo», ripete da giorni il sindaco di Firenze. Ma gli obiettivi dei due “soci di maggioranza” del centrosinistra non possono che essere opposti.
Il presidente del Consiglio sta edificando il suo programma sui mattoni del “lungo-periodo”. Deve durare e produrre risultati per dimostrare che l’investimento sulle larghe intese non è stato un semplice cedimento ad un’alleanza contro natura.
Deve durare per provare a giocarsi una ricandidatura. «Io penso a lavorare e mi tengo lontano dalle polemiche », è il suo mantra.
Renzi, appunto, si muove sui binari opposti.
Ha bisogno di stringere i tempi per far maturare subito la sua leadership e andare rapidamente al voto. Sa che gli esiti elettorali di domenica scorsa sono stati da tutti letti come un avallo alla politica delle larghe intese.
Esattamente quello che il capo dei rottamatori non può permettersi.
Esigenze dunque troppo contrapposte per non far esplodere il conflitto. E infatti la deflagrazione è già avvenuta.
Il duello di mercoledì sulla riforma del Porcellum ne è stata una scheggia. L’accelerazione dei renziani contro la solidarietà di maggioranza dei lettiani. In un certo senso si conferma la storia del centrosinistra degli ultimi venti anni: come Crono divorava i suoi figli, così è stata impossibile la “coabitazione” tra i leader del partito principale e i premier provenienti dalle stesse file. Con ogni probabilità , però, la sfida decisiva ci sarà al congresso del prossimo autunno (a meno di uno slittamento).
Lì si definiranno i ruoli dei due veri plenipotenziari del campo progressista.
Ma se il voto amministrativo ha acceso la disputa nel Pd, dentro il Movimento 5Stelle ha provocato una baraonda.
Trasformando il confronto politico in una sorta di teatro dell’assurdo. Con un attore, Beppe Grillo, capace di impersonare i migliori protagonisti di Ionesco.
Nel giro di pochi giorni i grillini sono riusciti a cestinare due dei loro candidati alla presidenza della Repubblica. Prima se la sono presa con Milena Gabanelli, rea di aver fatto un servizio giornalistico sulle risorse finanziarie dei grillini. Poi con Stefano Rodotà , accusato addirittura di aver criticato le parole del “lider maximo”.
Un testacoda incredibile. Che mette in evidenza tutti i limiti di una formazione verticista, senza democrazia interna, opaca nei meccanismi decisionali rimessi completamente nelle mani di Grillo e Casaleggio.
E ora anche con un consenso popolare dimezzato rispetto alle politiche di febbraio scorso.
L’ex comico ha quindi certificato ieri la sua allergia verso chiunque esprima un grado di autonomia politica o intellettuale.
Una deriva integralista che però sta causando per la prima volta una rivolta nei suoi gruppi parlamentari e sul web.
Se nel giro di tre mesi, prende forma nel corpaccione grillino il fantasma della scissione, allora forse il populismo demagogico del capo grillino inizia a perdere i suoi effetti. Soprattutto si mette il timbro sullo stato confusionale che vive il terzo partito italiano attraverso contorsionismi impressionanti.
Con una capogruppo, la Roberta Lombardi, che dopo aver bacchettato durante le consultazioni Pierluigi Bersani per un deficit di trasparenza nelle riunioni politiche, ora definisce «merda» chi riferisce i contenuti del confronto all’interno del Movimento.
Ma anche il Pdl non è esente dal tumulto post-amministrative.
Ha perso ovunque, ha dovuto rinunciare a molte delle sue roccheforti. Il nervosismo è salito ai massimi livelli. E poichè Silvio Berlusconi è il leader indiscusso e indiscutibile, l’obiettivo dello scontro interno è soprattutto Angelino Alfano.
I cosiddetti “falchi” — quelli che vorrebbero far cadere Palazzo Chigi il più rapidamente possibile in nome del Cavaliere — lo rimproverano di aver accumulato troppe cariche: segretario del partito, vicepresidente del consiglio e ministro dell’Interno.
Con il risultato, appunto, di aver perso — dopo le politiche di febbraio — anche la tornata delle comunali. Ma l’illogicità scatenata dall’ultimo voto avvolge anche il centrodestra.
Perchè il Berlusconi non ne vuole sapere di mettere in crisi il governo Letta. Troppe al momento le convenienze che ne sta traendo. A meno che non arrivi la bufera dei suoi processi.
E in questo gioco di incastri, un ruolo di primo piano è stato affidato alla Corte Costituzionale. La prossima settimana dovrà pronunciarsi sul legittimo impedimento nel processo Mediaset.
E in seguito sull’ammissibilità del ricorso contro la legge elettorale, il Porcellum. Due passaggi che potranno segnare il destino di questa legislatura.
Claudio Tito
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